Ordinanza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'articolo  10-bis  del
decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286,  aggiunto  dall'art.  1,
comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni
in materia di sicurezza pubblica), promossi dal Giudice  di  pace  di
Pistoia con sei  ordinanze  del  15  febbraio  2010,  rispettivamente
iscritte ai nn. da 283 a 288 del registro ordinanze 2010 e pubblicate
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  40,  prima   serie
speciale, dell'anno 2010. 
    Udito nella camera di consiglio del 9 febbraio  2011  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
    Ritenuto che, con sei ordinanze di analogo tenore, tutte in  data
15 febbraio 2010, il Giudice di pace  di  Pistoia  ha  sollevato,  in
riferimento agli articoli  2,  3,  25,  secondo  comma,  e  27  della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale  dell'articolo
10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286  (Testo  unico
delle disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e
norme sulla condizione dello straniero),  aggiunto  dall'articolo  1,
comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni
in materia di sicurezza pubblica); 
        che il  rimettente,  premesso  di  doversi  pronunciare  «nel
procedimento penale a carico dell'imputato» (non meglio individuato),
ritiene la questione «sicuramente  rilevante  poiche'  l'imputato  e'
chiamato a rispondere del reato di  ingresso/soggiorno  illegale  nel
territorio dello Stato ai sensi dell'art. 10 bis D. L.vo 286/98.  Non
solo ma nel caso di specie va sottolineato che sussiste  in  concreto
la  ricorrenza  della  causa  di  giustificazione  del  «giustificato
motivo»  cosi'  come  descritta  dalla  giurisprudenza  che   si   e'
consolidata in materia di applicazione del delitto sub art. 14  comma
ter»; 
        che, passando a trattare della non manifesta infondatezza, il
giudice a quo ritiene violato, in primo luogo, l'art. 3 Cost.  «sotto
il  profilo  della  irragionevolezza  della  scelta  legislativa   di
criminalizzare  l'ingresso  e  la  permanenza  dei  clandestini   nel
territorio dello Stato pur in presenza di altri rimedi normativi»; 
        che, a  suo  avviso,  criminalizzare  una  condotta  dovrebbe
essere l'ultima ratio in tutti  i  casi  in  cui  non  sia  possibile
individuare altri strumenti idonei a  raggiungere  lo  scopo,  mentre
l'obiettivo perseguito dalla  nuova  fattispecie  penale,  costituito
dall'allontanamento dello straniero irregolare dal  territorio  dello
Stato, sarebbe stato gia' previsto in varie ipotesi, accessorie  alla
fattispecie penale, aventi  ad  oggetto  proprio  l'espulsione  dello
straniero (sono richiamate la  sanzione  sostitutiva  irrogabile  dal
giudice di pace e le misure stabilite in via amministrativa); 
        che, inoltre, sarebbero violati gli artt. 3 e 27  Cost.,  per
la  irragionevole  disparita'  di  trattamento  tra  la   fattispecie
disciplinata dal citato art. 10-bis e quella di cui all'art.14, comma
5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998; 
        che, infatti, come rilevato dalla giurisprudenza della  Corte
di cassazione, la clausola  «senza  giustificato  motivo»  coprirebbe
tutte le ipotesi di impossibilita' o grave difficolta', a causa delle
quali l'ordine non  sia  eseguibile  per  impedimento  soggettivo  ed
oggettivo senza colpa del migrante irregolare  (ad  esempio,  mancato
rilascio dei documenti, assenza di validi documenti  per  l'espatrio,
indigenza tale da non consentire di acquistare un  biglietto  aereo),
cioe' circostanze che, pur non integrando cause di giustificazione in
senso tecnico, impedirebbero allo straniero di osservare l'ordine  di
allontanamento nei termini prescritti; 
        che tale interpretazione non consentirebbe di ritenere che il
legislatore abbia  inteso  imporre  un  precetto  penale  a  condotte
inesigibili; 
        che, pertanto,  sussisterebbe  la  denunziata  disparita'  di
trattamento, poiche' mentre per l'ipotesi della contravvenzione (art.
10-bis)  non  sarebbe  contemplato  il  «giustificato  motivo»,   per
l'ipotesi del delitto (art. 14, comma 5-ter) detta  clausola  sarebbe
invece prevista, e cio' ad onta del fatto  che  il  primo  reato  sia
senza dubbio meno grave del secondo; 
        che, in  presenza  del  tenore  della  norma  censurata,  non
sarebbe  possibile  operare  una  interpretazione  costituzionalmente
orientata; 
        che  «la  mancata  attribuzione  di  rilevanza  nella   nuova
fattispecie  ad  eventuali  motivi  che   possano   giustificare   il
trattamento illegale e' del tutto in  contrasto  con  quanto  scritto
dalla Corte costituzionale nelle sentenze  n.  5  del  2004  e  nella
successiva n. 22 del 2007 dalla cui lettura emerge la  necessita'  di
ritenere la causa  di  giustificazione  un  elemento  (negativo)  del
fatto, essenziale della  fattispecie  penale,  perche'  solo  la  sua
previsione  consente  di   superare   ogni   obiezione   e   ritenere
costituzionalmente  orientata   (ai   sensi   dell'art.   27   Cost.)
l'incriminazione della condotta  omissiva»  (sono  richiamati  alcuni
passi della sentenza n. 22 del 2007); 
        che, nel caso di specie, non sarebbe  neppure  invocabile  il
rispetto per la discrezionalita' del legislatore, in  quanto  sarebbe
evidente  la   violazione   del   canone   di   ragionevolezza,   che
determinerebbe un trattamento piu' rigoroso per una ipotesi di  reato
di minor gravita'; 
        che sussisterebbe, altresi', violazione degli artt.  2,  3  e
25, secondo comma, Cost., «avuto riguardo alla configurazione di  una
fattispecie penale discriminatoria  perche'  fondata  su  particolari
condizioni personali e sociali  anziche'  su  fatti  e  comportamenti
riconducibili alla volonta' del soggetto attivo»; 
        che, invero,  oggetto  dell'incriminazione  sarebbe  la  mera
condizione personale dello straniero, costituita dal mancato possesso
di un titolo abilitativo all'ingresso e  alla  successiva  permanenza
sul territorio dello Stato, condizione tipica, questa,  del  migrante
economico e, percio', integrante una condizione  sociale  propria  di
una determinata categoria di persone; 
        che tale condizione sarebbe priva di rilevanza  penale,  come
ritenuto anche da questa Corte  con  la  sentenza  n.  22  del  2007,
sicche' la criminalizzazione del migrante si  porrebbe  in  contrasto
con l'art.  3  Cost.,  che  vieta  ogni  discriminazione  fondata  su
condizioni personali e sociali, nonche' con l'art. 25, comma secondo,
Cost., «secondo cui si puo' essere puniti solo per fatti materiali  e
non per questioni attinenti al proprio status» (e'  richiamata  anche
la sentenza n. 78 del 2007); 
        che, infine, la norma  censurata  sarebbe  in  contrasto  con
l'art. 2 Cost., il quale «sancisce il riconoscimento  della  garanzia
dei diritti inviolabili dell'uomo e richiede l'adempimento dei doveri
inderogabili di solidarieta' politica, economica e sociale». 
    Considerato che il  Giudice  di  pace  di  Pistoia,  con  le  sei
ordinanze di  analogo  tenore  indicate  in  epigrafe,  dubita  della
legittimita'  costituzionale   dell'articolo   10-bis   del   decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico  delle  disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizione
dello straniero), aggiunto dall'articolo 1,  comma  16,  lettera  a),
della legge 15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in  materia  di
sicurezza pubblica), in riferimento agli articoli  2,  3,  25,  comma
secondo, e 27 della Costituzione; 
        che le ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche,
onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti  con  unica
decisione; 
        che il rimettente  trascura  in  toto  la  descrizione  delle
fattispecie sulle quali e' stato chiamato a  pronunciarsi,  omettendo
d'indicare,  in   violazione   del   principio   di   autosufficienza
dell'ordinanza di rimessione, non soltanto  il  nome  e  la  data  di
nascita degli imputati, ma anche la data in cui il presunto  illecito
sarebbe stato accertato ed  ogni  altra  concreta  circostanza  sulle
vicende  oggetto  dei  giudizi  a  quibus  e  sulla  loro   effettiva
riconducibilita' al paradigma punitivo considerato; 
        che, con particolare riguardo alla mancata previsione,  nella
norma censurata, di  «giustificati  motivi»  che  impedirebbero  allo
straniero di osservare  l'ordine  di  allontanamento  dal  territorio
dello Stato, il giudice a quo,  pur  sostenendo  nella  premessa  del
provvedimento di rimessione «che sussiste in concreto  la  ricorrenza
della causa di giustificazione», in effetti si limita a  svolgere  un
discorso astratto e ipotetico, affidato  ad  elementi  individuati  a
mero titolo esemplificativo, senza pero' chiarire quali sarebbero nei
casi sottoposti al suo  esame  gli  eventi  idonei  ad  integrare  la
suddetta causa giustificativa; 
        che, per costante giurisprudenza di questa Corte, l'omessa  o
insufficiente   descrizione   della   fattispecie,   precludendo   il
necessario controllo in punto  di  rilevanza,  rendono  la  questione
manifestamente inammissibile (ex plurimis: ordinanze nn. 6  e  3  del
2011; nn. 343, 318, 85 del 2010; nn. 211, 201 e n. 191 del 2009). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.