IL TRIBUNALE 
 
    Il Giudice del Lavoro del  Tribunale  di  Trani,  dott.ssa  Maria
Antonietta La Notte Chirone, a  scioglimento  della  riserva  del  21
febbraio 2011, nella causa iscritta al n. 6606/A/2010 R.G.,  pendente
tra Mizzi Giovanni (avv.  Domenico  Carpagnano)  e  la  S.p.a.  Poste
Italiane (avv. Angelo Pandolfo), ha pronunciato la seguente ordinanza
di promuovimento del giudizio dinanzi alla Corte  costituzionale,  in
ordine agli artt. 1 e 11 del d.lgs. n. 368 del 6 settembre 2001,  con
riferimento agli artt. 3 e 77, primo comma, della Costituzione. 
 
                              In fatto 
 
    Con domanda del 29 novembre 2010, Mizzi Giovanni ha convenuto  in
giudizio  la  S.p.a.   Poste   Italiane,   chiedendo   l'accertamento
dell'illegittimita'  del  termine  apposto  al  contratto  di  lavoro
sottoscritto il 20 maggio 2005, «per ragioni di carattere sostitutivo
correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del
personale addetto al servizio recapito presso la  Regione  Sud  1  UP
Canosa di Puglia assente nel periodo dal 23 maggio 2005 all'8  luglio
2005»,  in  quanto  nel  documento  negoziale  non  sarebbero   stati
specificamente indicati i lavoratori sostituiti, «nonche' la  ragione
per la quale questi» ultimi sarebbero «rimasti assenti  dal  lavoro»,
nonostante che, all'indomani del d.lgs.  n.  368/2001  -  applicabile
alla specie ratione temporis - l'assunzione  a  termine  per  ragioni
sostitutive richiedesse ancora dette indicazioni. 
    Costituitasi in giudizio, la societa' convenuta ha contestato  la
necessita' di tale adempimento, visto  che  la  precedente  norma  di
riferimento - e cioe' l'art. 1, comma 2,  lett.  b)  della  legge  n.
230/1962 - e' stata abrogata dall'art. 11, primo comma, del d.lgs. n.
368/2001, senza essere sostituita da altra  disposizione  di  analogo
contenuto e, nel contempo, ha altresi' eccepito  la  risoluzione  del
rapporto  per  mutuo  consenso,  stante  l'inerzia   del   lavoratore
protrattasi per cinque anni. 
 
                             In diritto 
 
    I. Ancor prima di esaminare le ragioni per le  quali  si  ritiene
rilevante  e   non   manifestamente   infondata   la   questione   di
costituzionalita' degli artt. 1 e  11  del  d.lgs.  n.  368/2001,  in
relazione  agli  artt.  3  e  77  Cost.,  preme  a  questo  Tribunale
sottolineare l'infondatezza dell'eccezione datoriale  di  risoluzione
del   rapporto   per   mutuo   consenso,   essendo   pacifico   nella
giurisprudenza di legittimita' che l'inerzia del lavoratore  non  e',
di per se', sufficiente a risolvere il rapporto, essendo, a tal fine,
richiesto un quid pluris. 
    Nel caso di specie, non solo le Poste Italiane  hanno  omesso  di
dare conto di questo quid pluris, ma  non  hanno  neppure  contestato
l'assunto del ricorrente (peraltro documentato per tabulas,  mediante
la produzione in giudizio della circolare  interna  del  14  febbraio
2000, con la quale le filiali sono state  invitate  a  non  stipulare
«contratti a tempo determinato con i soggetti che hanno  in  atto  un
contenzioso giudiziale od  extragiudiziale  nei  confronti  di  Poste
Italiane con riferimento al/ai contratto/i  in  precedenza  stipulati
con  questa  Azienda»),  secondo  cui  sarebbe  «prassi  dell'azienda
resistente non sottoscrivere nuovi contratti di lavoro con chi  abbia
promosso, in suo danno, un contenzioso giudiziale». 
    Ne' risolutivo puo' ritenersi l'assunto della societa' convenuta,
secondo cui il lavoratore avrebbe «messo parte ricorrente, cosi' come
gli altri lavoratori che hanno operato in Poste nel  periodo  dal  1°
luglio 1997 al 31 dicembre 2005 nelle condizioni  di  consolidare  il
proprio rapporto di lavoro con accordo  del  13  gennaio  2006»,  sia
perche' non e' provato che il ricorrente  sia  stato  «notiziato»  di
questa opportunita', sia perche' detto accordo non  risulta  prodotto
agli atti del processo (di tal che questo giudice non e' in grado  di
apprezzarlo nei suoi reali  contenuti)  e  sia,  infine,  perche'  la
mancata adesione ad un accordo conciliativo  (che,  per  definizione,
comporta  sempre  delle  rinunzie)  non  significa  affatto  che   il
lavoratore abbia voluto dismettere un suo diritto. 
    II. La fattispecie contrattuale e' pacificamente  disciplinata  -
ratione temporis - dal d.lgs. 6 agosto 2001, n. 368, il cui art.  11,
com'e' noto, ha  abrogato  «la  legge  18  aprile  1962,  n.  230,  e
successive modificazioni», ivi compreso l'art. 1, comma 2, lett.  b),
a mente del quale era «consentita l'apposizione di  un  termine  alla
durata del contratto: ... quando l'assunzione» avesse  avuto  «luogo,
per sostituire lavoratori assenti e per i quali» fosse sussistito «il
diritto alla conservazione del posto,  sempreche'  nel  contratto  di
lavoro a termine»  fosse  stato  «indicato  il  nome  del  lavoratore
sostituito e la causa della sua sostituzione». 
    Per effetto di tale abrogazione, la causale sostitutiva  e'  oggi
disciplinata dall'art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 368/2001,  il  quale
si limita a consentire «l'apposizione di un termine alla  durata  del
contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere  ...
sostitutivo», senza piu' richiedere - quantomeno espressamente - che,
nel contratto, siano indicati il nome del lavoratore sostituito e  la
causa della sua sostituzione. 
    III. Questo Tribunale, con ordinanza  del  21  aprile  2008,  sul
presupposto che  la  formulazione  della  novella  rappresentasse  un
arretramento di tutela per  il  lavoratore  -  che  non  poteva  piu'
pretendere che, gia' nel contratto, gli fossero fornite quelle stesse
informazioni che la precedente normativa legale imponeva al datare di
lavoro, al fine di porlo nelle condizioni di valutare preventivamente
l'opportunita'  di  promuovere  o  meno  l'azione  giudiziaria  e  di
evitargli, nel caso in cui avesse scelto la  strada  dell'azione,  il
rischio di trovarsi, nel processo, di fronte a «situazioni» di  fatto
non  valutabili  in  anticipo  -  ha  dichiarato  rilevante   e   non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
degli artt. 1  e  11  del  d.lgs.  6  settembre  2001,  n.  368,  con
riferimento agli artt. 76 e 77, primo comma, Cost. 
    A giustificazione di tale convincimento, lo scrivente ha rilevato
che non poteva «ritenersi che -  pur  in  presenza  della  differente
formulazione dell'art. 1 del d.lgs. n. 368/2001,  rispetto  a  quella
dell'art. 1, comma 2, lett. b) della legge n. 230/1962 - tale  onere»
fosse «rimasto immutato a carico del  datore  di  lavoro,  visto  che
nella norma sopravvenuta»  mancava  «qualsiasi  riferimento  a  detto
incombente». 
    Dopo aver dato atto della  diversita'  (non  solo  di  forma,  ma
anche) di  contenuto  della  norma  de  qua,  questo  Tribunale,  nel
richiamato provvedimento, ha ricordato -  per  quel  che  qui  ancora
interessa - ai fini della corretta valutazione della  legittimita'  o
meno della novella: 
        a) che il d.lgs. n. 368/2001 era stato adottato  dal  Governo
italiano in esecuzione della legge delega 29 dicembre 2000,  n.  422,
che lo aveva  delegato  ad  emanare  le  norme  occorrenti  per  dare
attuazione ad una molteplicita'  di  direttive  comunitarie,  tra  le
quali la 1999/70/CE (relativa all'accordo quadro sul lavoro  a  tempo
determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES); 
        b) che, nella legge comunitaria n.  422/2000,  il  Parlamento
aveva stabilito (v. art. 2) che,  «salvi  gli  specifici  principi  e
criteri direttivi stabiliti negli articoli seguenti ed in aggiunta  a
quelli contenuti nelle direttive da attuare, i decreti legislativi di
cui all'articolo 1» avrebbero dovuto assicurare «in  ogni  caso  che,
nelle materie trattate dalle  direttive  da  attuare,  la  disciplina
disposta»  fosse  «pienamente  conforme   alle   prescrizioni   delle
direttive medesime»; 
        c) che, con specifico riferimento ai contratti  di  lavoro  a
tempo determinato - poiche' il legislatore delegante si era  limitato
a rinviare alle «prescrizioni» della direttiva 1999/70/CE, la  quale,
a sua volta, era intervenuta solo su alcuni aspetti  delle  normative
interne in  tema  di  contratto  a  termine  ed  in  particolare  sul
«principio di non discriminazione» (clausola n. 4), sulle «misure  di
prevenzione  degli  abusi  ...   derivanti   dall'utilizzo   di   una
successione di contratti o rapporti di lavoro  a  tempo  determinato»
(clausola  n.  5),  nonche'  sulle  regole  da  valere  in  tema   di
«informazione  e  possibilita'  di  impiego»  (clausola   6)   e   di
«informazione  e  consultazione»  (clausola  7)  -  doveva  ritenersi
assolutamente «fuori delega» la scelta del Governo di  abrogare  tout
court la legge n. 230/1962 e, per quel che qui  interessa,  la  norma
dettata, per la causale sostitutiva, dall'art. 1, comma 2, lett. b). 
    In sostanza, per questo Tribunale - come gia'  statuito,  per  il
«diritto di precedenza», dalla Corte costituzionale nella sentenza n.
44/2008 - «l'abrogazione», ad opera dell'art. 11, primo comma, d.lgs.
n. 368/2001, dell'art. 1, comma 2, lett. b) della legge n.  230/1962,
non  rientrava  «ne'  nell'area  di  operativita'   della   direttiva
comunitaria, definita dalla Corte di giustizia  con  la  sentenza  22
novembre 2005,  nella  causa  C-144/04  Mangold,  ne'  nel  perimetro
tracciato dal legislatore delegante»: 
        a)  «con  riferimento  al  primo   ambito»,   perche',   come
sottolineato in detta sentenza del giudice comunitario, «(punti da 40
a 43) ... la clausola 5 della direttiva  1999/70/CE  e'  circoscritta
alla  "prevenzione  degli  abusi  derivanti  dall'utilizzo   di   una
successione  di  contratti  o  di  rapporti   di   lavoro   a   tempo
determinato''» e, quindi, «non opera laddove, come nella  specie,  vi
sia una successione  di  contratti  a  termine  alla  quale  non  si»
riferisca «alcuna delle misure previste dalla direttiva  medesima  al
fine di prevenire quegli abusi (giustificazione del  rinnovo;  durata
massima totale dei contratti; numero massimo di contratti)»; 
        b) con riferimento al secondo ambito, perche' resta «anche al
di fuori della delega conferita dalla legge 29 dicembre 2000, n.  422
(Disposizioni    per    l'adempimento    di    obblighi     derivanti
dall'appartenenza  dell'Italia  alle  Comunita'   europee   -   Legge
comunitaria 2000), complessivamente considerata», visto  che  «l'art.
1, comma 1, di tale legge ha delegato, ..., il Governo ad emanare  "i
decreti legislativi recanti le norme occorrenti per  dare  attuazione
alle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B'' e,
per quanto concerne la direttiva 1999/70/CE relativa al caso in esame
non ha dettato - a differenza di altre ipotesi - specifici criteri  o
principi capaci di ampliare lo spazio di intervento  del  legislatore
delegato». 
    IV. Con sentenza interpretativa di rigetto n. 214/2009, la  Corte
costituzionale  ha  ritenuto   non   fondata   detta   questione   di
costituzionalita', in quanto, a suo avviso, il giudice a quo  avrebbe
omesso «di considerare adeguatamente che l'art. 1 del d.lgs.  n.  368
del 2001, dopo aver stabilito, al  comma  1,  che  l'apposizione  del
termine al contratto di lavoro e' consentita a fronte di  ragioni  di
carattere (oltre che  tecnico,  produttivo  e  organizzativo,  anche)
sostitutivo, aggiunge, al comma 2, che «L'apposizione del termine  e'
priva di effetto se non risulta, direttamente  o  indirettamente,  da
atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di  cui  al  comma
1». 
    L'onere di specificazione previsto da  quest'ultima  disposizione
impone che, tutte le volte in cui l'assunzione  a  tempo  determinato
avvenga per soddisfare ragioni di carattere sostitutivo, risulti  per
iscritto anche il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua
sostituzione. Infatti, considerato che per «ragioni  sostitutive»  si
debbono intendere motivi connessi con l'esigenza di sostituire uno  o
piu'  lavoratori,  la   specificazione   di   tali   motivi   implica
necessariamente anche l'indicazione del lavoratore o  dei  lavoratori
da sostituire e delle cause della  loro  sostituzione;  solamente  in
questa maniera, infatti, l'onere che l'art. 1, comma 2, del d.lgs. n.
368 del 2001 impone alle parti che intendano stipulare  un  contratto
di lavoro subordinato a tempo determinato puo' realizzare la  propria
finalita',  che  e'  quella  di  assicurare  la  trasparenza   e   la
veridicita'   della   causa   dell'apposizione    del    termine    e
l'immodificabilita' della stessa nel corso del rapporto. 
    Non avendo gli impugnati arti. 1, comma 1, ed 11  del  d.lgs.  n.
368 del 2001 innovato, sotto questo profilo, rispetto alla disciplina
contenuta nella legge n. 230 del 1962,  non  sussiste  la  denunciata
violazione dell'art. 77 della Costituzione. 
    Invero, l'art. 2, comma 1, lettera b), della legge di  delega  n.
422  del  2000  consentiva  al  Governo  di  apportare  modifiche   o
integrazioni alle discipline vigenti nei singoli settori  interessati
dalla normativa da attuare e cio' al fine di evitare  disarmonie  tra
le norme introdotte in sede di attuazione delle direttive comunitarie
e, appunto, quelle gia' vigenti. 
    In base a tale  principio  direttivo  generale,  il  Governo  era
autorizzato a riprodurre, nel decreto legislativo di attuazione della
direttiva  1999/70/CE,  precetti  gia'  contenuti  nella   previgente
disciplina  del  settore   interessato   dalla   direttiva   medesima
(contratto di lavoro a tempo determinato). Infatti, inserendo  in  un
unico testo normativo  sia  le  innovazioni  introdotte  al  fine  di
attuare la direttiva comunitaria, sia le disposizioni previgenti che,
attenendo alla medesima fattispecie contrattuale,  erano  alle  prime
intimamente connesse, si sarebbe garantita la  piena  coerenza  della
nuova disciplina anche sotto il profilo sistematico,  in  conformita'
con quanto richiesto dal citato art. 2, comma 1,  lettera  b),  della
legge di delega. 
    Non sussiste neppure la denunciata lesione  dell'art.  76  Cost.,
poiche' le norme censurate, limitandosi a  riprodurre  la  disciplina
previgente, non determinano  alcuna  diminuzione  della  tutela  gia'
garantita ai lavoratori dal precedente regime  e,  pertanto,  non  si
pongono in contrasto  con  la  clausola  n.  8.3  dell'accordo-quadro
recepito dalla direttiva 1999/70/CE, secondo la quale  l'applicazione
dell'accordo non avrebbe potuto costituire un motivo per  ridurre  il
livello generale di tutela gia' goduto dai lavoratori. 
    V.  Con  ordinanza  n.  325  del  4  dicembre  2009,   la   Corte
costituzionale - chiamata a pronunciarsi  nuovamente  sulla  medesima
questione  -  dopo  aver  ricordato  di  averla  «gia'  ...  ritenuta
infondata ... con la sentenza n. 214 del 2009, dalla cui  motivazione
non» v'era «ragione di discostarsi», ha ribadito: 
        a) «che, ..., l'art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, dopo  aver
stabilito, al comma 1, che l'apposizione del termine al contratto  di
lavoro e' consentita a fronte di  ragioni  di  carattere  (oltre  che
tecnico, produttivo e organizzativo, anche) sostitutivo, aggiunge, al
comma 2, che "L'apposizione del termine e' priva di  effetto  se  non
risulta, direttamente o indirettamente, da  atto  scritto  nel  quale
sono specificate le ragioni di cui al comma 1''»; 
        b) «che l'onere di specificazione  previsto  da  quest'ultima
disposizione impone che, tutte le volte in cui l'assunzione  a  tempo
determinato avvenga per soddisfare ragioni di carattere  sostitutivo,
siano  indicate  le  ragioni  della  sostituzione  di  uno   o   piu'
lavoratori, il che implica necessariamente  anche  l'indicazione  del
lavoratore o dei lavoratori da sostituire»; 
        c)  «che  soltanto  in  questa  maniera,  e'  assicurata   la
trasparenza e la veridicita' della causa dell'apposizione del termine
e l'immodificabilita' della stessa nel corso del rapporto»; 
        d) «che non avendo gli impugnati artt. 1, comma 1, e  11  del
d.lgs. n. 368 del 2001 innovato, sotto questo profilo, rispetto  alla
disciplina contenuta nella legge n. 230 del  1962,  non  sussiste  la
denunciata violazione dell'art. 77 della Costituzione»; 
        e) «che l'art. 2, comma 1, lettera b), della legge di  delega
n. 422 del 2000  consentiva  al  Governo  di  apportare  modifiche  o
integrazioni alle discipline vigenti nei singoli settori  interessati
dalla normativa da attuare e cio' al fine di evitare  disarmonie  tra
le norme introdotte in sede di attuazione delle direttive comunitarie
e, appunto, quelle gia' vigenti»; 
        f) «che in base a tale principio direttivo,  il  Governo  era
autorizzato a riprodurre, nel decreto legislativo di attuazione della
direttiva  1999/70/CE,  precetti  gia'  contenuti  nella   previgente
disciplina  del  settore   interessato   dalla   direttiva   medesima
(contratto di lavoro a tempo determinato). Infatti, inserendo  in  un
unico testo normativo  sia  le  innovazioni  introdotte  al  fine  di
attuare la direttiva comunitaria, sia le disposizioni previgenti che,
attenendo alla medesima fattispecie contrattuale,  erano  alle  prime
intimamente connesse, si sarebbe garantita la  piena  coerenza  della
nuova disciplina anche sotto il profilo sistematico,  in  conformita'
con quanto richiesto dal citato art. 2, comma 1,  lettera  b),  della
legge di delega»; 
        g) «che non sussiste neppure la denunciata lesione  dell'art.
76 Cost., poiche' le norme censurate,  limitandosi  a  riprodurre  la
disciplina  previgente,  non  determinano  alcuna  diminuzione  della
tutela  gia'  garantita  ai  lavoratori  dal  precedente  regime   e,
pertanto, non si pongono neanche in contrasto con la clausola n.  8.3
dell'Accordo-quadro recepito dalla direttiva 1999/70/CE,  secondo  la
quale l'applicazione dell'accordo non avrebbe  potuto  costituire  un
motivo per ridurre il livello generale  di  tutela  gia'  goduto  dai
lavoratori». 
    VI. Dopo queste pronunzie interpretative di rigetto  del  Giudice
delle leggi - che sembravano aver risolto ogni  problema  ermeneutico
al riguardo - la Cassazione, con due sentenze del 26 gennaio 2010 (la
n. 1576 e la n. 1577), interpretando (in realta', ad avviso di questo
giudice, discostandosi consapevolmente  da)  detti  arresti,  ha  si'
ricordato che «la sentenza della  Corte  costituzionale  n.  214  del
2009,   ...,   nel   dichiarare   non   fondata   la   questione   di
costituzionalita' del d.lgs. n. 368 del 2001,  art.  1,  comma  1,  e
d.lgs. n. 368 del 2001, art. 11», aveva  affermato  «che  l'onere  di
specificazione previsto dallo stesso art. 1, comma 2» imponeva  «che,
tutte le  volte  in  cui  l'assunzione  a  tempo  determinato»  fosse
avvenuta «per soddisfare ragioni di carattere  sostitutivo»,  dovesse
risultare «per iscritto anche in nome del lavoratore sostituito e  la
causa della sua sostituzione», ma ha anche precisato che,  sul  piano
«degli effetti delle sentenze interpretative di rigetto  della  Corte
costituzionale», «ove il giudice delle leggi, indichi una  possibile,
diversa   interpretazione   della   ...   disposizione   conforme   a
Costituzione, tale interpretazione adeguatrice non  interferisce  con
il controllo di legittimita' rimesso alla Corte di cassazione  ed  il
suo effetto vincolante per i giudici ordinari e speciali, non esclusa
la Corte di cassazione, riguarda soltanto il  divieto  di  accogliere
quella interpretazione che la Corte costituzionale ha  ritenuto,  sia
pure  con  una  pronuncia  di   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale sottoposta al suo esame, viziata». 
    Cosi',  la  Cassazione,  rivendicando  pienamente  a  se'   detta
funzione,  ha  ritenuto   di   poter   «interpretare»   la   sentenza
«interpretativa di rigetto» del Giudice delle leggi e, sulla base  di
questa, di essere abilitata ad operare un distinguo, nel senso  «che,
nella illimitata  casistica  che  offre  la  realta'  concreta  delle
fattispecie aziendali, accanto a fattispecie  elementari  in  cui  e'
possibile individuare fisicamente il lavoratore  o  i  lavoratori  da
sostituire,  esistono  fattispecie  complesse  in   cui   la   stessa
indicazione non e' possibile e "l'indicazione del  lavoratore  o  dei
lavoratori''   deve    passare    necessariamente    attraverso    la
"specificazione dei motivi'', mediante l'indicazione di criteri  che,
prescindendo dall'individuazione delle persone,  siano  tali  da  non
vanificare il criterio selettivo che richiede la norma». 
    VII. Con l'ordinanza  n.  65  del  24  febbraio  2010,  la  Corte
costituzionale e' ritornata, ancora una volta, sulla questione de qua
e,  benche'  fosse  quella   l'occasione   per   pronunciarsi   sulla
legittimita' del distinguo operato dalla Cassazione  (di  cui  si  e'
dato conto nel paragrafo  che  precede),  ha  preferito  limitarsi  a
ribadire «che la questione» era «gia'  stata  ritenuta  infondata  da
questa Corte con la sentenza n. 214 del 2009 e l'ordinanza n. 325 del
2009, dalla cui motivazione non» v'era «ragione di  discostarsi»,  in
questo modo - sia pure implicitamente - riconoscendo che ogni diversa
interpretazione  dei  suoi  precedenti  arresti  avrebbe  finito  per
condizionare la legittimita' delle norme scrutinate. 
    VIII. Cio' nondimeno, la S.C.,  con  sentenza  n.  10175  del  28
aprile 2010, ha ancora  una  volta  ribadito  che,  «con  riferimento
specifico alle ragioni di carattere sostitutivo, ..., il contratto  a
termine, se in una situazione aziendale elementare  e'  configurabile
come strumento idoneo a consentire  la  sostituzione  di  un  singolo
lavoratore addetto a  specifica  e  ben  determinata  mansione,  allo
stesso modo in una situazione aziendale  complessa  e'  configurabile
come strumento di inserimento del lavoratore assunto in  un  processo
in cui la sostituzione sia riferita non ad una,singola persona, ma ad
una funzione produttiva specifica che sia  occasionalmente  scoperta;
in quest'ultimo caso, il  requisito  della  specificita'  puo'  cosi'
ritenersi soddisfatto non  tanto  con  l'indicazione  nominativa  del
lavoratore o dei lavoratori sostituiti, quanto con la verifica  della
corrispondenza quantitativa tra il numero dei lavoratori assunti  con
contratto a termine per lo svolgimento di una data funzione aziendale
e le scoperture che, per quella stessa funzione, si  sono  realizzate
per il periodo dell'assunzione». 
    IX. Detto  orientamento  ha  trovato,  ancora  piu'  di  recente,
ulteriore conferma in Cass. 7 febbraio 2011, n. 2990. 
    X. Com'e' di tutta evidenza,  siffatti  arresti  del  Giudice  di
legittimita' -tutti del medesimo segno - fanno ritornare d'attualita'
la questione di costituzionalita' gia' sollevata da questo  Tribunale
con ordinanza del 21  aprile  2008  ed  anzi  suggeriscono  ulteriori
profili di illegittimita' delle norme de quibus. 
    XI. A tal proposito, e' opportuno  premettere  come,  in  ragione
della pluralita' delle sentenze rese in argomento dalla  S.C.,  debba
ormai considerarsi «diritto vivente» il principio  secondo  cui,  nei
contratti a tempo determinato, con specifico  riferimento  alle  c.d.
esigenze sostitutive, l'onere di specificita'  preteso  dal  2  comma
dell'art. 1 del d.lgs. n. 368/2001 possa essere assolto dal datore di
lavoro in maniera diversa, a seconda della complessita' o meno  della
struttura aziendale e che, quindi, l'indicazione del  nominativo  del
lavoratore  sostituito  e  della  ragione  della  sua   assenza   sia
necessaria solo  in  una  situazione  aziendale  elementare,  potendo
essere,  invece,  in   una   situazione   aziendale   complessa   ...
configurabile come strumento di inserimento del lavoratore assunto in
un processo in cui la sostituzione sia riferita non  ad  una  singola
persona,  ma  ad  una   funzione   produttiva   specifica   che   sia
occasionalmente scoperta. 
    Tale distinguo  -  in  quanto  costituente  «diritto  vivente»  -
vincola questo Tribunale, al punto che e' tenuto a farne applicazione
nel caso di specie, benche' non ve ne sia traccia  nei  provvedimenti
della Corte costituzionale innanzi richiamati e per quanto lo ritenga
non condivisibile alla luce delle  puntuali  ragioni  espresse  dalla
Corte d'Appello di Bari (tra le tante, v. la sentenza n.  5546/2010),
per la quale «sembra quasi  ovvio  osservare  che  anche  le  realta'
aziendali  piu'  complesse  sono  strutturate  sulla  base   di   una
articolazione territoriale diffusa di molteplici unita' produttive, a
loro volta connesse, in via gerarchica  e  funzionale,  ad  organismi
intermedi tra le basi operative ed il vertice aziendale.  Sicche'  e'
evidente che ciascun organismo intermedio, attraverso il  preposto  a
ciascuna  sede  o  unita'  operativa,  e'  in  grado   di   conoscere
esattamente  il  lavoratore  o  i  lavoratori  (aventi  diritto  alla
conservazione del posto) e, quindi, e' ben in grado di renderlo noto,
in sede di stipula del contratto, anche  al  contrattista  a  termine
(nella specie, sembra  evidente  che  il  responsabile  del  servizio
Risorse Umane Regionale Sud 1 della Filiale di Bari ...,  avvalendosi
dei  vari  responsabili  delle  diverse  filiali   (Uffici   postali)
sotto-ordinate e di propria competenza,  fosse  o  potesse  essere  a
conoscenza  del  personale  assente  e  da  sostituire  in  questo  o
quell'ufficio»). 
    Cio' sta a significare che, per quanto, nel caso di  specie,  nel
documento negoziale sottoscritto  dal  ricorrente  manchi  del  tutto
l'indicazione del/i lavoratore/i  sostituito/i  e  della/e  ragione/i
della sua/loro assenza, lo scrivente non potra' tout court dichiarare
l'illegittimita' del termine, in applicazione di quanto affermato dal
Giudice  delle  leggi,  ma  dovra'  procedere  altrimenti   e   cioe'
verificare - tenuto conto della  complessa  organizzazione  aziendale
delle Poste Italiane - se nel contratto vi siano almeno gli  elementi
che, ad avviso della Cassazione, sarebbero sufficienti  ad  attestare
la  sussistenza  di  quel  grado  di   specificita'   della   causale
sostitutiva, sufficiente a consentire  al  lavoratore  una  forma  di
controllo  sin  dal  momento  della  sottoscrizione   del   documento
negoziale. 
    XII. Ebbene,  come  appare  evidente,  l'art.  1  del  d.lgs.  n.
368/2001,  in  quanto  interpretato  nei  termini  prospettati  dalla
cassazione (interpretazione alla quale, lo si ribadisce, i giudici di
merito devono ritenersi ormai vincolati)  produce  una  inammissibile
discriminazione, con conseguente violazione dell'art. 3 Cost., tra  i
lavoratori assunti  a  tempo  determinato  per  ragioni  sostitutive,
potendo  solo  quelli  avviati   in   aziende   con   una   struttura
organizzativa «elementare» pretendere di avere gia' nel contratto  di
lavoro l'indicazione del nominativo del lavoratore sostituito e della
ragione della sua assenza ed essere  in  grado  cosi'  di  esercitare
immediatamente, gia' all'atto  della  sottoscrizione  del  contratto,
quel controllo a cui sono preordinate le specificazioni  pretese  dal
secondo comma dell'art. 1 cit. 
    Ne' puo' ritenersi insussistente l'indicata  discriminazione  per
il sol fatto che,  nelle  realta'  aziendali  complesse,  l'onere  di
specificita' possa essere  assolto  -  come  indicato  dalla  S.C.  a
partire dal gennaio 2010  -  attraverso  l'indicazione  «di  elementi
ulteriori (quali, l'ambito territoriale i riferimenti, il luogo della
prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire,  il
diritto degli stessi alla conservazione  del  posto  di  lavoro)  che
consentano di determinare il numero dei  lavoratori  da  sostituire»,
visto che, com'e' facile intuire, nessuno di questi  elementi  e'  in
grado  di  consentire  al   lavoratore,   sin   dal   momento   della
sottoscrizione contratto, quello stesso grado di  effettivita'  e  di
efficacia del controllo (non solo ex post, ma anche ex ante) che  e',
invece, garantito a chi, in quanto avviato  in  situazioni  aziendali
elementari, veda gia' nel contratto indicato  il  nominativo  di  chi
sostituisca ed il perche' lo sostituisca. 
    Consentire, nei contratti a  termine  per  esigenze  sostitutive,
forme  differenziate  di  controllo  (a   secondo   della   struttura
organizzativa  aziendale),  finisce  per   produrre   discriminazioni
assolutamente ingiustificate dal punto di vista dei lavoratori (punto
di vista, che giova sottolinearlo, e' il  solo  ad  essere  preso  in
considerazione dal secondo comma dell'art. 1 del d.lgs. n.  368/2001)
e consente di legittimare,  in  alcune  situazioni,  come  quella  di
specie,  delle  forme  di  controllo  solo  apparenti  e  per   nulla
appaganti, oltre che insufficienti ad «assicurare la trasparenza e la
veridicita'   della   causa   dell'apposizione    del    termine    e
l'immodificabilita' della stessa nel corso del rapporto», cosi'  come
richiesto  dalla  Corte  costituzionale   nelle   pronunzie   innanzi
richiamate. 
    La preoccupazione del giudice di legittimita' di sollevare taluni
datori di lavoro dall'onere di specificare, gia'  nel  contratto,  il
nominativo del lavoratore sostituito e la ragione della sua  assenza,
com'e' facile intuire, trova la sua giustificazione nelle difficolta'
che questi  potrebbero  eventualmente  incontrare  in  ragione  della
complessita' della loro organizzazione aziendale. 
    In realta',  come  dimostra  proprio  il  caso  di  specie,  tale
preoccupazione non ha alcun fondamento, visto  che  le  Poste,  cosi'
come  hanno  specificato,  costituendosi   in   giudizio,   che   «il
ricorrente» avrebbe «sostituito il titolare della zona di recapito n.
9  sig.  Pedetti  Callisto,  assente  nel  medesimo  periodo  per  la
frequentazione di un corso di  formazione»,  avrebbero  potuto  farlo
anche nel documento contrattuale. 
    Del  resto,  riesce  veramente  difficile,  a   questo   giudice,
immaginare  che  la  mera  indicazione,  nel  contratto,  dell'ambito
territoriale di riferimento, del luogo della prestazione lavorativa e
delle mansioni dei lavoratori da sostituire (e cioe' di elementi che,
tutto sommato,  ogni  datore  di  lavoro  e'  costretto  ad  indicare
nell'atto negoziale se vuole  che  il  lavoratore  sappia  dove  deve
andare a lavorare e cosi', debba fare e che, come tali, nulla hanno a
che vedere con la specificazione delle esigenze sostitutive)  possano
ritenersi elementi sufficienti a consentire al dipendente  assunto  a
termine di esercitare ex ante  un  controllo  effettivo  ed  efficace
della legittimita' del termine e ad impedire al datore di lavoro,  in
fase di controllo ex post, di modificare la causale. 
    Ne' puo' ritenersi che la «indicazione di elementi ulteriori  che
consentano di determinare il numero  dei  lavoratori  da  sostituire,
ancorche' non individuati  nominativamente»,  richiesta  da  Cass.  7
febbraio 2011, n. 2990, sia in grado di superare  la  discriminazione
di cui si discute, visto che - a parte il fatto che non e' chiaro  se
questo dato, per il Giudice di legittimita', debba  essere  contenuto
(come dovrebbe), a pena  di  illegittimita'  del  termine,  gia'  nel
contratto o se sia sufficiente provarlo anche solo in corso di  causa
- come ha obiettato in maniera  convincente  la  Corte  d'Appello  di
Bari, «la previsione negoziale di un'eventuale risoluzione anticipata
del rapporto a termine per il caso di anticipato rientro in  servizio
del personale assente (...) rende ancor piu' evidente la  lacunosita'
e/o genericita' della motivazione richiamata nel contratto, in quanto
solo conoscendo anticipatamente la causale della sostituzione  ed  il
nominativo del dipendente sostituito sarebbe stato possibile - per il
lavoratore prima e  per  il  giudice  poi  -  verificare  l'effettiva
sussistenza  di  un  nesso  eziologico  tra  l'assunzione   a   tempo
determinato e l'assenza  del  sostituito.  E  che  tale  esigenza  di
certezza e di verifica tempestiva sia tale si coglie  ancor  di  piu'
nel caso in cui siano piu' i lavoratori sostituiti. Infatti, in  tale
situazione,  mancando   l'indicazione   nominativa   del   lavoratore
sostituito, il datore di lavoro, in caso di rientro anticipato di uno
solo dei lavoratori assenti, potra', a suo piacimento (ossia, in modo
del tutto arbitrario) scegliere se ritenere cessata la ragione  della
sostituzione e, quindi, risolvere il rapporto con il  contrattista  a
termine  ovvero  far  proseguire  il  rapporto  (situazione  che   si
aggraverebbe ove fossero  stati  conclusi  due  o  piu'  contratti  a
termine,  atteso  che,  in  tal  caso,  parte  datoriale,  rientrando
anticipatamente  in  servizio  un  dipendente  sostituito,   potrebbe
addirittura scegliere con quale dei due o piu' contrattisti risolvere
anticipatamente  il  rapporto:  cosi'  arrogandosi  un  diritto   che
certamente non le compete» (esattamente in  termini,  tra  le  tante,
Corte App. Bari n. 5546/2010). 
    XIII.   Oltre   ad   essere   contraria   all'art.    3    Cost.,
l'interpretazione «vivente» del S.C., ad avviso dello scrivente,  non
tiene neppure conto del fatto che nell'ordinanza con la quale  questo
Tribunale aveva gia' sollevato la questione di  costituzionalita'  e,
soprattutto,  nella  sentenza  n.  214/2009  (oltre  che  in   quelle
successive) della Corte costituzionale, il problema non era quello di
andare  alla  ricerca  di  quali  fossero  le  forme   legittime   di
specificazione della causale sostitutiva e di controllo delle  stesse
da parte del lavoratore, ma di verificare se il legislatore  delegato
fosse stato autorizzato da quello delegante  ad  abrogare  l'art.  1,
secondo comma, lettera b), della legge n.  230/1962,  che  consentiva
l'apposizione del termine «quando l'assunzione» avesse  avuto  «luogo
per sostituire lavoratori assenti e per i quali» fosse sussistito «il
diritto alla conservazione del posto,  sempreche'  nel  contratto  di
lavoro a termine»  fosse  stato  «indicato  il  nome  del  lavoratore
sostituito e la causa della sua sostituzione». 
    Di fronte a tale questione, non puo' non tenersi conto del  fatto
che la Corte costituzionale -  dopo  aver  dato  atto  che,  «invero,
l'art. 2, comma 1, lettera b), della legge di delega n. 422 del  2000
consentiva al Governo di  apportare  modifiche  o  integrazioni  alle
discipline vigenti nei singoli settori interessati dalla normativa da
attuare e cio' al fine di evitare disarmonie tra le norme  introdotte
in sede di attuazione delle direttive comunitarie e, appunto,  quelle
gia' vigenti» e che, «in base a tale principio direttivo generale, il
Governo era autorizzato a  riprodurre,  nel  decreto  legislativo  di
attuazione della direttiva 1999/70/CE, precetti gia' contenuti  nella
previgente  disciplina  del  settore  interessato   dalla   direttiva
medesima  (contratto  di  lavoro  a  tempo   determinato).   Infatti,
inserendo in un unico testo normativo sia le  innovazioni  introdotte
al fine di attuare la  direttiva  comunitaria,  sia  le  disposizioni
previgenti che, attenendo  alla  medesima  fattispecie  contrattuale,
erano alle prime intimamente connesse, si sarebbe garantita la  piena
coerenza della nuova disciplina anche sotto il  profilo  sistematico,
in conformita' con quanto richiesto  dal  citato  art.  2,  comma  1,
lettera b), della legge di delega» - in tanto si e'  vista  costretta
ad affermare, con specifico riferimento alla causale sostitutiva, che
nulla era cambiato  rispetto  al  passato,  in  quanto,  diversamente
opinando, vista la premessa (e cioe' che il legislatore delegato  era
tenuto, in parte qua, a  riprodurre  la  stessa  norma  previ-gente),
sarebbe stata costretta a  dichiarare  l'illegittimita'  delle  norme
scrutinate per violazione dell'art. 77 Cost. 
    In sostanza,  una  interpretazione  dell'art.  l  del  d.lgs.  n.
368/2001 che avesse, sia  pare  parzialmente,  ipotizzato  -  per  le
causali sostitutive - una disciplina difforme da  quella  precedente,
era ed e' fuori delega e finisce per decretare l'illegittimita' delle
nonne de quibus (artt. 1 e 11 del d.lgs. n. 368/2001), per violazione
dell'art. 77 Cost. 
    Da cio' deriva che il distinguo (costituente  «diritto  vivente»)
operato  dalla  Corte  di  cassazione  tra  le  aziende  a  struttura
elementare e quelle  a  struttura  complessa,  nella  misura  in  cui
attribuisce all'art. 1 del d.lgs. n. 368/2001 un contenuto del  tutto
(o,  comunque,  parzialmente)  diverso  da  quello  della  precedente
normativa (che, come si e' visto, disciplinava in maniera identica la
fattispecie  sostitutiva,   prescindendo   dalle   dimensioni   delle
aziende), determina l'ineluttabilita' di quelle «conclusioni» che  il
Giudice  delle   leggi   aveva   tentato   di   evitare,   suggerendo
quell'interpretazione (di cui si e' dato  conto  e)  dalla  quale  il
Giudice di legittimita' ha inteso discostarsi. 
    XIV. Ne' puo' ritenersi utile il richiamo, da parte di  Cass.  n.
2990/2011, della sentenza resa dalla CGE il  24  giugno  2010,  nella
causa 98/09 (Sorge), nella parte in cui la Corte europea ha  ritenuto
che la clausola di non regresso «non osta  alla  normativa  nazionale
italiana che ha eliminato l'obbligo del datore di lavoro di  indicare
il nome dei lavoratori assenti ed i motivi della  loro  sostituzione,
limitandosi  a  prevedere  l'obbligo  della  forma   scritta   e   la
specificazione delle  ragioni  del  ricorso  all'assunzione  a  tempo
determinato,  "purche'  dette  nuove  condizioni   siano   compensate
dall'adozione di altre garanzie o misure di tutela oppure  riguardino
unicamente una categoria circoscritta di lavoratori con un  contratto
di lavoro a tempo determinato, circostanza che spetta al  giudice  di
rinvio verificare''», in quanto non compete certo al Giudice  europeo
stabilire quale sia l'interpretazione da dare ad una  norma  interna,
specie quando, come nel nostro caso, quella interpretazione sia  gia'
stata  data  (ed  in  termini  assolutamente  diversi)  dalla   Corte
costituzionale. 
    E' a dir poco singolare che il  Giudice  europeo  abbia  ritenuto
insussistente un principio (quello per cui, in caso di  assunzione  a
termine per esigenze sostitutive, il datore di lavoro sia  tenuto  ad
indicare nel contratto il nominativo del lavoratore sostituito  e  la
ragione della  sua  assenza),  che,  da  almeno  un  anno  prima  (e,
peraltro, a piu'  riprese),  la  Consulta  aveva  certificato  essere
ancora vigente nel nostro ordinamento giuridico. 
    Non foss'altro perche' la sentenza  Sorge  e'  stata  pronunciata
dopo la n. 214/2009 della Corte costituzionale, la CGE avrebbe dovuto
prendere atto - ed e' grave che (ne' si  comprende  perche')  non  lo
abbia fatto - della circostanza che il  nostro  Giudice  delle  leggi
aveva gia' dichiarato immodificato, rispetto al passato, i  contenuti
del quadro normativo di riferimento ed avrebbe dovuto  tenerne  conto
ai fini della sua decisione. 
    XV. Tutto cio', comunque, non  cambia  di  certo  i  termini  del
problema, che oggi non e' piu' quello di stabilire  se  l'abrogazione
dell'art. 1, comma 2, lett. b) della legge n. 230/1962, abbia violato
la clausola di non  regresso,  ma  molto  piu'  semplicemente  se  il
Governo sia stato delegato a farlo e cioe' se il suo  intervento  sia
rimasto nei limiti della delega ricevuta dal Parlamento. 
    E la risposta a tale quesito,  visti  i  ripetuti  pronunciamenti
della cassazione  (che  ha  «imposto»  ai  giudici  di  merito,  come
«diritto vivente», una lettura dell'art. 1 del  d.lgs.  n.  368/2001,
che di fatto provoca una modificazione sostanziale  della  previgente
disciplina),  finisce  per  essere   obbligata   (nel   senso   della
illegittimita' costituzionale degli  artt.  1  e  il  del  d.lgs.  n.
368/2001, per violazione dell'art. 77 Cost.), posto che -  e  poiche'
e' stata la  stessa  Corte  costituzionale  a  sottolinearlo,  questo
giudice non puo' non tenerne conto - «il Governo  era  autorizzato  a
riprodurre, nel decreto legislativo  di  attuazione  della  direttiva
1999/70/CE, precetti gia' contenuti nella previgente  disciplina  del
settore interessato dalla direttiva medesima (contratto di  lavoro  a
tempo determinato). Infatti, inserendo in un  unico  testo  normativo
sia le  innovazioni  introdotte  al  fine  di  attuare  la  direttiva
comunitaria, sia  le  disposizioni  previgenti  che,  attenendo  alla
medesima  fattispecie  contrattuale,  erano  alle  prime  intimamente
connesse,  si  sarebbe  garantita  la  piena  coerenza  della   nuova
disciplina anche sotto il profilo  sistematico,  in  conformita'  con
quanto richiesto dal citato art. 2, comma 1, lettera b), della  legge
di delega». 
    L'intervento del legislatore delegato  e'  stato  «abusivo»  (nel
senso di «senza delega»), anche perche' la Direttiva  comunitaria  da
recepire non imponeva certamente di abrogare l'art. 1, comma 2, lett.
b)  della  legge  n.  230/1962,  limitandosi,  invece,  a  richiedere
d'intervenire solo su alcuni aspetti delle normative interne in  tema
di contratto a termine  ed  in  particolare  sul  «principio  di  non
discriminazione» (clausola n. 4), sulle «misure di prevenzione  degli
abusi ... derivanti dall'utilizzo di una successione di  contratti  o
rapporti di lavoro a tempo  determinato"  (clausola  n.  5),  nonche'
sulle regole da valere in tema di  «informazione  e  possibilita'  di
impiego» (clausola 6) e di «informazione e  consultazione»  (clausola
7). 
    XVI. Sulla base di quanto precede,  questo  giudice  ritiene  non
manifestamente infondata  la  questione  di  costituzionalita'  degli
artt. 1 e 11 del d.lgs. n. 368/2001, con riferimento agli artt.  3  e
77, primo comma, della Costituzione. 
    XVII. Oltre che non manifestamente  infondata,  la  questione  di
costituzionalita' innanzi illustrata e' da ritenere  anche  rilevante
nel giudizio a quo,  in  quanto  l'eventuale  espunzione  dal  nostro
ordinamento giuridico degli artt. 1 e  11  del  d.lgs.  n.  368/2001,
siccome comportante, per quel  che  qui  interessa,  la  reviviscenza
dell'art. 1, comma 2, lett. b), della legge n. 230/1962,  rileverebbe
certamente nel giudizio promosso dal sig. Mizzi Giovanni, essendo  in
grado, ex se, di produrre l'illegittimita'  del  termine  apposto  al
contratto di lavoro per cui e' causa, stante la mancata  indicazione,
nel documento negoziale, dei  lavoratori  sostituiti,  nonche'  della
ragione per la quale questi sarebbero rimasti assenti dal lavoro. 
    Nel contempo,  un  quadro  normativo,  interpretato  nei  termini
prospettati dalla  Cassazione,  se  ed  in  quanto  dovesse  rimanere
confermato, imporrebbe a questo Tribunale di non tener conto, ai fini
della delibazione della legittimita' del termine, del fatto che,  nel
caso di specie, nel documento negoziale, manchi qualsiasi riferimento
al nominativo  del  lavoratore  sostituito  e  al  motivo  della  sua
assenza.