Sentenza 
 
nel giudizio per conflitto di attribuzione  tra  poteri  dello  Stato
sorto a seguito della deliberazione del Senato della  Repubblica  del
22 luglio 2009 (Doc. IV-ter, n. 11),  relativa  all'insindacabilita',
ai  sensi  dell'art.  68,  primo  comma,  della  Costituzione,  delle
opinioni espresse dal senatore Francesco Storace  nei  confronti  del
dott.  Henry  John  Woodcock,  promosso  dal   Giudice   dell'udienza
preliminare del Tribunale ordinario di Roma con ricorso notificato il
16 aprile 2010,  depositato  in  cancelleria  il  7  maggio  2010  ed
iscritto al n. 12 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2009,
fase di merito. 
    Visto l'atto di costituzione del Senato della Repubblica; 
    Udito nell'udienza pubblica  del  23  febbraio  2011  il  Giudice
relatore Paolo Maddalena; 
    Udito l'avvocato Beniamino Caravita  di  Toritto  per  il  Senato
della Repubblica. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ricorso depositato  il  24  novembre  2009,  il  Giudice
dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Roma ha  proposto
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato  nei  confronti  del
Senato della Repubblica per sentir dichiarare, da questa  Corte,  che
non spetta al Senato medesimo affermare che i fatti  per  cui  e'  in
corso procedimento penale, dinanzi ad esso GUP, a carico di Francesco
Storace, senatore all'epoca dei fatti, concernono  opinioni  espresse
nell'esercizio delle sue  funzioni,  ai  sensi  dell'art.  68,  primo
comma, della Costituzione, e, conseguentemente, per vedere  annullata
la relativa deliberazione adottata nella seduta del  22  luglio  2009
(Doc. IV-ter, n. 11). 
    Il ricorrente espone che il procedimento penale ha avuto  origine
dalla querela sporta dal magistrato Henry  John  Woodcock,  sostituto
procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Potenza,  per  il
reato  di  diffamazione  a  mezzo  stampa,  in  riferimento  ad   una
intervista  rilasciata  da  Francesco  Storace   e   pubblicata   sul
quotidiano La Repubblica in data 19 giugno 2006, dal titolo «Gossip e
vendetta contro di noi». 
    Tale intervista - si sostiene nel  ricorso  -  «si  inseriva  nel
contesto  del  grande  clamore  suscitato  dalla  divulgazione  delle
risultanze  di  una   indagine   penale»,   condotta   dall'anzidetto
magistrato, «che aveva coinvolto Vittorio Emanuele di  Savoia  e  che
aveva poi determinato la trasmissione degli atti alla Procura di Roma
per competenza in relazione alle indagini che interessavano  a  vario
titolo alcuni esponenti del partito di Alleanza Nazionale». 
    L'imputazione nei confronti dell'allora senatore Storace era  del
delitto di diffamazione aggravata commessa con il mezzo della  stampa
per  aver  offeso,  con  attribuzione  di   fatti   determinati,   la
reputazione dell'anzidetto magistrato, «mettendo in dubbio  [...]  la
correttezza,  l'imparzialita'  e  la  serenita'   di   giudizio   del
medesimo». 
    Il giudice confliggente evidenzia,  ancora,  che,  a  seguito  di
eccezione avanzata dalla difesa dell'imputato ex art. 3  della  legge
20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per  l'attuazione  dell'articolo
68 della Costituzione nonche'  in  materia  di  processi  penali  nei
confronti delle alte cariche dello Stato), gli atti del  procedimento
penale erano stati trasmessi al Senato della Repubblica. 
    Nella  seduta  del  22  luglio  2009,  l'Assemblea  del   Senato,
approvando la proposta della Giunta delle elezioni e delle  immunita'
parlamentari, deliberava l'insindacabilita', ai sensi  dell'art.  68,
primo comma, Cost., delle dichiarazioni rese  da  Francesco  Storace,
senatore all'epoca dei fatti, nel corso della anzidetta intervista. 
    Il ricorrente pone in rilievo che la Giunta, nella sua relazione,
auspica un mutamento della giurisprudenza costituzionale  in  materia
di insindacabilita' parlamentare, tale da  valorizzare  il  "contesto
politico-parlamentare" in cui il fatto oggetto di  incriminazione  si
colloca e, nella specie, la circostanza che la «inchiesta  cosiddetta
gossip investi' pesantemente l'intero panorama politico italiano»; di
qui, secondo la medesima Giunta, la sussistenza del nesso  funzionale
tra le dichiarazioni extra moenia  rese  dal  senatore  Storace  «sul
fatto politico del giorno» e la sua funzione di parlamentare. 
    Ad avviso del ricorrente, non risulterebbe,  invece,  «che  alcun
dibattito in sede  parlamentare  si  sia  svolto  in  relazione  alla
indagine in questione, ne' che siano state discusse mozioni  o  altre
iniziative parlamentari sempre con riferimento a tale  vicenda»,  non
essendo   sufficiente   «il   clamore   suscitato   dalla   inchiesta
giudiziaria» a far assimilare le opinioni espresse da un parlamentare
sul   "fatto   politico   del   giorno"   alle   opinioni    espresse
«nell'esercizio delle sue funzioni istituzionali». 
    Pertanto,  il  Giudice  dell'udienza  preliminare  del  Tribunale
ordinario di Roma sostiene  che  «le  opinioni  espresse  dall'allora
senatore Storace attengano unicamente alla sua veste di uomo politico
e  non  anche  all'esercizio  delle   sue   funzioni   di   senatore,
inquadrandosi  perfettamente  nella  linea  di  difesa  del   partito
politico di appartenenza, che si assume nello specifico ingiustamente
aggredito  da  una  inchiesta  giudiziaria  asseritamente  mossa   da
finalita' ed  obiettivi  politici,  ma  senza  che  rispetto  a  tali
opinioni esista la benche' minima correlazione con l'esercizio  delle
funzioni parlamentari». 
    Dunque, in assenza di atti tipici del parlamentare su  cui  poter
fondare,  nella  specie,  l'esistenza  di  un  collegamento  tra   le
dichiarazioni extra moenia e la funzione parlamentare, il  ricorrente
denuncia  la  menomazione  della  propria  sfera   di   attribuzione,
costituzionalmente garantita, in conseguenza dell'adozione, da  parte
del Senato, della indicata deliberazione. 
    2. - Il conflitto e' stato dichiarato ammissibile da questa Corte
con l'ordinanza n. 130 dell'8 aprile 2010. 
    A seguito  di  essa,  il  Giudice  dell'udienza  preliminare  del
Tribunale di Roma ha notificato il ricorso e  l'ordinanza  al  Senato
della Repubblica in data 16 aprile 2010 ed  il  successivo  7  maggio
2010  ha  depositato  tali   atti,   con   la   prova   dell'avvenuta
notificazione. 
    3. - Si e' costituito in giudizio  il  Senato  della  Repubblica,
chiedendo  che  il  conflitto  venga   dichiarato   inammissibile   e
infondato. 
    La difesa del Senato premette che  il  rapporto  tra  politica  e
magistratura da lungo tempo costituisce un nodo irrisolto del  nostro
sistema istituzionale. Questo  fa  si'  che  esso  appartenga,  ormai
naturalmente, al dibattito  politico  e  sia,  dunque,  centrale  nel
libero svolgimento della competizione tra le  varie  forze  politiche
rappresentative della societa' civile. 
    Nel   ripercorre   la   ratio    sottesa    all'istituto    della
insindacabilita' dei parlamentari, il Senato osserva che  il  diritto
del parlamentare a  svolgere  la  sua  funzione  con  la  piu'  ampia
liberta',  diritto  strettamente  funzionale  alla  creazione  e   al
mantenimento del raccordo tra la societa' e  la  decisione  politica,
non puo' trovare concreta attuazione senza la certezza che attorno al
parlamentare sia garantito un adeguato spazio di protezione  che  gli
consenta di respingere quegli attacchi  che  si  pongono  l'obiettivo
specifico di minare l'indipendenza e la funzionalita' del Parlamento. 
    Secondo  la  difesa  del  Senato,  dato   l'inscindibile   legame
funzionale tra esercizio del  mandato  parlamentare  e  funzionamento
complessivo del sistema politico,  la  tutela  della  piena  liberta'
dell'attivita' del parlamentare deve  necessariamente  riguardare  un
ambito piu' ampio della sola discussione parlamentare (essendo  ormai
superata una limitazione di tipo spaziale). 
    Richiamate, in particolare, le sentenze di questa  Corte  n.  379
del 1996 e n. 417 del 1999, nella  memoria  si  rileva  che,  poiche'
l'istituto  dell'insindacabilita'  per  le   opinioni   espresse   e'
strettamente  connesso   al   libero   svolgimento   della   funzione
rappresentativa, lo stesso non puo' non modellarsi attorno alle nuove
e mutevoli forme della rappresentanza politica,  che  non  si  svolge
piu' solo nelle aule parlamentari, ma sempre  piu'  al  di  fuori  di
esse,  soprattutto  con  l'ausilio  dei  mass-media.   Pertanto,   il
sindacato  che  la  Corte  e'  chiamata  a  compiere   per   valutare
l'esistenza di una ragionevole motivazione fornita alla deliberazione
di  insindacabilita'  approvata  dalla  Camera  di  appartenenza  del
parlamentare, non puo'  prescindere  dalla  considerazione  del  piu'
ampio e complesso quadro all'interno del quale, allo  stato  attuale,
si svolge l'esercizio del mandato parlamentare. 
    Ed infatti, un apprezzamento che si limitasse ad un mera verifica
della corrispondenza (o addirittura della  identificazione)  con  gli
atti  tipici  e  tipizzati  della   funzione   parlamentare   sarebbe
fortemente riduttivo e svilirebbe la funzione che deve essere assolta
dalla    insindacabilita'    parlamentare    nell'attuale     assetto
costituzionale e politico. Esso,  infatti,  oltre  a  riproporre  una
concezione ormai superata per la quale solo le opinioni  puntualmente
riproduttive  di  quelle   espresse   in   sede   parlamentare   sono
qualificabili  come  vera  attivita'  parlamentare,   finirebbe   con
l'eludere del tutto il collegamento tra le prerogative costituzionali
del mandato parlamentare e la liberta' del processo politico, che  si
sviluppa attraverso dinamiche del  principio  rappresentativo  sempre
piu' articolate e dalle potenzialita' non rigidamente definibili. 
    In questa prospettiva, le dichiarazioni rilasciate a mezzo stampa
dal senatore Storace non sarebbero altro che  attivita'  di  denuncia
pubblica delle particolari modalita' -  ritenute  non  conformi  alla
imparzialita' e all'indipendenza della magistratura  -  di  esercizio
della funzione inquirente da parte di un pubblico ministero.  Per  di
piu', come riconosce lo  stesso  ricorso  introduttivo  del  presente
giudizio, l'intervista avrebbe ad  oggetto  "il  fatto  politico  del
giorno", su cui si era aperto, ed andava avanti da  mesi,  un  vivace
confronto non solo  a  livello  politico,  ma  anche  nella  societa'
civile. 
    Al riguardo, la difesa del Senato richiama: l'articolo pubblicato
su Il Giornale del 19 giugno 2006, dal titolo «Fini contro  Woodcock:
deve cambiare mestiere», in cui l'allora leader di AN  denunciava  la
fantasia investigativa di Woodcock; la nota riservata  della  Procura
generale presso la Cassazione datata 9 maggio 2006, che  annuncia  al
CSM l'istruttoria disciplinare nei confronti di Woodcock, di  cui  si
da'  conto  in  un  articolo  del  Giornale  del  27   giugno   2006;
l'interrogazione presentata in data 27 giugno 2006 (atto n.  2-00014)
dal senatore Francesco Cossiga all'allora Ministro  della  giustizia,
nella quale si chiede se fosse vero che la Sezione  disciplinare  del
CSM, investita  proprio  del  procedimento  riguardante  il  pubblico
ministero   Woodcock,   per   istruzioni   ricevute   dai   dirigenti
dell'Associazione nazionale Magistrati avrebbe deciso di  sospenderne
l'esame «per non indebolire la  Magistratura  nel  confronto  con  la
classe politica»; la richiesta avanzata al  CSM  da  parte  del  Capo
dello Stato, in veste di Presidente, di ottenere un  quadro  completo
delle pratiche riguardanti il  pubblico  ministero  Woodcock  (v.  Il
Giornale del 20  giugno  2006,  "Il  Quirinale  vuole  'indagare'  su
Woodcock", e La Repubblica del  21  giugno  2006,  "Il  CSM  invia  a
Napolitano il fascicolo su Woodcock");  ancora,  la  segnalazione  di
violazione formale inviata al CSM in data 20 giugno  dal  Procuratore
capo di  Potenza  per  alcune  presunte  irregolarita'  compiute  dal
sostituto Woodcock di cui si da' conto su Il Corriere della Sera e su
La Repubblica del 26 giugno 2006. 
    L'intervista rilasciata dal senatore Storace su La Repubblica  il
19 giugno  2006  si  inserirebbe  perfettamente  nel  contesto  della
discussione politica del momento, che non poteva certo privarsi delle
opinioni - anche espresse con forme particolari - di quegli esponenti
politici  che,  per  il  ruolo  ricoperto,  assolvevano  la  funzione
fondamentale di creazione del  consenso.  La  denuncia  del  senatore
Storace  sarebbe   dunque   piena   manifestazione   della   funzione
parlamentare, cioe' espressione  di  rappresentativita'  e  volta  al
consolidamento del processo di decisione  politica.  Ragion  per  cui
essa, a prescindere dal raccordo diretto e  immediato  con  attivita'
parlamentari tipiche, non potrebbe essere sottratta  all'operativita'
dell'art. 68, primo comma, Cost. 
    La funzione del parlamentare - osserva la difesa del Senato - ben
puo' consistere in una pubblica  denuncia,  senza  che  questa  debba
assumere    particolari     forme     per     rientrare     nell'area
dell'insindacabilita': e' sufficiente  che  rimanga  nei  limiti  del
controllo  che  il  rappresentante  del   popolo   puo'   esercitare,
specialmente   attraverso   la   pubblica   denuncia    dei    fatti,
sull'attivita' degli altri poteri  dello  Stato.  Se  si  negasse  la
legittimita' di queste critiche, verrebbe meno uno degli aspetti piu'
significativi  del  mandato  politico,  che  esprime   rappresentanti
interposti tra la comunita' e  gli  apparati,  con  una  funzione  di
cerniera,  tale  da  assicurare  la  continuita'  del   collegamento,
indispensabile   per   dare   reali   contenuti   alle    istituzioni
democratiche. Se il parlamentare non potesse denunciare  all'opinione
pubblica, con le forme e le modalita' che  ritiene  piu'  consone  al
raggiungimento del consenso, che l'iniziativa e il modus operandi  di
alcuni pubblici ministeri risultano - a suo giudizio -  orientati  in
una certa direzione, verrebbe meno una  garanzia  essenziale  per  il
reale svolgimento del suo mandato rappresentativo e politico. 
    Le  opinioni  espresse  dal  senatore  Storace  gia'   andrebbero
scriminate in quanto rientranti pienamente tra quelle di critica  che
qualunque cittadino puo' liberamente manifestare. In aggiunta a cio',
esse presenterebbero quelle caratteristiche  tipiche  delle  garanzie
dovute ai sensi  dell'art.  68,  primo  comma,  Cost.  a  favore  dei
parlamentari:   si   tratta,   infatti,   di   dichiarazioni    fatte
nell'esercizio  del  diritto,  tipico  di  ciascun  parlamentare,  di
criticare le disfunzioni  di  qualsiasi  istituzione,  concorrendo  a
determinare la  formazione  della  volonta'  da  parte  dell'opinione
pubblica e quindi del corpo elettorale. 
    La difesa del Senato sollecita un  nuovo  approccio  rispetto  al
sindacato costituzionale sulle opinioni dai parlamentari, che  superi
lo stretto ancoraggio all'individuazione del nesso  funzionale  della
pregressa attivita' parlamentare. Nel caso di  specie,  tra  l'altro,
l'assenza di precedente attivita' parlamentare tipica  troverebbe  la
sua giustificazione, per un verso, nel fatto che  la  legislatura  in
cui Storace e' stato eletto senatore  della  Repubblica  (la  XV)  e'
iniziata il 28 aprile 2006, quindi  appena  un  mese  e  mezzo  prima
dell'intervista incriminata;  per  l'altro,  nella  circostanza  che,
nella legislatura precedente, il predetto non esercitava  il  mandato
parlamentare. 
    La soluzione del conflitti tra poteri dello  Stato,  come  quello
qui in  esame,  dovrebbe  avvenire  sulla  scorta  della  valutazione
effettiva e concreta, che non escluda anche un giudizio  sulla  reale
lesivita'   delle   opinioni   contestate   al   parlamentare   delle
dichiarazioni espresse dal medesimo rispetto alla reale portata della
funzione parlamentare all'interno del quadro costituzionale. 
    Secondo la difesa del Senato, ove si richieda una  corrispondenza
delle dichiarazioni incriminate rispetto  alla  precedente  attivita'
parlamentare dell'allora senatore  Storace,  essa  non  potrebbe  che
riscontrarsi rispetto all'attivita' svolta dal gruppo parlamentare di
appartenenza  (gruppo  di  Alleanza  Nazionale)  -  quale  principale
modalita'  di  organizzazione  delle  forze  politiche  in  seno   al
Parlamento (Corte cost., sentenza  n.  298  del  2004)  -  anche  con
riferimento alla legislatura precedente. E - sotto questo  profilo  -
nella memoria si ricorda che l'attivita' inquirente posta  in  essere
dal sostituto  procuratore  di  Potenza,  dott.  Woodcock,  e'  stata
ampiamente trattata quale oggetto di sindacato ispettivo da parte dei
deputati e senatori di Alleanza Nazionale. 
    4. - In prossimita' dell'udienza,  la  difesa  del  Senato  della
Repubblica  ha  depositato  una  memoria  illustrativa,  nella  quale
ribadisce che le dichiarazioni in questione  rientrerebbero  a  pieno
titolo nell'ambito di operativita' dell'art. 68, primo  comma,  Cost.
per due ordini di ragioni: perche' sono piena espressione del  libero
mandato parlamentare; perche' riproducono posizioni espresse in  piu'
riprese  da  atti  parlamentari  tipici,  seppur   non   direttamente
riconducibili al senatore Storace, bensi' al gruppo  parlamentare  di
appartenenza. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale  ordinario
di Roma contesta che spettasse al Senato della Repubblica deliberare,
nella seduta del 22 luglio 2009 (doc. IV-ter, n. 11), che i fatti per
i quali e' in corso il procedimento penale nei confronti di Francesco
Storace,  senatore  all'epoca  dei  fatti,  imputato  del  reato   di
diffamazione aggravata a mezzo stampa in danno del  magistrato  Henry
John Woodcock,  riguardavano  opinioni  espresse  da  un  membro  del
Parlamento  nell'esercizio  delle  funzioni  parlamentari  ed   erano
pertanto insindacabili ai sensi del primo comma  dell'art.  68  della
Costituzione. 
    2. - Deve, preliminarmente, essere ribadita l'ammissibilita'  del
conflitto, sussistendone i presupposti soggettivi ed oggettivi,  come
gia' ritenuto da questa Corte con l'ordinanza n. 130 del 2010. 
    3. - Nel merito, il ricorso e' fondato. 
    Secondo  la  costante  giurisprudenza  di   questa   Corte,   per
l'esistenza di un nesso funzionale tra le  dichiarazioni  rese  extra
moenia da un parlamentare e  l'espletamento  delle  sue  funzioni  di
membro del Parlamento  -  al  quale  e'  subordinata  la  prerogativa
dell'insindacabilita' di cui all'art. 68, primo  comma,  Cost.  -  e'
necessario che tali dichiarazioni possano  essere  identificate  come
espressione dell'esercizio di attivita' parlamentare (tra  le  molte,
sentenze n. 301 del 2010, n. 420, n. 410, n. 134 e n. 171  del  2008,
n. 11 e n. 10 del 2000). 
    Nella specie, la relazione della Giunta delle  elezioni  e  delle
immunita' parlamentari non indica atti parlamentari tipici  anteriori
o contestuali alle dichiarazioni  in  esame,  compiuti  dallo  stesso
senatore, ai quali, per il loro contenuto, possano essere riferite le
opinioni oggetto di conflitto. 
    La  difesa  del  Senato  sostiene  che  l'esercizio  del  mandato
parlamentare  non  potrebbe   ritenersi   limitato   alle   attivita'
parlamentari tipiche o a  quelle  meramente  riproduttive  di  queste
ultime, dovendo al contrario ricomprendere quelle attivita' politiche
(svolte all'interno dei partiti, verso gli elettori ed a contatto con
la  societa'  civile)  che  sono  piena  espressione  della  funzione
rappresentativa. L'insindacabilita' dovrebbe quindi coprire l'insieme
delle opinioni  che  il  parlamentare  esprime  nel  momento  in  cui
rappresenta e diffonde all'interno della societa' civile le idee e  i
programmi del partito politico cui appartiene. 
    Al riguardo, e' sufficiente rilevare che, ai fini della  garanzia
di insindacabilita' di cui al primo comma  dell'art.  68  Cost.,  non
basta una generica identita' di argomento o di contesto politico,  ma
e' necessario un  legame  specifico  tra  l'atto  parlamentare  e  la
dichiarazione esterna, volta a renderlo noto ai cittadini.  In  altri
termini, non deve  mancare  una  sostanziale  corrispondenza  tra  le
dichiarazioni rese extra moenia e quelle rese intra moenia  (sentenze
n. 171 del 2008 e n. 193 del 2005), perche' l'art. 68,  primo  comma,
Cost. non copre la  mera  attivita'  politica  del  parlamentare.  Il
riferimento all'attivita' parlamentare o comunque l'inerenza  a  temi
di rilievo generale (pur anche dibattuti in Parlamento), entro cui le
dichiarazioni si possano collocare, non  vale  in  se'  a  connotarle
quali espressive della funzione. Esse  infatti,  non  costituendo  la
sostanziale  riproduzione  di  specifiche  opinioni  manifestate  dal
parlamentare nell'esercizio delle proprie attribuzioni, sono non gia'
il riflesso del peculiare contributo che ciascun deputato  e  ciascun
senatore  apportano  alla  vita  parlamentare  mediante  le   proprie
opinioni e i propri voti (come tale coperto dall'insindacabilita',  a
garanzia delle prerogative delle  Camere  e  non  di  un  «privilegio
personale [...] conseguente alla mera  "qualita'"  di  parlamentare»:
sentenza  n.  120  del   2004),   bensi'   un'ulteriore   e   diversa
articolazione di  siffatto  contributo,  elaborata  ed  offerta  alla
pubblica opinione  nell'esercizio  della  libera  manifestazione  del
pensiero assicurata a tutti dall'art. 21 Cost. (sentenze n.  301  del
2010, n. 330 e n. 135 del 2008, n. 302, n. 166 e n. 152 del 2007). 
    La difesa del Senato sostiene che le dichiarazioni  in  questione
ricadrebbero nell'ambito di  efficacia  dell'art.  68,  primo  comma,
Cost. perche' riproducono posizioni espresse in piu' riprese da  atti
funzionali a firma di altri  parlamentari  del  medesimo  gruppo  cui
apparteneva il senatore Francesco Storace. 
    Questa Corte ribadisce che tali atti  sono  irrilevanti  ai  fini
della sussistenza della prerogativa costituzionale prevista dall'art.
68, primo comma, della Costituzione (sentenze n. 97 del 2008, n.  151
e n. 97 del 2007). La verifica  del  nesso  funzionale  deve  infatti
essere effettuata con riferimento alla stessa persona, non  potendosi
configurare una sorta di insindacabilita' di gruppo. 
    Conclusivamente, la  delibera  del  Senato  della  Repubblica  ha
violato l'art.  68,  primo  comma,  Cost.,  ledendo  le  attribuzioni
dell'autorita' giudiziaria ricorrente, e deve essere annullata.