Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 30, 40, comma
2, e 42, commi 7 e 9, della legge della Regione  Marche  15  novembre
2010, n. 16 (Assestamento del Bilancio 2010), promosso dal Presidente
del Consiglio dei ministri con ricorso spedito per la notifica il  17
gennaio 2011,  depositato  in  cancelleria  il  25  gennaio  2011  ed
iscritto al n. 2 del registro ricorsi 2011. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Marche; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  19  aprile  2011  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano; 
    uditi l'avvocato dello Stato Paola Palmieri per il Presidente del
Consiglio dei ministri e l'avvocato Stefano  Grassi  per  la  Regione
Marche. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Giusta conforme deliberazione governativa, il Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, ha promosso, con ricorso notificato in data  17
gennaio 2011, questione di legittimita'  costituzionale  degli  artt.
30, 40, comma 2, e 42, commi 7 e 9, della legge della Regione  Marche
15  novembre  2010,  n.  16   (Assestamento   del   Bilancio   2010),
affermandone il contrasto con l'art.  117,  commi  primo  e  secondo,
lettere e) ed s), della Costituzione. 
    2. - In particolare, osserva il ricorrente che  l'art.  30  della
legge regionale n. 16  del  2010  integra,  al  comma  1,  prevedendo
interventi definiti indifferibili ed urgenti, il  Piano  d'ambito  di
cui all'art. 149 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme
in materia ambientale). Cio' allo scopo di scongiurare situazioni  di
emergenza sanitaria derivanti dalla chiusura degli scarichi di  acque
reflue non a norma e di garantire il raggiungimento  degli  obiettivi
fissati dal piano di tutela delle acque approvato  con  deliberazione
dell'Assemblea regionale n. 145 del 26 gennaio 2010, il quale prevede
la realizzazione di interventi per l'adeguamento e  la  realizzazione
di impianti di depurazione delle acque reflue urbane e  per  il  loro
collettamento a tali strutture. Al comma 2 viene indicata la data del
31 dicembre 2015 quale termine per la realizzazione degli  interventi
di cui sopra per gli agglomerati urbani con almeno  duemila  abitanti
equivalenti e, al comma 3, e',  infine,  previsto  che,  nel  periodo
necessario per la realizzazione dei predetti interventi e,  comunque,
non oltre il termine  del  31  dicembre  2015,  le  Province  possano
rilasciare autorizzazioni provvisorie relative agli scarichi  di  cui
al comma 1 (cioe' quelli «non conformi alla normativa vigente»). 
    2.1. - Ad avviso del ricorrente  la  descritta  disciplina  viola
l'art. 117, secondo comma, lettera s),  della  Costituzione  «per  il
tramite della normativa statale di riferimento in materia ambientale,
da considerarsi quale disciplina interposta». 
    Viene, a tal proposito, richiamato il decreto legislativo n.  152
del  2006  che,  fra  l'altro,  disciplina  la  tutela  delle   acque
dall'inquinamento  e  la  gestione   delle   risorse   idriche,   con
disposizioni  che   costituiscono   principi   generali   di   tutela
dell'ambiente sia alla luce delle disposizioni costituzionali che  di
quelle di fonte internazionale e comunitaria. 
    In particolare, l'impugnato art. 30 della legge regionale  n.  16
del 2010 prevede la realizzazione di interventi  che  gia'  avrebbero
dovuto  essere  realizzati  in  attuazione  di  quanto  previsto  sia
dall'art. 149 del d.lgs. n. 152  del  2006  sia  dagli  artt.  100  e
seguenti del medesimo provvedimento legislativo. 
    La  disposizione  censurata,  incidendo  sulla  medesima  materia
disciplinata dal d.lgs. n. 152 del  2006,  non  solo  rimette  ad  un
successivo programma redatto in base ad essa  l'individuazione  delle
priorita' negli interventi da realizzare e  dei  relativi  tempi,  ma
fissa, altresi', al 31 dicembre del 2015 il termine  massimo  per  la
loro realizzazione  con  riferimento  agli  «agglomerati  urbani  con
almeno duemila abitanti equivalenti», consentendo, anche che, sino  a
tale data, le Province  autorizzino  provvisoriamente  l'utilizzo  di
scarichi non a norma. 
    Siffatta normativa,  osserva  il  ricorrente,  pur  dichiarandosi
finalizzata a tutelare l'igiene e la  sanita'  pubblica,  in  realta'
introduce una deroga alla operativita'  della  normativa  statale  in
materia  di  tutela  dell'ambiente,  consentendo,  in  contrasto  con
questa, il perpetuarsi di situazioni  di  mancato  adeguamento  degli
scarichi idrici ai dettami comunitari e nazionali in materia. 
    2.2. - Sul punto parte ricorrente  ricorda  che,  a  mente  degli
artt. 27 e  31  del  decreto  legislativo  11  maggio  1999,  n.  152
(Disposizioni  sulla   tutela   delle   acque   dall'inquinamento   e
recepimento della direttiva  91/271/CEE  concernente  il  trattamento
delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa  alla
protezione  delle  acque  dall'inquinamento  provocato  dai   nitrati
provenienti da  fonti  agricole),  il  termine  entro  il  quale  gli
agglomerati urbani con un  numero  di  abitanti  superiore  a  15.000
dovevano dotarsi di una rete fognaria e di un sistema di  trattamento
delle acque reflue era fissato al 31 dicembre 2000 mentre per  quelli
aventi un numero di abitanti compreso fra 2.000 e 15.000  il  termine
era fissato al 31 dicembre 2005. Allorche' la predetta  normativa  e'
stata  abrogata,  a  seguito  dell'entrata  in  vigore  del   decreto
legislativo n. 152 del 2006, non e' stato previsto alcun differimento
dei  ricordati  termini  ne'  sono   state   individuate   situazioni
legittimanti  deroghe  al  principio,  stabilito  dall'art.  100  del
medesimo decreto legislativo n. 152 del 2006, secondo  il  quale  gli
agglomerati urbani con un numero di abitanti equivalenti superiore  a
2.000 dovevano essere provvisti di reti fognarie. 
    Rilevato che fra le specifiche finalita' indicate all'art. 73 del
d.lgs.  n.  152  del  2006  vi  e'  la  prevenzione  e  la  riduzione
dell'inquinamento  idrico  ed  il  risanamento   dei   corpi   idrici
inquinati, da realizzarsi, tra  l'altro,  tramite  l'adeguamento  dei
sistemi di  fognatura,  collegamento  e  depurazione  degli  scarichi
idrici, nell'ambito del servizio idrico  integrato,  nonche'  tramite
l'adozione di misure  volte  al  controllo  degli  scarichi  e  delle
emissioni nelle acque superficiali, osserva ancora il ricorrente  che
l'impugnato art. 30, rinviando la realizzazione degli  interventi  di
adeguamento  e  consentendo  alle  Province  di  autorizzare  in  via
provvisoria scarichi non conformi alla normativa, si pone in  diretto
contrasto con la normativa  statale,  la  quale  non  giustifica  ne'
differimenti  temporali  ne'  deroghe  per  casi  particolari.  Esso,
quindi, disciplinando aspetti indubbiamente  attinenti  alla  materia
ambientale, in maniera difforme rispetto  alle  disposizioni  statali
contenute  nel  decreto  legislativo  n.  152  del  2006,  viola   la
competenza esclusiva statale di  cui  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera s), Cost. 
    2.3. - Infatti, prosegue il ricorrente,  pur  essendo  vero  che,
stante la natura trasversale della  materia  «ambiente»,  le  Regioni
possono stabilire, nell'esercizio delle loro competenze,  livelli  di
tutela piu' elevati, cio' puo', comunque avvenire,  non  al  fine  di
tutelare direttamente il bene ambientale, ma  solo  per  disciplinare
adeguatamente  gli  oggetti  riconducibili   alle   loro   specifiche
competenze. 
    Nel caso  che  interessa,  invece,  la  Regione  e'  direttamente
intervenuta,  attraverso  la  previsione   di   una   proroga   nella
realizzazione degli interventi  necessari  e  della  possibilita'  di
consentire indebite deroghe, sui regimi di tutela riservati,  invece,
alla competenza esclusiva dello Stato. 
    3. - Riguardo al comma 2 dell'art. 40 della legge regionale n. 16
del 2010 - il quale prevede che il servizio idrico integrato, poiche'
di interesse generale e riconducibile  a  diritti  fondamentali,  non
rientra tra i servizi pubblici locali  a  rilevanza  economica  -  il
ricorrente osserva che esso si pone in contrasto  con  l'art.  23-bis
del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la   competitivita',   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133,  il
quale, nel disciplinare  l'affidamento  e  la  gestione  dei  servizi
pubblici locali di rilevanza economica, ne ha affermato la pertinenza
alla competenza  esclusiva  dello  Stato  in  tema  di  tutela  della
concorrenza  e  di  determinazione  dei  livelli   essenziali   delle
prestazioni che debbono  essere  garantiti  su  tutto  il  territorio
nazionale,  precisando,  altresi',  che  le  disposizioni   in   esso
contenute si applicano a tutti i servizi pubblici locali. 
    In particolare, il ricorrente segnala  che  nella  giurisprudenza
della Corte gia' e' stata affermata la omologia  fra  la  nozione  di
«servizio pubblico locale di rilevanza economica» e quella, di  fonte
comunitaria, di «servizio di interesse economico generale» cosi' come
quella fra i  concetti  di  «rilevanza  economica»  e  di  «interesse
economico generale», intendendosi per tale, secondo la giurisprudenza
comunitaria,  un  interesse  che  attiene  a  prestazioni  dirette  a
soddisfare  i  bisogni  di  una  generalita'   di   utenti   e   rese
nell'esercizio   di   un'attivita'   economica,   cioe'   consistente
nell'offrire beni o servizi su di un determinato mercato. 
    Poiche' siffatta nozione, avente un  contenuto  oggettivo,  viene
utilizzata quale criterio discretivo per l'applicazione delle norme a
tutela della concorrenza in tema di affidamento  della  gestione  dei
servizi pubblici, ne deriva che la determinazione delle condizioni di
rilevanza economica dei servizi pubblici  stessi  e'  riservata  alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato in tema di tutela  della
concorrenza. 
    Sotto tale profilo l'art. 40 della  legge  regionale  n.  16  del
2010, il quale sottrae dall'ambito  dei  servizi  pubblici  locali  a
rilevanza economica il servizio idrico  integrato,  esulerebbe  dalla
competenza legislativa regionale. 
    3.1. - Peraltro,  soggiunge  il  ricorrente,  la  Corte,  con  la
sentenza n. 325 del 2010, originata da un  ricorso  proposto  avverso
una legge dello Stato dalla Regione Marche, gia' ha affermato che  e'
fatto  divieto,  stante  la  portata  oggettiva  della   nozione   di
«interesse economico», sia agli Stati membri dell'Unione europea  che
agli  enti  infrastatuali   di   decidere   discrezionalmente   sulla
sussistenza o meno dell'interesse in questione, precisando  altresi',
con  specifico  riferimento  al  servizio   idrico   integrato,   che
correttamente il legislatore statale lo ha qualificato come  servizio
di rilevanza economica, escludendo,  conseguentemente,  «ogni  potere
degli enti infrastatuali di pervenire ad una diversa qualificazione». 
    Conclude sul punto il ricorrente ricordando che, sulla base della
giurisprudenza della Corte, la disciplina  concernente  le  modalita'
dell'affidamento  della  gestione  dei  servizi  pubblici  locali  di
rilevanza economica, non ascrivibile ne' alla competenza  legislativa
statale in materia di determinazione  dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni concernenti i diritti  civili  e  sociali  ne'  a  quella
relativa alla individuazione delle funzioni fondamentali  di  Comuni,
Provincie  e  Citta'  metropolitane,  va,  invece,  ricondotta   alla
competenza statale in tema di tutela della concorrenza, data  la  sua
diretta incidenza sul mercato. 
    D'altra parte, precisa il ricorrente, oltre a violare l'art. 117,
secondo comma, lettera e), della Costituzione, l'art. 40 della  legge
regionale n. 16 del 2010 si pone altresi' in contrasto con  il  primo
comma dell'art. 117 della Costituzione, in  quanto,  restringendo  la
nozione di servizio pubblico locale a rilevanza economica, in  deroga
alla previsione contenuta nell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del  2008,
e,  di  conseguenza,  escludendo  l'affidamento  e  la  gestione  del
servizio  idrico  integrato   dall'ambito   di   operativita'   della
disciplina  comunitaria  in  tema   di   concorrenza,   liberta'   di
stabilimento e libera prestazione dei servizi,  limita,  violando  il
predetto  parametro   costituzionale,   l'applicazione   nel   nostro
ordinamento  dei  vincolanti  principi   comunitari   vigenti   nelle
sopraindicate materie. 
    4.   -   Il   ricorrente   deduce,    infine,    l'illegittimita'
costituzionale anche dell'art. 42, comma 7, della legge regionale  n.
16 del 2010, in quanto, nel modificare l'art. 4 della legge regionale
12 ottobre 2009, n. 24 (Disciplina regionale in materia  di  gestione
integrata dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati), prevede che  il
compito di «curare» le procedure per l'affidamento  del  servizio  di
gestione dei  rifiuti  di  cui  all'art.  5,  comma  4,  del  decreto
legislativo 24  giugno  2003,  n.  182  (Attuazione  delle  direttiva
2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i  rifiuti
prodotti dalle navi ed i residui del carico), sia assegnato ai Comuni
territorialmente competenti. 
    Lamenta il ricorrente che la disposizione impugnata, affidando ai
Comuni le procedure relative al  servizio  di  gestione  dei  rifiuti
portuali, si pone in contrasto con l'art. 5, comma 4, del  d.lgs.  n.
182 del 2003, il quale, invece, attribuisce siffatta competenza  alle
Regioni, peraltro previa intesa con l'Autorita' marittima per i  fini
di interesse di quest'ultima. 
    Parimenti in contrasto con le norme statali in materia ambientale
e', secondo l'avviso del ricorrente, il comma 9 del medesimo art. 42,
il quale, interpretando autenticamente il comma 1 dell'art. 61  della
legge regionale 17  maggio  1999,  n.  10  (Riordino  delle  funzioni
amministrative della Regione e degli Enti locali  nei  settori  dello
sviluppo economico ed attivita' produttive, del territorio,  ambiente
e infrastrutture, dei servizi alla persona e alla comunita',  nonche'
dell'ordinamento ed organizzazione amministrativa), dispone che,  fra
le funzioni  amministrative  attribuite  ai  Comuni,  concernenti  la
manutenzione dei porti, ci siano anche quelle aventi  ad  oggetto  le
procedure relative  all'affidamento  del  servizio  di  gestione  dei
rifiuti di cui all'art. 5, comma 4, del d.lgs. n. 182 del 2003. 
    L'attribuzione di tale funzione ai Comuni contrasta anch'essa con
l'art. 5, comma 4, del d.lgs.  n.  182  del  2003  che,  come  detto,
assegna, invece, tale compito alle Regioni, d'intesa con  l'Autorita'
marittima. 
    4.1. - Siffatto contrasto, unitamente all'intervento  legislativo
nella materia «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» riservata alla
competenza statale, integra, secondo  il  ricorrente,  la  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. 
    5.  -  Conclusivamente,  il  ricorrente,  oltre  a  chiedere   la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle norme censurate,
chiede altresi', stante la particolare  gravita'  dell'illegittimita'
per violazione delle competenze  in  materia  di  concorrenza  e  dei
vincoli  derivanti  dall'ordinamento  comunitario,   la   sospensione
cautelare della esecuzione del solo art. 40,  comma  2,  della  legge
regionale delle Marche n. 16 del 2010. 
    6. - Si e' costituita in giudizio la Regione Marche,  in  persona
del Presidente della  Giunta  regionale,  contestando  la  fondatezza
della questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata  con  il
ricorso in esame nella parte in cui essa ha per oggetto l'art. 30 e i
commi 7 e 9 dell'art. 42  della  legge  regionale  n.  16  del  2010,
mentre, per quel che concerne il comma 2 dell'art.  40  della  citata
legge regionale, prende atto dell'orientamento espresso  dalla  Corte
con le sentenze n. 325 del 2010 e 26 del 2011, peraltro ritenendo che
non sussistano gli estremi per l'invocata sospensione cautelare degli
effetti della disposizione legislativa censurata. 
    6.1. - Con riferimento alla censura  rivolta  all'art.  30  della
legge regionale n. 16 del 2010, la difesa regionale  osserva  che  si
deve, in primo luogo, fare chiarezza sul significato normativo  della
disposizione censurata, la quale ha  ad  oggetto  esclusivamente  gli
scarichi  di  acque  reflue  provenienti  dagli  agglomerati  urbani.
L'ambito di applicazione della disposizione regionale,  pertanto,  e'
inequivocamente riferito agli scarichi delle pubbliche  fognature  e,
piu' in generale, agli scarichi di acque reflue urbane posti sotto la
responsabilita' dei gestori del servizio idrico integrato. 
    Ad avviso della resistente, ratio e  finalita'  della  disciplina
sono  chiaramente  sintetizzate  nell'incipit  del  comma  1,   cioe'
scongiurare una situazione emergenziale dovuta  al  fatto  che  nella
Regione Marche sussistono ancora situazioni di non conformita'  delle
predette tipologie di  scarichi  alla  normativa  vigente,  le  quali
imporrebbero - a rigore - la chiusura immediata di tali scarichi, con
evidenti ripercussioni sia di natura igienico-sanitaria sia di natura
propriamente ambientale. 
    Sulla base di queste premesse, aggiunge la Regione, e'  possibile
scomporre la disposizione impugnata  in  due  parti.  Coi  primi  due
commi,  il  legislatore  regionale  ha  previsto  la  necessita'   di
procedere  all'integrazione  coattiva  dei  piani  d'ambito  di   cui
all'art. 149 del  d.lgs.  n.  152  del  2006  con  un  «programma  di
interventi  indifferibili  e   urgenti   per   l'adeguamento   o   la
realizzazione di impianti di depurazione delle acque reflue urbane  e
collettamento a impianti di depurazione» il quale preveda,  altresi',
la  definizione  delle  priorita'  delle  opere  e  dei  loro  tempi,
individuando, comunque il termine inderogabile del 31  dicembre  2015
per gli interventi relativi agli agglomerati urbani  con  popolazione
superiore ai duemila abitanti equivalenti. Gli interventi consistono,
dunque, esclusivamente in opere pubbliche  infrastrutturali  poste  a
carico dei gestori  del  servizio  idrico  integrato,  da  finanziare
direttamente con fondi pubblici o coi proventi della tariffa riscossa
per i servizi idrici. 
    Nella seconda parte il legislatore regionale,  col  comma  3,  ha
previsto un regime di "autorizzabilita' provvisoria"  degli  scarichi
esistenti ed ancora non conformi  alla  normativa  limitato  al  solo
periodo necessario alla realizzazione  degli  interventi  di  cui  al
comma 1 (e comunque non oltre il termine massimo ivi fissato); regime
provvisorio giustificato proprio dalla necessita'  di  conseguire,  a
fronte  di  una  generalizzata  situazione  di  irregolarita'   degli
scarichi delle acque  reflue,  l'adeguamento  di  quelli  provenienti
dagli  agglomerati  urbani  della  Regione  alle  vigenti  discipline
nazionali e comunitarie, nonche' agli obiettivi del Piano  di  tutela
delle acque (Pta). 
    6.2. - Di cio', aggiunge la Regione, essa  si  era  fatta  carico
gia' in sede di redazione del Pta, di cui all'art. 121 del d.lgs.  n.
152  del  2006,  che  era  stato  dalla  medesima  approvato,  previa
"validazione" da parte del Ministero dell'ambiente nonche'  di  altre
autorita' pubbliche.  Nel  Pta,  verificata  la  non  conformita'  ai
parametri normativi di ben 55 agglomerati urbani  aventi  popolazione
superiore a duemila abitanti equivalenti su di  un  totale  di  95  e
rilevata la necessita' di idonei interventi, si precisava che sarebbe
stato compito della Giunta regionale verificare la  congruenza  e  la
sufficienza di tali interventi,  la  cui  tempistica,  peraltro,  era
fissata in un arco molto ampio di tempo. 
    Andando a sintetizzare il contenuto del Pta, la  Regione  osserva
che esso indicava: gli interventi infrastrutturali gia'  previsti  in
ogni Ambito territoriale ottimale (Ato) nonche' i relativi  costi;  i
termini, ordinatori, entro i quali  i  gestori  del  servizio  idrico
integrato dovevano procedere alla loro realizzazione;  la  necessita'
del tempestivo adeguamento dei piani d'ambito  al  Pta,  mediante  un
programma approvato dalla  Giunta  regionale  avente,  riguardo  agli
interventi ritenuti piu' urgenti, efficacia cogente per i gestori del
servizio  idrico;  la  previsione  di  termini  massimi,  anche  essi
ordinatori, per l'adeguamento degli impianti di depurazione ai valori
limite. 
    Emergerebbe  quindi  chiaramente  la  connessione  che  lega   il
contenuto del censurato art. 30 della legge regionale n. 16 del  2010
con le previsioni del Pta che sono rese in termini piu' rigorosi:  il
primo, infatti, per la Regione, prevede come coattiva la integrazione
dei piani  d'ambito  che  il  Pta  prevede  come  facoltativa;  fissa
tassativamente, e non in via meramente ordinatoria,  al  31  dicembre
2015 il termine per gli interventi di adeguamento  negli  agglomerati
urbani   con   almeno   duemila   abitanti   equivalenti;    consente
esplicitamente alle Province di  autorizzare,  sino  alla  tempestiva
realizzazione di tali interventi, scarichi nelle pubbliche  fognature
non a norma, facolta' questa che, ad  avviso  della  Regione,  doveva
ritenersi implicitamente contemplata anche dal Pta. 
    Dal   descritto   quadro   emergerebbe,   secondo   la   Regione,
«l'assurdita' della tesi sostenuta dalla ricorrente»,  in  base  alla
quale, dovendo le reti fognarie e gli impianti di depurazione  essere
gia' stati adeguati  e  non  essendo  consentita  la  persistenza  di
scarichi non a norma, la Regione Marche,  preso  atto  della  diversa
situazione esistente nel suo  territorio,  non  poteva  prevedere  un
programma  di  adeguamento  degli  impianti  esistenti,   ma   doveva
procedere alla chiusura di quelli non a norma,  senza  tenere  conto,
nel fare cio', delle gravi implicazioni pratiche che  tale  decisione
avrebbe comportato (evacuazione  dei  centri  abitati  non  a  norma;
sistemazione  dei  cittadini  trasferiti  in  abitazioni;   immediata
realizzazione di impianti a norma). 
    6.3. - Al di la' di tali conseguenze, precisa la  resistente,  la
tesi posta a base del ricorso e' errata  in  diritto,  come  dimostra
l'analisi di numerose disposizioni contenute nel d.lgs.  n.  152  del
2006. 
    A tal proposito  la  resistente,  convenendo  sul  fatto  che  la
disposizione censurata, data la prevalenza sulle concorrenti  materie
della sanita' e dell'igiene pubblica,  sia  riconducibile  all'ambito
materiale della «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», rileva  che
essa ha ad oggetto la  tutela  delle  acque  dall'inquinamento  e  la
gestione del servizio idrico integrato, temi  riguardo  ai  quali  il
legislatore del d.lgs. n. 152 del 2006 ha affidato alle  Regioni  una
«vastissima serie di competenze normative  ed  amministrative»  delle
quali si  deve  tenere  conto  nel  valutare  la  legittimita'  della
disciplina ora in esame. 
    Nella  comparsa  sono  esaminate,  quindi,  diverse  disposizioni
contenute nel d.lgs. n. 152 del 2006: in particolare gli artt. 73 (il
quale, nell'indicare gli strumenti tramite  i  quali  conseguire  gli
obiettivi  generali  di  tutela  idrica,  segnala  l'adeguamento  dei
sistemi di fognatura, il collegamento e la depurazione degli scarichi
nonche' la graduale diminuzione di questi), 100 (il quale, dopo  aver
imposto la dotazione di reti fognarie per le acque reflue prodotte da
agglomerati aventi almeno 2000  abitanti  equivalenti,  prevede  che,
relativamente ad insediamenti, installazioni o edifici isolati, siano
le Regioni ad individuare sistemi pubblici o sistemi alternativi  che
assicurino  la  medesima  protezione  ambientale  sia  i  tempi   per
l'adeguamento degli  scarichi  esistenti  ad  essi),  105  (il  quale
prevede le modalita' di trattamento delle acque reflue  urbane),  121
(che prevede, quale fondamentale strumento di  tutela  delle  risorse
idriche, il Pta, affidato alla competenza delle Regioni ed  approvato
all'esito  di  un  procedimento  che  vede  coinvolto  il   Ministero
dell'Ambiente e le Autorita' di bacino, ed il cui comma 3 prevede che
il Pta contenga, fra l'altro, le misure volte alla tutela qualitativa
e quantitativa del sistema  idrico,  mentre  il  successivo  comma  4
addita fra contenuti del medesimo Pta  «l'indicazione  della  cadenza
temporale degli interventi e delle relative priorita'»), 124 (in base
al quale il regime autorizzatorio degli scarichi delle  acque  reflue
domestiche e delle reti fognarie e' definito dalle Regioni nei limiti
di cui all'art. 101, commi 1 e 2, ed il  cui  comma  6,  affida  alle
Regioni la disciplina delle fasi di autorizzazione provvisoria  degli
impianti di depurazione delle acque reflue), 126 (secondo il quale le
Regioni disciplinano le modalita' di approvazione degli  impianti  di
trattamento delle  acque  reflue  urbane  nonche'  di  autorizzazione
provvisoria in sede di avvio dell'impianto), 149 (il quale  detta  la
disciplina del piano d'ambito, predisposto dalla Autorita' d'ambito e
approvato dalla Regione, nel  quale  e'  contenuto  un  programma  di
interventi, con l'indicazione delle  relative  infrastrutture  e  dei
tempi per la loro realizzazione). 
    6.4.  -  La  Regione  osserva,  infine,  che,  ove  non   fossero
sufficienti i descritti indici normativi a dimostrare l'esistenza  di
specifiche competenze regionali in tema  di  adeguamento  delle  reti
fognarie esistenti e degli  impianti  di  depurazione  e  trattamento
delle  acque  reflue,  ivi  compreso  il  regime  di   autorizzazione
provvisoria  degli  scarichi  non  ancora  conformi  alla  disciplina
vigente, decisivo rilievo in tal senso avrebbe l'art. 170 del  d.lgs.
n. 152 del 2006 che, al  comma  5,  espressamente,  afferma  che  «le
Regioni definiscono, in termini non inferiori a due anni, i tempi  di
adeguamento alle  prescrizioni  [...]  contenute  nella  legislazione
regionale attuativa della parte III del presente decreto e nei» Pta. 
    Ritiene,  pertanto,  la  resistente  difesa  che,  a  fronte  del
descritto quadro normativo, sarebbe assai difficile sostenere che  il
legislatore   regionale   abbia   introdotto   una   proroga    nella
realizzazione del programma per l'adeguamento delle reti fognarie  ed
un regime derogatorio per gli esistenti scarichi  non  a  norma,  con
cio' ponendosi in contrasto con le previsioni del legislatore statale
in materia di «tutela dell'ambiente». 
    D'altra parte  la  Regione  Marche  sottolinea  che  disposizioni
legislative analoghe a quella ora in esame sono state  introdotte  in
altre legislazioni regionali, come, ad esempio,  la  legge  regionale
della Toscana 3 marzo 2010, n. 28, recante «Misure  straordinarie  in
materia di scarichi nei  corpi  idrici  superficiali.  Modifica  alla
legge regionale 31 maggio 2006, n. 20  (Norme  per  la  tutela  delle
acque dall'inquinamento) e alla legge regionale 18 maggio 1998, n. 25
(Norme  per  la  gestione  dei  rifiuti  e  la  bonifica   dei   siti
inquinati)», senza che il Governo abbia ritenuto di doverle censurare
di fronte alla Corte costituzionale. 
    7. - Passando all'esame delle censure aventi ad oggetto i commi 7
e 9 dell'art. 42 della legge regionale n.  16  del  2010,  la  difesa
regionale,  messa  in  luce  la  connessione  esistente  fra  le  due
disposizioni, rileva come, diversamente da quanto sostenuto da  parte
ricorrente, non vi sia motivo per ritenere che, per effetto di  esse,
sia venuta meno, nel procedimento volto all'affidamento del  servizio
di gestione di rifiuti portuali, l'intesa con  l'Autorita'  marittima
prescritta dal legislatore statale. Infatti, rispetto alla  normativa
invocata  dal  ricorrente   quale   parametro   interposto,   l'unica
differenza sta nello spostamento della competenza della "cura"  delle
predette procedure di affidamento dalla Regione al Comune, senza,  si
ribadisce, che ne sia coinvolta la restante struttura procedurale. 
    Fermo questo, la resistente osserva che, pertanto,  la  questione
si concentra sulla sussistenza o meno di una competenza  regionale  a
disporre il trasferimento in capo ai Comuni della  predetta  funzione
amministrativa. 
    7.1. - A tal proposito, la Regione ricorda come  la  disposizioni
indicata dal ricorrente come norma interposta, cioe' l'art. 5,  comma
4, del d.lgs. n. 182 del 2003, sia frutto  di  una  novella  inserita
dall'art.  4-bis  del  decreto-legge  25  settembre  2009,   n.   135
(Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari  e  per
l'esecuzione di sentenze della Corte  di  giustizia  delle  Comunita'
europee),  disposizione  quest'ultima  a  sua  volta  introdotta   in
occasione della conversione in  legge  del  predetto  decreto  legge,
intervenuta con legge 20 novembre 2009, n. 166. 
    Scopo dichiarato della novella era di evitare la apertura di  una
ulteriore procedura di infrazione a carico dello  Stato  italiano  di
fronte  agli  organi  della  Giustizia  comunitaria  per  non   avere
provveduto ad elaborare un piano di raccolta dei rifiuti per  ciascun
porto italiano. 
    Ritiene la resistente difesa che l'ambito materiale cui ascrivere
l'intervento  legislativo  statale  non  sia  quello   della   tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema, essendo esso volto a dare attuazione
alla disciplina comunitaria in materia di trasporti marittimi che  il
legislatore costituzionale, ai  sensi  dell'art.  117,  terzo  comma,
della Costituzione, ha affidato alla potesta' legislativa concorrente
di Stato e Regioni, sotto la specie dei «porti ed aeroporti civili» e
delle «grandi reti di trasporto e navigazione». 
    Di cio' sarebbe consapevole lo stesso  legislatore  statale  che,
all'art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 182 del  2003,  ha  espressamente
fatto salva la competenza legislativa regionale nel  dare  attuazione
alla  Direttiva  comunitaria  2000/59/CE  nel  rispetto  dei  vincoli
derivanti,  appunto,  dal  diritto  comunitario   e   dei   «principi
fondamentali» espressi dal decreto legislativo stesso. 
    Cosi' stando le cose, la normativa regionale non  avrebbe  invaso
un ambito competenziale statale, ma si sarebbe  mossa,  nel  rispetto
dei principi fondamentali  rinvenibili  nella  legislazione  statale,
entro i limiti della competenza regionale al fine di dare  attuazione
al diritto comunitario. 
    7.2.  -  Peraltro,  soggiunge  conclusivamente  la  Regione,   la
infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dei commi
7 e 9 dell'art. 42 della legge regionale n. 16 del 2010,  emergerebbe
anche  la'  dove  si  aderisse  alla  tesi  governativa  che  assegna
l'intervento   legislativo    regionale    alla    materia    «tutela
dell'ambiente», dato che esso,  infatti,  si  sarebbe  realizzato  in
esecuzione di quanto previsto dagli artt. 196 e 199 del d.lgs. n. 152
del 2006.  La  prima  delle  due  disposizioni  citate  assegna  alla
competenza regionale sia la predisposizione, adozione e aggiornamento
dei piani di gestione dei  rifiuti,  sia  la  regolamentazione  della
attivita' di gestione dei rifiuti stessi, mentre l'art. 199, al comma
3, lettera b), prevede  che  nel  piano  regionale  di  gestione  dei
rifiuti sia trattata  anche  la  questione  dei  «flussi  di  rifiuti
disciplinati da una normativa comunitaria specifica», e al  comma  4,
lettera  a),  che  esso  possa   contemplare   anche   «gli   aspetti
organizzativi connessi alla gestione dei rifiuti». 
    Tali previsioni, ad avviso della Regione Marche,  dimostrano  che
la competenza normativa  regionale  sull'attivita'  di  gestione  dei
rifiuti, ivi compresi gli aspetti organizzativi, deriva da  esplicite
scelte del legislatore statale.  Pertanto,  ben  poteva  la  Regione,
spendendo  detta  sua  competenza  ed  applicando   i   principi   di
sussidiarieta' ed adeguatezza, allocare presso i Comuni  la  funzione
amministrativa relativa alle procedure di affidamento del servizio di
gestione dei rifiuti portuali. 
    8. - Riguardo, infine, alla questione avente  ad  oggetto  l'art.
40, comma 2, della legge regionale n. 16 del 2010, la Regione  prende
atto che, immediatamente dopo la promulgazione della predetta  legge,
la  Corte  costituzionale,  con  la  sentenza  n.   325   del   2010,
successivamente ribadita dalla sentenza n. 26 del 2011, ha  affermato
che esula dalla  potesta'  normativa  regionale  la  possibilita'  di
qualificare il servizio idrico integrato in  termini  di  irrilevanza
economica;  ritiene,  pertanto,  di  non  contestare  tale  indirizzo
giurisprudenziale. 
    Osserva, peraltro, che la  natura  sostanzialmente  programmatica
della disposizione in questione porta ad escludere la sussistenza  di
un  suo  immediato  effetto,  di  talche',  difettando   qualsivoglia
pericolo di pregiudizio per l'interesse pubblico e per  l'ordinamento
giuridico della  Repubblica  nella  pendenza  del  giudizio,  non  si
giustificherebbe la richiesta di sospensione cautelare degli  effetti
della norma impugnata formulata da parte ricorrente. 
    9. - In prossimita' della data fissata  per  la  discussione  del
ricorso  la  Regione  Marche  ha   depositato   una   breve   memoria
illustrativa nella quale, ferme le conclusioni  gia'  rassegnate,  ha
ribadito che le disposizioni contenute negli artt. 30 e 42, commi 7 e
9, della legge regionale  n.  16  del  2010  si  fondano  su  diverse
disposizioni legislative statali che, pur con riguardo  alla  materia
di legislazione esclusiva della tutela dell'ambiente,  affidano  alle
Regioni, anche dopo la revisione del Titolo V della  Parte  II  della
Costituzione  effettuata  nel  2001,   una   competenza   legislativa
«integrativa-attuativa». 
    A sostegno di tale tesi parte resistente  osserva  che  non  solo
essa ha trovato fautori nella dottrina,  ma  anche  che  la  medesima
troverebbe un ampio riscontro nella giurisprudenza  della  Corte,  da
essa richiamata, la quale avrebbe  piu'  volte  scrutinato  in  senso
favorevole la  legittimita'  di  disposizioni  legislative  regionali
emanate in attuazione di norme statali che,  seppure  all'interno  di
ambiti materiali  riconducibili  alla  legislazione  esclusiva  dello
Stato, avevano riconosciuto la competenza legislativa delle Regioni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  dubita  della
legittimita' costituzionale degli artt. 30, 40, comma 2, e 42,  commi
7 e 9, della legge regionale delle Marche 15  novembre  2010,  n.  16
(Assestamento del  Bilancio  2010),  affermandone  il  contrasto  con
l'art.  117,  commi  primo  e  secondo,  lettere  e)  ed  s),   della
Costituzione. 
    Con riferimento all'impugnato  art.  40,  comma  2,  della  legge
regionale n. 16 del 2010, il ricorrente  chiede,  altresi',  che,  in
pendenza di giudizio, sia sospesa, ai sensi dell'art. 35 della  legge
11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione  e  sul  funzionamento
della Corte costituzionale), la sua esecuzione. 
    2. - Con l'art. 30 della  legge  regionale  n.  16  del  2010  la
Regione Marche ha inteso ovviare alla generalizzata situazione di non
conformita' alla normativa vigente che  caratterizza  il  sistema  di
smaltimento e depurazione degli  scarichi  idrici  negli  agglomerati
urbani  ubicati  nella  Regione  aventi   almeno   duemila   abitanti
equivalenti, secondo la definizione di «abitante equivalente» fornita
dall'art. 74, comma 1, lettera a), del decreto legislativo  3  aprile
2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). 
    La Regione ha previsto che, in attuazione della norma  censurata,
sia integrato il piano d'ambito di cui all'art. 149 del d.lgs. n. 152
del 2006 con una  serie  di  interventi,  definiti  indifferibile  ed
urgenti, atti ad adeguare e realizzare impianti di depurazione  delle
acque  reflue,  nonche'  la  rete  di  collettori,   perche'   queste
pervengano  ai  predetti  impianti.  In   occasione   della   cennata
integrazione dovranno essere anche  stabilite  le  priorita'  per  la
realizzazione di tali interventi,  nonche'  i  relativi  tempi,  che,
comunque, giusta la previsione contenuta nel comma 2 della  censurata
disposizione legislativa regionale, non potranno superare la data del
31 dicembre 2015. Entro tale periodo, ovvero  in  quello  piu'  breve
entro il quale gli interventi saranno realizzati, e' consentito  alle
Province  di  autorizzare,  in  via  provvisoria,  gli  scarichi  non
conformi alla normativa vigente. 
    2.1. - Il ricorrente Presidente del Consiglio deduce il contrasto
della citata  disposizione  legislativa  regionale  con  l'art.  117,
secondo comma, lettera  s),  della  Costituzione,  essendo  la  legge
regionale intervenuta nella materia  della  «tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema», riservata  alla  competenza  legislativa  esclusiva
dello Stato, e  violando,  altresi',  diversi  principi  fondamentali
espressi dal decreto legislativo n. 152 del 2006. 
    La questione di legittimita' costituzionale e' fondata. 
    Non vi e' alcun dubbio (ne' la Regione lo solleva) sul fatto  che
l'ambito materiale cui ascrivere la disposizione legislativa in esame
sia quello della tutela ambientale. Infatti, anche di recente, questa
Corte ha espressamente affermato che «la  disciplina  degli  scarichi
idrici,   come   piu'   in   generale   la   tutela    delle    acque
dall'inquinamento,  e'  ascrivibile   alla   competenza   legislativa
esclusiva dello Stato» (sentenza n. 44 del 2011). 
    Nello svolgimento di siffatta competenza, pertanto, lo  Stato  e'
abilitato ad adottare una  propria  disciplina,  che  costituisce  un
limite adeguato di tutela non derogabile dalle Regioni  (sentenza  n.
61 del 2009). Queste ultime, a loro volta, attesa la possibilita' che
la  competenza  in  materia   ambientale   sia   intercettata   dalle
competenze, concorrenti o residuali, proprie delle Regioni,  possono,
nell'esercizio di queste  ultime,  o  adeguarsi  al  predetto  limite
ovvero determinare limiti di tutela piu' elevati  rispetto  a  quelli
statali (sentenza n. 30 del 2009), ma  mai  dettarne  di  nuovi  piu'
blandi. 
    2.2. - Nel caso  che  interessa  e',  viceversa,  palese  che  la
legislazione della Regione Marche, individuando una tempistica per la
realizzazione e l'adeguamento di impianti per  la  depurazione  delle
acque reflue  urbane  relativi  ad  insediamenti  con  oltre  duemila
abitanti equivalenti, consente il protrarsi della attuale  situazione
di diffusa irregolarita' addirittura sino al 31 dicembre 2015,  cioe'
per oltre 10 e 15 anni rispetto ai termini fissati dall'art.  27  del
d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152 (Disposizioni sulla tutela delle  acque
dall'inquinamento   e   recepimento   della   direttiva    91/271/CEE
concernente  il  trattamento  delle  acque  reflue  urbane  e   della
direttiva   91/676/CEE   relativa   alla   protezione   delle   acque
dall'inquinamento  provocato  dai  nitrati   provenienti   da   fonti
agricole). Quest'ultimo, infatti, prevedeva che «1.  Gli  agglomerati
devono essere provvisti di reti fognarie per le acque reflue  urbane:
a) entro il 31 dicembre 2000 per quelli con  un  numero  di  abitanti
equivalenti superiore a 15.000; b) entro  il  31  dicembre  2005  per
quelli con un numero di abitanti equivalenti  compreso  tra  2.000  e
15.000». 
    La circostanza che il suddetto d.lgs. n. 152 del 1999  sia  stato
abrogato dall'art. 175 del successivo d.lgs.  n.  152  del  2006  non
influisce sulla precedente conclusione, in  quanto  l'abrogazione  e'
stata disposta quando il termine (anche quello piu'  ampio,  relativo
agli agglomerati con un numero di abitanti compreso tra  le  2.000  e
15.000 unita') era gia' scaduto e, quindi, quanto era previsto  dalla
citata disposizione legislativa doveva  ritenersi  gia'  attuato.  In
assenza di una proroga di detti  termini,  da  disporsi  prima  della
scadenza, o di una riapertura dei termini stessi, l'abrogazione della
suddetta  disposizione  non   vale   infatti   a   far   venir   meno
l'obbligatorieta' di un  adempimento  che  doveva  essere  effettuato
prima della data in cui l'abrogazione e' stata disposta. 
    Del resto il d.lgs. n. 152 del 2006, nel dettare  un'ulteriore  e
piu' significativa  disciplina  relativa  agli  scarichi,  parte  dal
presupposto che quanto disposto in tale materia dal precedente d.lgs.
n. 152 del 1999 sia stato realizzato. 
    Cio' risulta evidente quando, all'art. 100, da' per scontato  che
gli agglomerati con un numero di  abitanti  equivalenti  superiore  a
2000 siano provvisti di una rete fognaria per il collettamento  delle
acque  reflue  urbane;  quando  all'art.  101  fa  riferimento   agli
«obiettivi di qualita'» ed ai «valori limite» degli scarichi;  quando
all'art.  105  prevede  che  gli  scarichi  di  acque  reflue  urbane
provenienti da agglomerati con meno di  10.000  abitanti  equivalenti
«recapitanti» in acque marino-costiere debbano essere  sottoposti  ad
un adeguato  trattamento  di  depurazione;  quando  all'art.  116  fa
riferimento ai programmi integrativi dei piani di tutela delle acque,
che debbono essere approvati  dalle  Regioni  entro  l'anno  2009  ed
attuati da queste entro il 2012. 
    Si  tratta,  in  definitiva,  di  disposizioni   che   mirano   a
migliorare,  fissando  livelli  di  trattamento  piu'  elevati,   una
situazione di fatto, relativamente alla rete degli scarichi  fognari,
che si presuppone esistente. 
    Il censurato art. 30 della legge regionale prevedendo,  al  comma
3, altresi', la possibilita' che  le  Province  autorizzino,  per  la
stessa  durata  quinquennale  (ancorche'  in  via  provvisoria),  gli
scarichi idrici non conformi alla normativa vigente,  legittimandone,
per tale ampio periodo, l'esercizio, determina anche esso un  livello
di protezione del bene ambientale senza dubbio deteriore  rispetto  a
quello stabilito dalla legislazione statale. 
    Il fatto che la Regione Marche - peraltro neppure  nell'esercizio
di una sua potesta' legislativa, dato che l'intervento  normativo  in
questione si caratterizza per essere esclusivamente  riferibile  alla
tutela ambientale - abbia predisposto, tramite l'art. 30 della  legge
regionale n. 16 del 2010, strumenti che, come sopra  messo  in  luce,
incidono sulla tutela ambientale in senso deteriore rispetto a quelli
approntati dallo Stato - come plasticamente fotografa  la  previsione
della stessa autorizzabilita' in deroga di scarichi  non  a  norma  -
dimostra l'esorbitanza della disposizione legislativa  regionale  nei
confronti dei limiti competenziali stabiliti dall'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost., il cui rispetto impone che solo allo  Stato
spetti di decidere anche per cio' che riguarda possibili  trattamenti
derogatori, qualora vi siano gravi situazioni contingenti. 
    Ne' ha rilievo, ai  fini  della  eventuale  declaratoria  di  non
fondatezza della sollevata questione di  legittimita'  costituzionale
della norma ora in esame, il fatto, affermato dalla  Regione  Marche,
che altra disposizione, avente tenore  analogo  o  anche  identico  a
questa ed adottata da una diversa Regione, non sia stata  oggetto  di
censura da parte governativa. 
    Nessuna forma di acquiescenza riguardo ad altre successive norme,
infatti, e' dato riscontrare nel  nostro  ordinamento  nella  mancata
impugnazione di una disposizione di  legge  pur  avente  il  medesimo
contenuto dell'altra sopravvenuta. 
    3. - Riguardo all'impugnazione dell'art. 40, comma 2, della legge
regionale n. 16 del 2010 - il  quale  prevede  testualmente  che  «Il
servizio  idrico  integrato   in   quanto   di   interesse   generale
riconducibile ai diritti fondamentali della persona non rientra tra i
servizi pubblici locali a rilevanza economica» - deve preliminarmente
osservarsi  che,  essendo  trattata  la  questione  di   legittimita'
costituzionale di siffatta norma in tempi ravvicinati  rispetto  alla
presentazione del ricorso, non mette conto esaminare se  ricorrano  o
meno gli estremi  per  procedere  alla  richiesta  sospensione  della
esecuzione, ex  art.  35  della  legge  n.  87  del  1953,  dell'atto
impugnato. 
    Ad  avviso  dello  Stato  la  censurata  disposizione  regionale,
determinando la sottrazione della disciplina  dell'affidamento  della
gestione del servizio idrico integrato alla applicazione delle  norme
nazionali  e  comunitarie  in  tema  di  concorrenza,   liberta'   di
stabilimento  e  libera  prestazione  dei  servizi,  si  porrebbe  in
contrato sia  con  l'art.  117,  secondo  comma,  lettera  e),  della
Costituzione, che assegna alla competenza esclusiva  dello  Stato  la
disciplina posta a «tutela della concorrenza», sia  con  l'art.  117,
primo  comma,  della  Costituzione  che  vincola  l'esercizio   della
potesta' legislativa anche delle Regioni al rispetto dell'ordinamento
comunitario. 
    3.1. - La questione e' fondata. 
    3.2. - Al riguardo, tenuto anche conto di  quanto  sostenuto  sul
punto dalla difesa regionale, e' sufficiente  richiamare,  in  breve,
quanto, di recente, osservato  da  questa  Corte  allorche'  ebbe  ad
affermare -  nell'esaminare  la  coerenza  costituzionale,  posta  in
dubbio dalla stessa Regione ora resistente, dell'art.  23-bis,  commi
2, 3 e 4, del decreto-legge 25  giugno  2008,  n.  112  (Disposizioni
urgenti  per  lo   sviluppo   economico,   la   semplificazione,   la
competitivita',  la  stabilizzazione  della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla  legge
6 agosto 2008, n. 133, come modificato a  seguito  della  entrata  in
vigore dell'art. 15, comma 1, del decreto-legge 25 settembre 2009, n.
135 (Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi  comunitari  e
per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunita'
europee), convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  20  novembre
2009, n. 166 - che «il legislatore statale, in coerenza con la  [...]
normativa  comunitaria  e  sull'incontestabile  presupposto  che   il
servizio idrico integrato si inserisce in uno specifico  e  peculiare
mercato (come riconosciuto da questa Corte con la sentenza n. 246 del
2009), ha correttamente qualificato tale servizio come  di  rilevanza
economica,  conseguentemente  escludendo  ogni  potere   degli   enti
infrastatuali di pervenire ad una diversa  qualificazione»  (sentenza
n. 325 del 2010). 
    La difforme affermazione contenuta nell'art. 40, comma  2,  della
legge regionale n. 16 del 2010, e', pertanto, affetta da un  evidente
vizio di legittimita' costituzionale. 
    4. - Anche i commi 7 e 9 dell'art. 42 della legge regionale n. 16
del 2010,  disposizioni  fra  loro  indissolubilmente  legate  da  un
vincolo di intima coerenza logica, sono censurati dal Presidente  del
Consiglio. Il primo prevede la novellazione dell'art. 4  della  legge
regionale 12 ottobre 2009, n. 24 (Disciplina regionale in materia  di
gestione integrata  dei  rifiuti  e  bonifica  dei  siti  inquinati),
attraverso l'inserimento, dopo il comma  1,  di  un  ulteriore  comma
1-bis,  in  base  al  quale  la   cura   delle   procedure   relative
all'affidamento del servizio di gestione dei rifiuti  prodotti  dalle
navi e dei residui  del  carico  spetta  ai  Comuni  territorialmente
competenti. Il secondo fornisce l'interpretazione autentica del comma
1 dell'art. 61 della legge regionale 17 maggio 1999, n. 10  (Riordino
delle funzioni amministrative della Regione e degli Enti  locali  nei
settori  dello  sviluppo  economico  ed  attivita'  produttive,   del
territorio ambiente e infrastrutture, dei servizi alla persona e alla
comunita',     nonche'     dell'ordinamento     ed     organizzazione
amministrativa),  nel  senso  che  tra  le  funzioni   amministrative
concernenti la manutenzione dei porti,  attribuite  ai  Comuni,  sono
comprese  le  procedure  relative  all'affidamento  del  servizio  di
gestione dei rifiuti prodotti dalle navi e dei  residui  del  carico.
Essi sono censurati dal Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  in
quanto individuano - in materia  attribuita  dall'art.  117,  secondo
comma, lettera s), della Costituzione alla competenza esclusiva dello
Stato, poiche' relativa alla «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema»
-  il  soggetto  cui  e'  assegnata  la  cura  delle  procedure   per
l'affidamento del servizio di gestione di una  particolare  tipologia
di rifiuti non nella Regione -  cosi'  come  stabilito  dall'art.  5,
comma 4, del decreto legislativo 24 giugno 2003, n.  182  (Attuazione
della  direttiva  2000/59/CE  relativa  agli  impianti  portuali   di
raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui di carico)  -
ma nel  Comune  territorialmente  competente  (cioe'  quello  ove  e'
ubicato il porto  nel  quale  la  nave  produttrice  dei  rifiuti  e'
pervenuta). 
    Oltre a cio' lo Stato ha censurato le  predette  disposizioni  in
quanto esse prevedrebbero, in ulteriore contrasto con  la  previsione
del citato art. 5, comma 4, del decreto legislativo n. 182 del  2003,
che nella cura delle predette procedure l'Ente territoriale operi  in
assenza di una previa intesa con l'Autorita' marittima per i fini  di
interesse di quest'ultima. 
    4.1. - Anche in questo caso la questione e' fondata. 
    4.2. - Ritiene, infatti, questa Corte che non possa dubitarsi che
l'ambito  materiale  cui  ascrivere   l'intervento   legislativo   in
questione sia quello della disciplina  dei  rifiuti,  ricadente,  per
costante giurisprudenza costituzionale, nella piu'  generale  materia
della «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» (cosi',  fra  le  piu'
recenti, le sentenze n. 373 del 2010, n. 127 del 2010  e  n.  61  del
2009). 
    Il fatto che i rifiuti di cui  si  tratta  siano  stati  prodotti
all'interno di una nave nel corso del tragitto compiuto da questa dal
porto di partenza  a  quello  di  arrivo  pare,  invero,  circostanza
irrilevante e non certamente idonea ad attrarre, cosi' come sostenuto
dalla  resistente  difesa,  siffatta  disciplina  alla  materia,   di
competenza regionale  concorrente,  relativa  ai  porti  e  aeroporti
civili e alle grandi reti di trasporto e navigazione. 
    Cio' che  nella  fattispecie  ha  rilievo  non  e'  il  luogo  di
produzione dei rifiuti, ma il fatto che  di  rifiuti  si  tratti.  Un
diverso  argomentare  porterebbe,  ad  esempio,  a  ricondurre   alla
competenza regionale concorrente afferente alla tutela  della  salute
la  tematica  relativa  alla  gestione  dei  rifiuti  di  provenienza
sanitaria, laddove la loro disciplina invece pertenga, sia pure sotto
la specie dei rifiuti speciali, alla competenza esclusiva dello Stato
in materia di tutela dell'ambiente. 
    Quanto  osservato  in  ordine  alla  individuazione   dell'ambito
materiale  cui  appartiene  la  normativa  censurata,  conduce   alla
affermazione   della   illegittimita'   costituzionale   delle    due
disposizioni impugnate. 
    Questa   Corte,   infatti,   ha   chiaramente    precisato    che
all'attribuzione  allo  Stato  della  competenza   in   ordine   alla
disciplina  dei  rifiuti  consegue  che  «non  sono   [...]   ammesse
iniziative  delle  Regioni  di  regolamentare  nel   proprio   ambito
territoriale la materia» (sentenza n. 373 del  2010),  posto  che  la
normativa statale esistente in tema di rifiuti si pone come un limite
alla disciplina che le Regioni e  le  Province  autonome  dettano  in
altre materie di loro competenza (sentenze n. 314 del 2009  e  n.  62
del 2008). 
    4.3. -  Applicando  siffatti  principi  alla  disciplina  ora  in
scrutinio si evidenzia che il legislatore regionale delle  Marche  ha
inteso  allocare,  con  un  suo   atto   legislativo,   la   funzione
amministrativa  relativa  alla  cura  delle   procedure   finalizzate
all'affidamento del servizio di gestione della ricordata categoria di
rifiuti presso l'ente territoriale Comune,  laddove  la  legge  dello
Stato (il piu' volte ricordato art. 5, comma 4, del d.lgs. n. 182 del
2003) ha, viceversa, individuato nella Regione il  soggetto  pubblico
cui tale funzione e' assegnata. 
    L'evidenziata  discrasia  normativa  giustifica  di  per  se'  la
pronunzia di illegittimita' costituzionale, a  nulla  valendo  quanto
sostenuto  dalla  resistente   difesa,   la   quale   fonderebbe   la
legittimazione della Regione ad intervenire sulla disciplina relativa
all'affidamento del servizio di gestione dei  rifiuti  in  questione,
col potere di arrecarvi modifiche rispetto  al  modello  fornito  dal
legislatore statale, sul contenuto degli artt. 196 e 199 del  decreto
legislativo n. 152 del 2006. 
    E', infatti, vero che tali disposizioni prevedono, la  prima,  la
assegnazione alla competenza  regionale  sia  della  predisposizione,
adozione e aggiornamento dei piani di gestione dei rifiuti, che della
regolamentazione della attivita' di gestione dei rifiuti stessi e, la
seconda, che nel piano regionale di gestione dei rifiuti sia trattata
anche la  questione  dei  «flussi  di  rifiuti  disciplinati  da  una
normativa  comunitaria  specifica»  (che  nel  caso  di   specie   e'
costituita dalla Direttiva  27  novembre  2000,  n.  2000/59/CE,  del
Parlamento europeo e del Consiglio relativa agli impianti di raccolta
per i rifiuti prodotti dalle navi e i residui  di  carico),  tuttavia
non e' dato ricavare da cio' la conseguenza che alla  Regione  spetti
anche  la  facolta'  di  riallocare  al  Comune,  con  un  suo   atto
legislativo, la funzione amministrativa di cui all'art. 5,  comma  4,
del d.lgs. n. 182 del 2003. 
    L'affermazione dell'illegittimita' costituzionale in radice delle
due disposizioni censurate assorbe il profilo  afferente  al  dedotto
vizio   di   costituzionalita'   causato    dall'affermato    mancato
coinvolgimento, sotto la forma dell'intesa fra essa e l'Ente  locale,
dell'Autorita' marittima nella procedura  volta  all'affidamento  del
servizio di gestione dei rifiuti prodotti dalle navi.