Sentenza 
 
nel giudizio per conflitto di attribuzione  tra  poteri  dello  Stato
sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del  22
febbraio 2000 relativa alla insindacabilita', ai sensi dell'art.  68,
primo comma, della Costituzione,  delle  opinioni  espresse  dall'on.
Costantino  Belluscio  nei  confronti  del  dott.  Salvatore  Senese,
promosso dalla Corte suprema di cassazione, prima sezione civile, con
ricorso notificato il 3 marzo 2010, depositato in cancelleria  il  16
marzo 2010 ed iscritto al n. 10 del  registro  conflitti  tra  poteri
dello Stato 2009, fase di merito. 
    Visti l'atto di costituzione della Camera dei  deputati,  nonche'
l'atto di intervento di Salvatore Senese; 
    Udito nell'udienza pubblica  del  30  novembre  2010  il  Giudice
relatore Paolo Grossi; 
    Uditi gli  avvocati  Giuseppe  Zupo  e  Giuseppina  Bevivino  per
Salvatore Senese e Roberto Nania per la Camera dei deputati. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con "ordinanza interlocutoria" del 17 marzo 2009,  la  Corte
di cassazione ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato in ordine alla  delibera  della  Camera  dei  deputati  del  22
febbraio 2000 con la quale l'Assemblea ha approvato la proposta della
Giunta per le autorizzazioni a procedere di dichiarare  che  i  fatti
per i quali e' in corso il procedimento di cui al doc. IV-quater,  n.
111,   concernono   opinioni   espresse   dall'onorevole   Costantino
Belluscio, deputato all'epoca dei  fatti,  nell'esercizio  delle  sue
funzioni, ai sensi del primo comma dell'art. 68 della Costituzione. 
    La Corte premette  che  il  dott.  Salvatore  Senese,  magistrato
all'epoca  dei  fatti  componente  del  Consiglio   superiore   della
magistratura, proponeva querela nei  confronti  dell'allora  deputato
Costantino Belluscio per aver pubblicato, tra l'agosto ed il novembre
1982, tre articoli sul periodico Ordine Pubblico, rispettivamente dal
titolo "Prima compagni e poi giudici", "Polizia? No,  grazie"  e  "Ma
quale giustizia...", e successivamente sui  quotidiani  L'Umanita'  e
Ragionamenti, nei quali, riportando in modo alterato le  affermazioni
contenute  in  un  suo   scritto   pubblicato   sul   volume   "Crisi
istituzionale  e  rinnovamento  della  giustizia",   aveva   lasciato
trasparire una posizione del medesimo querelante di favore e sostegno
a gruppi  eversivi  e  terroristici,  con  grave  lesione  della  sua
immagine di magistrato. In particolare, il Belluscio aveva  riportato
una frase del Senese «Il (nostro) disprezzo  per  le  istituzioni  e'
ormai  entrato  in   molte   coscienze   democratiche»,   inserendovi
l'aggettivo nostro non esistente nel testo  originale,  in  tal  modo
attribuendo al querelante un  atteggiamento  di  disprezzo  verso  le
istituzioni. Aveva inoltre trasformato la  sua  attenzione  verso  le
lotte sociali «non eversive, non violente e nemmeno  illegali»  nella
esaltazione di «forme di violenza che si erano espresse  in  scioperi
selvaggi,  in  occupazione   di   case,   nella   spesa   proletaria,
nell'autoriduzione di tariffe, cioe' in pratica  i  primi  fuochi  di
guerriglia». Aveva ancora commentato in uno degli articoli «Che  cosa
significa tutto cio', se non una copertura, ammantata da  motivazioni
sociologiche, del fenomeno terroristico? Le Brigate Rosse hanno forse
una filosofia diversa alla base  delle  loro  gesta?»,  omettendo  di
riportare la netta e non rituale  condanna  del  terrorismo  e  della
violenza politica che l'esponente aveva ribadito nel suo scritto. 
    Negata nel 1987 l'autorizzazione a procedere - all'epoca prevista
- da parte della Camera dei deputati, il procedimento, prima sospeso,
veniva  ripreso  una  volta  esaurito  il  mandato  parlamentare  del
Belluscio e veniva definito con sentenza della  Corte  di  cassazione
del 3 giugno  1993,  la  quale  dichiarava  estinto  per  intervenuta
prescrizione il reato di diffamazione. Il Senese  proponeva,  quindi,
domanda di risarcimento del danno in sede civile e  il  Tribunale  di
Roma, con sentenza del 4 aprile 2000, respingeva la  domanda  stessa.
Proposto appello, la Corte di appello di Roma, con  sentenza  del  29
settembre  2003,  in  parziale  riforma  della  decisione  impugnata,
respingeva la domanda di risarcimento, ma in virtu'  di  una  diversa
motivazione, assumendo a base di essa la circostanza  che  la  Camera
dei deputati, con delibera  del  22  febbraio  2000  -  prodotta  dal
Belluscio  costituendosi   in   appello   -   aveva   deliberato   la
insindacabilita'  delle  opinioni  espresse  dal  parlamentare  negli
scritti oggetto di causa.  La  Corte  territoriale,  in  particolare,
disattendeva la richiesta dell'appellante di sollevare  conflitto  di
attribuzione,  reputando  condivisibili  i  motivi   indicati   nella
delibera,  non   assumendo   rilievo   la   circostanza   che   nella
interrogazione parlamentare del Belluscio, menzionata nella  delibera
stessa, non fosse riportato il nome del Senese o di  altri  esponenti
della  corrente  associativa  della  magistratura  cui  il   medesimo
apparteneva e sulla quale il parlamentare aveva espresso una opinione
fortemente critica. Avverso la  sentenza  di  appello  il  Senese  ha
proposto ricorso per cassazione, contestando la sussistenza del nesso
funzionale tra attivita'  parlamentare  e  contenuto  degli  articoli
contestati, e denunciando, quindi, violazione degli artt.  68,  primo
comma,  24,  111,  sesto  comma,  e  134  Cost.,  nonche'  violazione
dell'art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti  dell'uomo
e omessa motivazione. 
    La Corte di cassazione, reputa, al contrario, di dover  sollevare
conflitto  di  attribuzione   in   riferimento   alla   delibera   di
insindacabilita' adottata dalla Camera dei deputati  il  22  febbraio
2000, nella quale e' stata approvata la proposta della Giunta per  le
autorizzazioni a procedere del 9 febbraio 2000,  doc.  IV-quater,  n.
111, non ritenendo configurabile, nella specie, il  nesso  funzionale
tra attivita' illecita extra  moenia  e  funzioni  parlamentari,  che
costituisce, secondo la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  «l'unico
saldo criterio desumibile dal primo comma dell'art. 68  Cost.».  Tale
requisito, infatti, presuppone, da un lato, che l'atto  esterno  deve
seguire di poco tempo il compimento degli atti parlamentari, cosi' da
svolgere  rispetto  ad  essi  funzione  divulgativa;  dall'altro,  la
necessaria corrispondenza di contenuto tra le opinioni  espresse  dal
parlamentare nell'esercizio delle sue  funzioni  e  le  dichiarazioni
esterne, non essendo sufficiente ne' una comunanza di argomenti,  ne'
il mero contesto politico  cui  possono  riferirsi  le  esternazioni.
Quanto al nesso temporale, lo stesso non ricorrerebbe  nella  specie,
in quanto gli articoli diffamatorii furono pubblicati tra l'agosto ed
il  novembre  1982,  mentre  gli  atti  parlamentari  di  riferimento
risalgono  al  30  giugno  ed  al  6  luglio  1982.  Neppure  sarebbe
ravvisabile una sostanziale  connessione  fra  articoli  e  attivita'
parlamentare, in quanto nella interrogazione  del  Belluscio  non  vi
sarebbe alcun riferimento alla persona del Senese, che all'epoca  era
componente del Consiglio superiore della magistratura. Anche il  piu'
ampio riferimento alle idee e convinzioni  politiche  di  magistrati,
contenuto nella replica al Ministro  dell'interno,  sono  rivolte  ai
magistrati padovani autori delle iniziative contro i  poliziotti  del
N.O.C.S.,  mentre  il  riferimento  alla  adesione  ideologica   alla
corrente di  Magistratura  democratica  non  sarebbe  automaticamente
ricollegabile alla persona del Senese, anche se di  quel  gruppo  era
autorevole esponente. 
    Gli scritti coperti dalla insindacabilita' non sarebbero, dunque,
ne' riproduttivi,  ne'  divulgativi  ne'  ripetitivi  delle  opinioni
espresse dal Belluscio in sede parlamentare, secondo la  rassegna  di
atti operata dalla  legge  30  giugno  2003,  n.  140,  inapplicabile
ratione  temporis,  ma  utilizzabile   sul   piano   esegetico,   ne'
risulterebbero ad essi riconducibili «le manifestazioni  di  protesta
dinnanzi al carcere di Peschiera e  l'inchiesta  giornalistica  delle
quali e' pure menzione nella delibera della  Giunta  approvata  dalla
Camera dei deputati». Per altro verso -  soggiunge  ancora  la  Corte
confliggente - il richiamo  contenuto  nella  delibera  allo  scontro
politico ed alle sue conseguenze, mutuato dall'atto con il quale  nel
1987 l'Assemblea aveva rifiutato la autorizzazione a procedere,  puo'
consentire di estendere  l'area  della  garanzia  costituzionale,  al
punto  da  fungere  da  «generica  liberatoria»  per  ogni  atto  del
parlamentare, «purche' connesso  allo  scontro  meramente  politico»,
generando, quindi, «una erronea valutazione dei presupposti richiesti
per il giudizio di insindacabilita'». 
    Da  tutto  cio'  la  denuncia  della  indebita  interferenza  del
Parlamento nelle  attribuzioni  della  autorita'  giudiziaria,  e  la
conseguente richiesta di declaratoria di  non  spettanza  del  potere
deliberativo esercitato con la deliberazione indicata in premessa. 
    2. - Il conflitto e' stato dichiarato ammissibile da questa Corte
con  ordinanza  n.  62  del  2010,  ritualmente   e   tempestivamente
notificata e depositata a cura della ricorrente. 
    3. - La Camera dei deputati si e' costituita depositando, assieme
all'atto  di  costituzione,  documenti  vari  e  chiedendo,  in   via
principale, dichiararsi inammissibile il conflitto, ed  in  subordine
dichiararsi  che  spetta  alla  Camera  dei  deputati  il  potere  di
dichiarare la insindacabilita', ai sensi dell'art. 68,  primo  comma,
Cost.,  in  relazione  alle  opinioni  espresse  dall'on.  Costantino
Belluscio, secondo  quanto  deliberato  dall'Assemblea  della  Camera
medesima in data 22 febbraio 2000. 
    La Camera,  dopo  ampia  narrativa  della  vicenda,  nella  quale
puntualizza che l'on. Belluscio e' di recente deceduto,  osserva,  in
via preliminare che, avuto riguardo al «motivato assenso espresso dal
giudice d'appello rispetto  alla  delibera  di  insindacabilita'»,  e
tenuto conto del fatto che, a norma dell'art. 360 cod. proc. civ., la
impugnazione in cassazione, a differenza  del  rimedio  dell'appello,
non ha effetto devolutivo, se ne deve dedurre che, in sede di ricorso
- ove lo scrutinio pertiene alla legittimita'  delle  sentenze  -  e'
inibito alla Corte  di  cassazione  procedere  a  quell'apprezzamento
diretto dei fatti che «integra il presupposto indispensabile ai  fini
del corretto esercizio del potere di sollevazione  del  conflitto  di
attribuzione   con   specifico   riferimento   alle    delibere    di
insindacabilita' ex art. 68, primo comma,  Cost.».  Cio'  perche'  la
«decisione  di  sollevare  conflitto  non  puo'  che  derivare  dalla
soluzione  della  quaestio  facti   riguardante   il   tenore   delle
dichiarazioni esterne ed i contenuti degli atti  parlamentari  tipici
al fine di appurare la sussistenza o meno del richiesto nesso che tra
di esse deve intercedere». In subordine, il  conflitto  -  deduce  la
Camera - dovrebbe comunque ritenersi infondato nel merito, alla  luce
dei  rilievi  posti  a  base  della  delibera  della  Giunta  per  le
autorizzazioni  a  procedere,  a   sua   volta   confermativa   delle
motivazioni che avevano indotto la Camera  a  negare,  a  suo  tempo,
l'autorizzazione  a  procedere  per  i  medesimi  fatti.   Viene   in
particolare richiamata - in merito alla  specifica  attivita'  svolta
dal parlamentare - una interrogazione (n. 3-06435 del  1982)  con  la
quale il medesimo, nello stigmatizzare l'operato dei magistrati circa
le iniziative giudiziarie adottate a seguito  della  liberazione  del
Generale Dozier, aveva chiesto «di conoscere in che modo  il  governo
si propone di contenere l'azione di noti magistrati politicizzati, la
cui azione  contrasta  con  i  principi  costituzionali  e  determina
legittimi dubbi  nella  certezza  del  diritto».  Si  richiama,  poi,
l'intervento svolto in  aula  dell'on.  Belluscio,  in  replica  alla
risposta fornita dal  rappresentante  del  governo  sulla  richiamata
interrogazione  parlamentare:  in  quella  circostanza,  infatti,  il
medesimo esprimeva  accenti  fortemente  critici  nei  confronti  dei
magistrati cosiddetti politicizzati;  facendo,  infatti,  riferimento
alla mozione di "Magistratura democratica" presentata e  discussa  al
"congresso dei magistrati  tenutosi  a  Mondovi'",  deduceva  che  «i
magistrati, le cui idee politiche o convinzioni filosofiche si ha  il
dovere,  in  una  democrazia,  di  rispettare  e  difendere,   devono
lasciare, proprio in una democrazia che  sia  consapevole,  matura  e
degna di questo nome, fuori dalla porta delle aule  della  giustizia,
queste stesse idee  e  queste  stesse  convinzioni  filosofiche».  Le
censure verso la magistratura "politicizzata" e in particolare  verso
la corrente di  "Magistratura  democratica"  erano  dunque  evidenti.
Errato sarebbe poi l'assunto della Corte ricorrente circa il lasso di
tempo  intercorso  tra  quegli  atti  e  le  dichiarazioni   esterne.
L'interrogazione, infatti, e' stata presentata il 30 giugno  1982  ma
svolta, a seguito di abbinamento, il 6 luglio 1982 e, in tale  ultima
data, vi e' stato l'intervento di replica.  Poco  prima,  dunque,  di
quando vi sono state le dichiarazioni  in  ipotesi  diffamatorie,  le
quali  hanno  avuto  inizio   l'agosto   di   quello   stesso   anno.
Contrariamente all'assunto della ricorrente, inoltre, non e' vero che
le dichiarazioni riguardassero le iniziative dei magistrati  padovani
connesse alla vicenda  Dozier,  giacche'  il  tema  centrale  era  la
"politicizzazione"  della  magistratura  e,  in  particolare,   della
corrente di "Magistratura democratica"  della  quale  il  Senese  era
esponente. Posizioni, quelle espresse da  tale  corrente,  che  erano
ritenute dal parlamentare «tanto piu' censurabili  in  considerazione
della  particolare  gravita'  della  situazione  del  paese   segnata
dall'offensiva terroristica contro le istituzioni». 
    Quanto, poi, al merito delle opinioni espresse extra moenia, cio'
che  rileverebbe  -  a  detta  della  Camera  -  e'  che  l'inchiesta
giornalistica nella quale  tali  opinioni  sono  confluite  mirava  a
sostenere la «impropria assunzione ed esternazione da parte di taluni
magistrati  di   orientamenti   politico-ideologici   necessariamente
estranei all'esercizio  della  funzione  giurisdizionale»:  un  tema,
dunque, perfettamente corrispondente al «contenuto critico degli atti
parlamentari» di cui si e' detto.  D'altra  parte,  quella  inchiesta
giornalistica era stata  effettuata  dietro  specifico  incarico  del
gruppo  parlamentare  di  appartenenza,  legittimando,  dunque,   una
estensione della sfera della immunita' ex art. 68 Cost. - avuto anche
riguardo a quanto stabilito dall'art. 3 della legge n. 140 del 2003 -
«al  contenuto  squisitamente  politico  del  compito  espletato  dal
deputato ed alla  sua  finalizzazione  allo  svolgimento  dell'azione
politico  parlamentare  del  gruppo  che  l'incarico  medesimo  aveva
conferito». Pretendere poi di desumere una estraneita' di oggetto tra
dichiarazioni extra moenia e atti tipici  dalla  circostanza  che  il
Senese sarebbe stato qualificato «come persona collaterale o vicina a
movimenti  terroristici»,  come  ha  fatto   la   Corte   ricorrente,
equivarrebbe a far assurgere la posizione e la  tesi  della  parte  a
parametro di delibazione  della  sussistenza  del  nesso  funzionale,
quando, in ipotesi,  le  medesime  conclusioni  si  sarebbero  potute
trarre direttamente dagli atti parlamentari innanzi evocati. 
    4. - Nel giudizio per conflitto ha depositato atto di  intervento
la parte privata, dott. Salvatore Senese, rappresentato e difeso come
in atti. Dopo aver sottolineato la sussistenza dei  presupposti  che,
alla  luce  della  giurisprudenza  di   questa   Corte,   legittimano
l'intervento, nel giudizio per  conflitto  tra  poteri  dello  Stato,
delle  parti  attrici  nei   giudizi   comuni   di   responsabilita',
l'interveniente ripercorre analiticamente i vari passaggi,  quanto  a
ricostruzione della vicenda per la quale e' causa,  e  prospettazioni
in diritto,  svolti  dalla  Corte  di  cassazione  nel  provvedimento
introduttivo del conflitto. Nel ribadire,  in  particolare,  i  punti
alla luce dei quali la  Corte  ha  ritenuto  insussistente  il  nesso
funzionale  tra   le   opinioni   espresse   dall'on.   Belluscio   e
l'interrogazione parlamentare e gli altri atti su cui si  e'  fondata
la  deliberazione  di   insindacabilita',   l'interveniente   formula
richiesta adesiva a quella gia' rassegnata dalla Corte ricorrente. 
    5. - In prossimita' della udienza, la parte privata ha depositato
memoria nella quale, dopo  aver  richiamato  i  fatti  e  la  vicenda
processuale posti a base del conflitto, ha svolto considerazioni tese
a contrastare i rilievi prospettati dalla  Camera  dei  deputati  nel
proprio atto di intervento. Quanto alla ammissibilita' del conflitto,
infatti, si contesta la tesi secondo la quale la Corte di  cassazione
sarebbe priva della specifica legittimazione per sollevare conflitto,
sul rilievo che il tema della insindacabilita' aveva formato  oggetto
di ricorso,  risultando,  poi,  destituito  di  fondamento  l'assunto
relativo agli accertamenti di fatto inibiti alla Corte di cassazione,
in quanto per un verso  i  fatti  sono  incontestati  e  sotto  altro
profilo perche' a seguire tale tesi la Cassazione  non  potrebbe  mai
sollevare conflitto. Nel merito, si ribadisce  la  estraneita'  delle
affermazioni  in  ipotesi  diffamatorie  rispetto  agli  atti  tipici
evocati dalla Camera, nei quali non si fa menzione della persona  del
Senese, e l'impossibilita' di richiamare  una  sorta  di  "copertura"
degli articoli in contestazione in virtu' dell'incarico conferito  al
deputato Belluscio dal gruppo parlamentare, posto che a tale incarico
non puo' annettersi portata scriminante. 
    6. - Ha infine depositato memoria anche la Camera  dei  deputati,
la quale, nel sottolineare il lungo tempo trascorso dalla  originaria
reiezione  di   autorizzazione   a   procedere,   osserva   come   la
ammissibilita'  del  conflitto  sia  compromessa  dalla  esigenza  di
certezza   e   definitivita'   dei   rapporti,   ormai    da    tempo
cristallizzatisi. Nel  merito,  rileva  come  debba  essere  ritenuto
ininfluente il fatto che negli atti  tipici  non  sia  menzionata  la
persona del dott. Senese, posto che ai  fini  della  insindacabilita'
non e' necessario che vi sia «la specifica indicazione nominativa del
destinatario, o dei destinatari, delle  opinioni  critiche»  espresse
dal parlamentare. Nel  caso  di  specie,  rileva  conclusivamente  la
memoria, l'ambito dei destinatari  della  critica,  tra  i  quali  va
annoverata l'odierna parte privata,  e'  agevolmente  identificabile,
cosi' come lo e' la  sostanziale  identita'  tra  la  critica  svolta
all'interno ed all'esterno del Parlamento. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - La Corte di cassazione solleva conflitto di attribuzione tra
poteri dello Stato in riferimento alla deliberazione  adottata  dalla
Camera dei deputati il 22 febbraio 2000, con la quale l'Assemblea  ha
approvato la proposta della Giunta per le autorizzazioni a  procedere
di dichiarare che i fatti per i quali e' in corso il procedimento  di
cui  al  doc.  IV-quater,  n.  111,  concernono   opinioni   espresse
dall'onorevole Costantino Belluscio, deputato  all'epoca  dei  fatti,
nell'esercizio delle sue funzioni,  e,  come  tali,  insindacabili  a
norma dell'art. 68, primo comma, della Costituzione. La  Corte,  dopo
aver rammentato che il dott. Salvatore Senese,  magistrato  all'epoca
componente del Consiglio superiore della magistratura, aveva proposto
querela nei confronti dell'on. Belluscio  per  aver  pubblicato,  tra
l'agosto ed il novembre  1982,  tre  articoli  sul  periodico  Ordine
Pubblico  reputati  diffamatorii,  e  che   in   relazione   a   tale
procedimento penale era stata negata  l'autorizzazione  a  procedere,
prevista  dall'art.  68  Cost.,  nel   testo   allora   vigente,   ha
sottolineato che, ripreso il procedimento dopo  che  l'on.  Belluscio
aveva cessato di far  parte  del  Parlamento,  lo  stesso  era  stato
definito con sentenza  che  aveva  dichiarato  estinto  il  reato  di
diffamazione per intervenuta prescrizione. Proposta, dunque,  domanda
risarcitoria in sede civile da parte del dott.  Senese,  il  relativo
procedimento era poi pervenuto davanti alla Corte di  cassazione,  la
quale aveva ritenuto di sollevare conflitto tra poteri dello Stato in
riferimento alla richiamata delibera di insindacabilita', sul rilievo
che, nella specie, non sarebbe ravvisabile il nesso funzionale tra la
pubblicazione  degli  articoli  in  contestazione   e   le   funzioni
parlamentari; nesso  che  rappresenta  -  dopo  le  modifiche  subite
dall'art. 68 Cost. e secondo quanto ritenuto dalla giurisprudenza  di
questa Corte - l'indispensabile presupposto per ritenere assoggettate
alla garanzia costituzionale della insindacabilita' anche le opinioni
espresse extra moenia dai membri del Parlamento. 
    2.   -   Va   preliminarmente   disattesa   la    eccezione    di
inammissibilita', formulata dalla Camera dei deputati sul rilievo che
la Corte di cassazione, la quale  sarebbe  investita  da  un  rimedio
impugnatorio privo di effetto devolutivo,  non  sarebbe  legittimata,
per il ruolo che le e' attribuito dall'ordinamento, a procedere ad un
accertamento dei fatti che consenta di  apprezzare  il  tenore  delle
dichiarazioni esterne ed il contenuto degli atti parlamentari tipici,
dal cui raffronto deve scaturire la decisione  se  sollevare  o  meno
conflitto. 
    Al lume della giurisprudenza di questa Corte, il "tema"  relativo
alla legittimita' della deliberazione  con  la  quale  il  Parlamento
dichiara che le opinioni espresse extra moenia da un suo  membro  non
sono sindacabili a norma dell'art. 68, primo comma, Cost.,  non  puo'
ritenersi affatto una semplice  quaestio  facti  inibita  al  giudice
della  legittimita',  giacche'  il  perimetro  entro  il  quale  deve
svolgersi  la  relativa  delibazione  -  funzionale  alla  scelta  se
sollevare o meno  il  conflitto  -  non  coinvolge  un  giudizio  sul
"merito" della causa (concernente il quesito se le opinioni  espresse
dal  parlamentare  abbiano  o  meno  portata  lesiva   della   altrui
onorabilita'), ne' sui "fatti" posti a fondamento di  quel  "merito".
Infatti, il sindacato sul corretto uso del potere  di  dichiarare  la
insindacabilita' ex art. 68 Cost. da parte del Parlamento e'  -  come
risulta evidente - un giudizio di diritto, del tutto compatibile  con
le attribuzioni  spettanti  a  qualsiasi  organo  giurisdizionale,  a
qualunque "grado" esso appartenga secondo la "piramide"  processuale,
ivi compresa, dunque - e per certi aspetti a fortiori - la  Corte  di
cassazione,  avuto  riguardo  proprio  alla  funzione  di  organo  di
legittimita' e di nomofilachia che l'ordinamento le attribuisce. 
    Del  pari,  si  rivela  privo  di   consistenza   l'argomento   -
prospettato dalla difesa della Camera nella piu'  recente  memoria  -
secondo  il  quale  la  delibera  di  insindacabilita'   oggetto   di
impugnativa non sarebbe altro che la sostanziale  reiterazione  della
precedente delibera con la quale era stata negata l'autorizzazione  a
procedere secondo il previgente  testo  dell'art.  68  Cost.  Con  la
conseguenza che, avendo la  prima  decisione  gia'  prodotto  i  suoi
effetti, la stessa  dovrebbe  ormai  considerarsi  irretrattabile,  a
salvaguardia della «"certezza e definitivita' dei rapporti" che opera
in materia». A contrastare tale assunto basta infatti rilevare che  i
due  istituti  posti  a  raffronto  -  vale  a  dire  la   previgente
autorizzazione  a  procedere,  da  un  lato,   e   la   delibera   di
insindacabilita' dall'altro - si presentano fra loro come  del  tutto
diversificati, sicche' la mancanza  della  autorizzazione,  e  dunque
l'esistenza di un vincolo di improcedibilita' - destinato ad  operare
finche' non cessi il mandato  parlamentare  -  non  puo'  determinare
alcun effetto sul versante della dichiarazione  di  insindacabilita',
che  opera,  invece,  sul   diverso   profilo   "sostanziale"   della
preclusione alla azione. 
    3. - Nel merito, il ricorso della Corte di cassazione e' fondato. 
    Secondo quanto puntualizza  il  ricorso,  infatti,  il  contenuto
delle frasi riferite all'attore - e  per  le  quali  quest'ultimo  si
duole - evoca il  diretto  coinvolgimento  della  persona  del  dott.
Senese in opinioni critiche nei confronti delle istituzioni  e  nella
esaltazione di "forme di violenza" riguardate in termini di copertura
ideologica del terrorismo; frasi ed opinioni, peraltro,  che  non  si
pongono  in  termini  di  sostanziale  corrispondenza   rispetto   al
contenuto di atti  tipici  concretamente  riferibili  alla  attivita'
parlamentare svolta  dall'on.  Belluscio  in  periodo  antecedente  e
prossimo a quello cui  si  riferiscono  gli  articoli  oggetto  della
domanda risarcitoria. Infatti, mentre i riferimenti al  dott.  Senese
risultano diretti alla persona, piuttosto che riguardare una corrente
della magistratura, gli atti parlamentari evocati  dalla  Camera  dei
deputati a sostegno della  deliberazione  di  insindacabilita'  -  in
particolare  rappresentati  da  una  replica  ad  una  interrogazione
parlamentare svolta in aula il 7 luglio 1982 - traggono origine e  si
inseriscono nelle polemiche insorte a seguito delle  note  iniziative
giudiziarie  che  riguardarono   alcuni   appartenenti   alle   forze
dell'ordine intervenuti in occasione della liberazione  del  Generale
Dozier, con particolare riferimento ai  magistrati  di  Padova,  alla
loro ideologia politica ed alla corrente di Magistratura democratica.
Pertanto,   la   successiva   "inchiesta   giornalistica",   che   il
parlamentare aveva attivato - secondo quanto  puntualizza  la  Camera
dei deputati - su mandato del suo gruppo parlamentare, riguardando il
tema generale della "magistratura politicizzata" e,  in  particolare,
la  corrente  di  Magistratura   democratica,   poteva   dirsi   solo
genericamente correlato a quello riguardante i  fatti  scaturiti  dal
sequestro Dozier,  senza  integrare,  dunque,  il  presupposto  della
sostanziale identita' di contenuti rispetto ai "temi" trattati  negli
scritti riguardanti la persona del dott. Senese. 
    4. - Avuto riguardo, pertanto, agli approdi cui e'  pervenuta  la
giurisprudenza di questa Corte, costante nell'affermare che, ai  fini
del riconoscimento della prerogativa della  insindacabilita'  di  cui
all'art.  68,  primo  comma,  Cost.  e'  necessaria  una  sostanziale
corrispondenza tra le opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni
parlamentari e atti esterni, non essendo  sufficienti  ne'  una  mera
comunanza di argomenti ne' un mero contesto  politico  cui  le  prime
possano riferirsi (tra le tante, sentenza n. 420 del 2008),  consegue
che la deliberazione della Camera dei deputati  oggetto  del  ricorso
per conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato  e'  stata
adottata in violazione dell'art. 68, primo comma, della Costituzione,
ledendo le attribuzioni della  autorita'  giudiziaria  ricorrente,  e
deve, pertanto, essere annullata.