Sentenza 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  44,  comma
1, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n.  248  (Proroga  di  termini
previsti  da  disposizioni  legislative  e  disposizioni  urgenti  in
materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla  legge  28
febbraio 2008, n. 31,  promosso  dalla  Corte  dei  conti  -  sezione
giurisdizionale per la Regione Lazio nel procedimento vertente tra il
Procuratore Regionale presso la sezione giurisdizionale della Regione
Lazio e L. B. ed altri, con ordinanza del 7 dicembre  2009,  iscritta
al n. 176 del registro ordinanze 2010  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 24,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2010. 
    Visti gli atti di costituzione di G. P. ed altro, L. B.,  L.L.S.,
G.P.O. ed altri, V. B., F. Z., e V. E., nonche' l'atto di  intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica  del  23  febbraio  2011  il  Giudice
relatore Giuseppe Tesauro; 
    Uditi gli avvocati Federico Sorrentino per L. B.,  Luisa  Torchia
per G.P.O. ed altri, Donella Resta per G.P. ed altro, Aristide Police
per L.L.S. e Fabio Lorenzoni per V. B. ed altri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - La Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la  Regione
Lazio,  con  ordinanza  del  7  dicembre  2009,  ha   sollevato,   in
riferimento agli articoli 3, 77, 97, 101, secondo comma,  103  e  108
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 44 (recte: dell'art. 44,  comma  1)  del  decreto-legge  31
dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini  previsti  da  disposizioni
legislative  e  disposizioni   urgenti   in   materia   finanziaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31. 
    2. - L'ordinanza di rimessione premette che il Procuratore  della
Corte dei conti presso la  sezione  giurisdizionale  per  la  Regione
Lazio  (infra:  Procuratore)  ha   convenuto   in   giudizio   alcuni
amministratori e  dirigenti  dell'Istituto  nazionale  di  statistica
(ISTAT), chiedendone la condanna al risarcimento del  danno  da  essi
asseritamente prodotto  a  causa  della  mancata  applicazione  della
sanzione amministrativa prevista dall'art. 11 del decreto legislativo
6 settembre 1989, n. 322 (Norme sul Sistema  statistico  nazionale  e
sulla riorganizzazione  dell'Istituto  nazionale  di  statistica,  ai
sensi dell'art. 24 della legge 23 agosto 1988, n. 400), nel  caso  di
violazione da parte di amministrazioni, enti ed organismi pubblici  e
privati dell'obbligo di fornire tutti i dati e le  notizie  richiesti
per le  rilevazioni  previste  dal  programma  statistico  nazionale,
disciplinato dall'art. 7, comma 1, di detto  d.lgs.,  richiamato  dal
comma 3  di  tale  articolo,  nel  testo  previgente  alle  modifiche
introdotte dall'art. 3, comma 74, della legge 24  dicembre  2007,  n.
244  (Disposizioni  per  la  formazione  del   bilancio   annuale   e
pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2008). 
    Il  Procuratore,  nell'atto  di   citazione,   ha   dedotto   che
l'accertamento  di  siffatta  violazione  spetta   agli   uffici   di
statistica, i quali provvedono a  trasmettere  motivato  rapporto  al
prefetto competente per territorio, che procede ai sensi dell'art. 18
della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al  sistema  penale).
Secondo l'organo requirente, i convenuti nel giudizio principale  non
avrebbero  provveduto  ad  accertare  detta  violazione  ed  ha  loro
contestato il danno asseritamente  prodotto  in  virtu'  di  siffatta
omissione, in  riferimento  al  periodo  2002-2006  (non  coperto  da
prescrizione  ed  in  relazione  al  quale  erano  disponibili   dati
definitivi), quantificato nell'importo di € 191.425.235,00, ripartito
pro-quota tra i medesimi. 
    Ad avviso dell'organo requirente, sarebbe configurabile a  carico
del Presidente dell'ISTAT  una  responsabilita'  erariale  per  colpa
grave, poiche' egli - in violazione dei doveri d'ufficio ex art.  16,
comma 1, del d.lgs. n. 322 del 1989 e delle competenze  attribuitegli
quale preposto al Consiglio dell'ISTAT e al Comitato di  indirizzo  e
coordinamento dell'informazione statistica (COMSTAT)  -  non  avrebbe
neppure affrontato il problema  dell'applicazione  delle  sanzioni  e
sollecitato una modifica  delle  relative  norme,  per  ottenere  una
semplificazione del procedimento, sino a quando, nell'aprile 2006, e'
stato  presentato  un  esposto  alla  Corte  dei  conti.  Agli  altri
convenuti e' stata contestata la responsabilita' per colpa  grave,  a
causa di omissioni nell'espletamento delle funzioni ad essi spettanti
nel procedimento sanzionatorio. 
    2.1. -  Tutti  i  convenuti  si  sono  costituiti  nel  giudizio,
contestando  la  fondatezza  della  domanda;  alcuni  hanno  eccepito
l'improcedibilita' dell'azione, in quanto il Procuratore non  avrebbe
tenuto conto dell'art. 44, comma 1, del d.l. n.  248  del  2007,  che
avrebbe inciso sull'illiceita' delle condotte contestate. 
    Il giudice a quo, con sentenza parziale del 12 ottobre  2009,  ha
rigettato detta eccezione, osservando che il  Procuratore,  nell'atto
di  citazione,  «ha  affrontato  la  questione  degli  effetti  della
sopravvenuta normativa [...], rilevando che, "ancorche' la norma  non
utilizzi la formula consueta delle disposizioni interpretative  [...]
essa manifesta l'intenzione del legislatore di considerare anche  per
il passato "violazione dell'obbligo di  risposta"  quella  che  abbia
dato luogo ad un formale rifiuto", e "limita con effetto  retroattivo
l'applicazione delle sanzioni ai casi in cui il soggetto, pubblico  o
privato, destinatario  della  richiesta  di  dati  o  notizie,  abbia
opposto   un   formale   rifiuto",   determinando   nella    sostanza
"l'eliminazione  della  obbligatorieta'   della   risposta",   e   ha
contestualmente sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale
della citata norma». 
    Inoltre, con detta sentenza parziale,  il  rimettente  ha  deciso
«tutte le questioni preliminari di rito e di merito»,  accertando  la
prescrizione in relazione  alle  condotte  ascrivibili  ai  convenuti
successivamente  al  19  novembre  2002  e  sino  a  tutto  il  2006,
disponendo «la pronunzia con separata  ordinanza  per  l'esame  della
questione di legittimita' costituzionale» del citato art.  44,  comma
1. 
    2.2. - Posta questa premessa, la Corte dei conti  deduce  che  la
norma censurata incide sulle disposizioni in  forza  delle  quali  il
Procuratore  ha   esercitato   l'azione   di   responsabilita',   con
conseguente rilevanza della questione di legittimita' costituzionale.
Nella specie, sarebbe stato, infatti, applicabile il testo originario
dell'art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 322 del 1989, poiche' tale norma,
nella formulazione novellata dall'art. 3, comma 64  (recte:  art.  3,
comma 74), della legge n. 244 del 2007, concerne i fatti commessi dal
1° gennaio 2008. E', quindi, la norma censurata, entrata in vigore il
31 dicembre 2007, che non permette di fare riferimento all'originario
testo del citato art. 7, comma 1, anche in riferimento alle  condotte
anteriori a tale data. 
    Secondo il rimettente, qualora non fosse sopravvenuto  il  citato
art. 44, comma 1, avrebbe potuto essere affermata la  responsabilita'
dei convenuti, in quanto la sanzione prevista dall'art. 11 del d.lgs.
n. 322 del  1989  sarebbe  stata  applicabile  in  tutti  i  casi  di
violazione   dell'obbligo   di    fornire    i    dati    statistici,
indipendentemente dalla tipologia degli stessi e  senza  possibilita'
di distinguere le ipotesi di formale  diniego  della  risposta  e  di
comportamento   meramente   omissivo.   La   norma   censurata,    in
considerazione della sua lettera, impedirebbe, invece, di  sanzionare
condotte diverse dal formale rifiuto  di  rispondere,  perfezionatesi
sino al 31 dicembre 2008, e  di  ritenere  fondata  la  domanda,  con
conseguente rilevanza della questione. 
    2.3. - Il giudice a quo osserva che la legge di conversione n. 31
del 2008 ha inserito nella norma in esame il  comma  1-bis,  che  non
incide sulla questione  di  legittimita'  costituzionale,  avente  ad
oggetto il solo comma 1 del citato art. 44, censurato in  riferimento
agli artt. 3 e 97 Cost. 
    A suo avviso, anche ritenendo che il legislatore, in  prossimita'
dell'entrata in vigore della nuova disciplina introdotta dalla  legge
n. 244 del 2007, abbia inteso, con una norma transitoria, limitare  i
casi  di  applicabilita'  della  sanzione   amministrativa   per   la
violazione  in  esame,  la  disposizione  in  questione  non  sarebbe
sorretta da «alcun criterio logico». Il citato art. 44, comma 1,  non
assicurerebbe,  infatti,  «un  minimo,  ma  inderogabile  livello  di
garanzia per la tutela dell'effettivita' dell'obbligo di conferimento
dei dati» sino al 31 dicembre 2008 e nelle more dell'attuazione della
disciplina prevista dal citato art. 7, comma 1, poiche'  prevede  che
la violazione del medesimo e' sanzionabile esclusivamente nel caso in
cui la parte abbia formalmente dichiarato di  non  volere  fornire  i
dati. Il presupposto di  irrogazione  della  sanzione  consisterebbe,
quindi,  in  un  comportamento  inesigibile,  in   quanto   contrario
all'interesse  dell'onerato  e   verosimilmente   irrealizzabile   in
relazione all'arco temporale di riferimento, dato che,  per  evitarne
il perfezionamento, sarebbe sufficiente non  manifestare  un  formale
rifiuto. 
    Un ulteriore elemento di  illogicita'  sarebbe,  poi,  costituito
dalla circostanza che la  norma  censurata  prevede  l'applicabilita'
della sanzione in virtu' di un criterio  diverso  rispetto  a  quello
contenuto nel nuovo testo del  citato  art.  7,  comma  1,  il  quale
disciplina un procedimento diretto ad identificare i casi nei  quali,
per l'importanza dei dati, la violazione dell'obbligo di fornirli  e'
sanzionabile. 
    La previsione della rilevanza della violazione nel solo  caso  di
«rifiuto formale» di fornire i  dati  non  sarebbe  coerente  con  il
criterio introdotto dalla legge n. 244 del 2007, poiche' non inerisce
alla qualita' del dato richiesto, ovvero alle caratteristiche ed alla
tecnica  dell'indagine  statistica,  ma  concerne   il   destinatario
dell'obbligo e discriminerebbe non  ragionevolmente  i  trasgressori,
garantendo l'impunita' di quelli rimasti silenti e sanzionando quanti
hanno «formalmente» rifiutato di rispondere. 
    Il citato art. 44, comma 1, violerebbe, quindi,  «i  principi  di
logica e buona amministrazione» (art.  97  Cost.)  e  di  eguaglianza
(art. 3 Cost.), poiche' «comporta paradossalmente la  punibilita'  di
chi fornisce una formale risposta negativa alla  richiesta  di  dati»
(presumibilmente al fine di spiegare le ragioni del rifiuto) e la non
punibilita' di chi si limita a violare  l'obbligo  di  risposta,  che
pure resta vigente in virtu' dell'art. 7, comma 1, del d.lgs. n.  322
del 1989, senza poter essere sanzionato. 
    2.4. - Secondo il rimettente, alle condotte  tenute  sino  al  31
dicembre 2007 sarebbe stato applicabile il testo originario dell'art.
7, comma 1, del d.lgs. n. 322 del 1989; l'ultimo  giorno  di  vigenza
del medesimo, tre giorni dopo l'approvazione della legge n.  244  del
2007, che lo ha novellato, nel d.l. n. 248 del 2007 e' stato inserito
il citato art. 44, comma  1,  il  quale  ha  inciso  retroattivamente
sull'applicabilita' della sanzione per le violazioni in esame. 
    Tale effetto, ad avviso della Corte dei conti, sarebbe estraneo a
quello avuto di mira dal d.l. n. 248 del 2007,  avente  lo  scopo  di
stabilire  una  «Proroga  di   termini   previsti   da   disposizioni
legislative e disposizioni urgenti  in  materia  finanziaria»  e  nel
quale e' stata inserita la disposizione censurata (collocata nel capo
«disposizioni finanziarie urgenti»), che sarebbe priva di ragionevole
giustificazione. La norma non avrebbe, infatti, natura finanziaria  e
neppure disporrebbe una proroga di termini in scadenza, in  grado  di
giustificare  l'urgenza  della  sua  adozione,  ma  realizzerebbe  un
effetto di segno contrario, in  quanto  ha  retroattivamente  escluso
l'efficacia di una disposizione che, in base ad una legge  promulgata
soltanto tre giorni prima, avrebbe dovuto rimanere in vigore sino  al
31 dicembre 2007. 
    Inoltre,   non   potrebbe   essere   offerta   un'interpretazione
costituzionalmente orientata alla disposizione in  esame  e  ritenere
che, con essa,  il  legislatore,  avendo  preso  atto  che  la  nuova
disciplina introdotta  dalla  legge  n.  244  del  2007  richiede  la
definizione  di  nuovi  e  complessi  procedimenti,  avrebbe   inteso
«dettare una  disposizione  transitoria  che  limitasse  sino  al  31
dicembre 2008 [...] l'applicabilita' delle  sanzioni»,  al  fine  «di
procrastinare di un anno la concreta entrata  in  vigore»  del  nuovo
sistema sanzionatorio. La lettera della norma imporrebbe, infatti, di
ritenere  che  essa  ha  limitato  la  punibilita'  della  violazione
dell'obbligo in questione  nel  solo  caso  di  rifiuto  formale,  in
relazione alle fattispecie perfezionatesi sia in data  successiva  al
31 dicembre 2007 (oggetto del nuovo testo del citato  art.  7,  comma
1), sia in data anteriore (percio' regolamentate dal testo originario
del citato  art.  7,  comma  1),  nonostante  che  quest'ultimo  arco
temporale non avrebbe dovuto essere considerato, qualora scopo  della
stessa fosse stato  di  graduare  l'entrata  in  vigore  della  nuova
disciplina. 
    Pertanto, secondo la Corte dei conti, il citato art. 44, comma 1,
violerebbe l'art. 77 Cost., «quantomeno nella parte in cui dispone la
propria efficacia con riguardo alle  rilevazioni  statistiche  svolte
anche anteriormente alla data  di  entrata  in  vigore  del  presente
decreto», e cioe' per i fatti commessi sino al 31 dicembre 2007,  con
disposizione diretta a sostituire retroattivamente il testo dell'art.
7, comma 1, del d.lgs. n. 322 del 1989, in difetto del  requisito  di
necessita' ed urgenza, che condiziona  la  legittimita'  del  decreto
legge. 
    2.5. - Secondo il giudice a quo, gli argomenti svolti a  conforto
delle censure riferite agli artt. 3, 77 e  97  Cost.  dimostrerebbero
che la disposizione in esame reca vulnus anche gli artt. 101, secondo
comma, 103 e 108 Cost.,  in  quanto  avrebbe  inciso  sulle  funzioni
attribuite ai giudici contabili. Il citato art. 44, comma 1, non  ha,
infatti, ad oggetto una  proroga  di  termini;  non  costituisce  una
disposizione finanziaria; non «e' idonea a individuare un presupposto
comportamentale al quale puo' collegarsi logicamente e  razionalmente
la punibilita'  del  comportamento  trasgressivo  nell'ambito  di  un
meccanismo sanzionatorio»; non risulta strumentale  a  stabilire  una
disciplina  della  punibilita'  di  determinate   condotte   in   via
transitoria e sino al 31 dicembre 2008.  Siffatta  norma,  in  quanto
adottata successivamente al 19 novembre 2007  (data  di  notifica  ai
convenuti dell'invito a dedurre), avrebbe avuto quale  unico  effetto
quello di limitare la responsabilita' per la violazione  dell'obbligo
previsto dal citato art. 7, comma 1, prevedendo, non ragionevolmente,
che questa  e'  configurabile  esclusivamente  nel  caso  di  rifiuto
formale della risposta. 
    In altri termini, la disposizione  in  questione,  apparentemente
diretta  a  limitare  i  casi   di   punibilita'   della   violazione
dell'obbligo di fornire i dati statistici, ma in realta'  inidonea  a
permettere  l'irrogazione   della   sanzione,   non   ragionevolmente
coordinata con la nuova  disciplina  sanzionatoria  introdotta  dalla
legge n. 244 del 2007, adottata  in  carenza  dei  presupposti  della
necessita' ed urgenza e priva di ragionevole giustificazione, avrebbe
avuto la sola finalita'  di  escludere  la  punibilita'  di  siffatta
violazione in riferimento al testo  originario  del  citato  art.  7,
comma 1, e con riguardo alle fattispecie perfezionatesi anteriormente
all'entrata in vigore  della  riforma  realizzata  con  detta  legge.
L'effetto della disposizione  in  esame  sarebbe  stato,  quindi,  di
escludere l'illegittimita' della condotta contestata ai convenuti nel
giudizio principale, realizzando «una preordinata interferenza  sulle
funzioni della magistratura contabile, sottraendole  una  fattispecie
di responsabilita' amministrativa gia' sub judice». 
    Ad avviso del rimettente, benche' l'invito a dedurre si  collochi
in una fase precedente al giudizio, la garanzia costituzionale  della
giurisdizione contabile, nella quale rientra il diritto di azione del
Procuratore, concernerebbe anche quella prevista dall'art. 17,  comma
30-ter, del  decreto-legge  1°  luglio  2009,  n.  78  (Provvedimenti
anticrisi, nonche' proroga di  termini),  convertito  dalla  legge  3
agosto  2009,  n.   102,   in   quanto   necessariamente   prodromica
all'instaurazione del medesimo. 
    Il giudice a quo da', peraltro, atto sia  che  la  giurisprudenza
costituzionale ha ricondotto l'invito  a  dedurre  ad  una  fase  che
precede l'accertamento della responsabilita',  sia  che,  secondo  la
giurisprudenza della Corte dei conti, funzione di tale atto e' quella
di realizzare una «preliminare contestazione di fatti specifici ad un
soggetto gia' indagato», rendendo possibile all'organo requirente uno
sviluppo di piu' adeguate indagini. L'invito a  dedurre  costituisce,
quindi, un atto strumentale all'acquisizione di  ulteriori  elementi,
anche favorevoli al destinatario,  in  vista  delle  formulazione  da
parte dell'organo requirente delle proprie  determinazioni,  che  non
devono consistere nell'inizio dell'azione di responsabilita'. 
    Tuttavia, secondo il rimettente, la  circostanza  che  tale  fase
«non presenti il carattere della univocita' tipicamente connesso alla
fase giudiziale» non  escluderebbe  che  l'attivita'  svolta  al  suo
interno costituisca espressione di un potere-dovere che  si  articola
nella fase  giudiziale,  come  diritto  alla  azione,  e  nella  fase
preprocessuale come diritto a svolgere una compiuta istruttoria quale
ineliminabile presupposto per l'eventuale incardinazione dell'azione.
Pertanto,  poiche'  il  potere-dovere  di  azione   del   Procuratore
comprende quello di accertare  la  sussistenza  dei  presupposti  per
l'esercizio  dell'azione  di   responsabilita'   amministrativa,   il
principio che impedisce al legislatore di interferire  nell'esercizio
della  funzione   giurisdizionale   concernerebbe   anche   la   fase
dell'accertamento della sussistenza  degli  elementi  sufficienti  ad
integrare un'ipotesi di responsabilita' amministrativa. 
    3. - Nel giudizio davanti a questa Corte si e' costituita L.L.S.,
convenuta nel processo principale,  eccependo  l'inammissibilita'  e,
comunque,  l'infondatezza  della  questione  ed  esplicitando   nella
memoria depositata in prossimita' dell'udienza pubblica gli argomenti
a conforto di tale conclusione. 
    La parte deduce che l'incongruita' della  disciplina  concernente
la violazione dell'obbligo in esame era  stata  posta  all'attenzione
del Presidente dell'ISTAT, del Consiglio  di  amministrazione  e  del
Comitato  per  l'indirizzo  ed  il  coordinamento   dell'informazione
statistica oltre un anno prima della proposizione dell'esposto che ha
dato l'avvio all'istruttoria da parte del Procuratore.  Inoltre,  era
stata esaminata nel corso  di  molteplici  sedute  del  Consiglio  di
amministrazione e di detto Comitato (sintetizzate nella  memoria)  ed
aveva costituito oggetto di un lavoro, trasmesso al  Ministero  della
funzione pubblica, che  preludeva  alle  modifiche  realizzate  dalla
legge n. 244 del 2007 e dalla norma censurata, anche  allo  scopo  di
offrire tutela ai «soggetti deboli che gia' di per se' si  fa  fatica
ad intercettare nelle ricerche». 
    Secondo L.L.S., il citato art. 44,  comma  1,  costituirebbe  una
norma interpretativa ed il rimettente, nel censurarla in  riferimento
all'art. 77 Cost., non avrebbe considerato che la nuova  formulazione
dell'art. 7 del d.lgs.  n.  322  del  1989  ha  reso  necessaria  una
disposizione regolamentare per identificare i casi di  applicabilita'
della sanzione, imponendo di adottare con necessita'  ed  urgenza  le
misure necessarie per evitare  che  ai  cittadini  fossero  applicate
sanzioni in contrasto con la ratio della nuova disciplina. 
    A suo avviso, le censure svolte con riguardo agli artt.  3  e  97
Cost. non terrebbero conto del fatto che la norma in esame non mira a
sottrarre i  vertici  dell'ISTAT  al  giudizio  contabile  (peraltro,
neppure promosso alla data di emanazione del  decreto-legge),  ma  e'
diretta a tutelare i soggetti esposti al rischio di subire  un'iniqua
sanzione e ad evitare  che  l'avvio  di  un  numero  spropositato  di
procedimenti   sanzionatori   aggravasse   inutilmente    l'attivita'
dell'ISTAT. L'attendibilita' del dato  statistico  non  e',  infatti,
influenzata dal numero delle mancate risposte e  per  questa  ragione
organizzazioni  scientifiche  ed  eminenti  studiosi  hanno   accolto
favorevolmente  la  norma  censurata.  Il  rifiuto  formale  sarebbe,
inoltre, soltanto quello privo di adeguata giustificazione, al  quale
non potrebbe essere assimilata  la  mera  inerzia;  il  principio  di
eguaglianza era, poi, leso dalla pregressa  disciplina,  che  rendeva
applicabile la sanzione a soggetti i quali  versavano  in  condizioni
disagiate, deteriori rispetto agli altri destinatari dell'obbligo  di
fornire i dati statistici. 
    L.L.S. deduce, infine, che le censure riferite  agli  artt.  101,
secondo comma, 103 e 108 Cost. non considerano che  la  facolta'  del
legislatore  ordinario  di  emanare  norme  interpretative  non  puo'
incidere sul potere giurisdizionale,  da  ritenersi,  tuttavia,  leso
soltanto quando la norma vanifica gli effetti del  giudicato,  oppure
e' intenzionalmente diretta ad incidere su concrete  fattispecie  sub
iudice, ipotesi queste insussistenti nella specie, poiche' l'atto  di
citazione e' stato notificato in data successiva all'emanazione della
norma censurata. 
    4. - Nel presente giudizio si e' costituito anche L.B., convenuto
nel processo principale, chiedendo che la  questione  sia  dichiarata
inammissibile e, comunque, infondata. 
    A  suo   avviso,   la   questione   sarebbe   inammissibile   per
insufficiente  motivazione  sulla  rilevanza,  in  quanto  e'   stata
proposta prima che il giudice a quo abbia  accertato  la  sussistenza
dei presupposti dell'azione risarcitoria e, quindi, sarebbe meramente
ipotetica ed eventuale, dato  che  la  rilevanza  non  sussisterebbe,
«qualora dovesse acclararsi che nessuna responsabilita'  puo'  essere
imputata  ai   convenuti».   In   contrario,   non   rileverebbe   la
quantificazione del  danno  operata  da  parte  del  Procuratore  con
riguardo a tutte le condotte omissive, poiche' la norma censurata  e'
entrata in vigore sette mesi prima della notificazione  dell'atto  di
citazione. Pertanto, l'organo requirente, fermi gli  eventuali  dubbi
di legittimita' costituzionale in ordine al citato art. 44, comma  1,
bene avrebbe  potuto  individuare  le  fattispecie  dalle  quali  far
derivare la responsabilita' ai sensi di tale norma. 
    In relazione alle censure riferite all'art. 77 Cost., L.B. deduce
che, fatta eccezione per i casi di interviste  dirette,  il  «formale
rifiuto» potrebbe essere  integrato  da  molteplici  atti  rivelatori
dell'univoca volonta' di non collaborare; comunque, le considerazioni
del rimettente potrebbero assumere rilievo in  relazione  al  periodo
compreso tra il 31 dicembre 2007 ed il 31 dicembre 2008, non a quello
anteriore (che  costituisce  oggetto  del  giudizio  principale).  In
riferimento a quest'ultimo,  la  condotta  del  trasgressore  si  e',
infatti,  gia'  perfezionata;   quindi   non   sarebbe   esatto   che
l'irrogazione  della  sanzione  dipenderebbe  da   un   comportamento
inesigibile, perche' contrario all'interesse dell'onerato. 
    La denunciata disparita' di trattamento tra quanti esplicitano le
ragioni del rifiuto e quanti si limitano  a  non  rispondere  neppure
sussisterebbe.  Indipendentemente  dalla   corretta   esegesi   della
locuzione «formale rifiuto» e dalla  necessita'  della  volontarieta'
della condotta illecita  (che  impedirebbe  di  ritenere  irrilevante
l'esplicitazione delle ragioni del rifiuto),  la  prospettazione  del
rimettente avrebbe, infatti, senso soltanto se  riferita  a  condotte
successive al 31 dicembre 2007, non a quelle anteriori. 
    Ad  avviso  della  parte,  l'identificazione  delle   fattispecie
sanzionabili in  base  ad  un  criterio  diverso  rispetto  a  quello
dell'art.  3,  comma  74,  della  legge  n.  244  del  2007   sarebbe
giustificata dal fatto  che  esso  e'  contenuto  in  una  norma  con
efficacia retroattiva e transitoria, avente lo scopo di sanzionare le
sole condotte omissive rilevanti ai fini dell'indagine statistica. 
    Il citato art. 44, comma 1, inciderebbe, inoltre,  sul  comma  3,
non sul comma 1 dell'art. 7, d.lgs. n. 322 del  1989  (come,  invece,
inesattamente  affermato  nell'ordinanza  di  rimessione)  e  la  sua
adozione sarebbe stata imposta dal tempo occorrente  per  attuare  la
nuova disciplina introdotta dall'art. 3, comma 74, della legge n. 244
del 2007 e dalla finalita' di  differire  di  un  anno  l'entrata  in
vigore del nuovo  testo  del  citato  art.  7,  comma  1,  prorogando
l'efficacia di tale norma, nel  testo  originario,  ma  limitando  la
punibilita' anche per  il  passato.  La  retroattivita'  della  norma
sarebbe,    dunque,    giustificata    dall'intento    di     evitare
un'irragionevole disparita' di trattamento  tra  soggetti  egualmente
tenuti, sino all'entrata in vigore della nuova disciplina, a  fornire
risposta ai sensi del citato art. 7, comma 1, nel testo originario. 
    Secondo la  parte,  siffatte  considerazioni,  il  titolo  ed  il
preambolo  del  d.l.  n.  248  del  2007   renderebbero   palese   il
collegamento esistente tra tale  atto  normativo  e  la  disposizione
censurata. La ratio  di  quest'ultima  sarebbe,  inoltre,  quella  di
attenuare - nell'interesse del destinatario delle rilevazioni  e  per
garantire il corretto funzionamento del sistema statistico  nazionale
- l'originaria disciplina sanzionatoria,  che  era  svincolata  dalla
rilevanza del dato statistico, con conseguente  ragionevolezza  della
disposizione ed infondatezza delle censure riferite all'art. 77 Cost. 
    4.1. - L.B. contesta le censure riferite agli artt.  101,  103  e
108 Cost., deducendo che il legislatore  ordinario  non  interferisce
con  la  funzione  giurisdizionale,  quando  stabilisce  una   regola
astratta, non mira ad incidere sul  giudicato,  ovvero  a  risolvere,
«con la forma della legge, specifiche controversie» ed a  «vanificare
gli effetti  una  pronuncia  giurisdizionale  divenuta  intangibile».
Nella specie,  l'efficacia  retroattiva  della  norma  censurata  non
inciderebbe sulla «potestas iudicandi» e, comunque, al piu',  avrebbe
influito  sull'invito  a   dedurre,   che   attiene   ad   una   fase
preprocessuale. 
    In linea gradata, per il caso in cui siano  ritenute  fondate  le
censure proposte dal giudice a quo, la parte privata sollecita questa
Corte  a  sollevare  davanti  a  se'  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 7, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 322 del  1989,
nel testo originario, in riferimento agli artt. 3 e 97  Cost.,  nella
parte  in  cui,  in  primo   luogo,   non   ragionevolmente   prevede
l'irrogazione della sanzione per la violazione dell'obbligo in esame,
senza tenere conto delle  ragioni  della  medesima  e  senza  operare
alcuna graduazione in relazione alla rilevanza dei dati.  In  secondo
luogo, nella parte in cui non tiene conto che i soggetti chiamati  ad
accertare       la        violazione        verserebbero        nella
«difficolta-impossibilita'» di identificare quanti non  forniscono  i
dati  richiesti,  ovvero  li   forniscono   scientemente   errati   o
incompleti,    e    di    riconoscere     l'errore,     verificandone
l'intenzionalita'. In  terzo  luogo,  non  consente  una  preliminare
valutazione in ordine sia all'esistenza di  elementi  che  potrebbero
avere causato (o concorso a causare) la mancata o errata o incompleta
risposta,  sia  alla  rilevanza  dei  dati  ai   fini   dell'indagine
statistica. 
    5. - Nel giudizio davanti a questa Corte si sono costituiti,  con
un unico atto, G.P.O., V.T.A., G.A.C., A.M.  e  R.M.,  convenuti  nel
processo principale, chiedendo, anche  nella  memoria  depositata  in
prossimita' dell'udienza pubblica, che la questione  di  legittimita'
costituzionale sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata. 
    Dopo avere svolto  considerazioni  in  ordine  alle  ragioni  che
avrebbero   reso   di   difficile    applicazione    la    disciplina
originariamente prevista dall'art. 7 del d.lgs. n. 322 del  1989,  le
parti deducono che la  legge  n.  244  del  2007  ha  introdotto  gli
opportuni rimedi al riguardo  e  che  la  norma  censurata  reca  una
«disciplina  intertemporale  volta  ad  assicurare  il   corretto   e
proporzionato    esercizio    del    potere    sanzionatorio».     La
regolamentazione introdotta da detta legge,  in  armonia  con  quella
vigente in  altri  Paesi  europei,  ha  specificato  il  procedimento
preordinato all'individuazione delle rilevazioni statistiche  per  le
quali la mancata risposta configura una violazione  sanzionabile;  il
citato art. 44, comma 1, avrebbe, quindi,  garantito  la  continuita'
tra  la  disciplina  originaria  e  quella  novellata.  Peraltro,  la
questione non sarebbe  rilevante,  poiche'  la  norma  censurata  non
inciderebbe  sull'effettivita'  dell'obbligo  di  risposta   per   le
rilevazioni svolte in data anteriore alla  entrata  in  vigore  della
medesima e, comunque, avrebbe potuto essere sollevata in  riferimento
ai dati raccolti nel 2008, anno che, pero', non rileva  nel  giudizio
principale. 
    Scopo del citato art.  44,  comma  1,  sarebbe  stato  quello  di
evitare una ingiustificata disparita' di trattamento tra  i  casi  in
cui  qualsiasi  mancata  risposta  determinava  l'irrogazione   della
sanzione e quelli (oggetto della nuova  disciplina  introdotta  dalla
legge n. 244  del  2007)  nei  quali  la  violazione  assume  rilievo
soltanto in riferimento ad alcune categorie di dati, con  conseguente
infondatezza della censure riferite agli artt. 3 e 97 Cost. 
    5.1. - Le  censure  sollevate  in  relazione  all'art.  77  Cost.
sarebbero infondate, poiche', nella specie, sussisteva  l'urgenza  di
garantire la continuita' della disciplina,  evitando  discriminazioni
ed  incertezze   interpretative   e   prevenendo   un   significativo
contenzioso,  obiettivi  questi   realizzati   mediante   una   norma
interpretativa.  Inoltre,  la  disposizione  in   questione   avrebbe
contenuto omologo ad un'altra norma pure contenuta nel  d.l.  n.  248
del 2007 e censurata in riferimento a detto parametro  con  argomenti
ritenuti non fondati da questa Corte con la recente sentenza  n.  355
del 2010. 
    Secondo le parti,  il  citato  art.  44,  comma  1,  non  avrebbe
influito sull'esercizio della funzione giurisdizionale,  poiche'  non
ha inciso su  di  un  giudicato  e  neppure  e'  intervenuto  su  una
fattispecie sub  iudice,  dato  che  l'atto  di  citazione  e'  stato
notificato in data successiva a quella dell'adozione del d.l. n.  248
del 2007. Inoltre, l'attivita' istruttoria dell'organo requirente non
avrebbe   natura   giurisdizionale   e,   comunque,   sarebbe   stata
compiutamente  svolta,  senza  che  su  di  essa  abbia   inciso   la
disposizione in esame, con conseguente irrilevanza  della  questione,
con conseguente infondatezza delle censure riferite agli  artt.  101,
103 e 108 Cost. 
    6. - Con separati atti, di contenuto sostanzialmente omologo,  si
sono costituiti nel presente giudizio V.B., F.Z.  e  V.E.,  convenuti
nel processo a quo, eccependo,  anche  nelle  memorie  depositate  in
prossimita'    dell'udienza    pubblica,     l'inammissibilita'     e
l'infondatezza della questione. 
    Secondo le parti, la disciplina sanzionatoria stabilita dall'art.
7,  commi  1  e  3,  del  d.lgs.  n.  322  del   1989   era   rimasta
sostanzialmente  inapplicata  e  la  disposizione  censurata  avrebbe
differito l'entrata in vigore della riforma realizzata dalla legge n.
244 del 2007,  in  considerazione  dell'esigenza  di  individuare  le
tipologie di dati statisticamente rilevanti ai fini della  violazione
dell'obbligo in esame, garantendo, anche per il passato, la  coerenza
del sistema sanzionatorio con i  nuovi  criteri  stabiliti  da  detta
legge, con conseguente infondatezza delle censure  riferite  all'art.
77 Cost. La constatazione che  l'applicabilita'  della  sanzione  nel
solo caso di formale rifiuto di fornire  i  dati  statistici  sarebbe
coerente con «evidenti canoni di civilta' giuridica» e con l'esigenza
di rendere effettivo il regime sanzionatorio condurrebbe, inoltre, ad
escludere il denunciato vulnus degli artt. 3 e 97 Cost. 
    A loro avviso, non sarebbero violati gli artt.  101,  103  e  108
Cost., in primo luogo, poiche' la norma censurata  e'  stata  emanata
quando  il  giudizio  di  responsabilita'  non   era   stato   ancora
instaurato; in secondo luogo, in quanto essa non  ha  realizzato  una
generale sanatoria, ne' ha  impedito  al  Procuratore  di  proseguire
l'istruttoria,  ma,  mediante  un'interpretazione  costituzionalmente
orientata del citato art. 7 del d.lgs. n. 322 del 1989, ha  garantito
l'effettivita'  del  sistema  sanzionatorio.  Peraltro,  quest'ultima
considerazione inciderebbe sulla rilevanza della questione e, quindi,
sull'ammissibilita' della medesima. 
    7. - O. C. e G. P., convenuti nel processo  principale,  si  sono
costituiti nel giudizio davanti a questa Corte con separati atti,  di
contenuto  pressoche'  identico,  chiedendo  che  la  questione   sia
dichiarata inammissibile e comunque infondata, esplicitando,  in  una
successiva memoria, le ragioni a conforto di dette conclusioni. 
    Secondo  le  parti,  l'originaria   disciplina   della   sanzione
amministrativa  in  esame  la  rendeva  di  difficile  e  dispendiosa
applicazione da parte dell'ISTAT. Il legislatore, con l'art. 3, comma
74, della legge n. 244 del 2007, ha, quindi, realizzato  una  riforma
caratterizzata   dalla   previsione   di   un    procedimento    che,
nell'impossibilita' di completarlo in tempi  brevi,  avrebbe  imposto
l'emanazione  di  una  disciplina  transitoria.  La  norma  censurata
avrebbe assicurato «la necessaria continuita'» tra  vecchio  e  nuovo
regime, correggendo le distorsioni del sistema previgente, al fine di
renderlo conforme ai principi di eguaglianza  e  ragionevolezza,  con
conseguente infondatezza delle censure riferite agli  artt.  3  e  97
Cost. 
    A loro avviso, l'originario  obbligo  generalizzato  di  risposta
omologava irragionevolmente  situazioni  differenti  ed  il  «formale
rifiuto» previsto dal citato art. 44,  comma  1,  non  richiederebbe,
necessariamente, un'esplicita affermazione di non volere  fornire  il
dato statistico, sicche' il criterio stabilito dalla norma  censurata
sarebbe il solo in  grado  di  garantire  la  certezza  del  diritto,
limitando  la  discrezionalita'   della   pubblica   amministrazione.
Peraltro,  in  difetto  della  norma  censurata,  nelle  more   della
definizione del procedimento del citato art.  3,  comma  74,  sarebbe
accaduto che, non ragionevolmente, una condotta avrebbe potuto essere
sanzionata, benche' lecita alla luce della nuova disciplina. 
    Le  censure  riferite  all'art.  97  Cost.   sarebbero,   invece,
infondate,  in  quanto   la   sproporzione   tra   costi   e   ricavi
nell'accertamento della violazione e nell'irrogazione delle sanzione,
comprovata da un  rapporto  dell'ISTAT  riportato  in  sintesi  nella
memoria,  evidenzierebbe  la   sostanziale   inapplicabilita'   della
medesima, senza considerare  che  la  scienza  statistica  conosce  e
utilizza tecniche idonee  a  scongiurare  l'incidenza  delle  mancate
risposte sull'attendibilita' dei  risultati.  Pertanto,  non  sarebbe
esatto che il citato art. 44, comma  1,  elimina  «ogni  inderogabile
livello di garanzia per la tutela dell'effettivita'  dell'obbligo  di
conferimento dei dati» e la coerenza di tale norma con  il  principio
di buon andamento sarebbe stata puntualmente sottolineata  nel  corso
dei lavori preparatori della legge di conversione del d.l. n. 248 del
2007. 
    7.1. - O.C. e G.P., con riguardo alle censure  riferite  all'art.
77 Cost., deducono che l'esigenza di garantire la continuita' tra  la
nuova disciplina e la pregressa  regolamentazione,  senza  realizzare
discriminazioni    ed    eliminando    incertezze     interpretative,
giustificherebbe l'inserimento della norma in questione nel  d.l.  n.
248 del 2007. 
    Le censure prospettate con riguardo agli artt.  101,  103  e  108
Cost. sarebbero, invece, infondate, in quanto la norma  in  esame  e'
stata emanata dopo l'invito a dedurre  e  prima  della  notificazione
della citazione che ha dato avvio al giudizio principale; quindi,  la
disposizione non e' intervenuta per  annullare  un  giudicato  o  per
incidere su di una fattispecie sub judice. 
    Le parti concludono, infine,  chiedendo  che  la  Corte,  qualora
ritenga fondate le  censure  formulate  dal  giudice  a  quo,  voglia
«dichiarare l'illegittimita' parziale, con riferimento agli artt. 3 e
97» Cost. dell'art. 7, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 322 del  1989,  nel
testo originario, «in virtu' del potere conferitole dall'ultima parte
dell'art. 27 legge n. 87/1953». 
    8. - Nel presente  giudizio  e'  intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata
inammissibile, in quanto, qualora si ritenga che il citato  art.  44,
comma 1, costituisca una norma di interpretazione autentica dell'art.
7 del d.lgs. n. 322 del 1989, il rimettente avrebbe dovuto  censurare
anche quest'ultima norma. 
    Ad avviso dell'interveniente, la questione, nel  merito,  sarebbe
infondata, poiche' la disposizione in esame non avrebbe sottratto  ai
ricorrenti nessuno strumento di tutela e neppure menomato la funzione
giurisdizionale e, quindi, non recherebbe vulnus agli artt. 101,  103
e 108 Cost. Inoltre, detta norma non violerebbe  gli  artt.  3  e  97
Cost., dato  che  essa  ha  fatto  chiarezza,  ponendo  rimedio  agli
inconvenienti determinati dall'originaria  disciplina  sanzionatoria,
ed  avrebbe  assegnato  alla  disposizione   interpretata   uno   dei
significati possibili, con conseguente inesistenza della lesione  dei
principi di ragionevolezza e tutela dell'affidamento. 
    Infine, il citato art. 44, comma 1, non si porrebbe in  contrasto
con l'art. 77 Cost., poiche'  il  requisito  della  «necessita'»  che
legittima  l'adozione   del   decreto-legge   dipenderebbe   da   una
valutazione  politica  del  Governo  e,   comunque,   sarebbe   stata
correttamente  ritenuta  urgente  ed  indifferibile   l'esigenza   di
provvedere alla «eliminazione di una norma che  aveva  dato  luogo  a
notevoli inconvenienti ed a interpretazioni contrastanti». 
    9.  -  All'udienza  pubblica  le  parti   hanno   insistito   per
l'accoglimento delle conclusioni svolte nelle difese scritte. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - La Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la  Regione
Lazio, dubita, in riferimento agli articoli 3, 77, 97,  101,  secondo
comma,   103   e   108   della   Costituzione,   della   legittimita'
costituzionale dell'art.  44  (recte:  dell'art.  44,  comma  1)  del
decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di  termini  previsti
da  disposizioni  legislative  e  disposizioni  urgenti  in   materia
finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 28  febbraio
2008, n. 31, che stabilisce: «fino  al  31  dicembre  2008,  ai  fini
dell'applicazione delle sanzioni amministrative previste dall'art. 11
del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322, e con riguardo alle
rilevazioni svolte anche anteriormente alla data di entrata in vigore
del presente  decreto,  e'  considerato  violazione  dell'obbligo  di
risposta,  di  cui  all'art.  7,  comma  1,  del   medesimo   decreto
legislativo n. 322 del 1989, esclusivamente  il  formale  rifiuto  di
fornire i dati richiesti». 
    2.  -  L'ordinanza  di  rimessione  premette  che,  nel  giudizio
principale, il Procuratore della Corte dei conti  presso  la  sezione
giurisdizionale per la Regione Lazio  (di  seguito:  Procuratore)  ha
chiesto  la   condanna   di   alcuni   amministratori   e   dirigenti
dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) a  risarcire  il  danno
asseritamente prodotto  a  causa  della  mancata  applicazione  della
sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall'art. 7  del  decreto
legislativo 6 settembre 1989, n. 322 (Norme  sul  Sistema  statistico
nazionale  e  sulla  riorganizzazione  dell'Istituto   nazionale   di
statistica, ai sensi dell'art. 24 della  legge  23  agosto  1988,  n.
400), nel caso di violazione da parte  di  amministrazioni,  enti  ed
organismi pubblici e privati dell'obbligo di fornire tutti i  dati  e
le notizie  richiesti  per  le  rilevazioni  previste  dal  programma
statistico nazionale. Secondo il giudice a quo, il  citato  art.  44,
comma 1, avrebbe  limitato  l'applicabilita'  di  detta  sanzione  e,
impedendo, per le condotte  concernenti  le  rilevazioni  statistiche
svolte anteriormente al 31 dicembre  2007,  di  fare  riferimento  al
testo originario dell'art. 7, comma 1, del d.lgs. n.  322  del  1989,
avrebbe influito sulla  configurabilita'  della  responsabilita'  dei
convenuti nel giudizio principale. 
    La  Corte  dei  conti  dubita,   tuttavia,   della   legittimita'
costituzionale di siffatta disposizione in riferimento agli artt. 3 e
97 Cost., in primo luogo, poiche' essa non sarebbe sorretta da «alcun
criterio logico» e non  assicurerebbe  «un  minimo,  ma  inderogabile
livello di garanzia per la tutela dell'effettivita'  dell'obbligo  di
conferimento dei  dati»  sino  al  31  dicembre  2008  e  nelle  more
dell'attuazione della nuova disciplina prevista dal novellato art. 7,
comma 1, dato che la condotta  consistente  nel  rifiuto  formale  di
fornire i dati sarebbe inesigibile, perche'  contraria  all'interesse
dell'onerato e verosimilmente irrealizzabile. In  secondo  luogo,  in
quanto il criterio di applicabilita' della sanzione sarebbe  difforme
da quello che caratterizza  la  disciplina  introdotta  dall'art.  3,
comma 74, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  legge
finanziaria  2008)  e   discriminerebbe,   non   ragionevolmente,   i
trasgressori, garantendo  l'impunita'  a  quelli  rimasti  silenti  e
sanzionando  quanti  hanno,  invece,  «formalmente»  manifestato   il
rifiuto di fornire i dati, eventualmente motivandone le ragioni. 
    2.1. - Il citato art. 44, comma, 1, ad avviso del giudice a  quo,
violerebbe anche  l'art.  77  Cost.,  poiche'  avrebbe  un  contenuto
difforme rispetto a quello oggetto delle altre disposizioni del  d.l.
n. 248 del 2007, dato che  non  avrebbe  carattere  finanziario,  ne'
disporrebbe una proroga di termini in scadenza.  Siffatta  norma  ha,
infatti, modificato, retroattivamente, la disciplina  della  sanzione
amministrativa in esame, incidendo su una disposizione che, in virtu'
della legge n. 244 del 2007, avrebbe dovuto rimanere in  vigore  sino
al 31 dicembre 2007. Inoltre, qualora scopo della disposizione  fosse
stato  quello  di  graduare  l'entrata  in  vigore  della  disciplina
introdotta dall'art. 3, comma 74, della legge n.  244  del  2007,  in
considerazione dell'esigenza di definire il  procedimento  da  questo
previsto, la modifica da essa realizzata sarebbe stata giustificabile
esclusivamente in riferimento alle condotte tenute successivamente al
31 dicembre 2007. Pertanto, la  norma  censurata,  «quantomeno  nella
parte  in  cui  dispone  la  propria  efficacia  con  riguardo   alle
rilevazioni statistiche  svolte  anche  anteriormente  alla  data  di
entrata in vigore del presente decreto», recherebbe  vulnus  all'art.
77 Cost., stante il difetto del requisito di  necessita'  ed  urgenza
previsto da tale parametro costituzionale. 
    2.2. - Secondo la Corte dei conti, la norma in esame si porrebbe,
infine, in contrasto con gli artt. 101,  secondo  comma,  103  e  108
Cost., in quanto le censure sopra sintetizzate  dimostrerebbero  che,
con  essa,  il  legislatore  ha  leso  le  prerogative  dei   giudici
contabili. Il citato art. 44, comma 1, non avrebbe, infatti, previsto
una generale sanatoria, ma avrebbe  limitato  l'applicabilita'  della
sanzione per la violazione dell'obbligo di fornire i dati  statistici
e, quindi, escluso l'illiceita'  della  condotta  dei  convenuti  nel
giudizio  principale,  realizzando  in  tal  modo  «una   preordinata
interferenza sulle funzioni della magistratura contabile». 
    Ad  avviso  del  rimettente,  la  garanzia  costituzionale  della
giurisdizione contabile,  nella  quale  rientrerebbe  il  diritto  di
azione del Procuratore, concernerebbe  anche  la  fase  promossa  con
l'invito a dedurre, la quale, benche'  preceda  la  proposizione  del
giudizio, sarebbe necessariamente prodromica a quest'ultimo. La norma
censurata violerebbe, dunque, i suindicati parametri  costituzionali,
nonostante che alla data della pubblicazione del d.l. n. 248 del 2007
l'organo requirente non avesse ancora depositato l'atto di  citazione
a giudizio. 
    3. - In  linea  preliminare,  vanno  esaminate  le  eccezioni  di
inammissibilita'  proposte  da  alcune  delle  parti  costituite  nel
presente giudizio e dall'interveniente. 
    Secondo  L.B.,  l'ordinanza  di  rimessione  sarebbe  viziata  da
insufficiente motivazione in ordine alla rilevanza  della  questione,
in quanto quest'ultima e' stata sollevata dal giudice  a  quo  «prima
ancora di avere accertato la sussistenza dei presupposti  dell'azione
risarcitoria» e, quindi, la rilevanza  resterebbe  esclusa,  «qualora
dovesse acclararsi che nessuna responsabilita' puo'  essere  imputata
ai convenuti». 
    G.P.O., V.T.A., G.A.C., A.M. e R.M. sostengono,  invece,  che  la
questione non sarebbe rilevante, sia perche' la norma  censurata  non
inciderebbe  sull'effettivita'  dell'obbligo  di  risposta   per   le
rilevazioni svolte in data anteriore alla  entrata  in  vigore  della
medesima,  sia  perche'   non   avrebbe   impedito   lo   svolgimento
dell'attivita' istruttoria da parte del Procuratore. 
    Ad avviso  di  V.B.,  F.Z.  e  V.E.,  la  questione  non  sarebbe
rilevante,  in  quanto  la  disposizione  in  esame  avrebbe  offerto
un'interpretazione  costituzionalmente  orientata  dell'art.  7   del
d.lgs. n. 322 del 1989. 
    L'Avvocatura   generale   dello    Stato    eccepisce,    infine,
l'inammissibilita'  della  questione,  sostenendo  che,  qualora   si
ritenga che il citato art. 44, comma  1,  costituisca  una  norma  di
interpretazione autentica dell'art. 7 del d.lgs. n. 322 del 1989,  il
rimettente avrebbe dovuto censurare anche quest'ultima disposizione. 
    3.1. - Le eccezioni non sono fondate. 
    Secondo l'ordinanza di rimessione,  la  norma  censurata  «incide
sulle  disposizioni  poste  dalla  Procura  a  base  dell'azione   di
responsabilita' erariale», poiche' «sostituisce, con  effetto  esteso
ai  fatti  contestati  ai  convenuti,  alla  previgente   fattispecie
sanzionabile  di  cui  all'art.  7,  comma  1,  del  citato   decreto
legislativo  una  nuova  fattispecie  costituita  esclusivamente  dal
"rifiuto formale di fornire i dati richiesti"».  Il  giudice  a  quo,
esplicitando  che   l'eventuale   dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale del citato art. 44, comma 1, permetterebbe di valutare
la condotta dei  convenuti  nel  giudizio  principale  in  base  alla
disciplina stabilita dal testo originario  del  citato  art.  7,  ha,
quindi, non implausibilmente ritenuto  rilevante  la  questione.  Non
concerne, infatti, tale profilo  ed  attiene,  invece,  ad  una  fase
logicamente e giuridicamente successiva l'accertamento dell'effettiva
sussistenza della responsabilita', in base  alla  prima  ovvero  alla
seconda delle due formulazioni della norma succedutesi nel tempo.  La
circostanza  che  la  disposizione  in  esame  non  ha  impedito   lo
svolgimento   dell'attivita'   istruttoria   da   parte   dell'organo
requirente  neppure,  poi,  esclude  detto  requisito,  da  ritenersi
sussistente, in quanto la  norma  ha  modificato  il  presupposto  di
applicabilita'  della  sanzione  in  esame,  mentre   l'apprezzamento
dell'idoneita' della stessa a garantire  l'effettivita'  dell'obbligo
di fornire i dati concerne la fondatezza delle censure riferite  agli
artt. 3 e 97 Cost., non l'ammissibilita' della questione. 
    Relativamente alle restanti eccezioni, va, infine, osservato che,
secondo la  non  implausibile  motivazione  del  giudice  a  quo,  e'
possibile   una   differente   interpretazione,    costituzionalmente
orientata, del testo originario del citato art. 7 e sarebbe,  quindi,
proprio l'art. 44, comma 1, del d.l. n. 248 del 2007 la  disposizione
censurabile, poiche' e' questa che avrebbe attribuito alla  prima  un
contenuto precettivo  lesivo  dei  parametri  costituzionali  evocati
nell'ordinanza di rimessione. Inoltre, detta  disposizione  definisce
la condotta che integra una «violazione dell'obbligo di risposta,  di
cui all'art. 7, comma 1» del d.lgs. n. 322 del 1989 e, in  tal  modo,
incide anche sul comma  3  di  quest'ultimo,  avente  ad  oggetto  il
comportamento sanzionabile, con la conseguenza che il riferimento del
rimettente ai commi 1 e  3  di  detto  art.  7  non  comporta  alcuna
incertezza in ordine alla identificazione della norma censurata. 
    4. - Nel merito, la questione non e' fondata. 
    4.1. - Delle censure svolte nell'ordinanza  di  rimessione  hanno
carattere prioritario quelle riferite all'art. 77 Cost., in relazione
alle quali va ribadito che la preesistenza di una situazione di fatto
comportante  la  necessita'  e  l'urgenza   di   provvedere   tramite
l'utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge,
costituisce un requisito di validita' dell'adozione di tale atto,  la
cui mancanza configura un vizio di  legittimita'  costituzionale  del
medesimo, che non e' sanato dalla legge di conversione. Il  sindacato
sulla  legittimita'  dell'adozione,  da  parte  del  Governo,  di  un
decreto-legge,  secondo  la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  deve
tuttavia ritenersi  limitato  ai  casi  di  «evidente  mancanza»  dei
presupposti di straordinaria necessita' e urgenza richiesti dall'art.
77,  secondo  comma,  Cost.  o  di   manifesta   irragionevolezza   o
arbitrarieta' della relativa valutazione, rimanendo quella in  ordine
al   merito   delle   situazioni   di   urgenza   nell'ambito   della
responsabilita' politica del  Governo  nei  confronti  delle  Camere,
chiamate a decidere sulla conversione in legge del decreto  (sentenze
n. 355 e n. 83  del  2010;  n.  128  del  2008;  n.  171  del  2007).
L'espressione  utilizzata   dalla   Costituzione   per   indicare   i
presupposti alla cui ricorrenza e' subordinato il potere del  Governo
di  emanare  norme   primarie   comporta,   inoltre,   «l'inevitabile
conseguenza  di  dare  alla  disposizione   un   largo   margine   di
elasticita'», poiche' la straordinarieta'  del  caso  che  impone  la
necessita' di dettare con urgenza una disciplina in  proposito  «puo'
essere dovuta ad  una  pluralita'  di  situazioni  (eventi  naturali,
comportamenti umani e anche atti e provvedimenti di pubblici  poteri)
in relazione alle quali  non  sono  configurabili  rigidi  parametri,
valevoli per ogni ipotesi» (sentenza n. 171 del 2007). 
    Nel caso in esame,  gli  indici  intrinseci  ed  estrinseci  alla
disposizione censurata permettono di escludere l'ipotesi di  evidente
carenza del requisito della straordinarieta' del caso  di  necessita'
ed urgenza di provvedere. 
    L'epigrafe del decreto-legge n. 248 del 2007 reca  l'intestazione
«Proroga  di  termini  previsti   da   disposizioni   legislative   e
disposizioni urgenti in materia finanziaria», mentre il preambolo  fa
riferimento alla «straordinaria necessita' ed urgenza  di  provvedere
alla proroga di termini  previsti  da  disposizioni  legislative,  al
fine» sia «di consentire una piu' concreta e puntuale attuazione  dei
correlati adempimenti», sia «di conseguire una maggiore funzionalita'
delle pubbliche amministrazioni, nonche' di prevedere  interventi  di
riassetto di disposizioni di carattere finanziario». 
    Il comma 1 della norma in esame, inserito  nel  testo  originario
del decreto-legge n. 248 e non modificato nel corso del  procedimento
di conversione del medesimo, nella parte in cui  ha  disciplinato  le
violazioni commesse  anteriormente  al  31  dicembre  2007  (la  sola
rilevante nel giudizio principale), non  e'  dissonante  rispetto  al
contenuto ed alla materia di detto decreto-legge. 
    In riferimento a tale atto normativo e ad  una  disposizione  del
medesimo  concernente  la  disciplina   della   responsabilita'   dei
dipendenti pubblici, pure censurata in relazione all'art. 77, secondo
comma, Cost., questa Corte ha, infatti, gia' considerato coerente con
il contenuto dello stesso la «esigenza di limitare  ambiti,  ritenuti
dal  legislatore  troppo  ampi»,  di  tale  responsabilita',  poiche'
l'ampliamento  degli  stessi  «e'  suscettibile  di  determinare   un
rallentamento    nell'efficacia    e    tempestivita'     dell'azione
amministrativa dei pubblici poteri» (sentenza n. 355 del 2010). E  lo
scopo del citato art. 44, comma 1, e' stato  eminentemente  quello  -
riconducibile appunto tra le finalita' del d.l. n. 248 del 2007 -  di
garantire la funzionalita' dell'attivita' dell'ISTAT. Il  legislatore
ordinario, con tale norma, come e' stato esplicitato  nel  corso  dei
lavori preparatori, ha, infatti, inteso «conseguire  una  sostanziale
semplificazione delle attivita' che i soggetti del Sistema statistico
nazionale devono porre in essere per individuare in maniera certa - a
fronte delle  centinaia  di  migliaia  di  mancate  risposte  che  si
registrano annualmente -  quelle  che,  per  la  volontarieta'  della
condotta,  configurano  una  effettiva  violazione  dell'obbligo   di
risposta», mirando, allo stesso tempo,  «a  ridurre  l'onerosita'  di
dette attivita'», tale da «mettere a rischio la stessa qualita' della
statistica ufficiale» (Relazione al disegno di  legge  n.  3324,  poi
approvato come legge n. 31 del 2008). 
    Si tratta di una considerazione  corretta  anche  perche'  l'alto
numero dei casi in cui avrebbe potuto essere irrogata la sanzione  in
esame, al quale fanno cenno i lavori preparatori,  neppure  e'  stato
negato dal giudice a quo  ed  e'  anzi  desumibile  dall'entita'  del
preteso danno indicato nell'ordinanza di rimessione  (sostanzialmente
coincidente con l'importo delle  somme  riscuotibili  in  ipotesi  di
applicazione  della  sanzione).  Quest'ultimo   evidenzia,   infatti,
l'elevata  quantita'   dei   procedimenti   promuovibili   che,   non
implausibilmente,  avrebbe  potuto   influire   negativamente   sulla
funzionalita' dell'attivita' dell'ISTAT ed ha,  quindi,  giustificato
la modifica realizzata  in  via  d'urgenza  con  la  norma  in  esame
(peraltro, successivamente a quella attuata con l'art. 3,  comma  74,
della legge n. 244 del 2007), che ha  inciso  anche  sui  presupposti
della responsabilita' dei soggetti competenti ad instaurarli. 
    4.2. - Siffatta finalita'  e'  stata  conseguita  stabilendo  una
disciplina  che  e',  altresi',  immune  dalle  censure  svolte   dal
rimettente in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. 
    Occorre premettere che non e' necessario verificare se il  citato
art. 44, comma 1, costituisca una disposizione interpretativa (e  sia
percio'   retroattiva),   ovvero   sia   innovativa   con   efficacia
retroattiva, poiche' in entrambi i casi si tratta di accertare se  la
retroattivita' della norma, il cui divieto non  e'  stato  elevato  a
dignita' costituzionale, salvo  che  per  la  materia  penale,  trovi
adeguata  giustificazione  sul  piano  della  ragionevolezza  e   non
contrasti con altri valori ed interessi  costituzionalmente  protetti
(tra le molte, sentenze n. 74 del 2008; n. 234 del 2007). Inoltre, va
ribadito  che  rientra   nella   discrezionalita'   del   legislatore
ordinario, con il solo limite della  non  manifesta  irragionevolezza
della  scelta,  sia  conformare  le  fattispecie  di  responsabilita'
amministrativa e stabilire le relative sanzioni (per tutte, ordinanze
n. 23 del  2009  e  n.  424  del  2008),  sia  «modulare  le  proprie
determinazioni secondo criteri di maggiore o minore rigore a  seconda
delle materie oggetto di disciplina», anche in  ordine  all'eventuale
applicabilita' della disciplina posteriore piu' favorevole (ordinanze
n. 245 del 2003, n. 501 e n. 140 del 2002). 
    Nel caso in esame, avendo la legge n. 244 del 2007 limitato,  per
il futuro, i casi nei quali puo' essere irrogata la sanzione  per  la
violazione dell'obbligo di fornire i dati statistici,  la  successiva
scelta di attenuare il rigore della disciplina anche per  il  passato
non  e'  in  se'   irragionevole,   soprattutto   in   considerazione
dell'onerosita' (sopra richiamata) dell'attivita' diretta ad irrogare
detta   sanzione   e   dell'esigenza   di   garantire    l'efficiente
funzionamento dell'ISTAT, quindi,  l'applicazione  del  principio  di
buon andamento dell'amministrazione, ferma restando la qualita' della
rilevazione statistica. 
    La diversita' del criterio di identificazione dei presupposti per
l'irrogazione della sanzione stabilito dal citato art. 44,  comma  1,
rispetto a quello previsto dall'art. 3, comma 74, della legge n.  244
del 2007  e',  poi,  giustificata  dalla  circostanza  che  la  norma
censurata concerne indagini statistiche gia' svolte  e  comportamenti
dei destinatari dell'obbligo ormai esauriti,  ai  quali  non  avrebbe
potuto   essere   applicata,   con   mero   automatismo,   la   nuova
regolamentazione,    caratterizzata    dall'identificazione     delle
fattispecie sanzionabili, all'esito del  procedimento  introdotto  da
quest'ultima norma. La diversita' delle discipline  non  costituisce,
dunque, sintomo della asserita illogicita' della scelta  operata  con
la norma in questione  ed  e'  anzi  agevole  individuare  il  comune
elemento ispiratore di entrambe nell'intento di stabilire un criterio
diretto  a  limitare  i  casi  di   applicabilita'   della   sanzione
amministrativa. 
    I dubbi  del  rimettente  in  ordine  all'idoneita'  della  norma
censurata  a  garantire  l'effettivita'  dell'obbligo  non   tengono,
invece, conto  della  circostanza  che  la  disciplina  dalla  stessa
stabilita, nella parte rilevante nel  giudizio  principale,  concerne
condotte  ormai  esauritesi.  Inoltre,   detti   dubbi   sono   stati
prospettati senza valutare ed approfondire  sia  la  rilevanza  delle
presunte violazioni in relazione  alle  differenti  rilevazioni,  sia
l'eventuale idoneita' delle metodologie di interpretazione  dei  dati
ad   evitare   che    le    omissioni    possano    avere    influito
sull'attendibilita' delle indagini statistiche. 
    La locuzione «formale rifiuto»  contenuta  nel  citato  art.  44,
comma 1, permette, infine, di ritenere integrato  il  presupposto  di
applicabilita' della sanzione  in  esame  sia  nel  caso  in  cui  il
destinatario  della   richiesta   abbia   esplicitamente   comunicato
l'immotivato rifiuto di fornire i dati, sia nel caso in cui egli cio'
abbia fatto, adducendo giustificazioni pretestuose  o  inattendibili,
in virtu' di un'interpretazione che la  rende  immune  dalle  censure
svolte dal rimettente. Si tratta, infatti,  di  fattispecie  entrambe
diverse  dalla  mera   omissione   della   comunicazione,   in   tesi
riconducibile ad ulteriori, differenti ragioni, con  conseguente  non
omologabilita' delle fattispecie ed  insussistenza  della  denunciata
violazione dell'art. 3 Cost. 
    4.3. - Le censure proposte in riferimento agli artt. 101, secondo
comma, 103 e 108 Cost. sono anch'esse non fondate. 
    Al legislatore ordinario, come sopra e' stato precisato,  non  e'
inibita l'adozione di norme retroattive, al di  fuori  della  materia
penale, qualora cio' trovi adeguata giustificazione sul  piano  della
ragionevolezza  e  non  contrasti  con  altri  valori  ed   interessi
costituzionalmente protetti. In particolare, con riguardo al rispetto
delle funzioni costituzionalmente riservate  al  potere  giudiziario,
che viene qui in rilievo, la retroattivita' della norma,  secondo  la
giurisprudenza di questa  Corte,  reca  vulnus  alle  stesse,  quando
travolge gli effetti di pronunce divenute irrevocabili (tra  le  piu'
recenti, sentenze n. 209 del 2010, n. 364 del 2007) e, comunque,  nel
caso in cui la disposizione non stabilisce una  regola  astratta,  ma
mira a risolvere specifiche controversie (ex plurimis, sentenza n. 94
del 2009), risultando diretta ad incidere sui giudizi in  corso,  per
determinarne gli esiti (sentenza n. 170 del 2008). 
    Nella  specie,  secondo  l'ordinanza  di   rimessione,   l'organo
requirente ha notificato ai convenuti l'invito a dedurre in  data  19
novembre 2007 ed ha depositato l'atto di citazione, con il  quale  ha
promosso il giudizio principale, il 5 agosto 2008;  il  decreto-legge
recante la norma censurata e'  stato  adottato  e  pubblicato  il  31
dicembre   2007.   Siffatta   scansione   temporale   rende    chiara
l'inesistenza di elementi in grado di  dimostrare  la  strumentalita'
del citato art. 44, comma 1, rispetto allo scopo  di  influire  sulle
attribuzioni costituzionali spettanti al giudice contabile. 
    Questa Corte ha, infatti, costantemente affermato che l'invito  a
dedurre - in quanto diretto all'acquisizione di ulteriori elementi in
vista delle determinazioni del pubblico ministero - attiene  «ad  una
fase  del  procedimento  avente   natura   pre-processuale,   sicche'
l'effettiva proposizione dell'azione di responsabilita' e' del  tutto
eventuale e solo con l'atto di  citazione  il  giudice  e'  investito
della causa ed ha inizio il relativo giudizio»; la  notificazione  di
tale atto non vale a conferire al presunto responsabile del danno  la
qualita' di parte (sentenze n. 513 del 2001, n. 163 del 1997, n.  415
del 1995), poiche' con esso e'  meramente  ipotizzata  e  non  ancora
contestata  una  eventuale  responsabilita'  del   destinatario   del
medesimo.  La  natura  pre-processuale  della  fase  anteriore   alla
notifica dell'atto di citazione  e'  condivisa  dalla  giurisprudenza
della Corte dei conti (di  cui  si  dimostra  consapevole  lo  stesso
rimettente), orientata nel ritenere l'invito a dedurre un  prevalente
strumento di definizione delle acquisizioni  probatorie  dell'attore,
il quale, in  relazione  ad  esse,  si  determina  ad  instaurare  il
giudizio con  la  citazione,  ovvero  a  procedere  all'archiviazione
(Corte conti, sez. riun. giur., 20 marzo 2003,  n.  6/QM;  19  giugno
1998,  n.   14/QM),   disposta   con   decreto,   privo   di   natura
giurisdizionale, revocabile e non soggetto al controllo  del  giudice
contabile. 
    Nel  quadro  di  tali   principi,   la   constatazione   che   il
decreto-legge contenente la norma censurata e' stato  emanato  quando
ai convenuti era stato notificato esclusivamente l'invito a  dedurre,
in una fase avente lo scopo e la  natura  sopra  sintetizzata,  molti
mesi prima del deposito dell'atto di citazione ed allorche' era  gia'
stata modificata l'originaria regolamentazione stabilita  dal  citato
art. 7, rende chiara - indipendentemente da  ogni  considerazione  in
ordine  alle  funzioni  esercitate  dall'organo  requirente  ed  alle
garanzie  che   connotano   l'attivita'   dallo   stesso   svolta   -
l'inesistenza di elementi in grado di  dimostrare  la  strumentalita'
della disposizione rispetto all'intento di  risolvere  una  specifica
controversia  e  di  incidere  su  di  un  giudizio  in  corso,   per
determinarne l'esito. Pertanto, va escluso che  il  citato  art.  44,
comma  1,  abbia  compromesso  la  funzione  giurisdizionale  e  deve
ritenersi che, con esso, il legislatore ordinario si sia  limitato  a
stabilire una nuova regola, generale ed astratta. 
    5. - L'infondatezza delle censure comporta, a prescindere da ogni
altra  valutazione,  l'irrilevanza  nel   presente   giudizio   della
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, commi  1  e  3,
del d.lgs. n. 322 del 1989, nel testo originario, proposta  in  linea
subordinata da L.B, O.C. e G.P., in riferimento agli  artt.  3  e  97
Cost.; dunque, difettano i presupposti, affinche' questa Corte  possa
eventualmente sollevarla davanti a se stessa.