Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'articolo  2  della
legge della Regione Veneto 4 marzo 2010,  n.  17  (Istituzione  delle
direzioni aziendali delle professioni  sanitarie  infermieristiche  e
ostetriche e delle  professioni  riabilitative,  tecnico-sanitarie  e
della  prevenzione),  promosso  dal  Presidente  del  Consiglio   dei
ministri con ricorso notificato il 10-13 maggio 2010,  depositato  in
cancelleria il 20 maggio 2010 ed  iscritto  al  n.  80  del  registro
ricorsi 2010. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto; 
    Udito nell'udienza  pubblica  dell'8  febbraio  2011  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo; 
    Uditi l'avvocato dello Stato Diana Ranucci per il Presidente  del
Consiglio dei ministri e l'avvocato Ludovica Bernardi per la  Regione
Veneto. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ricorso consegnato per la  notifica  in  data  8  maggio
2010, ricevuto dal destinatario il 13 maggio 2010 e depositato presso
la Cancelleria della Corte  costituzionale  il  20  maggio  2010,  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha  promosso  questione  di
legittimita' costituzionale, in via  principale,  della  legge  della
Regione Veneto  4  marzo  2010,  n.  17,  pubblicata  nel  Bollettino
Ufficiale Regionale del 9 marzo 2010,  n.  21,  recante  «Istituzione
delle    direzioni    aziendali    delle    professioni     sanitarie
infermieristiche e  ostetriche  e  delle  professioni  riabilitative,
tecnico  -  sanitarie  e  della  prevenzione»  e,   in   particolare,
dell'articolo  2  della  legge  regionale   citata,   nonche'   delle
«disposizioni a tale norma inscindibilmente connesse», per violazione
degli articoli 81, quarto comma, 97 e 117, comma secondo, lettera l),
della Costituzione. 
    2. - Il ricorrente premette che, con la legge n. 17 del 2010,  la
Regione Veneto si propone la valorizzazione e la responsabilizzazione
delle   funzioni   e   del   ruolo   delle   professioni    sanitarie
infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico  -  sanitarie  e
della prevenzione, con il fine di contribuire alla realizzazione  del
diritto  alla  salute,  all'integrazione   socio   sanitaria   e   al
miglioramento  dell'organizzazione  multi  professionale  del  lavoro
(art. 1), attraverso l'istituzione di due nuove direzioni aziendali a
struttura complessa, le cui articolazioni sono definite dai dirigenti
generali delle aziende sanitarie regionali.  L'istituzione  di  dette
due nuove direzioni aziendali e' diretta a perseguire l'obiettivo del
miglioramento dei livelli assistenziali e delle prestazioni  erogate,
tramite la pianificazione del fabbisogno di risorse,  la  valutazione
delle  professionalita'  -  con  criteri  predeterminati   -   e   la
valorizzazione dei professionisti (art. 3). 
    Ad avviso del ricorrente, la legge Regionale  in  esame  presenta
profili di illegittimita' costituzionale in relazione  all'art.  2  e
«alle  disposizioni  con   esso   inscindibilmente   connesse»,   per
violazione dei suddetti parametri costituzionali. 
    In particolare, l'art. 2, al comma 1, prevede  l'istituzione,  da
parte delle Unita' locali socio sanitarie (ULSS),  nonche'  da  parte
delle aziende ospedaliere, ospedaliere - universitarie integrate e da
parte  degli  istituti  pubblici  di  ricovero  e  cura  a  carattere
scientifico (IRCSS),  della  direzione  aziendale  delle  professioni
sanitarie infermieristiche ed ostetriche e della direzione  aziendale
delle  professioni  riabilitative,  tecnico  -  sanitarie   e   della
prevenzione. In ordine alla istituzione di queste due direzioni,  non
soltanto non sarebbe chiarito in qual modo la Regione intenda coprire
i  relativi  posti,  ma  ancor  piu'   non   sarebbe   previsto   che
all'istituzione  dei  relativi  posti  si  provveda   attraverso   le
modificazioni  compensative  della  dotazione  organica   complessiva
aziendale, come indicate nell'art.  8,  comma  2,  del  CCNL  del  17
ottobre 2008,  riguardante  la  dirigenza  sanitaria,  professionale,
tecnica ed amministrativa. 
    Diretta conseguenza di tale mancata previsione, per cui  i  posti
in organico delle nuove  direzioni  aziendali,  potrebbero  «ed  anzi
dovrebbero,  essere  coperti  tramite  personale  reclutato  aliunde,
sarebbe la mancanza di garanzia circa  l'invarianza  della  spesa,  e
cio' sotto un duplice profilo». 
    In primo luogo, ad avviso della difesa dello Stato, ne' la  norma
in esame, ne' le  altre  ad  essa  connesse  prevedono  la  copertura
finanziaria dei maggiori oneri  di  spesa  che  sicuramente  derivano
dall'istituzione delle due nuove direzioni; in secondo  luogo,  fermo
restando che la legge non prevede la modalita' per ricoprire i posti,
neanche e' precisato  il  numero  dei  relativi  dirigenti,  per  cui
sussiste incertezza sia  sull'an  sia  sul  quantum  della  dotazione
organica. 
    Sotto tale aspetto, la normativa regionale,  prevedendo  maggiori
costi  senza  la  relativa  copertura  finanziaria,  si  porrebbe  in
contrasto con l'art. 81, quarto comma, Cost., secondo cui ogni  nuova
legge che comporti nuove e maggiori spese deve indicare i  mezzi  per
farvi fronte. 
    Al riguardo, il  ricorrente  richiama  la  sentenza  della  Corte
costituzionale, n.  141  del  2010,  in  cui  e'  stato  ribadito  il
principio del  necessario  rispetto,  da  parte  delle  Regioni,  del
precetto  costituzionale  indicato.   Essa,   in   particolare,   nel
dichiarare l'illegittimita' costituzionale della legge della  Regione
Lazio 6 aprile 2009, n. 9 (Norme  per  la  disciplina  dei  distretti
socio-sanitari montani), istitutiva dei distretti  socio  -  sanitari
montani, ha chiarito che il legislatore regionale «non puo' sottrarsi
a quella fondamentale esigenza di chiarezza e solidita' del  bilancio
cui l'art. 81 Cost. si ispira (ex multis, sentenza n. 359 del 2007)»;
e  che  «la  copertura  di  nuove  spese   deve   essere   credibile,
sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in equilibrato
rapporto con la spesa che si intende effettuare  in  esercizi  futuri
(sentenza n. 213 del 2008)». 
    La difesa dello Stato, inoltre, aggiunge che,  sempre  ad  avviso
della Corte costituzionale, in senso contrario  non  puo'  valere  il
rilievo  che  le  maggiori  spese  verranno  concretamente   disposte
mediante  i  successivi  regolamenti   attuativi   della   disciplina
legislativa in esame,  giacche'  e'  proprio  la  legge  regionale  a
costituire la «loro fonte primaria». 
    La  norma  denunciata,  inoltre,   intervenendo   nella   materia
disciplinata dal contratto collettivo, violerebbe l'art.117,  secondo
comma, lettera l), Cost.,  secondo  cui  appartiene  alla  competenza
esclusiva dello Stato la materia «giurisdizione e norme  processuali;
ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa». 
    Cio' in quanto la norma denunciata non indicherebbe le  modalita'
di copertura della  dotazione  organica  delle  istituende  direzioni
aziendali e,  in  particolare,  non  conterrebbe  alcun  rinvio  alla
normativa statale di riferimento, costituita dall'art.  8,  comma  2,
del  CCNL  17  ottobre  2008  (riguardante  la  dirigenza  sanitaria,
professionale, tecnica ed amministrativa). 
    La disposizione contrattuale, prosegue il ricorrente, dispone che
le aziende debbano provvedere all'istituzione dei posti  della  nuova
figura dirigenziale sulla base delle proprie esigenze  organizzative,
mediante modifiche compensative della dotazione organica  complessiva
aziendale, effettuate ai sensi delle norme vigenti in materia,  senza
ulteriori oneri rispetto a quelli definiti  dalle  Regioni;  dispone,
inoltre, che la trasformazione della dotazione organica  avviene  nel
rispetto delle relazioni sindacali di  cui  ai  contratti  collettivi
nazionali di lavoro. 
    La Presidenza del Consiglio, pertanto, sostiene  che  il  mancato
riferimento al CCNL si porrebbe  come  diretta  violazione  dell'art.
117, secondo comma, lettera l), Cost. 
    Un ulteriore profilo di illegittimita' del denunciato  art.  2  e
«delle disposizioni a tale norma inscindibilmente connesse»,  sarebbe
ravvisabile  nel  fatto  che  detta  disposizione  non   reca   alcun
riferimento all'emanazione  del  regolamento  previsto  dall'art.  8,
comma 7,  del  menzionato  CCNL  del  17  ottobre  2008,  adempimento
costituente condizione  indefettibile  e  prioritaria  rispetto  alla
entrata a regime della istituzione della qualifica unica di dirigente
delle  professioni  sanitarie   infermieristiche,   tecniche,   della
riabilitazione, della prevenzione e della professione ostetrica. 
    Il citato comma 7 dispone, infatti, che le aziende devono,  prima
di  procedere  alla  nomina  dei  dirigenti  di  nuova   istituzione,
provvedere alla definizione delle attribuzioni della nuova  qualifica
dirigenziale  ed  alla   regolazione,   sul   piano   funzionale   ed
organizzativo, dei rapporti interni con altre professionalita'  della
dirigenza  sanitaria  sulla  base  dei  contenuti  professionali  del
percorso  formativo  indicato  nell'art.  6,  comma  3,  del  decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino  della  disciplina  in
materia sanitaria, a norma dell'articolo 1  della  legge  23  ottobre
1992, n. 421). 
    Ad avviso del ricorrente, la mancata previsione, relativa a  tale
adempimento, viola il principio  di  buon  andamento  della  pubblica
amministrazione di  cui  all'art.  97  Cost.,  nonche',  intervenendo
ancora una volta in materia disciplinata dal contratto  collettivo  ,
viola l'art. 117, comma secondo, lettera l), Cost. 
    Alla luce di  quanto  premesso,  il  ricorrente  chiede  che  sia
dichiarata la illegittimita' costituzionale della legge della Regione
Veneto n. 17 del 2010, «nell'art. 2 e nelle disposizioni a tale norma
inscindibilmente connesse». 
    3. - Con atto depositato il 17 giugno 2010, la Regione Veneto  si
e' costituita  in  giudizio  per  contestare  l'ammissibilita'  e  la
fondatezza delle censure sollevate dal ricorrente. 
    In via preliminare, la resistente eccepisce il  mancato  rispetto
del termine perentorio di cui all'art. 31, quarto comma, della  legge
11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione  e  sul  funzionamento
della Corte costituzionale), cosi' come sostituito dall'art. 9, comma
1, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per  l'adeguamento
dell'ordinamento della Repubblica alla L. Cost. 18 ottobre  2001,  n.
3). 
    La Regione, infatti, pone in rilievo  che  il  ricorso  e'  stato
presentato agli ufficiali giudiziari per la notifica l'8 maggio  2010
e depositato presso la cancelleria della Corte costituzionale  il  20
maggio 2010. 
    Pertanto, il detto deposito, compiuto a distanza di dodici giorni
dalla notifica del ricorso,  sarebbe  stato  eseguito  in  violazione
della citata normativa, che fissa appunto un  termine  perentorio  di
dieci giorni per tale adempimento. 
    Al riguardo, la resistente  ricorda  che  -  secondo  i  principi
fissati nelle sentenze n. 250 del 2009, n. 477 del 2002 e n.  69  del
1994, ed, inoltre, sanciti dal legislatore con  l'art.  2,  comma  1,
lettera  e),  della  legge  28  dicembre  2005,  n.  263  (Interventi
correttivi alle modifiche in materia  processuale  civile  introdotte
con il d.l. 14 marzo 2005,  n.  35,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 14 maggio 2005, n. 80,  nonche'  ulteriori  modifiche  al
codice  di  procedura  civile  e  alle   relative   disposizioni   di
attuazione, al regolamento di cui al R.D. 17 agosto 1907, n. 642,  al
codice civile, alla legge 21 gennaio 1994, n. 53, e  disposizioni  in
tema  di  diritto  alla  pensione  di  reversibilita'   del   coniuge
divorziato),  -  la  notifica  di  un  atto  processuale  si  intende
perfezionata  per  l'istante,  nel  momento  stesso  in  cui   l'atto
processuale  viene  affidato  all'ufficiale  giudiziario  e,  per  il
destinatario,  nel  momento  in  cui  questi   ne   acquista   legale
conoscenza: realizzandosi in tal modo una vera e  propria  «scissione
soggettiva del momento perfezionativo del procedimento notificatorio»
(in questo senso, da ultimo, Cass.,  sentenza  13  gennaio  2010,  n.
359). 
    Sulla base di quanto appena evidenziato,  la  resistente  ritiene
corretta l'interpretazione  che  assume  quale  dies  a  quo  per  la
decorrenza del termine, fissato per il successivo deposito  dell'atto
processuale notificato, la data in  cui  la  notifica  stessa  si  e'
perfezionata per il richiedente, e non gia' quella  in  cui,  invece,
l'atto medesimo e' pervenuto nella disponibilita'  del  soggetto  cui
era indirizzato. 
    La difesa della Regione sostiene che, nel momento in cui ha luogo
la  materiale  consegna  dell'atto  all'ufficiale   giudiziario,   il
notificante vede gia' maturati, a suo vantaggio,  tutti  gli  effetti
favorevoli prodotti dalla notificazione: in primis, quello di evitare
lo spirare di termini  di  decadenza  o  prescrizione  che  le  norme
processuali abbiano fissato, ad esempio,  per  l'impugnazione  di  un
determinato provvedimento. 
    Ad avviso della  resistente,  dunque,  il  richiedente,  nei  cui
confronti la notifica si e' perfezionata in virtu' della consegna  al
soggetto notificatore, deve essere tenuto a computare il decorso  del
termine, ad esempio stabilito per il deposito  dell'atto,  appunto  a
partire da tale data: non potendo invece pretendere di assumere quale
dies a quo quello in cui la notifica ha spiegato i propri effetti nei
confronti del destinatario della notifica stessa. 
    Cio' posto, il ricorrente non ignora che la Corte costituzionale,
con la sentenza n. 318 del 2009, ha  affermato  che  «l'anticipazione
del  perfezionamento  della  notifica  al  momento   della   consegna
dell'atto all'ufficiale giudiziario (o  all'agente  postale)  non  ha
ragione di operare con riguardo ai casi in cui detto  perfezionamento
assume rilievo non gia' ai fini dell'osservanza di un termine in quel
momento pendente nei confronti del notificante, bensi' per  stabilire
il dies a quo inerente alla decorrenza di un termine  successivo  del
processo, qual e' nella specie il deposito del ricorso notificato (ai
sensi del citato art. 31, comma 4). Pertanto, detto  termine  decorre
dal momento in cui l'atto perviene al destinatario». 
    La resistente sostiene che l'interpretazione fornita dalla  Corte
costituzionale nella pronunzia  citata  sarebbe  contraddittoria,  in
quanto non potrebbe ritenersi la  notifica  perfezionata  in  momenti
diversi a seconda dei fini per cui essa e' presa in considerazione. 
    In  particolare,  la  difesa  regionale  osserva   che,   se   il
notificante sceglie di avvalersi  degli  effetti  che  la  «scissione
soggettiva del momento perfezionativo del procedimento notificatorio»
importa a suo vantaggio, soggiace - per coerenza logica  -  all'onere
di rispettare il termine processuale che da quel momento decorre: non
potendo invece assumere quale dies a quo il giorno in cui la notifica
si e' perfezionata nei confronti di un soggetto diverso, al solo fine
di ottenere un maggior lasso di tempo per provvedere  all'adempimento
cui e' tenuto.  La  difesa  regionale,  dunque,  ritiene  che  se  il
richiedente fruisce di una disciplina di favore  -  tanto  da  vedere
perfezionata nei suoi confronti, la notifica con la semplice consegna
dell'atto  all'ufficiale  giudiziario  -  deve  accettarne  tutte  le
conseguenze che vi si collegano, comprese quelle derivanti in  ordine
al  computo  del  termine  per  il  successivo   deposito   dell'atto
processuale in giudizio. 
    Nel caso in esame, l'Avvocatura dello Stato, dopo aver consegnato
in data 8 maggio 2010 agli ufficiali giudiziari il  ricorso  proposto
contro la Regione Veneto, avrebbe avuto a disposizione un termine  di
dieci giorni, spirante il 18  maggio  2010,  per  provvedere  al  suo
deposito, il che tuttavia non e' avvenuto. 
    Alla luce delle esposte argomentazioni, dunque, la  difesa  della
Regione   Veneto   chiede   che   l'impugnazione    sia    dichiarata
improcedibile. 
    Inoltre, prima  ancora  di  esaminare  il  merito  delle  censure
proposte   con   il   ricorso,   la   difesa   regionale    eccepisce
l'inammissibilita' delle censure perche' formulate in modo  generico,
non  contenendo  una   puntuale   enunciazione   delle   ragioni   di
inconciliabilita' con le norme della Costituzione.  A  tal  proposito
sono richiamate le sentenze della Corte costituzionale nn. 341,  251,
232 del 2009. 
    In primo luogo, sarebbe indeterminato, o eccessivamente generico,
l'oggetto  stesso  dell'impugnazione,  in  quanto  sarebbe  posta  in
discussione la legittimita' costituzionale  della  legge  n.  17  del
2010, «nell'art. 2 e nelle disposizioni a tale norma inscindibilmente
connesse», senza  alcuna  precisazione  in  grado  di  circostanziare
l'oggetto del decidere. 
    Di fatto il gravame investirebbe l'intera legge dal  momento  che
tutte   le   disposizioni,   ad   eccezione   forse    dell'art.    5
(sperimentazioni assistenziali), si ricollegherebbero all'istituzione
delle due nuove direzioni aziendali delle professioni  sanitarie  non
mediche. 
    Pertanto,  dovrebbe  ritenersi  inammissibile  il  tentativo   di
estendere l'impugnazione, mediante l'uso di una semplice  formula  di
stile, quale sarebbe quella che contiene il riferimento  alle  "norme
inscindibilmente connesse", anche a parti della  normativa  regionale
non colpite da  alcuna  critica  e  addirittura  non  menzionate  nel
ricorso  (sotto  tale  profilo,  la  difesa  regionale  richiama   la
pronunzia della Corte costituzionale n. 201 del 2008). 
    La resistente menziona, inoltre, la decisione n. 284 del 2009, in
cui  la  Corte  ha  affermato  che  l'impugnazione  proposta  in  via
principale deve necessariamente consentire di «individuare  l'oggetto
delle singole questioni, i parametri evocati e gli specifici  profili
di illegittimita' costituzionale». 
    Quanto, poi, alla specifica impugnazione proposta contro l'art. 2
della legge n.17 del 2010, la resistente pone  in  evidenza  come  il
ricorso si limiti ad enunciare alcune presunte violazioni della Carta
costituzionale, senza corredare di motivazione i vizi indicati. 
    In particolare, in ordine all'asserito contrasto con  l'art.  81,
quarto comma, Cost., non sarebbe chiarito perche' l'istituzione delle
nuove direzioni aziendali  comporti  sicuramente  maggiori  oneri  di
spesa, privi di adeguata copertura. 
    Un tale assunto, ad avviso  della  resistente,  oltre  ad  essere
infondato nel merito,  non  sarebbe  argomentato  in  modo  concreto,
risolvendosi in una mera affermazione di carattere apodittico. 
    Con riferimento, poi, alla  violazione  degli  artt.  97  e  117,
secondo comma lettera l) Cost., mancherebbe, ad avviso  della  difesa
regionale,   una   spiegazione   soddisfacente   circa   le   ragioni
dell'asserito contrasto, in relazione a ciascuno dei detti parametri. 
    In particolare, per quanto concerne l'art.  117,  secondo  comma,
lettera l), Cost., l'Avvocatura dello Stato  si  limiterebbe  solo  a
dichiarare che la legge regionale veneta interverrebbe in una materia
disciplinata dal contratto collettivo, invadendo cosi'  la  sfera  di
competenza  legislativa   esclusiva   dello   Stato   indicata   come
«giurisdizione e norme  processuali;  ordinamento  civile  e  penale;
giustizia amministrativa». 
    Inoltre, la difesa regionale sostiene che non sarebbe specificato
quale passaggio della legge n. 17 del 2010 meriti una simile critica,
ed inoltre non sarebbe indicato il motivo per  cui  la  legge  stessa
verrebbe in conflitto con  la  specifica  competenza  riservata  alla
potesta' legislativa esclusiva. 
    Cio' posto, la resistente esamina il merito delle censure. 
    In  primo  luogo,  affronta  l'asserita  violazione,   da   parte
dell'art. 2 della legge n. 17 del 2010, dell'art. 81,  quarto  comma,
Cost. 
    La difesa regionale pone in evidenza  che,  nella  prospettazione
dell'Avvocatura dello Stato, le maggiori  spese  deriverebbero,  come
risulterebbe dal ricorso che sul punto non  sarebbe  affatto  chiaro,
dalla necessita' di provvedere alla copertura dei posti  in  organico
delle direzioni aziendali  in  questione,  mediante  reclutamento  di
nuovo personale da inserire nelle strutture delle  Aziende  UULLSSSS,
delle  Aziende  ospedaliere  e  degli  IRCCSS  e,  dunque,   mediante
l'aumento  dell'organico  alle  dipendenze  del  Servizio   Sanitario
Regionale. 
    Pertanto, dal momento che la legge regionale non  specificherebbe
come intenda procedere a dotare di organico  le  direzioni  aziendali
appena istituite, ne' prevederebbe che sia  dato  luogo  a  modifiche
compensative dell'organico gia' esistente, violerebbe il parametro di
cui al citato art. 81, quarto comma, Cost., a tenore del  quale  ogni
legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare  i  mezzi  per
farvi fronte. 
    La resistente ritiene  le  dette  censure  infondate  e  pone  in
evidenza come l'assunto da cui muove il ricorrente  sarebbe  erroneo,
in quanto non risponderebbe al vero che  la  previsione  delle  nuove
direzioni aziendali possa comportare un aumento di spesa per gli enti
coinvolti, e quindi per la Regione Veneto. 
    La  disciplina  regionale  censurata,  ad  avviso  della   difesa
regionale, avrebbe un carattere  organizzativo  o  di  principio,  in
quanto si inquadrerebbe in un ambito normativo gia' ricco di  vincoli
rigorosi dettati a contenimento dei costi  in  materia  sanitaria  e,
pertanto, non sarebbe in grado  di  provocare  alcun  incremento  dei
medesimi. 
    Sotto tale profilo la resistente pone in evidenza che la  Regione
Veneto, proprio nello stesso giorno in cui  e'  stata  promulgata  la
legge n. 17 del  2010,  e'  intervenuta  con  l'art.  9  della  legge
regionale n. 16 del 2010 (Interventi per la  razionalizzazione  della
spesa delle aziende e degli enti del servizio  sanitario  regionale),
il quale dispone che «la disciplina di cui all'art. 37, commi 2, 3, 4
e 5 della legge regionale 19 febbraio 2007, n. 2  (legge  finanziaria
regionale per l'esercizio 2007) e' confermata per il triennio 2010  -
2012». 
    Sarebbe stata, quindi, prorogata la vigenza di  una  disposizione
avente lo scopo di contingentare rigidamente i  costi  del  personale
operante nel Servizio Sanitario della Regione Veneto e  che,  tra  le
molteplici prescrizioni, prevede che per il triennio 2007 -  2009  le
Aziende e gli enti del Servizio Sanitario Regionale adottino  «misure
di  contenimento  della  spesa  per  il  personale,  complessivamente
inteso, idonee a garantire che la spesa  stessa  risulti  compatibile
con gli obiettivi di bilancio  assegnati  dalla  Regione  a  ciascuna
Azienda od ente» e che devono in ogni caso osservare  il  limite  del
costo del personale sostenuto nell'anno 2006, fatti salvi i  maggiori
oneri derivanti dall'applicazione dei contratti collettivi  nazionali
di lavoro. 
    Mediante l'art. 37 della legge regionale n. 2 del  2007,  dunque,
la Regione Veneto avrebbe inteso adeguarsi alle prescrizioni  dettate
a livello statale dall'art. 1, comma 565,  della  legge  27  dicembre
2006, n. 296, recante «Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale  e  pluriannuale  dello  Stato   (finanziaria   del   2007)»,
stabilendo che  la  spesa  per  il  personale  operante  nel  settore
sanitario debba non solo rimanere invariata, ma addirittura ridursi. 
    A riprova di quanto affermato, la  difesa  regionale  indica,  ed
allega, alcune delibere della Giunta regionale veneta  con  cui  sono
state impartite delle direttive agli enti del SSR, al fine  di  farli
adeguare al previsto contingentamento  dei  costi;  si  tratta  delle
delibere n. 855 del 2010, n. 4209 del 2009, n. 2061 e 886 del 2007. 
    La Regione Veneto ha, quindi, imposto ai direttori generali delle
aziende UULL SSSS, delle Aziende Ospedaliere e degli  IRCSS  operanti
nel suo territorio di procedere all'organizzazione  degli  uffici  in
un'ottica di assoluta invarianza (e anzi di auspicabile  contrazione)
dei costi economici ricollegabili al personale. 
    La resistente, inoltre, pone in rilievo come l'art. 3,  comma  1,
del d.lgs. n. 502 del 1992 assegni a tali enti una marcata  autonomia
stabilendo  che  «in  funzione  del  perseguimento  dei   loro   fini
istituzionali, le USL si costituiscono in  Aziende  con  personalita'
giuridica   pubblica   e   autonomia   imprenditoriale;    la    loro
organizzazione  ed  il  funzionamento  sono  disciplinati  con   atto
aziendale di diritto privato, nel rispetto  dei  principi  e  criteri
dettati da disposizioni  regionali.  L'atto  aziendale  individua  le
strutture operative  dotate  di  autonomia  gestionale  o  tecnico  -
professionale, soggette a rendicontazione analitica». 
    Sarebbe,  pero',  altrettanto  vero  che  l'atto  aziendale  deve
soggiacere ai vincoli provenienti dalla Regione e, dunque,  nel  caso
della Regione Veneto, anche al  principio  per  cui  l'organizzazione
delle strutture delle Aziende UULLSS,  delle  Aziende  Ospedaliere  e
degli IRCCS  deve  attuarsi  con  l'osservanza  di  quanto  stabilito
dall'art. 37 della legge regionale n. 2 del 2007 (prorogato dall'art.
9 della legge regionale n. 16 del 2010). 
    In altri termini, i singoli direttori generali responsabili degli
enti  del  Servizio  Sanitario  regionale  godrebbero  si'  di  ampia
discrezionalita' nell'individuare la piu'  appropriata  articolazione
degli enti medesimi, ben potendo istituire nell'atto aziendale  -  ad
esempio - anche delle  strutture  nuove;  tuttavia,  alla  condizione
imprescindibile che non  vengano  aggravati  i  costi  del  personale
fissati per legge. 
    Proprio per tale  motivo  la  resistente  precisa  che  gli  atti
aziendali sono sottoposti al vaglio della  Regione,  per  il  tramite
della Segreteria Regionale Sanita' Sociale, la quale  avrebbe  sempre
cura di ribadire, quale prescrizione generale, che «l'attivazione  di
dipartimenti cosi' come quella di tutte le nuove strutture  complesse
e semplici deve avvenire in un contesto di iso - risorse, e cioe' nel
limite delle unita' di personale presenti in azienda al  31  dicembre
2006 e nel rispetto dei vincoli di spesa di cui all'art. 37, l.r.  19
febbraio 2007 n. 2 e relative deliberazioni attuative 3 aprile  2007,
n.886 e 3 luglio 2007 n. 2061» (a titolo semplificativo la resistente
allega alla memoria la nota  inviata  in  data  3  dicembre  2009  al
Direttore Generale dell'Azienda ULSS 10 "Veneto Orientale"). 
    Alla luce di questa ampia premessa la resistente ritiene, dunque,
che i  direttori  generali  delle  Aziende  UULLSSSS,  delle  Aziende
Ospedaliere  e  degli  IRCCS  operanti  nel  Veneto  siano  tenuti  a
istituire le nuove  direzioni,  senza  alcuna  variazione  dei  costi
complessivi sopportati dall'ente per il personale impiegato. 
    Da cio' discenderebbe che,  per  mantenere  inalterata  la  spesa
totale,  gli  enti  in  questione  sarebbero  obbligati  ad   attuare
modifiche compensative nel proprio organico,  ovvero  a  procedere  a
forme di turnover con le modalita' stabilite dalla Giunta del  Veneto
con le note prima citate. 
    Cio' premesso, l'istituzione delle direzioni  aziendali  dedicate
al personale sanitario  non  medico  sarebbe  insuscettibile,  per  i
motivi sopra indicati, di comportare l'aggravio  di  spesa  paventato
dal ricorrente, cosi' da rendere inutile anche l'indicazione  di  una
copertura finanziaria. 
    Con riferimento, poi, all'assunto secondo cui la legge  regionale
in esame non recherebbe alcuna indicazione circa le modalita' secondo
cui dotare di organico le nuove  direzioni,  la  resistente  pone  in
rilievo l'art. 4 della legge censurata, norma alla quale non  sarebbe
attribuito alcun rilievo da parte del ricorrente. 
    Tale  disposizione  stabilisce  che  ai  dirigenti  delle   nuove
direzioni aziendali gli incarichi sono conferiti secondo le modalita'
previste dalle leggi vigenti in materia di  personale  dirigente  del
ruolo sanitario. 
    Per un verso, ad avviso della difesa regionale,  la  disposizione
in esame andrebbe intesa quale richiamo dei vincoli  alla  spesa  del
personale  nel  comparto  sanitario  di  cui  si   e'   gia'   detto:
evidenziandosi,  cosi',  ad  abundantiam,   che   l'attribuzione   di
incarichi  ai  dirigenti  delle  professioni  sanitarie  non  mediche
soggiacerebbe al contingentamento  voluto  dalla  Regione  Veneto  e,
prima ancora, dallo Stato attraverso le fonti normative prima passate
in rassegna. 
    Sotto altro verso, la  disposizione  di  cui  all'art.  4  citato
varrebbe anche come rinvio alle fonti di origine statale  dettate  in
ordine  alla  istituzione  della   qualifica   di   dirigente   delle
professioni    sanitarie    infermieristiche,     tecniche,     della
riabilitazione,   della   prevenzione   nonche'   della   professione
ostetrica. 
    Tra le dette fonti, andrebbe senza dubbio ricompresa la legge  10
agosto  2000,  n.  251  (Disciplina   delle   professioni   sanitarie
infermieristiche, tecniche della riabilitazione,  della  prevenzione,
nonche' della professione ostetrica), la quale all'art. 6,  comma  2,
prevede che «Le regioni  possono  istituire  la  nuova  qualifica  di
dirigente del  ruolo  sanitario  nell'ambito  del  proprio  bilancio,
operando con modificazioni compensative  delle  piante  organiche  su
proposta delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere». 
    Ma l'art. 4 della legge impugnata varrebbe anche quale rinvio  ai
contratti  collettivi  intervenuti  in  materia  ed  in   particolare
all'art. 8, comma 2, dell'accordo sottoscritto il  17  ottobre  2008,
la' dove si legge che  «le  aziende  provvedono  all'istituzione  dei
posti della  nuova  figura  dirigenziale  sulla  base  delle  proprie
esigenze  organizzative   mediante   modifiche   compensative   della
dotazione organica complessiva aziendale, effettuate ai  sensi  delle
norme vigenti in materia, senza ulteriori  oneri  rispetto  a  quelli
definiti dalle Regioni. La trasformazione  della  dotazione  organica
avviene  nel  rispetto  delle   relazioni   sindacali   di   cui   ai
CC.CC.NN.L.». 
    Ad  avviso  della  resistente,  cio'  significa  che,  in   forza
dell'art. 4 legge regionale n. 17 del  2010,  la  Regione  Veneto  ha
voluto vincolare le aziende UULLSS,  le  Aziende  Ospedaliere  e  gli
IRCCS, sia pur utilizzando una  formula  breviloquente,  al  rispetto
delle modalita' di reclutamento del personale delle  nuove  direzioni
gia' previste dalla disciplina vigente sia di fonte normativa, sia di
origine pattizia. 
    In definitiva, essendo le  modifiche  compensative  dell'organico
esistente l'unica via percorribile per procedere alla  copertura  dei
posti in questione, anche in base alle fonti contrattuali  richiamate
dall'art.  4  della  normativa  regionale   censurata,   risulterebbe
evidente che nessuna nuova spesa puo' derivare  dall'applicazione  di
quest'ultima, con conseguente inapplicabilita' dell'art.  81,  quarto
comma, Cost. 
    Con riferimento,  poi,  all'asserita  violazione  dell'art.  117,
secondo comma, lettera  l),  Cost.,  la  resistente  osserva  che  la
formulazione della questione di legittimita'  costituzionale  sarebbe
tutt'altro  che  chiara,  in  quanto  non  si  capirebbe  perche'  la
disciplina impugnata - per  il  semplice  fatto  «di  intervenire  in
materia disciplinata dal contratto collettivo» - dovrebbe  sconfinare
nella «materia giurisdizione e norme processuali; ordinamento  civile
e penale; giustizia amministrativa», in cui lo Stato ha una  potesta'
legislativa esclusiva. 
    La Regione assume, al riguardo, che l'oggetto delle  disposizioni
da essa emanate non sarebbe riconducibile al parametro costituzionale
che si ritiene violato da parte dell'Avvocatura generale dello Stato. 
    In particolare, la legge  regionale  n.  17  del  2010  e,  nello
specifico, l'art. 2 della legge, ad avviso  della  difesa  regionale,
non  detta  regole  che  incidono  sulla  giurisdizione,  ne'   sullo
svolgimento dei processi civili  o  amministrativi,  ne'  tanto  meno
sull'ordinamento civile e penale. La  normativa  in  parola,  invece,
"tocca" la materia di legislazione concorrente indicata dall'art. 117
Cost. come tutela della salute, ovvero, in via gradata, quella  delle
professioni. 
    A riprova di cio', la resistente ritiene utile soffermarsi  sulle
finalita' della legge regionale indicate nell'art. 1, nonche'  «sugli
obiettivi delle direzioni» indicati nell'art. 3. 
    Dal combinato disposto di dette due disposizioni emergerebbe  che
lo scopo  della  normativa  regionale  censurata  sarebbe  quello  di
coinvolgere in modo ancora piu' proficuo ed efficiente gli  operatori
sanitari non medici  nell'erogazione  delle  prestazioni  latu  sensu
assistenziali, cosi' da migliorare il livello qualitativo  di  queste
ultime. Cio' posto, il mancato espresso  richiamo  del  CCNL  del  17
ottobre  2008  non  costituirebbe   una   violazione   dei   precetti
costituzionali. 
    La disciplina pattizia sarebbe  stata  tenuta  ben  presente  dal
legislatore veneto, il quale ad essa  si  sarebbe  collegato  per  il
tramite dell'art. 4 della legge regionale, oggetto  di  censura:  ben
consapevole che il rinvio alle "leggi vigenti"  sarebbe  suscettibile
di ricomprendere anche i  prodotti  della  contrattazione  collettiva
nazionale, cui la dottrina tende ad attribuire, interpretando  l'art.
2077 del codice civile, una efficacia normativa assimilabile a quella
delle disposizioni inderogabili di legge. 
    Da parte della Regione Veneto, in particolare, non si dubiterebbe
che l'istituzione  delle  direzioni  aziendali  e  la  copertura  dei
relativi posti in organico debba avvenire per il  tramite  di  quanto
disposto dall'art. 8 del CCNL del 17 ottobre 2008, e con l'osservanza
dei vincoli finanziari ivi  previsti:  cio'  significherebbe  che  le
Aziende UULLSS, le Aziende Ospedaliere e gli IRCCS sarebbero tenuti a
provvedere alle necessarie  modifiche  compensative  delle  dotazioni
organiche, senza variazioni di bilancio, per far fronte alle «proprie
esigenze organizzative». 
    La circostanza per cui il CCNL non sia stato espressamente citato
dalla legge regionale censurata  resterebbe  del  tutto  irrilevante,
tanto piu' che esso ripropone dettati  normativi  gia'  contenuti  in
leggi (in senso stretto) vigenti, tra le quali  la  legge  10  agosto
2000, n. 251, gia' citata e qui rilevante in  relazione  all'art.  6,
comma 2. 
    L'asserita violazione dell'art. 97 Cost. consisterebbe nel  fatto
che  la  disciplina  in  questione   non   reca   alcun   riferimento
all'emanazione del regolamento previsto dall'art.  8,  comma  7,  del
CCNL del 17 ottobre 2008, da intendersi, ad  avviso  del  ricorrente,
una condizione indefettibile e  prioritaria  rispetto  all'entrata  a
regime della istituzione della qualifica  unica  di  dirigente  delle
professioni    sanitarie    infermieristiche,     tecniche,     della
riabilitazione, della prevenzione e della professione ostetrica. 
    Ferma restando l'estrema stringatezza della motivazione in ordine
alla violazione del parametro costituzionale  citato,  la  resistente
osserva come la censura muova da un presupposto non condivisibile. 
    Essa, infatti, pone in rilievo che  dalla  lettura  della  citata
disposizione pattizia (che a sua volta rinvia all'art.  6,  comma  3,
del  d.lgs.  n.  502  del   1992   ed   al   decreto   del   Ministro
dell'universita', ricerca scientifica  e  tecnologica  del  2  aprile
2001) sarebbe «agevole constatare che il CCNL 17  ottobre  2008  pone
direttamente in capo agli  enti  del  Servizio  Sanitario  datori  di
lavoro l'obbligo di provvedere  all'adozione  di  una  disciplina  di
dettaglio, da racchiudersi in un apposito testo regolamentare» 
    Non si vedrebbe, dunque, il motivo per  cui  la  Regione  avrebbe
dovuto ripetere una  simile  previsione.  Inoltre,  l'emanazione  del
regolamento sarebbe funzionale all'immissione nel nuovo  ruolo  della
dirigenza unica dei professionisti sanitari non  medici:  non  certo,
invece, alla mera istituzione delle direzioni aziendali, che  di  per
se'  rappresentano   soltanto   le   strutture   complesse   preposte
all'organizzazione e all'aggregazione dei professionisti medesimi. 
    Pertanto, prosegue la resistente, se e' vero che, come  stabilito
nell'accordo collettivo, e' necessario  provvedere  all'adozione  del
regolamento  in  questione  prima  di  procedere  all'assunzione  dei
dirigenti di nuova istituzione, non altrettanto vale con  riferimento
all'inserimento delle dette direzioni nell'ambito organizzativo delle
Aziende  UULLSSSS,  delle  Aziende  Ospedaliere  e  degli  IRCSS:  in
quest'ultimo caso, si tratta soltanto di una previsione  da  inserire
nell'atto aziendale di cui all'art. 3 del d.lgs. del 1992 n. 502, nel
rispetto di vincoli economici di cui si e' gia' detto. 
    La  difesa  regionale,  infine,  aggiunge  che  l'Avvocatura  non
avrebbe in alcun modo motivato  sulle  ragioni  per  cui  la  mancata
menzione della previsione di cui all'art. 8,  comma  2,  dell'accordo
collettivo citato, di per se' sola violerebbe il  principio  di  buon
andamento della pubblica amministrazione. 
    Tale  violazione,   peraltro,   non   sussisterebbe   anche   per
l'insuperabile constatazione che la normativa regionale censurata non
reca previsioni incompatibili con quelle contemplate dall'art. 8  del
piu' volte citato accordo collettivo,  di  cui,  quindi,  postula  la
perdurante vigenza e cogenza. 
    4. - In data 17 gennaio 2011 la Regione Veneto ha depositato  una
memoria illustrativa con  la  quale  ha  ribadito  le  argomentazioni
sostenute nell'atto di costituzione in giudizio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  con  il  ricorso
indicato  in  epigrafe,  ha  promosso   questione   di   legittimita'
costituzionale della legge della Regione Veneto 4 marzo 2010, n.  17,
pubblicata sul Bollettino  Ufficiale  Regionale  del  9  marzo  2010,
recante «Istituzione  delle  direzioni  aziendali  delle  professioni
sanitarie  infermieristiche  e   ostetriche   e   delle   professioni
riabilitative, tecnico - sanitarie e della prevenzione». 
    Ad  avviso  del  ricorrente,  la  legge  censurata  presenterebbe
«profili di illegittimita' costituzionale nel suo articolo 2, e nelle
disposizioni con esso inscindibilmente connesse, per violazione degli
artt. 81, 117 comma II, lett. l), 97 della Costituzione». 
    In particolare, sarebbe prevista l'istituzione delle due suddette
direzioni aziendali non soltanto senza specificare in  qual  modo  la
Regione intenda coprire i relativi posti, ma  anche  senza  prevedere
che all'istituzione di tali  posti  si  faccia  luogo  attraverso  le
modificazioni  compensative  della  dotazione  organica   complessiva
aziendale. Da cio' deriverebbe che i posti in  organico  delle  nuove
direzioni dovrebbero  essere  coperti  mediante  personale  reclutato
aliunde, in assenza di garanzie circa l'invarianza della  spesa,  sia
perche' non sarebbe prevista la copertura  finanziaria  dei  maggiori
oneri derivanti dall'istituzione delle  direzioni,  sia  perche'  non
sarebbe precisato il  numero  dei  nuovi  dirigenti,  onde  sarebbero
incerti l'an e il  quantum  della  dotazione  organica,  con  diretta
violazione dell'art. 81, quarto comma, Cost. 
    La  normativa  denunciata,  inoltre,  intervenendo   in   materia
disciplinata dal contratto collettivo, violerebbe l'art. 117, secondo
comma,  lettera  l),  Cost.,  e  non  recherebbe  alcun   riferimento
all'emanazione del regolamento previsto dall'art.  8,  comma  7,  del
CCNL del 17 ottobre 2008, in violazione dell'art. 97 Cost. 
    2. - La Regione Veneto eccepisce l'improcedibilita' del  ricorso,
stante il mancato rispetto del termine perentorio  stabilito  per  il
deposito di esso dall'art. 31, quarto comma, legge 11 marzo 1953,  n.
87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul  funzionamento  della   Corte
costituzionale), come sostituito dall'art. 9, comma 1, della legge  5
giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento  dell'ordinamento
della Repubblica alla L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3). 
    Infatti, il ricorso, presentato agli ufficiali giudiziari di Roma
per la  notifica  l'8  maggio  2010,  risulta  depositato  presso  la
cancelleria della Corte costituzionale il 20 maggio 2010. 
    Questo secondo adempimento, quindi, compiuto dalla  difesa  dello
Stato a distanza di dodici giorni  dal  primo,  sarebbe  tardivo,  in
quanto eseguito in violazione del citato art. 31, quarto  comma,  che
stabilisce  per  il  deposito  del  ricorso  notificato  il   termine
perentorio di dieci giorni  dalla  notificazione.  Cio'  perche',  ad
avviso della resistente, la decorrenza  del  detto  termine  andrebbe
calcolata a far tempo dalla data in cui  l'atto  e'  consegnato  agli
ufficiali giudiziari, in forza dei principi stabiliti da questa Corte
con le sentenze n. 250 del 2009, n. 477 del 2002 e n. 69 del 1994,  e
in  base  al  disposto  dell'art.149,  terzo  comma,  del  codice  di
procedura civile (aggiunto dall'art. 2, comma 1, lettera e), legge 28
dicembre 2005, n. 263, recante «Interventi correttivi alle  modifiche
in materia processuale civile introdotte con il d.l. 14  marzo  2005,
n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005,  n.
80, nonche' ulteriori modifiche al codice di procedura civile e  alle
relative disposizioni di attuazione, al regolamento di cui al R.D. 17
agosto 1907, n. 642, al codice civile, alla legge 21 gennaio 1994, n.
53, e disposizioni in tema di diritto alla pensione di reversibilita'
del  coniuge  divorziato»),  ai  sensi  del  quale  «La  notifica  si
perfeziona, per il soggetto notificante, al  momento  della  consegna
del plico all'ufficiale  giudiziario  e,  per  il  destinatario,  dal
momento in cui lo stesso ha la legale conoscenza dell'atto».  Sarebbe
contraddittorio che, nei confronti di uno stesso soggetto  (cioe'  la
parte che richiede la notifica), quest'ultima «venga a  perfezionarsi
in due distinti momenti, a seconda dei fini per cui essa e' presa  in
considerazione:   quando   provvede   alla   consegna   all'Ufficiale
giudiziario,  se  si  tratta  di  evitare   una   decadenza   o   una
prescrizione: quando ha luogo il recapito dell'atto al  destinatario,
se si tratta di far decorrere il termine per  il  deposito  dell'atto
medesimo nel processo». 
    2.1. - L'eccezione non e' fondata. 
    Questa Corte, con sentenza n. 318 del 2009, ha affermato  che  il
principio generale relativo alla scissione  dei  momenti  in  cui  la
notifica si perfeziona per il notificante e per il destinatario,  con
conseguente anticipazione di tale perfezionamento a favore del  primo
al momento della  consegna  dell'atto  all'ufficiale  giudiziario  (o
all'agente postale), e' correlato all'esigenza di tutelare il diritto
di difesa del notificante,  essendo  altresi'  irragionevole  che  un
effetto di decadenza possa discendere dal ritardo nel  compimento  di
un'attivita' riferibile a soggetti diversi dal  medesimo  notificante
(l'ufficiale giudiziario o l'agente postale) e  percio'  destinata  a
restare estranea alla sua sfera di disponibilita'. 
    Invece, la ratio del suddetto effetto  anticipato  (che,  proprio
perche' tale, ha anche carattere  provvisorio,  essendo  destinato  a
consolidarsi soltanto nel momento in cui il  destinatario  ha  legale
conoscenza  dell'atto)  rimane   estranea   ai   casi   in   cui   il
perfezionamento della notificazione vale a stabilire il  dies  a  quo
inerente alla decorrenza di un termine successivo del processo,  qual
e' nella specie quello per il deposito del ricorso notificato. In tal
caso non viene in rilievo alcuna esigenza di tutelare il  diritto  di
difesa del notificante; non e' identificabile un  momento  analogo  a
quello  della  consegna   dell'atto   all'ufficiale   giudiziario   o
all'agente postale; l'attivita' da  compiere  non  dipende  da  altri
soggetti; infine, il notificante ha interesse a verificare, allorche'
procede al deposito, che la notifica dell'atto  sia  stata  raggiunta
nei confronti del destinatario. 
    Ne deriva che l'art. 31, quarto comma, della legge n. 87 del 1953
(e successive modificazioni) deve essere interpretato nel  senso  che
il dies a quo del termine ivi  contemplato  inizia  a  decorrere  nel
momento in cui la notificazione si e' perfezionata nei confronti  del
notificante e del destinatario. 
    Nel caso di specie,  come  risulta  dall'avviso  di  ricevimento,
prodotto dall'Avvocatura dello  Stato  e  non  contestato,  il  plico
contenente il ricorso pervenne al destinatario il 13 maggio 2010.  Il
ricorso medesimo, con i relativi allegati, fu  poi  depositato  nella
cancelleria di questa Corte il 20 maggio 2010. 
    Pertanto, l'adempimento risulta tempestivo. 
    3. - La Regione Veneto ha, poi, eccepito  l'inammissibilita'  del
ricorso, per il carattere generico delle censure mosse con lo stesso. 
    In   particolare,   l'oggetto   dell'impugnazione   del   Governo
risulterebbe  indeterminato,  essendo   messa   in   discussione   la
legittimita' costituzionale della legge  regionale  n.  17  del  2010
«nell'art. 2 e  nelle  disposizioni  a  tale  norma  inscindibilmente
connesse», senza alcuna precisazione idonea a circostanziare il thema
decidendum. 
    Il  gravame,  quindi,  di  fatto  investirebbe   l'intera   legge
regionale, in quanto tutte le sue disposizioni - ad eccezione, forse,
dell'art.  5,  in  tema  di  «sperimentazioni  assistenziali»  -   si
ricollegherebbero  direttamente  all'istituzione  delle   due   nuove
direzioni aziendali delle professioni sanitarie non mediche. 
    Tuttavia, in realta',  l'unica  norma  censurata  sarebbe  quella
dettata dall'art. 2 della legge de qua, mentre nessun  contrasto  con
la  Costituzione  sarebbe  prospettato  con   riguardo   alle   altre
disposizioni  della  medesima  legge.  Pertanto,  il   tentativo   di
estendere l'impugnazione, mediante una semplice clausola di stile (il
riferimento alle «norme inscindibilmente connesse»),  anche  a  parti
della  disciplina  regionale  non  investite  dalle  censure  sarebbe
inammissibile. 
    Inoltre,  anche  in  relazione  al  citato  art.  2  della  legge
impugnata, la difesa dello Stato si limiterebbe ad  enunciare  alcune
presunte violazioni della Costituzione, senza motivarle. 
    Infatti, circa l'asserito contrasto con l'art. 81, quarto  comma,
Cost., non sarebbe chiarito perche'  mai  l'istituzione  delle  nuove
direzioni aziendali dovrebbe comportare maggiori oneri di spesa privi
di adeguata copertura. Tale  censura  si  risolverebbe  in  una  mera
affermazione di carattere apodittico. 
    Anche  il  motivo,  per  il   quale   la   disciplina   regionale
risulterebbe in contrasto con gli artt.  97  e  117,  secondo  comma,
lettera  l),  Cost.,  non  sarebbe  stato  chiarito,  in  assenza  di
un'adeguata spiegazione relativa alle asserite violazioni. 
    Neppure tale eccezione e' fondata. 
    Il ricorso, in forma concisa ma chiara, illustra le ragioni delle
censure, ponendo l'accento sul  fatto  che  il  citato  art.  2,  pur
prevedendo l'istituzione di due direzioni aziendali, non soltanto non
specifica le modalita' di copertura dei relativi posti ma non  indica
in  alcuna  parte  che  a  detta  copertura  si   provveda   mediante
modificazioni  compensative  della  dotazione  organica   complessiva
aziendale. Diretta conseguenza di tale mancata previsione sarebbe  il
difetto di garanzie circa l'invarianza della spesa, sia perche' nella
legge non sarebbe individuata la copertura finanziaria  dei  maggiori
oneri di spesa derivanti dall'istituzione delle nuove direzioni,  sia
perche'  non  sarebbe  neppur  precisato  il  numero   dei   relativi
dirigenti. 
    Sono poi esposte, sia pure in termini sintetici,  le  ragioni  di
censura riferite agli artt. 97 e  117,  comma  secondo,  lettera  l),
Cost. 
    Il ricorso, dunque, risulta sorretto da un  sufficiente  apparato
argomentativo. 
    Ne'  puo'  condividersi  l'assunto  secondo  cui  l'unica   norma
censurata sarebbe quella dettata dall'art. 2 della  legge  regionale.
In effetti, come la stessa resistente rileva, tutte  le  disposizioni
di detta legge «si ricollegano direttamente all'istituzione delle due
nuove direzioni aziendali delle professioni sanitarie  non  mediche».
Ne deriva che le censure mosse all'art. 2 finiscono  per  estendersi,
in via consequenziale, all'intera legge regionale. 
    4. - La questione e' fondata. 
    Si deve premettere che l'applicazione alle  Regioni  dell'obbligo
di copertura finanziaria  delle  disposizioni  legislative  e'  stata
sempre ribadita da questa Corte (ex plurimis, tra  le  piu'  recenti:
sentenze nn. 141 e 100 del 2010, nn. 386 e 213 del 2008, n.  359  del
2007), con la precisazione che  il  legislatore  regionale  non  puo'
sottrarsi alla fondamentale esigenza di chiarezza ed  equilibrio  del
bilancio cui l'art. 81 Cost. s'ispira. Essa, inoltre, ha chiarito che
la copertura di nuove spese deve essere  credibile,  sufficientemente
sicura, non arbitraria o irrazionale, in  adeguato  rapporto  con  la
spesa che s'intende effettuare (sentenze n. 100 del 2010 e n. 213 del
2008). 
    La legge della Regione Veneto n. 17 del 2010, non e'  conforme  a
tali  principi  e,  quindi,   al   disposto   del   citato   precetto
costituzionale. 
    Essa e'  composta  da  sette  articoli.  Il  primo  determina  le
finalita'  della  normativa,  individuandole  nel  «contribuire  alla
realizzazione  del  diritto  alla  salute,   all'integrazione   socio
sanitaria e al miglioramento dell'organizzazione multi  professionale
del lavoro, attraverso l'istituzione delle direzioni aziendali  delle
professioni  sanitarie  infermieristiche  ed   ostetriche   e   delle
professioni riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione». Il
secondo stabilisce, nel comma 1, che «Le aziende unita' locali  socio
sanitarie (ULSS), fermo restando quanto previsto dagli  articoli  22,
23 e 24 della legge regionale 14 settembre 1994,  n.  56  [...],  con
particolare  riferimento  alla  gestione   unitaria   del   distretto
socio-sanitario, dell'ospedale e  del  dipartimento  di  prevenzione,
nonche'  le  aziende  ospedaliere  e  ospedaliere   -   universitarie
integrate e gli istituti pubblici di  ricovero  e  cura  a  carattere
scientifico  (IRCSS)  istituiscono  quali  strutture   complesse   la
direzione aziendale delle professioni sanitarie  infermieristiche  ed
ostetriche e la direzione aziendale delle professioni  riabilitative,
tecnico-sanitarie  e  della  prevenzione,   di   seguito   denominate
Direzioni». Il comma 2  aggiunge  che  «I  direttori  generali  delle
aziende ULSS, ospedaliere e ospedaliere - universitarie  integrate  e
degli IRCSS, nell'atto aziendale di cui all'art. 3, comma 1-bis,  del
decreto legislativo 30 dicembre 1992,  n.  502  [...],  e  successive
modificazioni,  definiscono  l'articolazione   delle   direzioni   in
relazione alla complessita' dei processi  strategici,  organizzativi,
gestionali  e  formativi  da  garantire».  L'art.  3  determina   gli
obiettivi delle direzioni; l'art. 4  dispone  che  ai  dirigenti  gli
incarichi dirigenziali «sono conferiti secondo le modalita'  previste
dalle leggi vigenti in  materia  di  personale  dirigente  del  ruolo
sanitario»; l'art. 5 prevede le sperimentazioni assistenziali, con la
possibilita' per le aziende  ULSS,  previa  autorizzazione  da  parte
della   Giunta   regionale,   di   attivare   «specifiche   strutture
residenziali  a  prevalente  gestione  infermieristica  e  ambulatori
territoriali  affidati  a  personale  appartenente  alle  professioni
sanitarie di cui alla presente legge, nel rispetto di quanto previsto
dalla legge regionale 16 agosto 2002, n. 22 [....];  l'art.  6  detta
una norma di coordinamento con altra legge regionale»; infine, l'art.
7 demanda alla Giunta regionale la definizione delle linee guida  per
l'elaborazione dell'atto aziendale di cui all'art. 2, comma 2,  della
legge medesima. 
    Come si vede, nella legge in questa sede censurata nulla si  dice
circa la consistenza delle direzioni e non si trova alcun cenno  alla
copertura finanziaria. 
    Al riguardo, non puo' porsi in dubbio che la normativa introdotta
comporti nuove spese, ancorche' il  suo  carattere  generico  non  ne
consenta una precisa determinazione. La legge censurata, nell'art. 2,
prevede l'istituzione di due «strutture  complesse»  (cosi'  definite
nell'art. 2, comma 1), in  assenza  pero'  di  indicazioni  circa  il
relativo organico e la disponibilita' dei mezzi necessari per il loro
funzionamento, nonche' senza stabilire che alla detta istituzione  si
debba provvedere mantenendo invariati i costi complessivi  sopportati
dagli enti per il personale impiegato e per le  strutture  occorrenti
al fine di renderlo operativo. 
    La  tesi  della  Regione  Veneto,  secondo  cui   la   disciplina
introdotta con  la  legge  regionale  n.  17  del  2010  verrebbe  ad
inserirsi in un quadro normativo gia' ricco di vincoli rigorosi volti
al contenimento dei costi in materia sanitaria, onde non  sarebbe  in
grado di provocare alcun incremento dei  medesimi,  non  puo'  essere
condivisa. 
    Invero, il detto assunto si pone in contrasto con l'art. 81 Cost.
che, dopo  aver  disposto  nel  terzo  comma  che  con  la  legge  di
approvazione del bilancio non si possono stabilire  nuovi  tributi  e
nuove spese, aggiunge nel quarto comma  che  «Ogni  altra  legge  che
importi nuove e maggiori  spese  deve  indicare  i  mezzi  per  farvi
fronte». 
    Esiste, dunque, uno stretto collegamento tra la legge, la nuova e
maggior spesa che essa comporta e la relativa copertura  finanziaria,
che non puo' essere ricercata in altre disposizioni, ma  deve  essere
indicata nella legge medesima, al fine di evitare che gli effetti  di
essa  (eventualmente  in  deroga  alle  altre  disposizioni)  possano
realizzare stanziamenti privi della corrispondente copertura. 
    Ne' giova il  richiamo  della  difesa  regionale  alle  modifiche
compensative che gli enti, cui e' demandata l'istituzione delle nuove
direzioni, dovrebbero eseguire nei propri organici, ovvero a forme di
turnover con le modalita' stabilite dalla Giunta regionale. 
    Ribadito che nessun cenno al riguardo si trova nella normativa de
qua, e rilevato che le stesse modalita' alternative prospettate dalla
Regione  conferiscono  un  carattere  d'incertezza   alla   copertura
finanziaria    (che,    invece,    dovrebbe    essere     «credibile,
sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale»,  come  dianzi
precisato), si deve ancora osservare che  sia  la  legge  statale  10
agosto  2000,  n.  251  (Disciplina   delle   professioni   sanitarie
infermieristiche, tecniche della  riabilitazione,  della  prevenzione
nonche' della professione ostetrica), nell'art. 6,  comma  2,  ultimo
periodo, sia l'art. 4 della legge in questa sede  censurata,  sia  il
contratto collettivo nazionale di lavoro cui la difesa  regionale  si
richiama (in particolare, art. 8) si  riferiscono,  nella  previsione
delle modifiche compensative  della  dotazione  organica  complessiva
aziendale, alle figure dirigenziali, onde  restano  indeterminate  la
consistenza del restante personale, le modalita' di formazione  della
relativa dotazione organica e l'organizzazione delle nuove strutture. 
    In questo  quadro,  la  normativa  censurata  viola  il  precetto
dettato dall'art. 81, quarto comma, Cost.; e la violazione si estende
all'intera legge,  sia  per  la  natura  del  vizio  di  legittimita'
riscontrato, sia perche' tutte le disposizioni di essa presentano uno
stretto collegamento con l'art. 2,  cui  le  censure  del  ricorrente
direttamente si riferiscono. 
    Pertanto, deve essere dichiarata l'illegittimita'  costituzionale
della legge della Regione Veneto n. 17 del 2010, per contrasto con il
parametro da ultimo citato. 
    Ogni altra questione resta assorbita.