LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
2074-2005 proposto  da:  Gangitano  Lilla  Maria  (GNGLLM39S49B6020),
elettivamente domiciliata in Roma, via Dei Gracchi n. 187, presso  lo
studio dell'avvocato Magnano Di San  Lio  Giovanni,  rappresentata  e
difesa dall'avvocato Tafuri Luigi, per delega a margine del  ricorso;
ricorrente; 
    Contro comune di Caltagirone; sul ricorso 4844-2005 proposto  da:
Comune di Caltagirone  (82000230878),  in  persona  del  Sindaco  pro
tempore, elettivamente domiciliato in Roma,  Via  Gregorio  VII  396,
presso lo studio dell'avvocato  Giuffrida  Antonio,  rappresentato  e
difeso  dall'avvocato  Scuderi  Andrea,  per  delega  a  margine  del
controricorso e ricorso incidentale;  controricorrente  e  ricorrente
incidentale  -  contro  Gangitano  Lilla  Maria   (GNGLLM39S49B6020),
elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Gracchi n. 187, presso  lo
studio dell'avvocato Magnano di San  Lio  Giovanni,  rappresentata  e
difesa dall'avvocato Tafuri Luigi, per delega a margine  del  ricorso
principale; controricorrente al  ricorso  incidentale  -  avverso  la
sentenza n. 928/2004 della Corte D'Appello di Catania, depositata  il
5 ottobre 2004; 
    Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
11 gennaio 2011 dal Consigliere Dott. Antonio Merone; 
    Udito l'Avvocato Edoardo Nigra per  delega  dell'avvocato  Andrea
Scuderi; 
    Udito il P.M. in persona dell'Avvocato  Generale  Dott.  Domenico
Iannelli, che ha concluso per l'accoglimento  del  primo  motivo  del
ricorso principale, assorbito il secondo motivo, rigetto del  ricorso
incidentale. 
 
                                Fatto 
 
    1. (Oggetto della  causa)  -  La  sig.ra  Lilla  Maria  Gangitano
propone ricorso per la  cassazione  della  sentenza  della  Corte  di
Appello di Catania, meglio indicata in epigrafe, che ha rideterminato
l'indennita' dovutale dal Comune di Caltagirone  per  l'esproprio  di
terreni di sua proprieta', siti nel predetto comune,  destinati  alla
realizzazione di alloggi per scopi sociali. 
    A sostegno  dell'odierno  ricorso,  la  Cangitano  prospetta  due
motivi. Con il primo  denuncia  violazione  di  legge  per  avere  la
sentenza fatto applicazione dell'art. 5-bis della legge n.  359/1992,
di cui deduce la illegittimita' costituzionale, in relazione all'art.
1, Prot. 1 della CEDU, in forza del quale  l'indennizzo  deve  essere
liquidato  in  misura  piena.  Con  il  secondo  motivo  denuncia  la
violazione dell'art. 24 della legge n. 794/1942 per  avere  liquidato
le spese processuali violando i minimi tariffari. 
    Il Comune di Caltagirone resiste con controricorso  e  propone  a
sua volta ricorso incidentale con due motivi.  Con  il  primo  motivo
denuncia la mancata decurtazione della indennita', nella  misura  del
40%,  a  norma  del  citato  art.  5-bis,  non  avendo  l'espropriata
accettato la somma offertale.  Con  il  secondo  motivo  denuncia  la
violazione dell'art. 16 d.lgs. n. 504/1992 e vizi di motivazione,  in
quanto all'espropriata non avrebbe dovuto essere liquidato  nulla,  a
titolo di indennita', avendo omesso di  presentare  la  dichiarazione
ICI e quindi vertendosi in una situazione di evasione totale. 
    4 (La rimessione della questione alle SS.UU.) - Con ordinanza  n.
880/2010, dell'11 marzo 2010,  la  prima  sezione  civile  di  questa
Corte, alla quale i ricorsi erano stati originariamente assegnati, ha
rimesso gli stessi al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione a
queste SS.UU., per gli stessi motivi  esposti  in  analoga  ordinanza
della  medesima  prima  sezione,  n.  15317/2010.   In   quest'ultima
ordinanza,  il  Collegio  remittente,  dopo  avere  rilevato  che  la
giurisprudenza  di  legittimita'  si  e'   conformata   all'indirizzo
interpretativo fornito dal giudice delle leggi, secondo il  quale  il
pagamento dell'indennita' di esproprio deve  essere  subordinato,  in
ogni caso, alla regolarizzazione  degli  obblighi  fiscali,  relativi
all'ICI,  ha  evidenziato  che  tale  soluzione   comporta   problemi
applicativi di non facile soluzione, relativi al raccordo cronologico
e sistematico  delle  procedure  di  accertamento  e  di  riscossione
dell'indennita' espropriativa,  dovuta  dall'ente  espropriante,  con
quelle  di  accertamento  e  riscossione   dell'ICI,   dovuta   dall'
espropriato   proprietario   di   aree   fabbricabili,   in    quanto
contribuente.  Si  tratta,  in   particolare,   del   condizionamento
reciproco  delle  procedure,   sul   piano   della   pregiudizialita'
incrociata  delle   questioni   che   dovrebbero   essere   esaminate
parallelamente o in successione cronologica, con il conseguente: 
        a) rischio di conflitti di giudicati che ne possono derivare; 
        b) cumulo dei tempi delle  due  procedure  che  difficilmente
sarebbe compatibile con la ragionevole durata dei processi. 
    Altri problemi, evidenziati nell'ordinanza, attengono  al  valore
della  ritrattazione   della   dichiarazione   infedele   e/o   della
presentazione    tardiva    della     dichiarazione,     da     parte
dell'espropriato/contribuente-evasore,  e  alla   impossibilita'   di
procedere ad accertamento del valore venale dell'area espropriata, ai
fini ICI, in caso di decadenza dell'ente  impositore  dal  potere  di
accertamento. 
    Trattandosi di questione di massima  di  particolare  importanza,
vertente sul tema dei rapporti tra  liquidazione  dell'indennita'  di
esproprio e soggezione all'ICI, la causa e'  stata  poi  assegnata  a
queste SS.UU. 
    All'odierna udienza le parti hanno concluso come da verbale. 
 
                               DIRITTO 
 
    1. (Premessa) - La questione della  corretta  interpretazione  ed
applicazione dell'art. 16 del d.lgs. 504/1992,  nella  parte  in  cui
impone la riduzione della indennita'  di  espropriazione  delle  aree
fabbricabili, in relazione all'obbligo di dichiarazione (iniziale)  o
denuncia (per le  variazioni)  ICI  (art.  10,  d.lgs.  n.  504/1992,
vigente ratione temporis), nella specie, puo'  comportare  la  totale
vanificazione del diritto all'indennita' di esproprio. Tale questione
assume,  dunque,  carattere  pregiudiziale  nella  definizione  della
controversia in esame. 
    Il diritto (an) alla indennita' di esproprio e l'ammontare  della
stessa (quantum) dipendono, infatti, dalla legittimita' della  citata
disposizione. Questa ne condiziona  la  quantificazione  al  ribasso,
fino alla totale vanificazione, nella  ipotesi  di  dichiarazione  di
valori   irrisori   o   nella   ipotesi,   equivalente,   di   omessa
dichiarazione, che ricorre nella specie. 
    Si  tratta  in  entrambi  casi  di  comportamenti  (totalmente  o
parzialmente)  omissivi,  che  il   contribuente   pone   in   essere
nell'intento di evitare l'emersione (totale o  parziale)  dei  propri
doveri fiscali. Vanno quindi assoggettati  alla  medesima  disciplina
giuridica, in  forza  della  quale  il  diritto  alla  indennita'  di
esproprio deve essere riconosciuto soltanto  nei  limiti  del  valore
dichiarato. In caso di omessa dichiarazione, l'omissione (piu' grave)
non puo' essere premiata con una interpretazione che elimini  limite.
Omettendo la dichiarazione, il contribuente ha inteso non  attribuire
alcun valore fiscale alla sua proprieta' e, quindi, nello spirito  di
quanto dispone l'art.  16  d.lgs.  n.  504/1992,  non  merita  alcuna
indennita'. Per eludere questa conclusione, che, come  si  dira',  si
pone in evidente rotta di collisione con l'art. 42, terzo coma, Cost.
la giurisprudenza costituzionale e di  legittimita'  hanno  elaborato
una soluzione,  che  pero'  comporta  i  problemi  evidenziati  nella
ordinanza in base alla quale la questione e' stata rimessa  a  queste
SS.UU. 
    1.1. I punti di criticita'  dell'interpretazione  accreditata  da
questa   Corte   ed   il   mutamento   del   quadro    normativo    e
giurisprudenziale, verificatosi  dopo  la  gia'  ricordata  pronuncia
della Corte Costituzionale, n. 351/2000, impongono una  rivisitazione
ermeneutica ed  una  rilettura  dell'art.  16,  primo  comma,  d.lgs.
504/1992. Il dato letterale deve essere  interpretato  tenendo  conto
del nuovo contesto ordinamentale,  della  esigenza  di  certezza  dei
rapporti giuridici e di celerita' delle procedure di accertamento (a)
quella intesa ad accertare il valore  venale  dell'area  espropriata,
per  la  determinazione  della  relativa  indennita',  e  b)   quella
finalizzata alla quantificazione dell'ICI. E' evidente, infatti,  che
i tempi delle procedure vengono inevitabilmente dilatati se si avalla
la tesi del reciproco condizionamento (sospensione della procedura di
determinazione  ed  erogazione  dell'indennita',  in   attesa   della
liquidazione definitiva e del pagamento dell'ICI, benche' nei  limiti
in cui il potere di accertamento sia ancora esercitabile). 
    1.2. Il Collegio  ritiene  che  non  sia  condivisibile  la  tesi
interpretativa secondo la quale l'art. 16, primo comma, del d.lgs. n.
504/1992, condizionerebbe il pagamento dell'indennita'  di  esproprio
alla regolarizzazione della posizione  fiscale  dell'espropriato,  in
tutti i casi di violazione degli obblighi di  dichiarazione  relativa
all'ICI. Tale tesi  e'  stata  avallata  dalla  Corte  Costituzionale
nell'intento di superare l'evidente  disparita'  di  trattamento  tra
contribuente  evasore   totale   (che   omette   di   presentare   la
dichiarazione), apparentemente ignorato dalla norma,  e  contribuente
infedele (che presenta una dichiarazione non veritiera), in danno del
quale e'  espressamente  prevista  la  riduzione  dell'indennita'  di
esproprio (che non puo' mai superare il  valore  dichiarato  ai  fini
ICI). 
    Il giudice delle leggi, con sentenza  interpretativa  di  rigetto
(351/2000, ha escluso che la apparente incompletezza della disciplina
dettata dall'art. 16  d.lgs.  n.  504/1992  (circoscritta  alla  sola
ipotesi della dichiarazione infedele) sia in contrasto con  l'art.  3
Cost. ipotizzando che anche il contribuente evasore totale  (al  pari
del contribuente infedele) debba regolarizzare la  propria  posizione
fiscale,  prima  di  ottenere  il  pagamento  della   indennita'   di
esproprio. La tesi interpretativa della  Consulta  e'  stata  seguita
anche da questa Corte. 
    Si tratta, pero', di una tesi che non trova conforto  nel  tenore
letterale della norma (per quanto lo si voglia ampliare con argomenti
anche   di   carattere    sistematico),    specialmente    dopo    la
costituzionalizzazione del principio del giusto processo e della  sua
ragionevole durata. 
    Lo sforzo ermeneutico della Corte  costituzionale,  e  di  questo
giudice di legittimita', ha avuto, pero', il  merito  di  evidenziare
che la disciplina del comportamento fiscale dell'espropriato non puo'
essere monca: l'art. 16 citato, che letteralmente  riguarda  soltanto
il  contribuente  infedele,  regge  alle  verifica  di  legittimita',
rispetto al parametro di cui all'art. 3 Cost., soltanto se proietta i
suoi effetti anche  sull'evasore  totale  (simul  stabunt  aut  simul
cadent). 
    L'interpretazione corrente, che ha  equiparato  l'evasore  totale
all'evasore parziale, nel comune  dovere  di  regolarizzare  la  loro
posizione  fiscale,  come  condizione  per  ottenere   il   pagamento
dell'indennita'  di  esproprio,  e'  frutto  di  una  interpretazione
additiva che appare  difficilmente  condivisibile:  essa  elimina  di
fatto la riduzione della indennita'  parametrata  alla  dichiarazione
ICI (che e' il risultato voluto  dal  legislatore)  e  introduce  una
inedita procedura di necessitata conciliazione fiscale, che assurge a
condizione di pagamento dell'indennita' di esproprio. 
    2. (Esegesi ed evoluzione del contenuto precettivo  dell'art.  16
d.lgs. n. 504/1992) - L'art. 16  del  d.lgs.  n.  504/1992  (abrogato
dall'art.  58  del  d.P.R.  8  giugno  2001,  n.  327,   T.U.   delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione
per pubblica utilita', a decorrere dal 30 giugno 2003,  e  sostituito
dall'art. 37, comma 7 dello stesso d.P.R.),  titolato  Indennita'  di
espropriazione,    nell'ambito    delle    disposizioni    istitutive
dell'imposta comunale sugli immobili, dopo  le  norme  di  disciplina
dell'imposta, e di seguito alle disposizioni relative  alle  sanzioni
(art. 14) e al contenzioso (art. 15), ha  inserito  una  disposizione
del  seguente  tenore:  «l.  In  caso  di  espropriazione   di   area
fabbricabile l'indennita' e' ridotta ad un  importo  pari  al  valore
indicato   nell'ultima   dichiarazione    o    denuncia    presentata
dall'espropriato ai fini dell'applicazione  dell'imposta  qualora  il
valore dichiarato risulti inferiore all'indennita' di  espropriazione
determinata secondo i criteri stabiliti dalle  disposizioni  vigenti»
(comma 1). 
    2.1. La collocazione sistematica (a ridosso degli artt. 14  e  15
che disciplinano le sanzioni ed il  contenzioso  ICI)  ed  il  tenore
letterale della norma in esame ne evidenziano la chiara  connotazione
sanzionatoria,  collegata  al  comportamento  tenuto   dal   soggetto
espropriato nel  momento  in  cui,  dovendo  fare  fronte  ai  propri
obblighi fiscali, ha dichiarato (o non dichiarato)  il  valore  della
sua proprieta'. Si tratta di  una  sanzione  atipica,  accessoria,  a
carattere extratributario, che riguarda  soltanto  i  proprietari  di
aree edificabili assoggettate ad  esproprio,  intesa  ad  incentivare
l'obbligo della dichiarazione  imposto  dall'art.  10,  del  medesimo
d.P.R. n. 504/1992 (abrogato a decorrere dal 2007, in forza  dell'art
37, comma 53 del d.l. 223/2006 conv. con modificazione dalla legge n.
248/2006, a seguito del collegamento telematico  dei  comuni  con  il
catasto). 
    L'effetto sanzionatorio atipico ed  indiretto,  costituito  dalla
misura extratributaria della riduzione dell'indennita' di  esproprio,
si aggiunge alle sanzioni tributarie dirette previste dal  precedente
art. 14, nel caso in cui l'area edificabile venga interessata da  una
procedura   di   esproprio   (sanzione    eventuale).    All'apparato
sanzionatorio tipico del sistema tributario si aggiunge  la  sanzione
accessoria,  atipica,  della  "confisca"  parziale  o  totale   della
indennita' o  del  suolo  (che  viene  acquisito  alla  destinazione-
pubblica senza alcun pagamento). La procedura espropriativa funziona,
rispetto   all'illecito   gia'   consumato   (omessa    o    infedele
dichiarazione)  come  una   condizione   obiettiva   di   punibilita'
accessoria, che trova applicazione in aggiunta alle sanzioni  tipiche
tributarie (che sono previste sia per la omessa dichiarazione che per
la dichiarazione infedele). Pertanto, non ha pregio  l'eccezione  che
tende ad escludere dal campo di applicazione dell'art. 16,  comma  l,
d.lgs. n. 504/1992, l'ipotesi della omessa dichiarazione, sul rilievo
che il sistema sanzionatorio tributario  gia'  provvede  a  reprimere
entrambe le fattispecie. Infatti, a seguire la tesi  del  trattamento
differenziato,  la  fattispecie  piu'  grave,  dell'evasione  totale,
sarebbe gravata da un  minor  carico  sanzionatorio  (in  quanto  non
sconterebbe la riduzione dell'indennita'). 
    2.2. La norma  in  esame  appare  caratterizzata  da  una  doppia
valenza: produce suoi effetti sul piano della  (ri)determinazione  (o
della vanificazione) dell'indennita' di espropriazione  e  sul  piano
degli  incentivi  al  rispetto  degli  obblighi  fiscali  (formali  e
sostanziali). I destinatari della norma sono coloro che rivestono  la
doppia qualifica 
        a) di soggetti passivi di imposta (ICI) tenuti  a  dichiarare
gli  immobili  posseduti  nello  Stato   (nella   specie,   i   suoli
edificabili)  e   a   denunciare   le   modificazioni   eventualmente
intervenute; 
        b) di proprietario di aree fabbricabili espropriate,  per  le
quali sussista l'obbligo della dichiarazione o della denuncia. 
    La valenza bifronte della norma, pero', si ferma qui,  in  quanto
incrocia  i  diritti  sostanziali   dell'espropriato   con   i   suoi
doveri/oneri di  contribuente  e  non  coinvolge  in  alcun  modo  le
procedure di accertamento e riscossione correlate. 
    L'effetto dell'art. 16, primo comma, d.lgs. 504/1992, opera  come
sanzione  che  non  incide  sui  criteri  primari  di  determinazione
dell'indennita' di esproprio, ma  interviene  soltanto  dopo  che  il
valore dell'area espropriata sia stato determinato (la norma parla di
riduzione dell'indennita'),  proprio  come  accade,  in  genere,  per
l'applicazione delle norme a carattere sanzionatorio. 
    Parimenti, il contenzioso tributario che si  sviluppa  a  seguito
della rettifica, da parte dell'ufficio, della dichiarazione  o  della
denuncia presentata dal contribuente, o dell'accertamento in caso  di
omessa dichiarazione o denuncia, non rileva  ai  fini  dell'ammontare
della eventuale riduzione da praticare sulla indennita'. Questa  deve
essere praticata esclusivamente sulla base di quanto dichiarato o non
dichiarato dal contribuente. 
    E' pacifico che la ratio  della  norma  in  esame  e'  quella  di
disincentivare le violazioni  relative  alla  dichiarazione  ICI.  Il
"fatto illecito" sanzionato dalla norma in esame e' costituito  dalla
presentazione   della   dichiarazione   infedele   o   dalla   omessa
presentazione della stessa. Tutto quanto  segue  e'  un  post  factum
irrilevante,  che  non  puo'  vanificare  o  sanare  l'illecito  gia'
consumato e perfezionato, pena  il  totale  svuotamento  della  forza
cogente della norma. Nemmeno  rilevano,  come  si'  dira',  eventuali
comportamenti di apparente ravvedimento, posti in essere dopo l'avvio
della procedura di esproprio, che, nella specie,  opera  invece  come
condizione obiettiva di punibilita'. 
    Il  tenore  letterale  della  norma,  pur   investendo   il   suo
destinatario nella doppia qualifica di contribuente e di espropriato,
non  coinvolge  in  alcun  modo  le  due  procedure   correlate,   di
accertamento del  tributo  e  di  determinazione  dell'indennita'  di
esproprio, ne' i reciproci rapporti. 
    Se si sposta il  baricentro  dell'art.  16  dal  momento  formale
dell'assolvimento degli obblighi fiscali (dichiarazione  denuncia)  a
quello delle procedure di verifica dell'ammontare della  obbligazione
tributaria e del relativo assolvimento,  la  norma  viene  ad  essere
svuotata di contenuto. Si vanifica  la  funzione,  evidenziata  dalla
Corte  costituzionale,  che  e'   quella   di   "incentivare   fedeli
autodichiarazioni di valore delle  aree  fabbricabili  ai  fini  ICI"
(sent. n. 351/2000). Se si ha la consapevolezza di poter  eludere  la
sanzione  aggiuntiva  con  un  tardivo  pagamento,  tanto  vale   non
dichiarare  (e  non  pagare!)  nulla,  tanto  poi  si  potra'  sempre
rimediare con un pagamento tardivo (beneficiando  della  "franchigia"
per i periodi di imposta non piu' controllabili, per  la  intervenuta
decadenza). 
    Il legislatore ha indicato come parametro massimo dell'indennita'
di esproprio il valore espresso nell'ultima dichiarazione o  denuncia
presentata. Dal testo della legge si evince che 
        a) tutto quanto  accade  dopo  la  presentazione  dell'ultima
dichiarazione o denuncia non ha alcun rilievo; 
        b) la riduzione  deve  essere  operata  sulla  indennita'  di
esproprio, determinata in base alla procedura prevista a tal fine. 
    L'eventuale procedura di  accertamento  fiscale,  che  scaturisca
dalla rettifica della dichiarazione o dalla constatata omissione, non
puo'  assumere  alcun  rilievo.  Quello  che   interessa,   ai   fini
dell'applicazione  della  norma  in  esame,  e'  soltanto  il  valore
dichiarato  dal  contribuente   o   la   circostanza   della   omessa
dichiarazione. Stando alla lettera della legge, giova ribadirlo,  non
puo' ipotizzarsi alcuna interferenza tra le due procedure. Seppure le
procedure di  controllo  ed  accertamento  fiscale  (con  l'eventuale
appendice  contenziosa)  portassero  all'accertamento  di  un  valore
fiscale pari  a  quello  determinato  ai  fini  della  indennita'  di
esproprio, ma superiore a quello dichiarato ai fini ICI, non si  puo'
ipotizzare che la riduzione sulla indennita' di  esproprio  (in  base
alla  dichiarazione  infedele  o  omessa)  non  debba   piu'   essere
praticata, a causa del comportamento  virtuoso  dell'ufficio  fiscale
che ha scoperto la violazione del contribuente. Di tale comportamento
virtuoso il contribuente non ha alcun  merito  (potrebbe  anche  aver
contrastato la  pretesa  erariale  in  sede  contenziosa).  La  norma
conserva la sua carica  dissuasiva  soltanto  se  alla  dichiarazione
infedele o omessa segue  l'applicazione  della  sanzione  minacciata,
costituita dal corrispondente taglio della indennita' e  non  da  una
tardiva e non prevista procedura di regolarizzazione fiscale. 
    3. (Postfactum irrilevante.  Il  ravvedimento  operoso)  -  Dalle
considerazioni gia' svolte, risulta evidente che  non  puo'  assumere
alcun    rilievo    l'eventuale    tardiva    presentazione     della
dichiarazione/denuncia  o   la   sua   autorettifica,   quando   tale
comportamento sia ispirato al  solo  fine  di  eludere  la  riduzione
dell'indennita'. L'eventuale autorettifica (una sorta di ravvedimento
operoso) della dichiarazione/denuncia  ICI  che  intervenga  dopo  la
determinazione  dell'indennita',  se  non   e'   giustificata   dalla
constatazione  di  un  errore  o  dalla  necessita'   di   denunciare
tempestivamente una variazione, non puo' essere assunta come  termine
di riferimento per l'applicazione dell'art. 16, primo  comma,  d.lgs.
04/1994. 
    Nel caso in cui si consentisse all'espropriato di rettificare  la
dichiarazione o la  denuncia  ICI,  o  di  presentarle  dopo  che  la
procedura di esproprio  sia  gia'  stata  avviata,  senza  subire  le
conseguenze  dell'originario  comportamento  fiscale  scorretto,   si
priverebbe di tutta la sua forza dissuasiva la norma in esame. 
    Ne' si puo' osservare che, comunque,  la  violazione  fiscale  e'
gia' sanzionata direttamente all'interno del sistema tributario. 
    Come gia' e' stato osservato, la decurtazione dell'indennita'  ha
natura di sanzione aggiuntiva, extratributaria ed eventuale, che  non
interferisce  con  il  sistema  delle  sanzioni  tributarie.   Questa
caratteristica, pero', non autorizza  l'interprete  ad  adottare  una
interpretazione abrogativa della norma, ritenendo, in  contrasto  con
la voluntas legis, che il sistema sanzionatorio principale  sia  gia'
sufficiente a dissuadere i contribuenti. 
    Quindi,  come  si  dira'  meglio  in  seguito,  va  riconsiderato
l'argomento utilizzato da questa Corte (sent. 434/2002, 9808/2003  ex
plurimis) secondo il quale non vi sarebbe disparita'  di  trattamento
tra l'evasore totale e il  contribuente  infedele,  sul  rilievo  che
comunque entrambi sono destinatari di  sanzioni  fiscali  all'interno
del sistema tributario: comunque  l'evasore  totale  si  sottrarrebbe
alla sanzione aggiuntiva della «confisca»  totale  o  parziale  della
indennita' di espropriazione, in caso di espropriazione. 
    Peraltro,  anche  sul  versante  esclusivamente  tributario,   il
ravvedimento esclude l'applicazione della sanzione o ne determina  la
riduzione, soltanto se  si  tratti  di  ravvedimento  spontaneo,  che
avvenga entro un termine certo.  Infatti  l'art.  13  del  d.lgs.  n.
472/1997, recante le Disposizioni generali  in  materia  di  sanzioni
amministrative  per  violazioni  di  norme   tributarie,   intitolato
Ravvedimento, prevede una sostanziosa riduzione delle sanzioni (e non
la totale  eliminazione),  pari  ad  un  quinto  del  minimo,  se  il
contribuente provvede alla  regolarizzazione  degli  errori  e  delle
omissioni "entro il termine per la presentazione della  dichiarazione
relativa all'anno nel corso del quale e' stata commessa la violazione
ovvero, quando non e' prevista dichiarazione periodica, entro un anno
dall'omissione o dall'errore", ovvero addirittura pari ad  un  ottavo
del  minimo   della   sanzione   prevista   per   l'omissione   della
presentazione della dichiarazione, "se questa  viene  presentata  con
ritardo non superiore a novanta giorni". In entrambi i  casi,  pero',
occorre che «la violazione non sia stata gia' constatata  e  comunque
non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche  o  altre  attivita'
amministrative di accertamento delle  quali  l'autore  o  i  soggetti
solidalmente obbligati, abbiano avuto formale conoscenza». 
    L'istituto del ravvedimento non sembra applicabile nella  specie,
quando il «pentimento» avvenga a distanza di anni e comunque dopo che
sia stata avviata la procedura  di  esproprio.  Infatti,  l'art.  37,
comma 7, del d.P.R. n. 327/2001, T.U. in  materia  di  espropriazione
per p.u., che ha sostituito l'art. 16  del  d.lgs.  n.  504/1992,  ha
previsto espressamente che la dichiarazione ICI  alla  quale  occorre
fare riferimento ai fini della riduzione dell'indennita' di esproprio
deve essere stata  presentata  "prima  della  determinazione  formale
dell'indennita'".  Il  pentimento  premiale  e'  tale   soltanto   se
disinteressato. 
    3.1. (Emendabilita' della dichiarazione/denuncia) - La  norma  in
esame assume come limite della indennita'  erogabile  all'espropriato
il valore indicato nella dichiarazione originaria, sulla  base  della
quale poi il contribuente effettua annualmente il versamento dell'ICI
dovuta, ovvero il valore indicato nella denuncia presentata  in  caso
di «modificazione dei dati ed elementi  dichiarati  cui  consegua  un
diverso ammontare dell'imposta dovuta» (art. 10 d.lgs. n. 504/1992). 
    Con specifico riferimento alla dichiarazione ICI, questa Corte ha
chiarito che la dichiarazione prevista dall'art. 10 del d.lgs. n. 504
del 1992, al pari delle altre dichiarazioni fiscali,  «avendo  natura
di mera esternazione di scienza e di giudizio, puo'  essere  emendata
(o  ritrattata)  dal  contribuente,  se  frutto  di  errore"   (Cass.
2926/2010), ma tale principio non puo' valere quando l'emenda  (o  la
presentazione tardiva della dichiarazione o della denuncia)  non  sia
giustificata  da  un  errore  originario  o  da   una   modificazione
intervenuta  dopo  la  denuncia,  ma  soltanto  dalla  convenienza  a
dichiarare il maggior valore del suolo edificabile, al solo  fine  di
eludere la riduzione dell'indennita'. Quindi,  tornando  alla  nostra
fattispecie, una dichiarazione tardiva, che non sia  giustificata  da
un errore originario o da una successiva modificazione,  ma  che  sia
dettata soltanto dalla esigenza di  evitare  le  conseguenze  di  cui
all'art. 16 d.lgs. n. 504/1992, non potrebbe salvare  1'  espropriato
dalla riduzione o dalla vanificazione dell'indennita'  di  esproprio,
connessa alla infedelta' o alla omissione della dichiarazione ICI. In
conclusione, la tesi interpretativa che  condiziona  la  liquidazione
dell'indennita'  di  esproprio  alla  regolarizzazione  del  rapporto
tributario, nel caso di dichiarazione/denuncia infedele  o  nel  caso
di' omessa dichiarazione/denuncia, appare in contrasto 
        a) con la  lettera  dell'art.  16,  primo  comma,  d.lgs.  n.
504/1992,  che  non  prevede  tale  regolarizzazione,   nemmeno   per
implicito; 
        b) con il  sistema  premiale  connesso  alla  disciplina  del
ravvedimento, che  deve  intervenire  entro  tempi  predeterminati  e
ravvicinati, oltre che sulla base di un effettivo ravvedimento e  non
per eludere gli effetti  gia'  certi  di  una  dichiarazione/denuncia
omessa o infedele; 
        c) con  le  regole  che  disciplinano  l'emendabilita'  delle
dichiarazioni, ammessa soltanto in caso di errore pregresso. 
    3.2. (Sopravvenuto accertamento che la dichiarazione ICI infedele
o  omessa  sia  frutto  di  errore  incolpevole)  L'impostazione  del
problema interpretativo dell'art. 16 d.lgs. 504/1992, in  termini  di
illecito consumato, cui  deve  seguire  comunque  la  sanzione  della
riduzione dell'indennita', pone il seguente problema: quid  luris  se
dopo  la  liquidazione  dell'indennita'  di  esproprio,  ridotta   in
applicazione dell'art. 16, si accerta che  il  fatto  illecito  manca
dell'elemento soggettivo e/o sia frutto di un errore incolpevole?  Se
la   riduzione   dell'indennita',   a   causa   dell'infedelta'   del
comportamento  del  contribuente,  e'  una  sanzione  accessoria,  la
esclusione dell'illecito comporta la inapplicabilita' della sanzione. 
    Sul piano pratico nulla impedisce che il contribuente espropriato
possa chiedere ex post una integrazione dell'indennita' di esproprio,
elidendo   cosi'   gli   effetti   pregiudizievoli   della   indebita
applicazione dell'art. 16. In punto di diritto, comunque, a parte  la
considerazione  che  l'ipotesi  dell'errore   scusabile   costituisce
l'eccezione e non la regola, resta il fatto che la norma  cosi'  come
e' stata formulata espone il contribuente infedele  espropriato  (che
abbia consapevolmente omesso la dichiarazione o abbia presentato  una
dichiarazione infedele) al rischio di non ottenere alcuna  indennita'
di esproprio o di ottenere una  indennita'  che  non  costituisca  un
serio ristoro. Quindi, se in particolari ipotesi la norma  non  debba
essere applicata, non  significa  che  la  norma,  in  generale,  non
produca i suoi effetti. 
    Nella  specie,  poi,  trattasi   di   una   ipotesi   di   omessa
dichiarazione ICI,  in  relazione  alla  quale  non  risulta  che  il
contribuente espropriato abbia eccepito l'errore  scusabile  o  abbia
addotto altre circostanze esimenti o cause di non punibilita'. 
    4.  (I  precedenti  di  questa  Corte)   -   Sulla   base   delle
considerazioni svolte,  le  SS.UU.  ritengono  che  vada  rivista  la
precedente  giurisprudenza  di  questo   giudice   di   legittimita',
sostanzialmente allineata sulla interpretazione fornita  dalla  Corte
Costituzionale nella citata sentenza interpretativa  di  rigetto,  n.
351/2000. 
    Con specifico riferimento alla ipotesi di  omessa  dichiarazione,
prima ancora dell'intervento della sentenza n. 351/2000, questa Corte
ha  affermato  il  principio  di  diritto  secondo   il   quale   "la
disposizione dell'art. 16 del d.lgs. n. 504 del 1992 che risponde  al
fine di introdurre un elemento dissuasivo dell'elusione fiscale,  non
e' applicabile (neppure in via interpretativa) all'ipotesi di  omessa
presentazione  della  denuncia  o   della   dichiarazione   ai   fini
dell'I.C.I.» (Cass. 5283/2000). 
    La tesi secondo la quale l'art. 16 non si applicherebbe  in  caso
di omessa dichiarazione/denuncia ha trovato conferma nella successiva
giurisprudenza di questa Corte, che pero', di  fatto,  ha  totalmente
vanificato la funzione di dissuasione  della  norma.  Secondo  questa
giurisprudenza  "il  diritto  all'indennita'  di  esproprio  non   va
penalizzato in caso  di  omessa  od  infedele  dichiarazione  I.C.I..
Pertanto, la disciplina che regola il rapporto tra i due istituti, va
interpretata nel senso che l'evasore totale non perde il suo  diritto
all'indennizzo espropriativo, ma e' unicamente destinato a subire  le
sanzioni per l'omessa dichiarazione e l'imposizione per l'I.C.I.  che
aveva tentato di evadere,  potendo  l'erogazione  dell'indennita'  di
espropriazione intervenire solo dopo la verifica che essa non  superi
il tetto  massimo  ragguagliato  al  valore  accertato  per  l'I.C.I.
stessa,  ed  a  seguito  della   regolarizzazione   della   posizione
tributaria con concreto  avvio  del  recupero  dell'imposta  e  delle
sanzioni. Analogamente l'evasore parziale resta soggetto alle  stesse
conseguenze per il minor valore  dichiarato  e,  salva  rettifica  da
parte  dello  stesso  proprietario,  il  comune  puo'  procedere   ad
accertamento del maggior valore del fondo agli effetti tributari  per
poi commisurare, in via definitiva, l'indennita'  espropriativa  che,
quindi, non va liquidata con riferimento alla dichiarazione infedele"
(Cass. 19/2008; conf. ex multis 14459/2008). 
    Va pero' ribadito che se si collega la riduzione  dell'indennita'
non piu' al comportamento del contribuente/espropriato, ma  all'esito
delle procedure di controllo fiscale (di  accertamento,  in  caso  di
omessa dichiarazione,  e  di  rettifica,  in  caso  di  dichiarazione
infedele), il comportamento del contribuente, che il  legislatore  ha
inteso orientare, diviene del tutto irrilevante. In altre parole,  il
comportamento antidoveroso del contribuente, al quale e' collegata la
sanzione dell'art. 16 in esame, secondo  questa  giurisprudenza,  non
avrebbe piu' alcun rilievo. 
    Si tratta dunque di  una  interpretazione  che  non  puo'  essere
condivisa perche' svuota di contenuto la norma e non  e'  legittimata
da alcun  elemento  letterale  o  sistematico,  come  gia'  e'  stato
evidenziato. Con la considerazione aggiuntiva che si pone in  termini
conflittuali con il principio della ragionevole durata del processo. 
    5. (L'art. 16 riguarda anche l'evasore totale) -  L'art.  16,  la
cui ratio e' quella di rafforzare l'obbligo di dichiarare  fedelmente
il valore delle aree fabbricabili, contiene un  precetto  di  secondo
grado, nel senso che l'obbligo di  presentare  una  autodichiarazione
fedele      presuppone      l'obbligo       della       presentazione
dell'autodichiarazione.  Quindi  la  sanzione  tende   a   rafforzare
entrambi   gli   obblighi.   Se   non   esistesse   l'obbligo   della
autodichiarazione, non avrebbe senso sanzionare 1'  autodichiarazione
infedele.  In  assenza  dell'obbligo  primario   di   presentare   la
dichiarazione  ICI,  nessun  contribuente   presenterebbe   mai   una
dichiarazione con il rischio di essere  poi  incolpato  di  eventuali
infedelta' anche involontarie. Dunque il contenuto  precettivo  della
norma in esame si estende  necessariamente  all'obbligo  presupposto,
anche  perche'  se  cosi'  non  fosse   sarebbe   difficile   eludere
l'eccezione di irrazionale  disparita'  di  trattamento  tra  evasore
parziale ed evasore totale (a tutto vantaggio di  quest'ultimo),  che
la Corte  costituzionale  ha  superato  proprio  assimilando  le  due
ipotesi (di omissione ed infedelta') sulla base di una operazione  di
ricostruzione sistematica che va salvata nella premessa (il  disposto
legislativo tende a disincentivare  l'evasione,  totale  o  parziale,
dolosa o colposa) ma che non puo' essere condivisa nelle conclusioni.
Il  pagamento  tardivo  delle  imposte  non  puo'  dare  adito   alla
eliminazione della sanzione aggiuntiva. Comunque, una volta  che  sia
stato accertato dall'ente espropriante il maggior valore (rispetto al
dichiarato) dell'area espropriata, le  procedure  di  accertamento  e
riscossione  devono  essere  comunque  attivate,  senza  che   questo
implichi la rinuncia alla applicazione della sanzione aggiuntiva.  E'
onere  dei  Comuni  utilizzare   gli   esiti   delle   procedure   di
determinazione delle indennita' di esproprio ai  fini  del  controllo
delle dichiarazione ICI. 
    Il sistema sul quale e' incentrato  il  meccanismo  sanzionatorio
dell'art. 16, primo comma, e' basato sul rapporto sinallagmatico  tra
valore  dichiarato  ai  fini  dell'ICI  ed  indennita'  di  esproprio
erogabile al contribuente espropriato. Meno dichiara il contribuente,
minore e' la somma che puo' vantare come espropriato. I  due  valori,
quello dichiarato e quello stimato, non possono  non  coincidere.  Il
contribuente, quindi, non puo' pretendere una indennita' di esproprio
che sia superiore al valore dichiarato ai fini dell'ICI. Colui che si
nasconde al fisco  (omettendo  la  dichiarazione)  per  sottrarsi  ai
doveri di contribuente, non puo' poi palesarsi  per  vantare  diritti
connessi ai doveri elusi. La dichiarazione omessa  equivale  (almeno)
alla dichiarazione a valore irrisorio e le  conseguenze  non  possono
essere dissimili. Il disvalore dei due comportamenti  e'  analogo  e,
quindi, non si vede  perche'  non  debbano  essere  uguali  anche  le
conseguenze   extrafiscali.   Tanto   piu'   che   il   comportamento
dell'evasore parziale e' certamente meno  grave,  perche'  almeno  si
espone al controllo della dichiarazione,  a  differenza  dell'evasore
totale che, nella logica del sistema vigente ratione temporis,  prima
dell'informatizzazione dell'intero sistema catastale,  aveva  elevate
possibilita' di sottrarsi al controllo. Inoltre, l'evasore totale non
paga nulla fino a quando non  viene  scoperto  e,  se  poi  paghera',
paghera'  soltanto  nei  limiti  degli  ultimi  cinque  anni,  mentre
l'evasore  parziale  comunque  paga  una  imposta,  seppure   ridotta
rispetto  a  quella  dovuta,  senza  possibilita'  di  evaderla   per
decadenza. 
    Conseguentemente, si  deve  concludere  che  il  vincolo  di  cui
all'art. 16, comma primo, d.lgs. n. 504/1992, opera anche in caso  di
omessa dichiarazione, nel  senso  che  se  l'indennita'  deve  essere
«ridotta  al  valore  indicato  nell'ultima  dichiarazione»  ICI,  la
mancata presentazione di tale  dichiarazione  merita  un  trattamento
almeno simile a quello riservato  al  contribuente  che  dichiari  un
valore assolutamente irrisorio o pari allo zero. 
    E' questo il punto di partenza dal quale deve prendere  le  mosse
l'esame della compatibilita' del ripetuto art. 16 con altri parametri
costituzionali. 
    6. (Nuovi problemi di legittimita' costituzionale) - Il  problema
che si pone in relazione alla ipotesi di omessa  dichiarazione  o  di
quella equivalente di dichiarazione di valore  irrisorio  e':  se  la
totale vanificazione  della  dell'indennita'  sia  incompatibile  con
altri parametri costituzionali. 
    Non v'e' dubbio che l'art. 16 in esame  (al  pari  dell'art.  37,
coma 7, del T.U. in materia  di  esproprio)  e'  una  norma  di  tipo
sanzionatorio che reca la previsione  di  una  sanzione  atipica.  Il
nostro sistema costituzionale, in linea di principio, non esclude  la
legittimita' di sanzioni di tipo economico, che  possono  sacrificare
anche in maniera totale la proprieta' di beni, anche quando non siano
di diretta provenienza illecita (come il sequestro e la confisca  per
equivalente).  Nella  specie,  pero',  si   pone   un   problema   di
proporzionalita'  della  sanzione   (equiparabile   alla   confisca),
rispetto ad un illecito che, per quanto grave (dichiarazione omessa o
con indicazione di un valore irrisorio), non giustifica una  sanzione
tanto radicale. 
    In definitiva ritiene il Collegio 
        a) che l'art. 16, d.lgs. 504/1992, oggi art. 37 TU in materia
di espropriazione per P.U., debba essere interpretato nel  senso  che
la "sanzione" della riduzione dell'indennita' di esproprio,  in  caso
di dichiarazione infedele debba trovare applicazione, con riferimento
all'ultima  dichiarazione  o   denuncia   presentata,   prima   della
determinazione   formale   dell'indennita',   restando    irrilevanti
eventuali successivi  atti  di  ravvedimento  (non  spontaneo)  o  di
autorettifiche (che non siano frutto di  un  originario  involontario
errore); 
        b) la disciplina dell'art. 16 riguarda anche  le  ipotesi  di
omessa  dichiarazione/denuncia  ICI,  pena  la   irrazionalita'   del
sistema, posto che non v'e' alcuna differenza tra  dichiarazione  che
espone un  valore  assolutamente  irrisorio  e  omessa  dichiarazione
(l'unica differenza e' che, prima della informatizzazione del sistema
catastale,  il   contribuente   che   ometteva   di   presentare   la
dichiarazione aveva maggiori probabilita' di non essere scoperto e di
non pagare alcunche'); 
        c) sulla base di tali premesse si deve concludere che in caso
di   omessa   dichiarazione   ICI,   al   contribuente    fiscalmente
inadempiente, espropriato, non spetti alcuna indennita'. 
    Questa conclusione, pero' esclusa la possibilita'  di  equiparare
la misura in esame ad una  confisca  in  senso  tecnico,  e  superata
l'eccezione di irrazionalita' del sistema, ex art. 3 Cost.  -  appare
in contrasto con altri parametri costituzionali, a seguito del mutato
quadro normativo (con riferimento all'art. 117,  primo  comma  Cost.,
come sostituito dall'art. 3 della legge costituzionale n. 3 del 2001,
in relazione all'art. 42, terzo comma, Cost.) e dell'evoluzione della
giurisprudenza della Corte Costituzionale, secondo la quale le  norme
che non prevedono un "serio ristoro" del  danno  subito  per  effetto
della occupazione o  dell'esproprio  di  aree  edificabili,  sono  in
contrasto con l'art. 42,  terzo  comma  Cost.,  e  con  gli  obblighi
internazionali sanciti dall'art. 1 del  Protocollo  addizionale  alla
Cedu, che il legislatore deve rispettare in forza  del  "nuovo"  art.
117, primo comma Cost. (sent. 348 e 349 del 2007). 
    La norma in esame, che condiziona al  ribasso  la  determinazione
del valore dell'area espropriata,  fino  alla  sua  possibile  totale
vanificazione, sulla base di elementi e circostanze che nulla hanno a
che vedere con il danno conseguente all'esproprio e con i criteri che
attengono alla congruita' della  indennita'  dovuta  all'espropriato,
appare dunque in contrasto con i parametri costituzionali indicati. 
    La lettera della legge, che stabilisce una relazione diretta  tra
la riduzione dell'indennita' e l'entita' dell'evasione  (maggiore  e'
l'evasione, maggiore deve essere la riduzione),  non  lascia  margini
per interpretazioni costituzionalmente orientate. Qualsiasi tentativo
di interpretare la norma in maniera che  sia  comunque  garantito  un
serio  ristoro  all'espropriato  (una   sorta   di   "valore   minimo
garantito"), anche in caso di omessa dichiarazione o di dichiarazione
di valore irrisorio, altera il rapporto diretto tra  l'entita'  della
sanzione e la gravita' della  violazione  (principio  di  graduazione
della sanzione) e, quindi,  viola  il  principio  di  uguaglianza  di
trattamento per situazioni uguali. 
    7. (I precedenti della Corte  Costituzionale)  -  Non  ignora  il
Collegio che la Corte costituzionale, dopo la pronuncia n.  351/2000,
e'  stata  ancora   investita   della   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16 d.lgs. 504/1992. A parte  l'ordinanza  n.
539  del  2000,  che  si  e'  limitata  a  dichiarare  la   manifesta
infondatezza della questione, sul rilievo che il  giudice  rimettente
non  ha  prospettato  alcun  nuovo  elemento  rispetto  alla  analoga
questione gia' dichiarata infondata con la citata sentenza  351/2000,
con la ordinanza n. 401/2002, il giudice delle leggi ha confermato la
non irrazionalita' del meccanismo di riduzione  della  indennita'  di
esproprio sul rilievo, evidenziato gia' nella sentenza 351/2000,  che
il disposto legislativo tende principalmente a recuperare 1' evasione
e a disincentivarla. La Corte, pero', e' stata sempre investita della
questione nell'ambito di giudizi che non presentavano la peculiarita'
della totale omissione della dichiarazione IC1, per cui,  dopo  avere
escluso   la   irrazionalita'   della   norma,    anche    attraverso
l'interpretazione adeguatrice gia' ricordata, non e' mai pervenuta ad
un esame di legittimita' del meccanismo riduttivo  allorquando,  come
nella specie, l'applicazione dell'art.  16,  d.lgs.  504/1992,  porti
alla totale vanificazione dell'indennita' di esproprio. 
    Successivamente, pero', la Corte  costituzionale  ha  escluso  la
legittimita' dell'art. 5-bis del  d.l.  333/1992,  conv.  con  modif.
dalla legge 359/1992, sul rilievo che tale  disposizione,  prevedendo
una oscillazione eccessiva della indennita' di esproprio rispetto  al
valore di mercato, risultava priva di un «ragionevole legame» con  il
valore venale del bene (che lo Stato e' obbligato a far rispettare in
forza dell'art. l del Protocollo addizionale n.  1  della  CEDU),  ed
inidonea ad assicurare anche quel  «serio  ristoro»  richiesto  dalla
giurisprudenza consolidata della Corte  costituzionale,  in  mancanza
del quale risulta praticamente vanificato l'oggetto  del  diritto  di
proprieta' (sent. 348/2007). 
    Alla luce  di  questa  giurisprudenza,  appare  evidente  la  non
Manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
della norma in esame,  in  forza  della  quale  nel  caso  di  omessa
dichiarazione ICI, l'espropriato e' esposto alla totale vanificazione
dell'indennita'. 
    8. (Conclusione) - In  definitiva,  il  quesito  di  legittimita'
costituzionale che si pone  nella  fattispecie,  va  riassunto  nella
seguente formula sillogistica: 
        a) premesso in fatto  che  la  sig.ra  Gangitano,  ha  subito
l'occupazione prima e l'espropriazione poi di un'area fabbricabile in
relazione alla quale non ha mai presentato la dichiarazione ICI, alla
quale era tenuto  a  norma  dell'art.  10  d.lgs.  504/1992,  vigente
ratione temporis; 
        b) premesso in diritto 
          che  l'interpretazione  sistematica  e   costituzionalmente
orientata dell' art. 16, comma l, d.lgs. n.  504/1992  (in  relazione
all'art. 3 Cost.) e del subentrato art. 37 TU espropri, comporta  che
il  contribuente  che  abbia  subito  l'espropriazione  di  un  suolo
edificabile, per il quale non abbia presentato la dichiarazione  ICI,
non ha diritto alla indennita' di esproprio; 
          che l'espropriato ha diritto comunque ad un serio  ristoro,
tale  da  garantire  sempre  un  ragionevole  legame  con  il  valore
dell'immobile espropriato; 
          che la sanzione della perdita  totale  dell'indennita'  non
puo' essere considerata una confisca, attesa la sproporzione rispetto
alla violazione alla quale e' collegata; 
        c) sintesi: alla stregua della normativa vigente, alla sig.ra
Gangitano non compete l'indennita' di esproprio  e  tale  conclusione
appare in contrasto con quanto dispone l'art. 42, terzo comma, Cost.,
integrato dall'art. 1 del  primo  protocollo  della  CEDU,  in  forza
dell'art. 117, primo comma, Cost. (v. Sent. Corte Cost. 348/2007). 
    In altri termini, il contenuto precettivo dell'art. 16 citato, in
base al quale l'indennita' di esproprio puo' oscillare fino alla  sua
totale   vanificazione,   pone   un    problema    di    legittimita'
costituzionale, non manifestamente infondato, non tanto in  relazione
all'art. 3 Cost., come eccepito dal  Consorzio  ricorrente  (superato
dalla interpretazione costituzionalmente orientata di questa  Corte),
quanto per contrasto con l'art. 42, terzo comma Cost. Infatti, e' pur
vero che secondo la giurisprudenza del giudice  delle  leggi,  l'art.
42, terzo comma, Cost.,  non  impone  al  legislatore  il  dovere  di
commisurare integralmente l'indennita' di espropriazione al valore di
mercato  del  bene  ablato,  attesa  la  "funzione   sociale"   della
proprieta', nel quadro  dei  principi  di  solidarieta'  economica  e
sociale tra cittadini, di cui all'art. 2 Cost.  (sent.  n.  348/2007,
punto 5.7., secondo cpv, della motivazione in diritto). Tuttavia, una
norma come l'art. 16, coma primo, d.lgs. 504/1992, in grado,  quindi,
di comprimere i diritti dell'espropriato ben oltre i  limiti  fissati
dall'art. 5 bis, commi 1 e 2, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333,  conv.
con modific. dalla legge  n.  359/1992,  dichiarato  incostituzionale
(sent.  n.  348/2007),  a  maggior  ragione  non  puo'  superare  "il
controllo di costituzionalita' in rapporto  al  «ragionevole  legame»
con il valore venale, prescritto dalla giurisprudenza della Corte  di
Strasburgo e coerente, del resto, con il  «serio  ristoro»  richiesto
dalla giurisprudenza consolidata" della Corte  Costituzionale  (sent.
348/2007, punto 5.7. della motivazione in diritto). 
    Conseguentemente, ritenuta la rilevanza nel giudizio in  corso  e
la  non  manifesta  infondatezza  della  questione  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 1. del d.lgs. 30 dicembre 1992, n.
504, oggi art. 37, comma 7, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, nella parte
in  cui,  in  caso  di  omessa  dichiarazione/denuncia   ICI   o   di
dichiarazione/denuncia  di   valori   assolutamente   irrisori,   non
stabilisce un limite alla  riduzione  dell'indennita'  di  esproprio,
idoneo ad  impedire  la  totale  elisione  di  qualsiasi  ragionevole
rapporto tra il valore venale del  suolo  espropriato  e  l'ammontare
della indennita', pregiudicando in tal modo anche il  diritto  ad  un
serio ristoro, spettante all'espropriato, con riferimento agli  artt.
117, primo comma, e 42, terzo comma, Cost., anche  in  considerazione
del  disposto  dell'art.  6  e  dell'art.  1,  del  primo  protocollo
addizionale della Convenzione europea dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali; 
    Considerato che il giudizio di  legittimita'  costituzionale,  ai
sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo  1953,  n.  87,  deve  essere
rimesso  alla  Corte  costituzionale,  alla  quale  gli  atti   vanno
immediatamente trasmessi, previa sospensione del giudizio in corso;