IL TRIBUNALE  
 
    Nel procedimento n. 686/09 R.G. promosso  da  L.  A.  -  Avv.  M.
Ziveri; 
    Contro Azienda U.S.L. di Parma - contumace; 
    Nonche' contro Regione Emilia Romagna - Avv.ti G. Puliatti  e  M.
Michelessi; 
    Nonche' contro Ministero della salute, in  persona  del  Ministro
pro tempore - Avvocatura dello Stato; 
    A scioglimento della riserva formulata all'udienza del 29.10.2010
nel procedimento sopra indicato il Giudice del Lavoro  dott.  Roberto
Pascarelli ha pronunciato la seguente ordinanza. 
    Con ricorso depositato in  cancelleria  in  data  3  luglio  2009
diretto al Giudice del Lavoro di Parma, 
    la ricorrente indicata in epigrafe, dopo aver Premesso di  essere
beneficiaria  dell'indennizzo  previsto  dalla  L.  210/1992   avendo
contratto  epatite   HCV   a   seguito   di   trasfusioni,   chiedeva
all'intestato  Tribunale  l'accertamento  del   proprio   diritto   a
percepire  la  rivalutazione  monetaria  sull'indennita'  integrativa
speciale di cui all'art. 2  comma  secondo,  L.  210/92,  costituente
parte integrante dell'indennizzo in godimento, sulla base  del  tasso
di inflazione programmato. 
    La questione e' stata oggetto nel corso degli anni di numerose  e
contraddittorie decisioni sia delle corti di merito che  della  Corte
di Cassazione. In particolare, la Corte di Cassazione, sez. lav., con
la sent. 15894/05 ha affermato  elle  l'indennizzo  di  cui  alla  1.
210/92 deve essere rivalutato secondo" il tasso annuale di inflazione
programmata anche con riferimento alla componente di cui al 2°  comma
dell'art. 2 della legge, rilevando, tra  l'altro,  che  "una  diversa
interpretazione non  sarebbe  conforme  ai  principi  costituzionali,
giacche' la misura dell'indennizzo, se ritenute. non rivalutabile per
intero nelle sue componenti,  non  sarebbe  equa  rispetto  ai  danno
subito, da rapportare ai pregiudizio alla salute, tanto piu' che  gli
aumenti  ISTAT  dell'indennizzo  (al  netto  della  voce   indennita'
integrativa speciale, come  risultante  dalle  tabelle  ministeriali)
sono modesti e l'indennita' integrativa speciale e' rimasta  ferma  a
Lire 1.991.765, pari a Euro 1.028,66" (valore di  due  mensilita'  in
quanto l'indennizzo viene corrisposto ogni due. mesi). 
    In senso opposto, con sentenza n. 21703 dei 13  ottobre  2010  la
stessa Corte, discostandosi dal predetto orientamento; riteneva  noti
rivalutabile la componente di cui al 2° comma dell'art. 2 della legge
210/92. 
    Nonostante quest'ultima interpretazione, le Corti di merito anche
di secondo grado continuavano e continuano  (almeno  per  la  maggior
parte) ad allinearsi con il.  precedente  orientamento,  riconoscendo
rivalutazione sull'intero indennizzo (cfr. ex plurimis  Tribunale  di
Bologna n. 57/2010, Tribunale di  Milano  n.  8027/09,  Tribunale  di
Firenze n. 1359/09, Tribunale di Torino n, 614/10; Tribunale di  Roma
n. 5191/10 e n. 5459/10, Tribunale di Lodi 131/09, Tribunale di Busto
Arsizio n. 97/10, Tribunale di Varese n. 867/09 e n. 11/10, Tribunale
di Brescia n. . 252/10, Tribunale di Chieti n. 238/10, Tribunale  di.
Lecco n. 56.11/10, Tribunale Isernia n,  54/10,  Corte  d'Appello  di
Milano n 1156/10). 
    Permanendo dunque la difformita' interpretativa  sopra  riferita,
veniva adottato 31 maggio 2010 n. 78, convertito con la L.  122/2010,
recante "Misure urgenti in materia di stabilizzazione  finanziaria  e
di competitivita' economica" all'art. 11  commi  13  e  14  che  cosi
stabilisce: 
        «13. Il comma 2 dell'art. 2 della legge 25 febbraio  1992  n.
210 e successive modificazioni si interpreta nel Senso che  la  somma
corrispondente all'importo dell'indennita' integrativa  speciale  non
e' rivalutata secondo il tasso di inflazione. 
        14. Fermo restando gli effetti esplicati da sentenze  passate
in giudicate, per i periodi da esse definiti, a partire dalla data di
entrata  in  vigore  del  presente  decreto  cessa   l'efficacia   di
provvedimenti emanati al fine di rivalutare la somma di cui al  comma
13, in forza un  titolo  esecutivo.  Sono  fatti  salvi  gli  effetti
prodottisi fino alla data di entrata In vigore del presente decreto». 
    Sulla base di  tale  intervento  normative  il  presente  ricorso
sarebbe pertanto  da  decidersi  in  senso  negativo;  la  ricorrente
solleva tuttavia eccezione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
11 commi 13 e 1451 D.L. 31 maggio 2010 a 78,  convertite)  convertito
con la L. 122/2010. 
    Ritiene  il  giudicante  che   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale sollevate non sono manifestamente infondate. 
    Va premesso che la normativa cui fare  riferimento  e'  l'art.  2
legge 25 febbraio 1992 n.  210  che  al  primo  comma  cosi'  recita:
«l'indennizzo di cui all'art. 1, comma  l,  consiste  in  un  assegno
reversibile per quindici anni, determinato nella misura di  cui  alta
tabella B allegata alla legge 29 aprile 1976, n. 177, come modificata
dall'art. 8 della legge  2  maggio  1984,  n.  111.  L'indennizzo  e'
cumulabile con ogni altro emolumento a qualsiasi titolo percepito  ed
e'  rivalutato  annulmente  sulla  base  del  tasso   di   inflazione
programmato». 
    Lo stesso art. 2 al secondo comma cosi' dispone:« l'indennizzo di
cui  al  primo  comma  e'  integrato  da  una  somma   corrisponderne
all'indennita' integrativa speciale  di  cui  alla  legge  27  maggio
1.959, n. 324, e successive  modificazioni,  prevista  per  la  prima
qualifica funzionale degli impiegati civili dello Stato». 
    Seguendo il ricordato orientamento giurisprudenziale (espresso da
Cass. 28 luglio 2005 n. 15894 e da Cass. 27 agosto 2007 n. 18109), e'
opinione di chi scrive che  entrambe  le  componenti  dell'indennizzo
debbano essere rivalutate annualmente secondo i1 tasso di  inflazione
programmata, ai sensi di quanto disposto dal citato art. 2  legge  25
febbraio 1992 n. 210. 
    Cio' essenzialmente in quanto: 
    a) l'indennizzo dev'essere inteso «nella sua globalita'», onde va
rivalutato in entrambe le sue parti; 
    b) l'indennita' integrativa speciale portava in se' il meccanismo
di adeguamento delle retribuzioni al  costo  della  vita  «nella  sua
originaria struttura», ma successivamente essa e' stata snaturata col
c.d. «taglio della scala mobile» onde non vi e' ora, ragione  di  non
rivalutarne l'importo; 
    c) questa  interpretazione  e'   «costituzionalmente   orientata»
perche' tende alla tutela del diritto alla salute, di cui all'art. 32
Cost. 
    In particolare non pare che canone dell'interpretazione letterale
sia idoneo a superare il quadro interpretativo  riferito  alla  ratio
dell'istituto e alla connessione con i principi costituzionali. 
    Peraltro, proprio sotto il profilo letterale, se e' pur vero  che
la disposizione che prevede la rivalutazione automatica e'  collocata
nel primo comma  dell'art.  2,  ove  e'  prevista  la  corresponsione
dell'assegno reversibile, e' anche vero che la rivalutazione  annuale
e' riferita all'indennizzo di cui all'art. 1, comma  l,  e  cioe'  al
trattamento nella sua interezza, comprensivo anche  della  componente
delineata nel secondo comma. 
    Tuttavia legislatore - mediante  l'adozione  degli  articoli  qui
censurati di potenziale incostituzionalita' - introduce una norma che
pur qualificandosi come  di  interpretazione  autentica,  in  realta'
introduce una vera e propria modifica legislativa che pare ledere sia
il principio di cui all'art.3 cost. di ragionevolezza ed  uguaglianza
di trattamento, sia gli artt. 32 e 117 della  Costituzione,  sia  gli
artt, 101, 102 i e 104 interferendo con  funzioni  costituzionalmente
riservate al potere giudiziario, sia l'art. 24  cost.  nel  senso  di
creare un discrimino nella tutela giudiziaria  riservata  a  tutti  i
cittadini; sia infine artt. 35, 2 e 14 della Convenzione europea  dei
Diritti dell'Uomo. 
    In particolare: 
    1) il D.L. 78/10, art. 1 commi 13 e  14  viola  il  principio  di
uguaglianza  ed  equita'  sancito  dall'art.  3  della   Costituzione
determinando una illegittima disparita' tra coloro  che  percepiscono
un indennizzo  rivalutato  sulla  base  delle  migliaia  di  sentenze
favorevoli all'orientamento piu' sopra espresso e coloro 
    Il cui indennizzo, per  effetto  del  D.L.  78/2010;  non  potra'
essere  rivalutato.  Si  consideri  che  primi,   in   virtu'   della
rivalutazione integrale gia' disposta giudizialmente percepiscono  un
indennizzo mensile di  e  700,  per  l'ottava  categoria;  i  secondi
pertepiscono e percepiranno invece, per  la  medesima  categoria,  un
importo di & 550 mensili (& 150 mensili in meno). Si consideri  anche
che tutto le altre pensioni sono soggette a rivalutazione: la mancata
rivalutazione  dell'indennizzo  ex  L.  210/92  -  avente   finalita'
assistenziali e non risarcitorie  come  gia'  piu'  volte  confermato
dalle sentenze della cassazione Civile e Corte costituzionale - nella
sua   componente   maggioritaria   determinerebbe   una   illegittima
disparita' anche tra i  titolari  di  indennizzo  ex  L.  210/92  non
rivalutato e gli  altri  titolari  di  prestazioni  pensionistiche  e
assistenziali, posto che la rivalutazione e'  concessa  integralmente
ex lege ai vaccinati (art. 1 comma IV legge 229/2005) e  ai  soggetti
affetti da  "sindrome  da  talidomide"  (art.  1  comma  IV  -decreto
163/2009).  Le  normative  appena  riportate  affermano  infatti  che
l'indennizzo e' "interamente  rivalutato  annualmente  in  base  agli
indici ISTAT". 
    2) per le medesime ragioni l'art. 11 comma 13  e  14  DL  78/2010
viola l'art. 2 che tutela il diritto alla vita e l'art. 14  CEDU  che
sancisce il  divieto  di  ogni  discriminazione.  La  discriminazione
vietata dall'art. 14 della Convenzione consiste nel "trattare in modo
differente salvo giustificazione obiettiva e ragionevole, le  persone
che  si  trovano  in  situazioni  simili  o  analoghe".  Secondo   la
giurisprudenza della Corte "una distinzione  e'  discriminatoria"  ai
sensi dell'art. 14  se  manca  di  una  giustificazione  obiettiva  e
ragionevole, cioe' "se essa non persegua uno  scopo  legittimo  o  se
c'e'  un  rapporto  di  ragionevole  proporzionalita'  tra  i   mezzi
impiegati e lo scopo che si e' prefissata" (CEDU 1°  dicembre  2009).
Nei caso di specie la 
    discriminazione che si determina ai sensi dell'art. 11 commi 13 e
14 DL 78/2010 tra coloro che gia'  hanno  ottenuto  la  rivalutazione
dell'indennizzo ex L. 210/92 e coloro che ancora sono in  attesa  del
riconoscimento  e  tra  questi  ultimi  e  gli  altri   titolari   di
indennizzo, in particolar modo i vaccinati e gli affetti da  sindrome
da talidomide, e' palesemente irragionevole ed illegittima. 
    3) il D.L. 78/2010 art.11, commi 13 e 14 viola  il  diritto  alla
salute sancito dall'art. 32 della Costituzione in  quanto  la  misura
dell'indennizzo, ritenuta  non  rivalutabile  per  intero  nelle  sue
componenti, non e' equa rispetto al danno subito,  da  rapportare  al
pregiudizio alla salute (v. Corte cost. n. 307/1990 e  118/96)  tanto
piu' che gli aumenti ISTAT dal 1995 ad oggi dell'indennizzo (al netto
della voce indennita' integrativa speciale) sono sono  modesti  posto
che l'indennita'  integrativa  speciale  e'  rimasta  ferma  ad  euro
1028,66  nel  periodo  in  questione.  Pare  in  proposito   decisivo
evidenziare che l'indennizzo ex legge 210 dei 1992 e' composto da due
parti: il cosiddetto"indennizzo in senso stretto", di  cui  al  primo
comma  dell'art  2  e   la   "somma   corrispondente   all'indennita'
integrativa speciale", di cui al secondo comma del medesimo articolo.
Delle due componenti dell'indennizzo l'amministrazione  provvede,  di
fatto, a rivalutare solamente la prima (che costituisce circa il 5  %
dell'intero  indennizzo).  Ne  deriva  quindi   che   l'importo   non
rivalutato  costituisce  il  95%  circa  dell'indennizzo  totale.  La
rivalutazione solo di una (minima) quota di indennizzo ha  comportato
e comporta una progressiva ed ingiustificata perdita di valore  delle
somme originariamente stabilite a titolo di indennizzo  dal  soggetto
danneggiato irreversibilmente da HIV, epatite post-trasfusionale o da
vaccinazione. 
    Esaminando la tabella utilizzata dal Ministero della  Salute  che
prevede la rivalutazione del solo "indennizzo in senso stretto di cui
alla  tab.  B"  (art.  2  primo  comma),  mantenendo   invece   fissa
l'ulteriore componente dell'indennizzo, si vede che in 17  anni,  dal
1992 al 2009 l'indennizzo mensile e' aumentato di soli 8 euro  (dalle
originarie & 542,20 alle attuali E 550,20). 
    In realta' l'indennizzo originario previsto  nel  1992  (& 542.20
mensili) ha perso in questi 17 anni circa 150 euro  mensili  a  causa
della svalutazione monetaria nel  frattempo  intervenuta,  posto  che
l'importo originariamente previsto a titolo di "somma  corrispondente
all'indennita' integrativa speciale ", e' rimasto fisso ad &  6171,96
annuali (corrispondenti ad & 1028,66 bimestrali), perdendo in  questi
17  anni &  2.246,55  e  di  fatto  riducendosi  a  quasi  la   meta'
dell'originario valore (& 3.924,45) a causa delle perdita del  potere
d'acquisto. 
    E' dunque evidente che rivalutando l'indennizzo  solo  in  minima
parte (meno del 5%)  si'  riduce  ingiustamente  l'originale  involto
capitale, erodendo progressivamente l'originario importo fissato  dal
legislatore a titolo di indennizzo. 
    Per altro, proprio al fine di preservare nel  tempo  l'originario
importo stabilito dal legislatore del 1992, la legge 238/97 (ma  gia'
prima  il   D.L.548/1996)   ha   introdotto   il   meccanismo   della
rivalutazione annuale dell'indennizzo secondo  il  T.I.P.  (Tasso  di
inflazione annualmente programmato, che e' in realta' inferiore  agli
indici ISTAT). La rivalutazione dell'indennizzo nella sua  globalita'
- secondo la voluntas legis - era 
    finalizzata a mantenerne inalterato nel tempo l'originario valore
fissato ex lege, trattandosi di un indennizzo vitalizio  che  assolve
imprescindibili  finalita'  assistenziali   a   favore   di   persone
gravemente  ammalate   a   causa   di   trasfusioni   di   sangue   e
somministrazione di emoderivati infetti, o vaccinazioni  obbligatorie
ed ha lo scopo di consentire a costoro di poter far fronte alle cure,
visite  specialistiche  ed  altresi'  per  sostenere  i  costi'   per
l'assistenza di cui necessitano. 
    L'art. 32 della Costituzione tutela  e  garantisce  diritto  alla
salute che, declinato nel  caso  in  esame,  impone  al  legislatore,
l'Osservanza del  criterio  di  equita'  ossia  ragionevolezza  degli
indennizzi. L'art. 11 comma  13  del  D.L.  78/2010  viola  la  norma
costituzionale in quanto cristallizza  l'importo  dell'indennizzo  ai
valori dei 1992 e ne determina la progressiva erosione a causa  della
svalutazione monetaria. Di fatto, dunque la norma citata  elimina  la
tutela prevista dall'art. 32 della Costituzione. 
    4) Per le medesime ragioni l'art. 11  comma  13  del  D.L.78/2010
viola anche l'art. 35 della C.E.D.U, "Protezione della Salute'',  che
considera la salute "bene  primario"  a  cui  garantire  "un  elevato
livello di protezione" nella definizione e nell'attuazione  di  tutte
le politiche e le attivita' dell'Unione". 
    5) L'art. 11 comma. 13 e 14 DL. 78/2010 pone inoltre in contrasto
con l'art. 117 comma 1 della Costituzione che impone il  rispetto  da
parte. del legislatore italiano dei vincoli derivati dell'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali. Come riconosciuto  dalla
Corte costituzionale con le sentenze n. 348 e 349 del 2007 e 311  del
2009 il contrasto di una norma nazionale con una norma  convenzionale
(nel caso specie gli artt.  2,  14,  35  CEDU),  si  traduce  in  una
violazione dell'art. 117 comma I Costituzione. 
    6) L'illegittimita' della normativa di cui alla  L.  122/2010  e'
altresi' nei confronti della  nostra.  Costituzione,  per  violazione
degli artt. artt.24, 25 I comma, 102, 104 111. 
    L'intervenuto  decreto  legge  poi  convertito  costituisce   una
ingerenza, del potere legislativo su quello giudiziario. 
    Parrebbe infatti lesa l'indipendenza e l'autonomia della funzione
giudiziaria(e conseguente violazione degli artt. 102, 104, 111  della
Costituzione), nonche' come venga  eluso  il  principio  del  giudice
naturale precostituito per legge (con violazione dell'art. 25 I comma
della Costituzione); infine viene leso il diritto del cittadino ad un
giusto processo, diritto tutelato anche dall'art. 6 CEDU e  47  Carta
UE e anche dall'art. 111 della Costituzione. 
    Inoltre, nel fare salve le pronunce  giurisdizionali  passate  in
giudicato emesse alla data di entrata in vigore della norma, crea una
disparita' ingiustificata di trattamento tra coloro  che  hanno  gia'
adito l'autorita' giudiziaria percorrendo tutti in gradi di  giudizio
ottenendo una pronuncia 
    favorevole alla rivalutazione (e  dunque  nel  concreto  maggiori
emolumenti economici),  e  coloro  che  sono  sub  iudice  in  questo
momento, ovvero non l'hanno ancora adito; o, peggio ancora, che hanno
ottenuto sentenze favorevoli tuttavia non passate in giudicato. 
    Sotto quest'ultirno aspetto, poi, la normativa  sopra  menzionata
si pone in contrasto con gli  artt.  3  e  24  Cost.,  poiche'  viene
sostanzialmente vanificato  il  diritto  del  cittadino  alla  tutela
giurisdizionale. 
    In questo caso  infatti  lo  ius  superveniens  non  soddisfa  le
richieste  degli   interessati   e   si   pone   in   contrasto   con
l'interpretazione giurisprudenziale ad essi favorevole, stabilendo di
fatto l'estinzione dei processi in corso (ovvero la soccombenza negli
stessi), e si opera cosi' da parte del  legislatore  una  sostanziale
vanificazione della via giurisdizionale, intesa quale mezzo  al  fine
dell'attuazione di un preesistente diritto; e' percio' da  ravvisarsi
la violazione del diritto di azione, di cui all'art. 24  cost.  (cfr.
Corte cost. n. 123/1987; n. . 103/1995, cit. e Cass.  2.5.1996,  ord.
in G.U. serie sp. 18.12.1996). 
    Sotto altro profilo, il dubbio di  Costituzionalita'  investe  la
normativa censurata per quanto concerne  l'estinzione  di  fatto  dei
giudizi pendenti, cui deve conseguire la compensazione delle spese, o
peggio, la condanna. del ricorrente. 
    Il contrasto si pone non solo con riguardo  agli  artt.  3  e  24
Cost.;  ma  anche  rispetto  agli  attt.102  e  113  Cost.,   poiche'
l'estinzione necessariamente automatica  di  tutti  pendenti  con  la
compensazione delle spese (ovvero addirittura  con  la  condanna  del
ricorrente, in quanto ex lege non si e' avuto il  riconoscimento  del
diritto e quindi una  soccombenza  virtuale  del  Ministero,  ma,  al
contrario, una  negazione  dello  stesso,  con  soccombenza  virtuale
dell'assistito), realizza una  illegittima  interferenza  del  potere
legislativo nella sfera della giurisdizione, non potendo  il  Giudice
neanche accertare pur sotto il profilo della soccombenza virtuale, se
sussistono i presupposto per la relativa declaratoria,  tenuto  conto
che la dichiarazione di estinzione del giudizio per cessazione  della
materia del contendere e' un fenomeno di carattere sostanziale e  non
meramente processuale che il giudice deve  poter  valutare  sotto  il
profilo della soccombenza virtuale. 
    D'altro lato, non potendo il  giudice  decidere  sulle  spese  in
senso favorevole al ricorrente  (in  quanto  soccombente),  la  legge
finisce col sopprimere il diritto dell'interessato, anche per il caso
di fondatezza  della  sua  domanda,  a  vedersi  tenuto  indenne  dal
pagamento, al proprio difensore, delle spese  processuali  sostenute,
anche se anticipate dall'avvocato, con la conseguente violazione  del
principio che le  spese  non  possono  gravare  sulla  parte  che  ha
ragione, (come nel caso delle spese gia' anticipate)  e  che  non  ha
dato causa al giudizio. 
    Per quanto sopra, non sembra lecito dubitare che la questione  di
legittimita' sollevata e' rilevante nel presente giudizio, sul  quale
e' destinata ad operare direttamente.