Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri,  rappresentato
e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui Uffici  in
Roma, via dei Portoghesi 12, e' domiciliato: 
    Nei  confronti  della  regione  Calabria  in  persona   del   suo
Presidente per la dichiarazione della  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 2, comma 2 della  legge  regionale  7  marzo  2011,  n.  3,
recante: «Interventi regionali di sostegno alle  imprese  vittime  di
reati di 'drangheta e  disposizioni  in  materia  di  contrasto  alle
infiltrazioni mafiose nel settore dell'imprenditoria»  (B.U.R.  n.  4
del 15 marzo 2011). 
    Con  legge  n.  3  del  7  marzo  2011  la  regione  Calabria  ha
introdotto, all'art. 1, delle misure  di  sostegno  in  favore  delle
«imprese  vittime  di  reati  di  'drangheta»  e,  all'art.   2,   le
disposizioni  volte  a  contrastare  le  «infiltrazioni  mafiose  nel
settore dell'imprenditoria». 
    In particolare quest'ultima norma dispone, al comma 1,  che  «Nei
contratti conclusi dalla regione Calabria e  dagli  enti,  aziende  e
societa' regionali, e' sempre  inserita  una  clausola  espressa  per
inadempimento del contraente privato, ai sensi  dell'art.  1456  cod.
civ., operante laddove sia accertata, con la richiesta  di  rinvio  a
giudizio secondo quanto previsto dall'art. 38,  lettera  m-ter),  del
decreto legislativo 12 aprile  2006,  n.  163,  la  mancata  denuncia
all'autorita' giudiziaria di reati di 'ndrangheta,  di  criminalita',
di estorsione, di usura, ovvero contro la pubblica amministrazione  o
contro la liberta' degli incanti, dei quali il contraente,  od  altri
soggetti facenti  parte  della  sua  organizzazione  imprenditoriale,
siano  venuti  a  conoscenza  con  riferimento  alla  conclusione  od
all'esecuzione del contratto con l'ente pubblico.  Tale  clausola  e'
inserita anche nei contratti di subappalto ed opera nei confronti  di
ogni impresa con la quale  i  soggetti  aggiudicatari  possono  avere
rapporti derivati». 
    Il successivo comma 2  stabilisce  che  «il  mancato  inserimento
della clausola o la sua mancata attivazione determinano  la  nullita'
del contratto e costituiscono causa di responsabilita' amministrativa
e/o disciplinare». 
    Senonche' quest'ultima previsione viola l'art. 117 comma 2, lett.
1) della Costituzione,  che  attribuisce  allo  Stato  la  competenza
legislativa esclusiva in materia di «ordinamento civile». 
    La norma che si  censura,  infatti,  disponendo  che  al  mancato
inserimento nei contratti pubblici della clausola risolutiva espressa
prevista al comma 1  della  medesima  disposizione,  o  alla  mancata
attivazione  della  medesima  clausola  conseguano  la  nullita'  del
contratto e costituiscano causa di responsabilita' amministrativa e/o
disciplinare,  riguarda  la   fase   di   esecuzione   del   rapporto
contrattuale, nell'ambito del quale l'amministrazione non agisce come
autorita',  ma  nell'esercizio  della  sua  autonomia  negoziale,  in
posizione di tendenziale parita' con la controparte. 
    In questi termini  e',  infatti,  la  giurisprudenza  di  codesta
ecc.ma Corte costituzionale la quale ha piu' volte chiarito che,  nel
settore degli  appalti  pubblici,  la  fase  che  ha  inizio  con  la
stipulazione del contratto e prosegue con l'attuazione  del  rapporto
negoziale  e'  disciplinata  da  norme  che  devono  essere  ascritte
nell'ambito materiale dell'ordinamento civile. «Cio'  in  quanto,  in
tale fase, l'amministrazione si pone in una posizione di  tendenziale
parita' con la controparte e  agisce  non  nell'esercizio  di  poteri
amministrativi,  bensi'  nell'esercizio   della   propria   autonomia
negoziale» (Corte cost. 18 febbraio 2011, n. 53; id. 401/2007). 
    Peraltro la disposizione regionale all'esame  si  discosta  dalla
disciplina dettata dallo Stato con il codice dei contratti  pubblici,
di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. 
    L'art. 38, lett. m-ter) del  citato  decreto  delegato,  infatti,
norma richiamata dal legislatore regionale al  comma  1  dell'art.  2
della citata legge n. 3 del 2011, stabilisce (solo) che  non  possano
concludere  i  contratti  pubblici  relativi  a  lavori,  servizi   e
forniture «i  soggetti  che  pur  essendo  state  vittime  dei  reati
previsti e punti dagli artt. 317  e  629  c.p.  non  risultino  avere
denunciati i fatti all'autorita' giudiziaria». 
    Ne consegue che la previsione che dal mancato  inserimento  della
«clausola  risolutiva  espressa  per  inadempimento  del   contraente
privato» o della sua mancata attivazione  consegua  la  nullita'  del
contratto  viene  a  incidere  sulle  conseguenze  sanzionatorie  del
comportamento contrattuale delle parti, non previste dalla  normativa
statale, cio' che conferma la violazione, ad  opera  della  normativa
impugnata, della  sfera  di  competenza  statale  esclusiva  prevista
dall'art. 117, comma 2 lettera l) Cost.