Ordinanza 
 
nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  10-bis  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art.  1,  comma  16,
lettera a), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica),  promossi  dal  Giudice  di  pace  di
Gallarate con quattro ordinanze del  4  febbraio  2010,  una  dell'11
marzo 2010, tre del 22 aprile 2010  e  cinque  dell'11  maggio  2010,
rispettivamente iscritte ai nn. da 229 a 241 del  registro  ordinanze
2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, 1ª
serie speciale, dell'anno 2010. 
    Udito nella camera di consiglio del 9 febbraio  2011  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano. 
    Ritenuto  che,  con  tredici  ordinanze,  identiche  nella  parte
motiva, emesse quattro il 4 febbraio 2010, una l'undici  marzo  2010,
tre il 22 aprile 2010 e cinque l'undici maggio 2010,  nell'ambito  di
distinti procedimenti penali, il Giudice  di  pace  di  Gallarate  ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  10-bis
del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art.  1,  comma  16,
lettera a), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica), per violazione degli artt. 2, 3 e  25
della Costituzione; 
    che il rimettente, in tutte le ordinanze, premette  in  fatto  di
essere investito del  processo  penale  nei  confronti  di  cittadini
extracomunitari, imputati del reato di ingresso o soggiorno  illegale
nel territorio dello Stato; 
    che, in particolare, l'art. 1, comma 16, della legge  n.  94  del
2009 ha introdotto, nel d.lgs. n. 286 del  1998,  l'art.  10-bis  che
prevede la nuova  fattispecie  criminosa  dell'ingresso  e  soggiorno
illegale nel territorio dello Stato,  sanzionando  con  l'ammenda  da
5.000 a 10.000 euro «lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene
nel territorio dello  Stato  in  violazione  delle  disposizioni  del
presente testo unico, nonche' di quelle di cui all'art. 1 della legge
28 maggio 2007 n. 68»; 
    che, ad avviso  del  Giudice  di  pace  di  Gallarate,  la  norma
censurata violerebbe il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3
Cost. perche' la scelta di far discendere una sanzione di tipo penale
dalla condotta di chi si introduce o si intrattiene  clandestinamente
nel territorio nazionale mancherebbe di un fondamento giustificativo; 
    che, infatti, la finalita' perseguita dal legislatore sarebbe  da
ricercarsi   esclusivamente   nell'allontanamento   dello   straniero
irregolare, finalita' del tutto irragionevole nella  vigenza  di  una
normativa quale quella relativa all'espulsione di  cui  all'art.  13,
comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998, idonea a raggiungere il medesimo
scopo; 
    che, pertanto,  essendo  l'ambito  di  applicazione  della  nuova
figura  contravvenzionale  identico  a  quello   della   preesistente
normativa sull'espulsione, per esser identici i soggetti  destinatari
e la ratio che  ad  entrambe  le  norme  sottende,  l'adozione  dello
strumento  penale   sarebbe   del   tutto   privo   di   qualsivoglia
giustificazione; 
    che l'irragionevolezza della nuova fattispecie penale emergerebbe
anche sotto il profilo sanzionatorio, considerato nel suo  complesso,
comprensivo, quindi, non solo della  pena  dell'ammenda  da  5.000  a
10.000 euro ma anche del divieto di applicazione del beneficio  della
sospensione condizionale della pena  e  della  facolta'  concessa  al
giudice di pace di sostituire la pena  pecuniaria  con  una  sanzione
piu' grave, quale quella dell'espulsione dallo Stato per  un  periodo
non inferiore a cinque anni (unico caso di  misura  sostitutiva  piu'
grave della sanzione principale sostituita); 
    che l'art. 3 Cost. risulterebbe violato sotto un altro  specifico
profilo, concernente la irragionevole disparita' di  trattamento  tra
la nuova fattispecie e quella di cui all'art. 14,  comma  5-ter,  del
d.lgs. n. 286 del 1998, che prevede la  punibilita'  dello  straniero
inottemperante all'ordine di allontanamento del Questore solo  quando
lo stesso si trattenga nel territorio dello Stato  oltre  il  termine
stabilito e «senza giustificato motivo»; 
    che,  secondo  il  rimettente,  l'assenza  delle  due  condizioni
sopraindicate comporta che sia sufficiente  il  venir  meno,  per  un
qualche motivo, del permesso di soggiorno perche' sia  immediatamente
e automaticamente integrata una ipotesi  di  trattenimento  illecito,
senza alcuna possibilita', per l'interessato, di addurre una  qualche
giustificazione o di usufruire di un termine per potersi allontanare; 
    che, in tal senso, il Giudice di pace di  Gallarate  richiama  le
motivazioni della sentenza di questa Corte  n.  5  del  2004  che  ha
rigettato la questione di costituzionalita' dell'art.  14,  comma  5,
d.lgs.   n.   286   del   1998,   in   virtu'    dell'interpretazione
costituzionalmente  orientata  della  clausola  «senza   giustificato
motivo»  considerata,   al   pari   di   altre   simili   rinvenibili
nell'ordinamento,  una  «valvola   di   sicurezza»   del   meccanismo
repressivo atta ad evitare «che la sanzione penale scatti allorche' -
anche al  di  fuori  della  presenza  di  vere  e  proprie  cause  di
giustificazione -  l'osservanza  del  precetto  appaia  concretamente
inesigibile» per i piu' svariati motivi riconducibili  «a  situazioni
ostative  di  particolare  pregnanza  che   incidano   sulla   stessa
possibilita', soggettiva od oggettiva, di adempiere  all'intimazione,
escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa»; 
    che il nuovo art. 10-bis del d.lgs.  n.  286  del  1998  sarebbe,
secondo il rimettente, in contrasto con gli artt.  3  e  25,  secondo
comma, Cost., avuto riguardo alla configurazione di  una  fattispecie
penale discriminatoria, perche'  fondata  su  particolari  condizioni
personali e sociali, anziche' su fatti e comportamenti  riconducibili
alla volonta' del soggetto attivo; 
    che cio' che la nuova fattispecie incriminatrice sanziona sarebbe
solo  apparentemente   una   condotta   (l'azione   dell'ingresso   e
l'omissione del mancato allontanamento), in realta' in se' e per  se'
del tutto neutra agli effetti penalistici,  mentre  il  vero  oggetto
della incriminazione  sarebbe  la  mera  condizione  personale  dello
straniero, costituita dal mancato possesso di un  titolo  abilitativo
all'ingresso e alla successiva permanenza nel territorio dello Stato,
condizione tipica del migrante  economico  e  priva  di  una  qualche
significativita' sotto il profilo della pericolosita' sociale; 
    che,  pertanto,  la  criminalizzazione  del  migrante   economico
sarebbe in contrasto sia con  il  principio  di  uguaglianza  sancito
dall'art.  3  Cost.,  che  vieta  ogni  discriminazione  fondata   su
condizioni personali e sociali,  sia  con  la  fondamentale  garanzia
costituzionale secondo cui si  puo'  essere  puniti  solo  per  fatti
materiali (art. 25, secondo comma, Cost.); 
    che, anche in questo caso, il rimettente cita la  sentenza  della
Corte costituzionale n. 78 del 2007, in tema di applicabilita'  delle
misure alternative alla detenzione agli stranieri clandestini,  nella
parte in cui si  afferma  che  «il  mancato  possesso  di  un  titolo
abilitativo alla permanenza nel territorio dello  Stato»  costituisce
«una condizione soggettiva» «che, di  per  se'  non  e'  univocamente
sintomatica [...] di una particolare pericolosita' sociale»  dal  che
consegue «l'impossibilita' di individuare nella esigenza di  rispetto
delle regole in materia di ingresso e soggiorno in  detto  territorio
una  ragione  giustificativa  della  radicale  discriminazione  dello
straniero sul piano dell'accesso  al  percorso  rieducativo,  cui  la
concessione  delle  misure  alternative   e'   funzionale»   perche',
sanzionando  penalmente  la  clandestinita'  dello  straniero,   essa
collega a tale  condizione  un  implicito,  quanto  ingiustificato  e
irrazionale, giudizio di pericolosita' sociale  che  e'  di  per  se'
incompatibile «con il  perseguimento  di  un  percorso  riabilitativo
attraverso qualsiasi misura alternativa»; 
    che la nuova fattispecie sarebbe, infine, in contrasto con l'art.
2 Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo e
richiede  l'adempimento  dei  doveri  inderogabili  di   solidarieta'
politica, economica e sociale; 
    che, ancora una volta, il rimettente richiama la  sentenza  della
Corte costituzionale con la quale si e'  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale del reato di mendicita' di cui all'art. 670 del codice
penale non potendosi ritenere  necessitato  il  ricorso  alla  regola
penale  per  sanzionare  la  mera  mendicita'   non   invasiva   che,
risolvendosi in una semplice richiesta di  aiuto,  non  poteva  dirsi
porre seriamente in pericolo i  beni  giuridici  della  tranquillita'
pubblica e dell'ordine pubblico (sentenza n. 519 del 1995); 
    che tale motivazione sarebbe applicabile anche ai nuovi poveri di
oggi, vale a dire agli  stranieri  migranti,  in  quanto  lo  spirito
solidaristico di cui e' impregnata la Carta  costituzionale  dovrebbe
impedire l'adozione di misure puramente repressive per  risolvere  il
problema dell'immigrazione  e  lo  straniero  migrante  non  dovrebbe
essere  considerato  pericoloso  per  l'ordine  e  la   tranquillita'
pubblica e colpevole per il solo fatto di esistere; 
    che in tutte  le  ordinanze  il  Giudice  di  pace  di  Gallarate
conclude affermando che le questioni sono  rilevanti  nei  rispettivi
giudizi poiche'  se  accolte,  con  la  conseguente  declaratoria  di
illegittimita' delle norme denunciate, comporterebbero  l'assoluzione
degli imputati. 
    Considerato che le ordinanze di  rimessione  sollevano  questioni
identiche o analoghe, onde  i  relativi  giudizi  vanno  riuniti  per
essere definiti con unica decisione; 
    che il rimettente dubita, in  riferimento  a  plurimi  parametri,
della  legittimita'  costituzionale  dell'art.  10-bis  del   decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico  delle  disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizione
dello straniero), aggiunto dall'art. 1, comma 16, lettera  a),  della
legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni  in  materia  di  sicurezza
pubblica), che punisce con l'ammenda da 5.000 a  10.000  euro,  salvo
che il fatto costituisca  piu'  grave  reato,  lo  straniero  che  fa
ingresso o si trattiene illegalmente nel territorio dello Stato; 
    che tutte le ordinanze di rimessione presentano carenze in  punto
di descrizione della fattispecie  concreta  e  di  motivazione  sulla
rilevanza tali da precludere lo scrutinio nel merito delle questioni; 
    che, in particolare, in tutte le ordinanze il capo  d'imputazione
riportato nella parte introduttiva  e'  formulato  in  modo  talmente
generico da essere lo stesso per ognuna di esse; 
    che la successiva descrizione del  fatto,  specifica  per  ognuna
delle ordinanze, e', in tutti  i  casi,  del  tutto  insufficiente  a
descrivere compiutamente la fattispecie,  cosi'  da  precludere  alla
Corte di valutare la rilevanza delle questioni sollevate; 
    che, in mancanza di una compiuta  descrizione  della  fattispecie
concreta che ha dato origine all'imputazione, resta inibita a  questa
Corte la necessaria verifica circa  l'influenza  della  questione  di
legittimita' sulla decisione che deve assumere il rimettente; 
    che  le  questioni  vanno  dichiarate,  pertanto,  manifestamente
inammissibili.