Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'articolo  1,  primo
comma, del regio decreto  16  marzo  1942,  n.  267  (Disciplina  del
fallimento,   del   concordato    preventivo,    dell'amministrazione
controllata e della liquidazione coatta  amministrativa),  nel  testo
sostituito dall'articolo  1,  comma  1,  del  decreto  legislativo  9
gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure
concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge  14  maggio
2005, n. 80) e dall'articolo 1, comma 1, del decreto  legislativo  12
settembre 2007, n. 169  (Disposizioni  integrative  e  correttive  al
regio decreto 16 marzo 1942, n. 267,  nonche'  al  d.lgs.  9  gennaio
2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento,  del  concordato
preventivo e  della  liquidazione  coatta  amministrativa,  ai  sensi
dell'articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio  2005,  n.
80), promosso dal Tribunale ordinario di Palermo, nel procedimento  a
carico  di  Giarrusso  Francesco  n.q.   di   titolare   dell'impresa
individuale Giarrusso Gomme,  con  ordinanza  del  1°  dicembre  2009
iscritta al n. 326 del registro ordinanze  2010  e  pubblicata  nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  43,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2010. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio  del  9  marzo  2011  il  giudice
relatore Giuseppe Tesauro. 
    Ritenuto che il Tribunale ordinario di Palermo, con ordinanza del
1° dicembre 2009, dubita, in riferimento agli articoli  3,  24  e  41
della Costituzione, della legittimita'  costituzionale  dell'articolo
1, primo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n.  267  (Disciplina
del  fallimento,  del  concordato  preventivo,   dell'amministrazione
controllata e della liquidazione coatta  amministrativa),  nel  testo
sostituito dall'articolo  1,  comma  1,  del  decreto  legislativo  9
gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure
concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge  14  maggio
2005, n. 80) e dall'articolo 1, comma 1, del decreto  legislativo  12
settembre 2007, n. 169  (Disposizioni  integrative  e  correttive  al
regio decreto 16 marzo 1942, n. 267,  nonche'  al  d.lgs.  9  gennaio
2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento,  del  concordato
preventivo e  della  liquidazione  coatta  amministrativa,  ai  sensi
dell'articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio  2005,  n.
80),  «nella  parte  in  cui  non  esclude  dall'assoggettabilita'  a
fallimento  l'imprenditore  individuale  la  cui  impresa  sia  stata
oggetto di una misura di prevenzione patrimoniale ex  artt.  2-ter  e
ss.» della legge 31 maggio  1965,  n.  575  (Disposizioni  contro  le
organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere); 
    che, secondo l'ordinanza di rimessione, nel  giudizio  principale
il Procuratore della Repubblica  presso  il  Tribunale  ordinario  di
Palermo, con ricorso depositato in data 19 marzo 2009, ha chiesto che
sia  dichiarato  il  fallimento  di   F.G.,   titolare   dell'impresa
individuale G. Gomme, il quale ha dedotto che  detto  Tribunale,  con
decreto del 17/20 giugno 2005, aveva disposto il  sequestro  ex  art.
2-ter della legge n. 575 del 1965 dell'impresa e  del  complesso  dei
beni aziendali,  nominando  un  amministratore  giudiziario,  ed  ha,
quindi, eccepito il proprio  difetto  di  legittimazione  passiva  e,
comunque, ha chiesto il rigetto della domanda per decorso del termine
di cui all'art. 10 del r.d. n. 267 del  1942  (nel  testo  sostituito
dall'art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 5 del 2006), in quanto  «gia'  in
data 31 ottobre 2006 l'impresa aveva  di  fatto  cessato  la  propria
attivita'»,   contestando,   altresi',   l'esistenza   dello    stato
d'insolvenza; 
    che,   disposta   la   convocazione   anche   dell'amministratore
giudiziario, questi ha dedotto «di avere di fatto cessato l'attivita'
a far data dal  14  novembre  2006  (essendo  stato  autorizzato  dal
Giudice delegato alla misura di prevenzione a  rilasciare  l'immobile
sede   dell'attivita'   ed   a    licenziare    l'unico    dipendente
dell'impresa)», precisando «che, con decreto del 24 ottobre 2007,  la
sezione misure di prevenzione aveva disposto la confisca (non  ancora
divenuta definitiva) della ditta individuale  [...]  e  del  relativo
patrimonio aziendale», ed ha concluso per  il  rigetto  del  ricorso,
eccependo il difetto di legittimazione attiva del pubblico ministero,
«l'intervenuta cessazione  ultrannuale  dell'attivita'  d'impresa»  e
l'insussistenza  del  debito  invocato  quale  sintomo  dello   stato
d'insolvenza; 
    che,  ad  avviso  del  rimettente,  il  giudizio  deve  ritenersi
correttamente instaurato, sebbene il ricorso sia stato  proposto  dal
pubblico  ministero  a  seguito  di  «segnalazione»  effettuata   dal
Tribunale ordinario di Palermo con il decreto di archiviazione di  un
precedente ricorso di fallimento depositato da un creditore in  danno
di F.G.; 
    che, inoltre, secondo il  giudice  a  quo,  l'impresa  in  esame,
«sebbene di fatto inattiva  dal  novembre  2006  (data  del  rilascio
dell'immobile  sede  dell'attivita'  e  di  licenziamento  dell'unico
lavoratore dipendente, in  forza  di  specifiche  autorizzazioni  del
Giudice delegato alla misura di  prevenzione),  non  risulta  essersi
cancellata dal registro delle imprese» e, quindi, non sarebbe decorso
il termine annuale di cui all'art. 10 del r.d. n. 267  del  1942,  il
quale, nel testo modificato dall'art. 2, comma 2, del d.lgs.  n.  169
del  2007,  applicabile  nel  giudizio   principale,   non   consente
all'imprenditore di provare di avere cessato l'attivita' in una  data
diversa da quella della cancellazione dal registro delle imprese; 
    che, tuttavia, ad avviso del rimettente, il citato art. 1,  primo
comma, «nella parte  in  cui  non  esclude  dall'assoggettabilita'  a
fallimento  l'imprenditore  individuale  la  cui  impresa  sia  stata
oggetto di una misura di prevenzione patrimoniale ex art. 2-ter e ss.
legge n. 575 del 1965», violerebbe l'art. 3  Cost.,  realizzando  una
ingiustificata lesione del principio di eguaglianza sostanziale,  «in
quanto  si  farebbero  subire  le  medesime  conseguenze   giuridiche
(fallimento)  a  soggetti  che  si  trovano  in  situazioni   affatto
differenti: nell'un caso, l'imprenditore nel pieno e libero esercizio
della propria attivita' economica;  nell'altro,  l'imprenditore  solo
formale (in quanto mero titolare dell'impresa), estromesso per factum
principis dall'amministrazione dell'attivita' economica, affidata  ad
altro soggetto»; 
    che la norma censurata recherebbe, altresi' vulnus:  all'art.  24
Cost., poiche' l'imprenditore «subirebbe una menomazione del  proprio
diritto di difesa nel procedimento  prefallimentare,  in  quanto  non
disporrebbe di tutti gli elementi conoscitivi relativi all'impresa  e
della documentazione contabile necessaria per  poter  contraddire  al
ricorso, e, in particolare, per  poter  eventualmente  contestare  la
sussistenza dello stato di insolvenza, [e] il superamento dei  limiti
dimensionali»; all'art. 41 Cost., in quanto,  benche'  l'imprenditore
non sia piu' tale «per le ragioni sopra illustrate, subirebbe la piu'
ampia limitazione della propria liberta' di  iniziativa  economica  a
cagione dell'insolvenza  di  un'impresa  che  non  risulta  piu'  dal
medesimo governata ne' gestita, in quanto coattivamente  amministrata
da altro soggetto»; 
    che nel  giudizio  davanti  a  questa  Corte  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione  sia
dichiarata  inammissibile,  poiche'   il   rimettente   non   avrebbe
adeguatamente motivato la sussistenza dei presupposti per  l'apertura
della procedura concorsuale (tenuto conto della mancanza di creditori
e  dell'avvenuta  cessazione  dell'attivita'  d'impresa),   omettendo
altresi'  di  sperimentare  la  possibilita'  di   un'interpretazione
costituzionalmente orientata della norma in esame  e  di  considerare
che F.G., alla data del sequestro e della nomina  dell'amministratore
giudiziario, gia' versava  in  stato  d'insolvenza,  con  conseguente
irrilevanza della questione di legittimita' costituzionale; 
    che, nel merito, le censure riferite all'art. 3  Cost.  sarebbero
infondate,  perche'   non   sarebbero   comparabili   le   situazioni
dell'imprenditore  commerciale,  a  seconda  che  sia  stato  o  meno
assoggettato ad una misura di prevenzione patrimoniale, ed in  quanto
l'ammissibilita'  del  fallimento  nella  seconda  di  dette  ipotesi
sarebbe  frutto  di  un  ragionevole  bilanciamento  di  interessi  e
dell'esigenza di evitare un vuoto normativo; 
    che, ad avviso dell'interveniente,  la  norma  censurata  neppure
violerebbe l'art. 24 Cost., poiche', dopo la riforma  del  2006,  «la
dichiarazione di fallimento non e' piu' assimilabile ad una  sanzione
civile»; in ogni caso, per escludere il  denunciato  vulnus  di  tale
parametro   costituzionale,   sarebbe   sufficiente   «una    lettura
costituzionalmente  orientata  dell'impianto   normativo,   tale   da
consentire, ove il caso, l'intervento  della  parte  nella  procedura
prefallimentare»; 
    che,  infine,  conclude  l'Avvocatura   generale   dello   Stato,
l'identificazione da parte della giurisprudenza di congrue  modalita'
di composizione  delle  interferenze  determinate  dalla  coesistenza
della misura di  prevenzione  patrimoniale  e  del  fallimento  e  la
prevalenza dell'interesse pubblico rispetto all'interesse individuale
dimostrerebbero l'infondatezza della  censura  riferita  all'art.  41
Cost. 
    Considerato che il Tribunale ordinario di Palermo, con  ordinanza
del 1° dicembre 2009, dubita, in riferimento agli articoli 3, 24 e 41
della Costituzione, della legittimita'  costituzionale  dell'articolo
1, primo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n.  267  (Disciplina
del  fallimento,  del  concordato  preventivo,   dell'amministrazione
controllata e della liquidazione coatta  amministrativa),  nel  testo
sostituito dall'articolo  1,  comma  1,  del  decreto  legislativo  9
gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure
concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge  14  maggio
2005, n. 80) e dall'articolo 1, comma 1, del decreto  legislativo  12
settembre 2007, n. 169  (Disposizioni  integrative  e  correttive  al
regio decreto 16 marzo 1942, n. 267,  nonche'  al  d.lgs.  9  gennaio
2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento,  del  concordato
preventivo e  della  liquidazione  coatta  amministrativa,  ai  sensi
dell'articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio  2005,  n.
80); 
    che, ad avviso del giudice a quo, il  citato  art.  1,  comma  1,
violerebbe gli artt. 3, 24 e  41  Cost.,  «nella  parte  in  cui  non
esclude   dall'assoggettabilita'    a    fallimento    l'imprenditore
individuale la cui  impresa  sia  stata  oggetto  di  una  misura  di
prevenzione patrimoniale ex artt. 2-ter e ss» della legge  31  maggio
1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo
mafioso,  anche  straniere)  e,  in  particolare,  il  «sospetto   di
incostituzionalita'» di detta norma sarebbe «evidente in tutte quelle
ipotesi -  come  quella  oggetto  di  esame  -  in  cui  la  gestione
dell'attivita' in capo all'amministratore  di  nomina  giudiziale  si
protragga per un apprezzabile lasso di tempo»; 
    che il rimettente indica, altresi', che: il ricorso di fallimento
e' stato proposto il 19 marzo 2009; F.G. ha eccepito di avere cessato
l'attivita'  d'impresa  il  31  ottobre  del  2006;  l'amministratore
giudiziario ha dedotto «di avere di fatto cessato l'attivita'  a  far
data dal 14 novembre 2006  (essendo  stato  autorizzato  dal  Giudice
delegato alla misura di  prevenzione  a  rilasciare  l'immobile  sede
dell'attivita' ed a licenziare l'unico dipendente dell'impresa)»; 
    che, ad avviso del giudice a quo, la  cessazione  dell'attivita',
in difetto  della  cancellazione  dal  registro  delle  imprese,  non
potrebbe, tuttavia, impedire la  dichiarazione  di  fallimento  anche
perche', in virtu' di un'interpretazione non  implausibile  dell'art.
10 del r.d. n. 267 del 1942 (nel testo modificato dall'art. 2,  comma
2, del d.lgs. n. 169 del 2007), l'imprenditore non  avrebbe  facolta'
di dimostrare il momento dell'effettiva cessazione dell'attivita'; 
    che risulta, quindi, palese come l'eventuale  assoggettamento  di
F.G.  alla  procedura  concorsuale,   nella   specie,   costituirebbe
essenzialmente  frutto  di  un  inconveniente   di   fatto,   perche'
conseguente  solo  alla  mancata  cancellazione  dal  registro  delle
imprese,  non  avendo,  peraltro,  il  rimettente  neanche   dubitato
dell'ammissibilita'   di   siffatta   cancellazione   successivamente
all'instaurazione della procedura  di  prevenzione,  con  conseguente
manifesta inammissibilita' della questione (per tutte,  ordinanza  n.
109 del 2010); 
    che, sotto un ulteriore e concorrente profilo,  va  rilevato  che
l'ordinanza  di  rimessione  da'  atto  che,  secondo  F.G.,  i  beni
costituenti l'azienda sono stati oggetto di sequestro ex lege n.  575
del 1965, mentre, ad avviso dell'amministratore giudiziario,  sarebbe
sopravvenuto il provvedimento di confisca; 
    che, in presenza di dette divergenti indicazioni,  il  giudice  a
quo non specifica, con la dovuta precisione, quale sia lo stato della
procedura di prevenzione, omissione questa che comporta un difetto di
descrizione della  fattispecie,  la  quale  costituisce  un'ulteriore
ragione di inammissibilita' della questione  (tra  le  piu'  recenti,
ordinanze n. 65 e n. 63 del 2011), poiche', da un canto, impedisce di
accertare  se  la  richiesta  addizione  concerna   il   caso   della
sottoposizione dei beni dell'imprenditore al sequestro, ovvero  anche
il caso in  cui  ne  sia  stata  disposta  la  confisca;  dall'altro,
influisce sulla motivazione della  rilevanza  in  ordine  all'ipotesi
effettivamente sussistente nel caso in esame; 
    che, pertanto, indipendentemente da ogni considerazione in ordine
alla modalita' di formulazione del  petitum  ed  all'indeterminatezza
del contenuto dell'intervento richiesto dal rimettente, la  questione
deve essere dichiarata manifestamente inammissibile. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.