LA CORTE D'APPELLO A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 24 novembre 2010 ha pronunciato la seguente ordinanza. Letti gli atti e sentite le parti nella causa in grado di appello iscritta al n. 822/2009 promossa da M.A.S.M., in qualita' di genitore esercente la potesta' genitoriale sul minore L.M.A. O. nato il ... in E.... e residente in G.... via ... rappresentate difesa dall'avv. Gloria Pieri ed elettivamente domiciliata presso lo studio della predetta in Genova, via Dante, 2/41 come da mandato in atti appellante; Contro Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in Genova, via G. D'Annunzio, 80 presso l'Ufficio Legale distrettuale della sua sede provinciale, rappresentato e difeso dall'avv. Pietro Capurso per procura generale alle liti del 7 ottobre 1993, appellato. 1. I termini della controversia: Con sentenza n. 1041/2009 il Tribunale di Genova, in funzione di giudice del lavoro, rigettava la domanda proposta da M.A.S.M. avente ad oggetto la declaratoria del diritto della ricorrente, nella qualita' di genitore esercente la potesta' genitoriale sul minore L.M.A. O., a percepire l'indennita' di frequenza di cui alla legge n. 289/1990, con condanna dell'INPS al pagamento dei ratei maturati dalla data della domanda amministrativa (13 marzo 2007) al saldo, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi legali. Osservava il giudicante che la competente Commissione medica aveva riconosciuto la sussistenza, in capo al minore L.M.A. O. dei requisiti sanitari richiesti per la concessione della provvidenza de qua ma che questa era stata negata per la mancanza della carta di soggiorno richiesta dall'art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388. Affermava il Tribunale che la ricorrente aveva richiesto il primo permesso di soggiorno nel 2006 e non era, dunque, soggiornante sul territorio nazionale da almeno cinque anni (condizione richiesta per il rilascio della carta di soggiorno); aggiungeva che non era ravvisabile un'illegittimita' della disposizione di cui all'art. 80 citato per contrasto con il Regolamento CE n. 859/2003, ne' erano invocabili nella fattispecie le pronunce della Corte costituzionale n. 306/2008 e n. 11/2009. Avverso la sentenza proponeva appello M.A.S.M. la quale ribadiva che il proprio figlio minore era iscritto alla seconda classe della Scuola Media Statale ed era stato riconosciuto in possesso dei requisiti sanitari richiesti dalla legge per l'erogazione dell'indennita' di frequenza; ricordava che l'indennita' di frequenza e' concessa, a norma dell'art. 3 della legge n. 289/1990, ai minori che frequentano scuole di ogni ordine e grado ed invocava la giurisprudenza che aveva ritenuto l'art. 1 del Regolamento CE n. 859/2003 applicabile anche ai cittadini dei paesi terzi ed ai loro familiari purche' in situazioni di soggiorno legale nel territorio di uno stato membro. Censurava, dunque, l'impugnata sentenza laddove aveva escluso il diritto di essa appellante a percepire l'indennita' di frequenza a causa della mancanza della carta di soggiorno ed affermava che tale orientamento si poneva in contrasto con l'ormai recepita - anche a livello comunitario - estensione dei regimi di sicurezza sociale a tutti i soggetti legalmente residenti in un territorio. Sosteneva peraltro che fosse compito del giudice dello Stato italiano, nel caso di contrasto tra una norma interna con le norme di fonte comunitaria, disapplicare la norma nazionale, stante la diretta applicabilita' del Regolamento. L'INPS resisteva. 2. La normativa applicabile ed il giudizio di rilevanza della legittimita' costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000 n. 388. La provvidenza richiesta dall'odierna appellante e' disciplinata dalla legge n. 289/1990. Beneficiari di essa sono i mutilati ed invalidi civili, minori di anni 18, cui siano state riconosciute (dalle commissioni mediche periferiche per le pensioni di guerra e di invalidita' civile) difficolta' persistenti a svolgere i compiti e le funzioni della propria eta', nonche' i minori ipoacusici che presentino una perdita uditiva superiore ai 60 decibel nell'orecchio migliore nelle frequenze di 500, 1.000, 2.000 Hertz; tale provvidenza e' condizionata al «ricorso continuo o anche periodico a trattamenti riabilitativi o terapeutici» connessi con la minorazione ovvero «alla frequenza continua o anche periodica di centri ambulatoriali o di centri diurni, anche di tipo semiresidenziale, pubblici o privati, purche' operanti in regime convenzionale, specializzati nel trattamento terapeutico o nella riabilitazione e nel recupero di persone portatrici di handicap», ovvero ancora alla frequenza di «scuole, pubbliche o private, di ogni ordine e grado, a partire dalla scuola materna, nonche' centri di formazione o di addestramento professionale finalizzati al reinserimento sociale dei soggetti stessi», dovendosi peraltro ricordare che con sentenza 20-22 novembre 2002, n. 467 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 1, comma 3, nella parte in cui non prevede che l'indennita' mensile di frequenza sia concessa anche ai minori che frequentano l'asilo nido. L'importo dell'indennita' e' pari all'assegno ordinario di invalidita' di cui all'art. 13 della legge n. 118/1971 ed e' richiesto, per la sua erogazione, il medesimo requisito reddituale di cui al suddetto assegno. Costituiscono situazioni ostative all'erogazione qualsiasi forma di ricovero nonche' la concessione, o concedibilita', dell'indennita' di accompagnamento di cui alle leggi 28 marzo 1968, n. 406, 11 febbraio 1980, n. 18, e 21 novembre 1988, n. 508 e la percezione della speciale indennita' in favore dei ciechi civili parziali o dell'indennita' di comunicazione in favore dei sordi prelinguali, di cui agli articoli 3 e 4 della legge 21 novembre 1988, n. 508, salva la facolta' dell'interessato di optare per il trattamento piu' favorevole. Cio' Premesso, si ricorda che a fondamento della domanda l'odierna appellante afferma che il proprio figlio minore e' in possesso dei requisiti sanitari previsti dalla succitata legge n. 289/1990, essendo stato riconosciuto dalla Commissione di Prima Istanza della Regione Liguria affetto da patologie - «ritardo mentale medio-lieve. Deficit visivo in OD (ODV 1/10)» - che hanno determinato difficolta' persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della sua eta'. Tale circostanza e' documentalmente provata e non e' stata posta in discussione dall'Istituto resistente. E' stata inoltre versata in atti la documentazione attestante la sussistenza delle ulteriori condizioni poste dal legislatore all'art. 1, comma 3 (nella fattispecie: frequenza della scuola pubblica) e 1, comma 5 (requisito reddituale); ne' risulta sussistente alcuna delle situazioni di incompatibilita' con la fruizione del beneficio. La mancata concessione della provvidenza e' riconducibile, secondo quanto comunicato dall'INPS nella missiva del 20 novembre 2007, unicamente al seguente motivo: «Mancanza della carta di soggiorno (tutte le fasce)». Anche se la missiva suddetta non richiama la normativa di riferimento, questa e' costituita dall'art. 80, comma 19, della legge n. 388/2000, che cosi' recita: «Ai sensi dell'articolo 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, l'assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali sono concesse alle condizioni previste dalla legislazione medesima, agli stranieri che siano titolari di carta di soggiorno; per le altre prestazioni e servizi sociali l'equiparazione con i cittadini italiani e' consentita a favore degli stranieri che siano almeno titolari di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno. Sono fatte salve le disposizioni previste dal decreto legislativo 18 giugno 1998, n. 237, e dagli articoli 65 e 66 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e successive modificazioni». Orbene, dalla lettura degli atti emerge che nel momento in cui ha proposto la domanda amministrativa l'appellante si trovava legittimamente sul territorio italiano in forza di un primo permesso di soggiorno indicante quale motivo del soggiorno «lavoro subordinato anche stagionale» rilasciatole il 27 giugno 2003 (non, quindi, nell'anno 2006, come affermato nella sentenza impugnata), piu' volte prorogato e sostituito, da ultimo, da un permesso di soggiorno con scadenza 9 ottobre 2011 rilasciato per «motivi familiari». Non aveva invece, ne' ha ottenuto in seguito, la carta di soggiorno e per tale ragione - solo per tale ragione - il procedimento amministrativo si e' concluso con il rigetto della domanda. Rilevato dunque che l'indennita' di frequenza non e' stata erogata esclusivamente a causa del mancato possesso della carta di soggiorno (costituente requisito aggiuntivo, in forza dell'art. 80, comma 19, della legge n. 388/2000, per l'erogazione della prestazione in favore di cittadini stranieri), deve ritenersi nella fattispecie sussistente la rilevanza del vaglio costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge n. 388/2000. 3. La non manifesta infondatezza dell'eccezione di legittimita' costituzionale. Come gia' ricordato, l'indennita' di frequenza si configura tra le provvidenze economiche, che costituiscono diritti soggettivi, condizionate, alla luce dell'art. 80, comma 19, della legge n. 388/2000, alla titolarita' della carta di soggiorno (ovvero del sopravvenuto permesso di soggiorno CE per i soggiornanti di lungo periodo); occorre quindi valutare se risultino condivisibili le censure di costituzionalita' formulate dall'appellante alla norma suddetta. Tali censure si fondano sull'asserita discriminazione dei cittadini stranieri, rispetto ai cittadini italiani, laddove la normativa sopra richiamata condiziona la concessione dell'indennita' di frequenza a requisiti ulteriori rispetto a quelli richiesti ai cittadini italiani, escludendone l'erogazione per coloro che, pure in possesso di un titolo per soggiornare legittimamente sul territorio italiano, non siano titolari della carta di soggiorno. Soccorrono, nella formulazione di tale valutazione, i seguenti principi enunciati dalla Corte costituzionale. Con le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 la Corte costituzionale ha affermato che qualora il giudice ravvisi un contrasto (non risolvibile in chiave interpretativa) tra norma interna e norma derivante dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, ratificata e resa vigente dall'Italia con legge ordinaria, non puo' far luogo alla disapplicazione della norma interna ma e' tenuto a sollevare una questione di legittimita' costituzionale per violazione della norma interna con l'art. 117 della Costituzione, che impone al legislatore il rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Con la sentenza n. 306/2008 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge 388/2000 ritenendola norma discriminatoria (e, quindi, contraria al principio costituzionale di cui all'art. 3 della Costituzione) nella parte in cui esclude che l'indennita' di accompagnamento possa essere riconosciuta agli stranieri extracomunitari soltanto perche' non in possesso dei requisiti di reddito stabiliti per ottenere la carta di soggiorno (e successivamente per il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo). Con la sentenza n. 11/2009, sulla base di un ragionamento analogo, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge n. 388/2000 ritenendola norma discriminatoria nella parte in cui esclude che possa essere riconosciuta agli stranieri extracomunitari non in possesso dei requisiti di reddito stabiliti per la carta di soggiorno (e successivamente per il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo) la pensione di inabilita', sottolineando, in questo secondo caso, una contraddizione logica ancora piu' grave giacche' la provvidenza suddetta viene erogata solo al di sotto di un certo limite reddituale, tutelando proprio le situazioni in cui l'invalidita' si accompagna al bisogno economico. Va rilevato che in entrambe le sentenze da ultimo citate (n. 306/2008 e n. 11/2009) le fattispecie in esame riguardavano soggetti presenti sul territorio italiano da oltre cinque anni e l'unico aspetto ostativo al riconoscimento, in loro favore, della carta di soggiorno era costituito dalla carenza del requisito reddituale. Con la sentenza n. 187/2010, infine, la Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge n. 388/2000 nella parte in cui subordina al requisito della titolarita' della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato dell'assegno mensile di invalidita' di cui all'art. 13 della legge n. 118/1971. Trattasi di una pronuncia di particolare importanza, ai fini della presente decisione, giacche' dalla prospettazione della questione di legittimita' si desume che non viene in rilievo la carenza, in capo allo straniero cui e' stata rifiutata la prestazione assistenziale, del requisito reddituale per ottenere la carta di soggiorno bensi' la carenza del requisito della permanenza sul territorio italiano con un valido titolo di soggiorno per la durata di almeno cinque anni (richiesto, del pari, per ottenere la carta di soggiorno). Importante, altresi', e' la formulazione del dispositivo, ove viene dichiarata l'illegittimita' dell'art. 80, comma 19, legge n. 388/2000 «nella parte in cui subordina al requisito della titolarita' della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato dell'assegno mensile di invalidita' ....» potendo ritenersi, dal suo tenore letterale, che ai fini della concessione dell'assegno mensile di invalidita' non si richieda allo straniero, in termini di permanenza sul territorio italiano, alcun requisito diverso ed ulteriore rispetto alla mera titolarita' di un titolo di soggiorno. Nella motivazione di tale sentenza la Corte ha affermato che richiedendo, implicitamente, per gli stranieri il requisito della presenza nel territorio dello Stato da almeno cinque anni, la norma censurata introdurrebbe un requisito ulteriore atto a generare una discriminazione dello straniero nei confronti del cittadino, in contrasto con i principi enunciati dall'art. 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e dall'art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, adottato a Parigi il 20 marzo 1952, secondo l'interpretazione che di essi e' stata offerta dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, con conseguente violazione dell'art. 117, comma 1, della Costituzione. Richiamati quindi i principi enunciati dalla Corte costituzionale con le pronunce sopra ricordate, si rileva quanto segue con particolare riferimento alla fattispecie in esame. L'indennita' di frequenza e' un istituto volto a promuovere, attraverso l'erogazione di un importo mensile, l'inserimento sociale e la formazione scolastica dei minori cui siano state riconosciute, dalle competenti commissioni mediche, difficolta' persistenti a svolgere i compiti e le funzioni dell'eta' ovvero che siano portatori di patologie cagionanti uno stato di disabilita'; presupposto della sua concessione e', altresi', una situazione reddituale svantaggiata, essendo previsto lo stesso requisito reddituale di cui all'assegno di invalidita' mensile. Trattasi di una misura di sostegno economico volta ad incentivare sia la partecipazione del minore con disabilita' a programmi di trattamento terapeutico che la sua frequenza scolastica allorche' la situazione familiare del minore sia caratterizzata da limitate risorse economiche che potrebbero costituire un ulteriore ostacolo al superamento delle difficolta' legate alle sue condizioni di salute. Puo' ravvisarsi un'analogia tra la provvidenza in esame e gli istituti gia' interessati dalle sentenze della Corte costituzionale sopra richiamate che hanno dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge n. 388/2000; cio' con particolare riferimento alla pensione di inabilita' ed all'assegno ordinario di invalidita' che, analogamente, prevedono per la loro erogazione sia un requisito sanitario che un requisito economico. Da cio' il dubbio di questo giudice remittente circa la legittimita' costituzionale del predetto art. 80, comma 19, L. cit. laddove, anche con riferimento all'indennita' di frequenza, pone a carico degli stranieri il requisito del possesso della carta di soggiorno. Per quanto riguarda il requisito reddituale richiesto per il riconoscimento della carta di soggiorno e' sufficiente richiamare la sentenza n. 11/2009, che ribadisce i principi di cui alla sentenza n. 306/2008 evidenziando, vieppiu', che richiedere il raggiungimento di un minimo reddituale si pone in evidente contrasto con la ratio della provvidenza qualora quest'ultima presupponga, a contrario, una condizione di disagio economico. Per quanto riguarda il requisito della permanenza in Italia per oltre cinque anni, si ricorda innanzitutto che la legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) prevedeva, all'articolo 39, una sostanziale equiparazione degli stranieri con permesso di soggiorno superiore a un anno (e dei minori iscritti nella loro carta di soggiorno) con i cittadini italiani, per quanto riguarda la fruizione delle prestazioni anche economiche e che solo con la legge n. 388/2000 e' stata introdotta una notevole restrizione alla concessione delle provvidenze economiche agli invalidi civili extracomunitari. E' ben vero che il legislatore puo' limitare e disciplinare l'accesso degli stranieri alle provvidenze de quibus anche sotto il profilo suddetto. Tale discrezionalita' va pero' esercitata nei limiti posti dai principi costituzionali, primi tra tutti il principio di uguaglianza e di tutela della salute. Si ricordi, a questo riguardo, che la Corte costituzionale (con la sentenza n. 306/2008) ha affermato che quando la permanenza legale dello straniero in Italia non sia episodica ne' di breve durata «non si possono discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini». Nel caso in esame, l'odierna appellante ha presentato domanda amministrativa volta ad ottenere l'indennita' di frequenza nell'anno 2007; la sua presenza sul territorio italiano (risalente all'anno 2003) appare dunque difficilmente definibile come episodica o di breve durata, cosicche' la negazione della provvidenza richiesta appare collidere con i principi posti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, potendosi ravvisare una disparita' di trattamento irragionevole rispetto ai cittadini italiani. Ne' puo' sottacersi che per un minore bisognevole di seguire programmi terapeutici, nonche' di frequentare la scuola, l'attesa di un termine quinquennale di stabilita' sul territorio italiano appare fortemente penalizzante, venendo a comprimere sensibilmente le esigenze di cura ed assistenza di soggetti che l'ordinamento dovrebbe invece tutelare. A tale riguardo si richiamano le considerazioni gia' svolte dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 467/2002, che ha esteso il riconoscimento dell'indennita' di frequenza per garantire la frequenza dell'asilo nido nel periodo da tre mesi a tre anni, rilevando l'importanza che la provvidenza de qua venga erogata anche nei primi anni di vita del bambino. Alla luce delle considerazioni che precedono, molteplici appaiono i profili di illegittimita' dell'art. 80, comma 19, legge n. 388/2000: da un lato la violazione del principio di uguaglianza (ex art. 3 Cost.) e delle norme che assicurano la protezione dei diritti primari dell'individuo (ex artt. 34 Cost., sull'istruzione, art. 32 Cost., sulla salute e 38 Cost., sull'assistenza sociale), nonche' del dovere di solidarieta' economica e sociale (ex art. 2 Cost.); dall'altro, la violazione del dovere di esercitare la potesta' legislativa nel rispetto, oltre che della Costituzione, dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali (ex art. 117 Cost.). Circa il rispetto dei vincoli di cui all'ordinamento comunitario, non possono che richiamarsi le valutazioni espresse con la sentenza della Corte costituzionale n. 187/2010, i cui passi fondamentali si trascrivono testualmente: «La giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo ha, in varie occasioni, avuto modo di sottolineare come la Convenzione non sancisca un obbligo per gli Stati membri di realizzare un sistema di protezione sociale o di assicurare un determinato livello delle prestazioni assistenziali; tuttavia, una volta che tali prestazioni siano state istituite e concesse, la relativa disciplina non potra' sottrarsi al giudizio di compatibilita' con le norme della Convenzione e, in particolare, con l'art. 14 che vieta la previsione di trattamenti discriminatori .... Al tempo stesso, la Corte di Strasburgo ha anche sottolineato l'ampio margine di apprezzamento di cui i singoli Stati godono in materia di prestazioni sociali, in particolare rilevando come le singole autorita' nazionali, in ragione della conoscenza diretta delle peculiarita' che caratterizzano le rispettive societa' ed i correlativi bisogni, si trovino, in linea di principio, in una posizione privilegiata rispetto a quella del giudice internazionale per determinare quanto risulti di pubblica utilita' in materia economica e sociale. Da qui l'assunto secondo il quale la Corte rispetta, in linea di massima, le scelte a tal proposito operate dal legislatore nazionale, salvo che la relativa valutazione si riveli manifestamente irragionevole ... A proposito, poi, dei limiti entro i quali opera il divieto di trattamenti discriminatori stabilito dall'art. 14 della Convenzione, la stessa Corte non ha mancato di segnalare il carattere relazionale che contraddistingue il principio, nel senso che lo stesso non assume un risalto autonomo, «ma gioca un importante ruolo di complemento rispetto alle altre disposizioni della Convenzione e dei suoi protocolli, perche' protegge coloro che si trovano in situazioni analoghe da discriminazioni nel godimento dei diritti garantiti da altre disposizioni» ... Il trattamento diviene dunque discriminatorio - ha puntualizzato la giurisprudenza della Corte - ove esso non trovi una giustificazione oggettiva e ragionevole; non realizzi, cioe', un rapporto di proporzionalita' tra i mezzi impiegati e l'obbiettivo perseguito ... Non senza l'ulteriore puntualizzazione secondo la quale soltanto «considerazioni molto forti potranno indurre a far ritenere compatibile con la Convenzione una differenza di trattamento fondata esclusivamente sulla nazionalita'». Lo scrutinio di legittimita' costituzionale andra' dunque condotto alla luce dei segnalati approdi ermeneutici, cui la Corte di Strasburgo e' pervenuta nel ricostruire la portata del principio di non discriminazione sancito dall'art. 14 della Convenzione ..., unitamente all'art. 1 del Primo Protocollo addizionale, che la stessa giurisprudenza europea ha ritenuto raccordato, in tema di prestazioni previdenziali, al principio innanzi indicato ...». Sulla falsariga delle argomentazioni sviluppate dalla Corte costituzionale con la sentenza sopra citata (in materia di assegno ordinario di invalidita'), puo' ritenersi che anche nel caso in esame la disposizione normativa censurata abbia perseguito una finalita' restrittiva in tema di prestazioni sociali da riconoscere in favore dei cittadini extracomunitari, essendo intervenuta sui presupposti di legittimazione al conseguimento dell'indennita' di frequenza circoscrivendo la platea dei fruitori a coloro che siano in possesso della carta di soggiorno (il cui rilascio presuppone, tra l'altro, il regolare soggiorno nel territorio dello Stato da almeno cinque anni, secondo la previsione dell'art. 9 del decreto legislativo n. 286/1998, periodo elevato a sei anni a seguito delle modifiche apportate con la legge n. 189/2002 e nuovamente determinato in cinque anni con il decreto legislativo n. 3/2007). Con tale disciplina e' venuta meno la equiparazione, precedentemente esistente, fra cittadini italiani e stranieri extracomunitari in possesso, di regolare permesso di soggiorno; di qui il dubbio di legittimita' costituzionale della norma censurata, laddove si ritenga che il termine quinquennale imposto dal legislatore (unitamente alla sussistenza del requisito reddituale per l'ottenimento della carta di soggiorno) configuri una disciplina discriminatoria nei confronti degli stranieri, in considerazione del fatto che la prestazione de qua e' volta ad evitare che situazioni di bisogno economico siano di ostacolo all'inserimento sociale ed al trattamento terapeutico dei minori disabili. Circa l'ipotizzata violazione degli obblighi internazionali, si richiama la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilita', siglata a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata con legge n. 18/2009, ricordando che la stessa Corte costituzionale, con l'ordinanza n. 285/2009, ha ritenuto rilevanti, nell'interpretazione della disciplina in tema di indennita' di frequenza, i principi e le disposizioni dettati da tale Convenzione. Invero, questa obbliga lo Stato a riconoscere le stesse prestazioni in favore di qualsiasi «persona disabile» in quanto tale, senza distinzione tra cittadini e stranieri. Assai estesa e precisa e' poi la protezione riservata dalla Convenzione ai minori, prevedendosi, all'art. 7, l'obbligo dello Stato di adottare «ogni misura necessaria a garantire il pieno godimento di tutti i diritti umani e delle liberta' fondamentali da parte dei minori con disabilita', su base di uguaglianza con gli altri minori» e specificandosi che «in tutte le azioni concernenti i minori con disabilita', il superiore interesse del minore costituisce la considerazione preminente». Appare quindi dubbia, a fronte di una disciplina incentrata sul «superiore interesse del minore», una normativa interna che richiede ai minori stranieri, quale condizione di accesso agli istituti di protezione connessi allo stato di disabilita', il possesso della carta di soggiorno, con quanto cio' implica in termini di requisiti reddituali e di radicamento protratto sul territorio. Si ricorda inoltre che la Convenzione di New York non soltanto ha ad oggetto il diritto dei minori disabili all'educazione ed istruzione (art. 24), alla salute (art. 25), all'abilitazione e riabilitazione (art. 26), al lavoro e occupazione (art. 27) e ad adeguati livelli di vita e protezione (art. 28) ma sancisce inoltre (all'art. 5) che gli Stati «riconoscono che tutte le persone sono uguali dinanzi alla legge ed hanno diritto, senza alcuna discriminazione, a uguale protezione e uguale beneficio dalla legge ... devono vietare ogni forma di discriminazione fondata sulla disabilita' e garantire alle persone con disabilita' uguale ed effettiva protezione giuridica contro ogni discriminazione qualunque ne sia il fondamento». Anche sotto tale aspetto, dunque, si configura un dubbio di legittimita' costituzionale della normativa oggetto di esame. Va conclusivamente rilevato che, a fronte del chiaro ed inequivocabile tenore dell'art. 80, comma 19, della legge n. 388/2000, non appare possibile pervenire ad una lettura costituzionalmente orientata della norma. Ne' puo' farsi luogo alla sua disapplicazione (come invocato dall'odierna appellante) dandosi diretta applicazione del Reg. CE n. 859/2003. E' ben vero che l'art. 1 del Reg. CE suddetto condiziona l'estensione delle previsioni dei regolamenti CE n. 1408/71 e n. 574/72 in favore dei cittadini di paesi terzi (e ai loro familiari e superstiti) al soggiorno legale nel territorio di uno Stato membro, senza ulteriori limitazioni. Occorre pero' interpretare tale disposizione alla luce di quanto chiarito nel 12° considerandum, ove si afferma che l'estensione suddetta non opera laddove la situazione di un cittadino di un paese terzo presenti unicamente legami con un paese terzo ed uno Stato membro - situazione, questa, che ricorre nella fattispecie in esame. Alla luce delle suesposte considerazioni, questa Corte ritiene non manifestamente infondata l'eccezione di legittimita' costituzionale del coordinato disposto degli articoli 1 della legge n. 289/1990 ed 80, comma 19, della legge n. 388/2000 nella parte in cui l'erogazione dell'indennita' di frequenza viene subordinata, per il cittadino straniero, alla titolarita' della carta di soggiorno.