IL TRIBUNALE Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Trani, dott.ssa Maria Antonietta La Notte Chirone, a scioglimento della riserva del 21 febbraio 2011, nella causa iscritta al n. 6606/A/2010 R.G., pendente tra Mizzi Giovanni (avv. Domenico Carpagnano) e la S.p.a. Poste Italiane (avv. Angelo Pandolfo), ha pronunciato la seguente ordinanza di promuovimento del giudizio dinanzi alla Corte costituzionale, in ordine agli artt. 1 e 11 del d.lgs. n. 368 del 6 settembre 2001, con riferimento agli artt. 3 e 77, primo comma, della Costituzione. In fatto Con domanda del 29 novembre 2010, Mizzi Giovanni ha convenuto in giudizio la S.p.a. Poste Italiane, chiedendo l'accertamento dell'illegittimita' del termine apposto al contratto di lavoro sottoscritto il 20 maggio 2005, «per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale addetto al servizio recapito presso la Regione Sud 1 UP Canosa di Puglia assente nel periodo dal 23 maggio 2005 all'8 luglio 2005», in quanto nel documento negoziale non sarebbero stati specificamente indicati i lavoratori sostituiti, «nonche' la ragione per la quale questi» ultimi sarebbero «rimasti assenti dal lavoro», nonostante che, all'indomani del d.lgs. n. 368/2001 - applicabile alla specie ratione temporis - l'assunzione a termine per ragioni sostitutive richiedesse ancora dette indicazioni. Costituitasi in giudizio, la societa' convenuta ha contestato la necessita' di tale adempimento, visto che la precedente norma di riferimento - e cioe' l'art. 1, comma 2, lett. b) della legge n. 230/1962 - e' stata abrogata dall'art. 11, primo comma, del d.lgs. n. 368/2001, senza essere sostituita da altra disposizione di analogo contenuto e, nel contempo, ha altresi' eccepito la risoluzione del rapporto per mutuo consenso, stante l'inerzia del lavoratore protrattasi per cinque anni. In diritto I. Ancor prima di esaminare le ragioni per le quali si ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' degli artt. 1 e 11 del d.lgs. n. 368/2001, in relazione agli artt. 3 e 77 Cost., preme a questo Tribunale sottolineare l'infondatezza dell'eccezione datoriale di risoluzione del rapporto per mutuo consenso, essendo pacifico nella giurisprudenza di legittimita' che l'inerzia del lavoratore non e', di per se', sufficiente a risolvere il rapporto, essendo, a tal fine, richiesto un quid pluris. Nel caso di specie, non solo le Poste Italiane hanno omesso di dare conto di questo quid pluris, ma non hanno neppure contestato l'assunto del ricorrente (peraltro documentato per tabulas, mediante la produzione in giudizio della circolare interna del 14 febbraio 2000, con la quale le filiali sono state invitate a non stipulare «contratti a tempo determinato con i soggetti che hanno in atto un contenzioso giudiziale od extragiudiziale nei confronti di Poste Italiane con riferimento al/ai contratto/i in precedenza stipulati con questa Azienda»), secondo cui sarebbe «prassi dell'azienda resistente non sottoscrivere nuovi contratti di lavoro con chi abbia promosso, in suo danno, un contenzioso giudiziale». Ne' risolutivo puo' ritenersi l'assunto della societa' convenuta, secondo cui il lavoratore avrebbe «messo parte ricorrente, cosi' come gli altri lavoratori che hanno operato in Poste nel periodo dal 1° luglio 1997 al 31 dicembre 2005 nelle condizioni di consolidare il proprio rapporto di lavoro con accordo del 13 gennaio 2006», sia perche' non e' provato che il ricorrente sia stato «notiziato» di questa opportunita', sia perche' detto accordo non risulta prodotto agli atti del processo (di tal che questo giudice non e' in grado di apprezzarlo nei suoi reali contenuti) e sia, infine, perche' la mancata adesione ad un accordo conciliativo (che, per definizione, comporta sempre delle rinunzie) non significa affatto che il lavoratore abbia voluto dismettere un suo diritto. II. La fattispecie contrattuale e' pacificamente disciplinata - ratione temporis - dal d.lgs. 6 agosto 2001, n. 368, il cui art. 11, com'e' noto, ha abrogato «la legge 18 aprile 1962, n. 230, e successive modificazioni», ivi compreso l'art. 1, comma 2, lett. b), a mente del quale era «consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto: ... quando l'assunzione» avesse avuto «luogo, per sostituire lavoratori assenti e per i quali» fosse sussistito «il diritto alla conservazione del posto, sempreche' nel contratto di lavoro a termine» fosse stato «indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione». Per effetto di tale abrogazione, la causale sostitutiva e' oggi disciplinata dall'art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 368/2001, il quale si limita a consentire «l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere ... sostitutivo», senza piu' richiedere - quantomeno espressamente - che, nel contratto, siano indicati il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione. III. Questo Tribunale, con ordinanza del 21 aprile 2008, sul presupposto che la formulazione della novella rappresentasse un arretramento di tutela per il lavoratore - che non poteva piu' pretendere che, gia' nel contratto, gli fossero fornite quelle stesse informazioni che la precedente normativa legale imponeva al datare di lavoro, al fine di porlo nelle condizioni di valutare preventivamente l'opportunita' di promuovere o meno l'azione giudiziaria e di evitargli, nel caso in cui avesse scelto la strada dell'azione, il rischio di trovarsi, nel processo, di fronte a «situazioni» di fatto non valutabili in anticipo - ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 11 del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, con riferimento agli artt. 76 e 77, primo comma, Cost. A giustificazione di tale convincimento, lo scrivente ha rilevato che non poteva «ritenersi che - pur in presenza della differente formulazione dell'art. 1 del d.lgs. n. 368/2001, rispetto a quella dell'art. 1, comma 2, lett. b) della legge n. 230/1962 - tale onere» fosse «rimasto immutato a carico del datore di lavoro, visto che nella norma sopravvenuta» mancava «qualsiasi riferimento a detto incombente». Dopo aver dato atto della diversita' (non solo di forma, ma anche) di contenuto della norma de qua, questo Tribunale, nel richiamato provvedimento, ha ricordato - per quel che qui ancora interessa - ai fini della corretta valutazione della legittimita' o meno della novella: a) che il d.lgs. n. 368/2001 era stato adottato dal Governo italiano in esecuzione della legge delega 29 dicembre 2000, n. 422, che lo aveva delegato ad emanare le norme occorrenti per dare attuazione ad una molteplicita' di direttive comunitarie, tra le quali la 1999/70/CE (relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES); b) che, nella legge comunitaria n. 422/2000, il Parlamento aveva stabilito (v. art. 2) che, «salvi gli specifici principi e criteri direttivi stabiliti negli articoli seguenti ed in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare, i decreti legislativi di cui all'articolo 1» avrebbero dovuto assicurare «in ogni caso che, nelle materie trattate dalle direttive da attuare, la disciplina disposta» fosse «pienamente conforme alle prescrizioni delle direttive medesime»; c) che, con specifico riferimento ai contratti di lavoro a tempo determinato - poiche' il legislatore delegante si era limitato a rinviare alle «prescrizioni» della direttiva 1999/70/CE, la quale, a sua volta, era intervenuta solo su alcuni aspetti delle normative interne in tema di contratto a termine ed in particolare sul «principio di non discriminazione» (clausola n. 4), sulle «misure di prevenzione degli abusi ... derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato» (clausola n. 5), nonche' sulle regole da valere in tema di «informazione e possibilita' di impiego» (clausola 6) e di «informazione e consultazione» (clausola 7) - doveva ritenersi assolutamente «fuori delega» la scelta del Governo di abrogare tout court la legge n. 230/1962 e, per quel che qui interessa, la norma dettata, per la causale sostitutiva, dall'art. 1, comma 2, lett. b). In sostanza, per questo Tribunale - come gia' statuito, per il «diritto di precedenza», dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 44/2008 - «l'abrogazione», ad opera dell'art. 11, primo comma, d.lgs. n. 368/2001, dell'art. 1, comma 2, lett. b) della legge n. 230/1962, non rientrava «ne' nell'area di operativita' della direttiva comunitaria, definita dalla Corte di giustizia con la sentenza 22 novembre 2005, nella causa C-144/04 Mangold, ne' nel perimetro tracciato dal legislatore delegante»: a) «con riferimento al primo ambito», perche', come sottolineato in detta sentenza del giudice comunitario, «(punti da 40 a 43) ... la clausola 5 della direttiva 1999/70/CE e' circoscritta alla "prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato''» e, quindi, «non opera laddove, come nella specie, vi sia una successione di contratti a termine alla quale non si» riferisca «alcuna delle misure previste dalla direttiva medesima al fine di prevenire quegli abusi (giustificazione del rinnovo; durata massima totale dei contratti; numero massimo di contratti)»; b) con riferimento al secondo ambito, perche' resta «anche al di fuori della delega conferita dalla legge 29 dicembre 2000, n. 422 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' europee - Legge comunitaria 2000), complessivamente considerata», visto che «l'art. 1, comma 1, di tale legge ha delegato, ..., il Governo ad emanare "i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B'' e, per quanto concerne la direttiva 1999/70/CE relativa al caso in esame non ha dettato - a differenza di altre ipotesi - specifici criteri o principi capaci di ampliare lo spazio di intervento del legislatore delegato». IV. Con sentenza interpretativa di rigetto n. 214/2009, la Corte costituzionale ha ritenuto non fondata detta questione di costituzionalita', in quanto, a suo avviso, il giudice a quo avrebbe omesso «di considerare adeguatamente che l'art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, dopo aver stabilito, al comma 1, che l'apposizione del termine al contratto di lavoro e' consentita a fronte di ragioni di carattere (oltre che tecnico, produttivo e organizzativo, anche) sostitutivo, aggiunge, al comma 2, che «L'apposizione del termine e' priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1». L'onere di specificazione previsto da quest'ultima disposizione impone che, tutte le volte in cui l'assunzione a tempo determinato avvenga per soddisfare ragioni di carattere sostitutivo, risulti per iscritto anche il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione. Infatti, considerato che per «ragioni sostitutive» si debbono intendere motivi connessi con l'esigenza di sostituire uno o piu' lavoratori, la specificazione di tali motivi implica necessariamente anche l'indicazione del lavoratore o dei lavoratori da sostituire e delle cause della loro sostituzione; solamente in questa maniera, infatti, l'onere che l'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 368 del 2001 impone alle parti che intendano stipulare un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato puo' realizzare la propria finalita', che e' quella di assicurare la trasparenza e la veridicita' della causa dell'apposizione del termine e l'immodificabilita' della stessa nel corso del rapporto. Non avendo gli impugnati arti. 1, comma 1, ed 11 del d.lgs. n. 368 del 2001 innovato, sotto questo profilo, rispetto alla disciplina contenuta nella legge n. 230 del 1962, non sussiste la denunciata violazione dell'art. 77 della Costituzione. Invero, l'art. 2, comma 1, lettera b), della legge di delega n. 422 del 2000 consentiva al Governo di apportare modifiche o integrazioni alle discipline vigenti nei singoli settori interessati dalla normativa da attuare e cio' al fine di evitare disarmonie tra le norme introdotte in sede di attuazione delle direttive comunitarie e, appunto, quelle gia' vigenti. In base a tale principio direttivo generale, il Governo era autorizzato a riprodurre, nel decreto legislativo di attuazione della direttiva 1999/70/CE, precetti gia' contenuti nella previgente disciplina del settore interessato dalla direttiva medesima (contratto di lavoro a tempo determinato). Infatti, inserendo in un unico testo normativo sia le innovazioni introdotte al fine di attuare la direttiva comunitaria, sia le disposizioni previgenti che, attenendo alla medesima fattispecie contrattuale, erano alle prime intimamente connesse, si sarebbe garantita la piena coerenza della nuova disciplina anche sotto il profilo sistematico, in conformita' con quanto richiesto dal citato art. 2, comma 1, lettera b), della legge di delega. Non sussiste neppure la denunciata lesione dell'art. 76 Cost., poiche' le norme censurate, limitandosi a riprodurre la disciplina previgente, non determinano alcuna diminuzione della tutela gia' garantita ai lavoratori dal precedente regime e, pertanto, non si pongono in contrasto con la clausola n. 8.3 dell'accordo-quadro recepito dalla direttiva 1999/70/CE, secondo la quale l'applicazione dell'accordo non avrebbe potuto costituire un motivo per ridurre il livello generale di tutela gia' goduto dai lavoratori. V. Con ordinanza n. 325 del 4 dicembre 2009, la Corte costituzionale - chiamata a pronunciarsi nuovamente sulla medesima questione - dopo aver ricordato di averla «gia' ... ritenuta infondata ... con la sentenza n. 214 del 2009, dalla cui motivazione non» v'era «ragione di discostarsi», ha ribadito: a) «che, ..., l'art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, dopo aver stabilito, al comma 1, che l'apposizione del termine al contratto di lavoro e' consentita a fronte di ragioni di carattere (oltre che tecnico, produttivo e organizzativo, anche) sostitutivo, aggiunge, al comma 2, che "L'apposizione del termine e' priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1''»; b) «che l'onere di specificazione previsto da quest'ultima disposizione impone che, tutte le volte in cui l'assunzione a tempo determinato avvenga per soddisfare ragioni di carattere sostitutivo, siano indicate le ragioni della sostituzione di uno o piu' lavoratori, il che implica necessariamente anche l'indicazione del lavoratore o dei lavoratori da sostituire»; c) «che soltanto in questa maniera, e' assicurata la trasparenza e la veridicita' della causa dell'apposizione del termine e l'immodificabilita' della stessa nel corso del rapporto»; d) «che non avendo gli impugnati artt. 1, comma 1, e 11 del d.lgs. n. 368 del 2001 innovato, sotto questo profilo, rispetto alla disciplina contenuta nella legge n. 230 del 1962, non sussiste la denunciata violazione dell'art. 77 della Costituzione»; e) «che l'art. 2, comma 1, lettera b), della legge di delega n. 422 del 2000 consentiva al Governo di apportare modifiche o integrazioni alle discipline vigenti nei singoli settori interessati dalla normativa da attuare e cio' al fine di evitare disarmonie tra le norme introdotte in sede di attuazione delle direttive comunitarie e, appunto, quelle gia' vigenti»; f) «che in base a tale principio direttivo, il Governo era autorizzato a riprodurre, nel decreto legislativo di attuazione della direttiva 1999/70/CE, precetti gia' contenuti nella previgente disciplina del settore interessato dalla direttiva medesima (contratto di lavoro a tempo determinato). Infatti, inserendo in un unico testo normativo sia le innovazioni introdotte al fine di attuare la direttiva comunitaria, sia le disposizioni previgenti che, attenendo alla medesima fattispecie contrattuale, erano alle prime intimamente connesse, si sarebbe garantita la piena coerenza della nuova disciplina anche sotto il profilo sistematico, in conformita' con quanto richiesto dal citato art. 2, comma 1, lettera b), della legge di delega»; g) «che non sussiste neppure la denunciata lesione dell'art. 76 Cost., poiche' le norme censurate, limitandosi a riprodurre la disciplina previgente, non determinano alcuna diminuzione della tutela gia' garantita ai lavoratori dal precedente regime e, pertanto, non si pongono neanche in contrasto con la clausola n. 8.3 dell'Accordo-quadro recepito dalla direttiva 1999/70/CE, secondo la quale l'applicazione dell'accordo non avrebbe potuto costituire un motivo per ridurre il livello generale di tutela gia' goduto dai lavoratori». VI. Dopo queste pronunzie interpretative di rigetto del Giudice delle leggi - che sembravano aver risolto ogni problema ermeneutico al riguardo - la Cassazione, con due sentenze del 26 gennaio 2010 (la n. 1576 e la n. 1577), interpretando (in realta', ad avviso di questo giudice, discostandosi consapevolmente da) detti arresti, ha si' ricordato che «la sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2009, ..., nel dichiarare non fondata la questione di costituzionalita' del d.lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1, e d.lgs. n. 368 del 2001, art. 11», aveva affermato «che l'onere di specificazione previsto dallo stesso art. 1, comma 2» imponeva «che, tutte le volte in cui l'assunzione a tempo determinato» fosse avvenuta «per soddisfare ragioni di carattere sostitutivo», dovesse risultare «per iscritto anche in nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione», ma ha anche precisato che, sul piano «degli effetti delle sentenze interpretative di rigetto della Corte costituzionale», «ove il giudice delle leggi, indichi una possibile, diversa interpretazione della ... disposizione conforme a Costituzione, tale interpretazione adeguatrice non interferisce con il controllo di legittimita' rimesso alla Corte di cassazione ed il suo effetto vincolante per i giudici ordinari e speciali, non esclusa la Corte di cassazione, riguarda soltanto il divieto di accogliere quella interpretazione che la Corte costituzionale ha ritenuto, sia pure con una pronuncia di infondatezza della questione di legittimita' costituzionale sottoposta al suo esame, viziata». Cosi', la Cassazione, rivendicando pienamente a se' detta funzione, ha ritenuto di poter «interpretare» la sentenza «interpretativa di rigetto» del Giudice delle leggi e, sulla base di questa, di essere abilitata ad operare un distinguo, nel senso «che, nella illimitata casistica che offre la realta' concreta delle fattispecie aziendali, accanto a fattispecie elementari in cui e' possibile individuare fisicamente il lavoratore o i lavoratori da sostituire, esistono fattispecie complesse in cui la stessa indicazione non e' possibile e "l'indicazione del lavoratore o dei lavoratori'' deve passare necessariamente attraverso la "specificazione dei motivi'', mediante l'indicazione di criteri che, prescindendo dall'individuazione delle persone, siano tali da non vanificare il criterio selettivo che richiede la norma». VII. Con l'ordinanza n. 65 del 24 febbraio 2010, la Corte costituzionale e' ritornata, ancora una volta, sulla questione de qua e, benche' fosse quella l'occasione per pronunciarsi sulla legittimita' del distinguo operato dalla Cassazione (di cui si e' dato conto nel paragrafo che precede), ha preferito limitarsi a ribadire «che la questione» era «gia' stata ritenuta infondata da questa Corte con la sentenza n. 214 del 2009 e l'ordinanza n. 325 del 2009, dalla cui motivazione non» v'era «ragione di discostarsi», in questo modo - sia pure implicitamente - riconoscendo che ogni diversa interpretazione dei suoi precedenti arresti avrebbe finito per condizionare la legittimita' delle norme scrutinate. VIII. Cio' nondimeno, la S.C., con sentenza n. 10175 del 28 aprile 2010, ha ancora una volta ribadito che, «con riferimento specifico alle ragioni di carattere sostitutivo, ..., il contratto a termine, se in una situazione aziendale elementare e' configurabile come strumento idoneo a consentire la sostituzione di un singolo lavoratore addetto a specifica e ben determinata mansione, allo stesso modo in una situazione aziendale complessa e' configurabile come strumento di inserimento del lavoratore assunto in un processo in cui la sostituzione sia riferita non ad una,singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica che sia occasionalmente scoperta; in quest'ultimo caso, il requisito della specificita' puo' cosi' ritenersi soddisfatto non tanto con l'indicazione nominativa del lavoratore o dei lavoratori sostituiti, quanto con la verifica della corrispondenza quantitativa tra il numero dei lavoratori assunti con contratto a termine per lo svolgimento di una data funzione aziendale e le scoperture che, per quella stessa funzione, si sono realizzate per il periodo dell'assunzione». IX. Detto orientamento ha trovato, ancora piu' di recente, ulteriore conferma in Cass. 7 febbraio 2011, n. 2990. X. Com'e' di tutta evidenza, siffatti arresti del Giudice di legittimita' -tutti del medesimo segno - fanno ritornare d'attualita' la questione di costituzionalita' gia' sollevata da questo Tribunale con ordinanza del 21 aprile 2008 ed anzi suggeriscono ulteriori profili di illegittimita' delle norme de quibus. XI. A tal proposito, e' opportuno premettere come, in ragione della pluralita' delle sentenze rese in argomento dalla S.C., debba ormai considerarsi «diritto vivente» il principio secondo cui, nei contratti a tempo determinato, con specifico riferimento alle c.d. esigenze sostitutive, l'onere di specificita' preteso dal 2 comma dell'art. 1 del d.lgs. n. 368/2001 possa essere assolto dal datore di lavoro in maniera diversa, a seconda della complessita' o meno della struttura aziendale e che, quindi, l'indicazione del nominativo del lavoratore sostituito e della ragione della sua assenza sia necessaria solo in una situazione aziendale elementare, potendo essere, invece, in una situazione aziendale complessa ... configurabile come strumento di inserimento del lavoratore assunto in un processo in cui la sostituzione sia riferita non ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica che sia occasionalmente scoperta. Tale distinguo - in quanto costituente «diritto vivente» - vincola questo Tribunale, al punto che e' tenuto a farne applicazione nel caso di specie, benche' non ve ne sia traccia nei provvedimenti della Corte costituzionale innanzi richiamati e per quanto lo ritenga non condivisibile alla luce delle puntuali ragioni espresse dalla Corte d'Appello di Bari (tra le tante, v. la sentenza n. 5546/2010), per la quale «sembra quasi ovvio osservare che anche le realta' aziendali piu' complesse sono strutturate sulla base di una articolazione territoriale diffusa di molteplici unita' produttive, a loro volta connesse, in via gerarchica e funzionale, ad organismi intermedi tra le basi operative ed il vertice aziendale. Sicche' e' evidente che ciascun organismo intermedio, attraverso il preposto a ciascuna sede o unita' operativa, e' in grado di conoscere esattamente il lavoratore o i lavoratori (aventi diritto alla conservazione del posto) e, quindi, e' ben in grado di renderlo noto, in sede di stipula del contratto, anche al contrattista a termine (nella specie, sembra evidente che il responsabile del servizio Risorse Umane Regionale Sud 1 della Filiale di Bari ..., avvalendosi dei vari responsabili delle diverse filiali (Uffici postali) sotto-ordinate e di propria competenza, fosse o potesse essere a conoscenza del personale assente e da sostituire in questo o quell'ufficio»). Cio' sta a significare che, per quanto, nel caso di specie, nel documento negoziale sottoscritto dal ricorrente manchi del tutto l'indicazione del/i lavoratore/i sostituito/i e della/e ragione/i della sua/loro assenza, lo scrivente non potra' tout court dichiarare l'illegittimita' del termine, in applicazione di quanto affermato dal Giudice delle leggi, ma dovra' procedere altrimenti e cioe' verificare - tenuto conto della complessa organizzazione aziendale delle Poste Italiane - se nel contratto vi siano almeno gli elementi che, ad avviso della Cassazione, sarebbero sufficienti ad attestare la sussistenza di quel grado di specificita' della causale sostitutiva, sufficiente a consentire al lavoratore una forma di controllo sin dal momento della sottoscrizione del documento negoziale. XII. Ebbene, come appare evidente, l'art. 1 del d.lgs. n. 368/2001, in quanto interpretato nei termini prospettati dalla cassazione (interpretazione alla quale, lo si ribadisce, i giudici di merito devono ritenersi ormai vincolati) produce una inammissibile discriminazione, con conseguente violazione dell'art. 3 Cost., tra i lavoratori assunti a tempo determinato per ragioni sostitutive, potendo solo quelli avviati in aziende con una struttura organizzativa «elementare» pretendere di avere gia' nel contratto di lavoro l'indicazione del nominativo del lavoratore sostituito e della ragione della sua assenza ed essere in grado cosi' di esercitare immediatamente, gia' all'atto della sottoscrizione del contratto, quel controllo a cui sono preordinate le specificazioni pretese dal secondo comma dell'art. 1 cit. Ne' puo' ritenersi insussistente l'indicata discriminazione per il sol fatto che, nelle realta' aziendali complesse, l'onere di specificita' possa essere assolto - come indicato dalla S.C. a partire dal gennaio 2010 - attraverso l'indicazione «di elementi ulteriori (quali, l'ambito territoriale i riferimenti, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire», visto che, com'e' facile intuire, nessuno di questi elementi e' in grado di consentire al lavoratore, sin dal momento della sottoscrizione contratto, quello stesso grado di effettivita' e di efficacia del controllo (non solo ex post, ma anche ex ante) che e', invece, garantito a chi, in quanto avviato in situazioni aziendali elementari, veda gia' nel contratto indicato il nominativo di chi sostituisca ed il perche' lo sostituisca. Consentire, nei contratti a termine per esigenze sostitutive, forme differenziate di controllo (a secondo della struttura organizzativa aziendale), finisce per produrre discriminazioni assolutamente ingiustificate dal punto di vista dei lavoratori (punto di vista, che giova sottolinearlo, e' il solo ad essere preso in considerazione dal secondo comma dell'art. 1 del d.lgs. n. 368/2001) e consente di legittimare, in alcune situazioni, come quella di specie, delle forme di controllo solo apparenti e per nulla appaganti, oltre che insufficienti ad «assicurare la trasparenza e la veridicita' della causa dell'apposizione del termine e l'immodificabilita' della stessa nel corso del rapporto», cosi' come richiesto dalla Corte costituzionale nelle pronunzie innanzi richiamate. La preoccupazione del giudice di legittimita' di sollevare taluni datori di lavoro dall'onere di specificare, gia' nel contratto, il nominativo del lavoratore sostituito e la ragione della sua assenza, com'e' facile intuire, trova la sua giustificazione nelle difficolta' che questi potrebbero eventualmente incontrare in ragione della complessita' della loro organizzazione aziendale. In realta', come dimostra proprio il caso di specie, tale preoccupazione non ha alcun fondamento, visto che le Poste, cosi' come hanno specificato, costituendosi in giudizio, che «il ricorrente» avrebbe «sostituito il titolare della zona di recapito n. 9 sig. Pedetti Callisto, assente nel medesimo periodo per la frequentazione di un corso di formazione», avrebbero potuto farlo anche nel documento contrattuale. Del resto, riesce veramente difficile, a questo giudice, immaginare che la mera indicazione, nel contratto, dell'ambito territoriale di riferimento, del luogo della prestazione lavorativa e delle mansioni dei lavoratori da sostituire (e cioe' di elementi che, tutto sommato, ogni datore di lavoro e' costretto ad indicare nell'atto negoziale se vuole che il lavoratore sappia dove deve andare a lavorare e cosi', debba fare e che, come tali, nulla hanno a che vedere con la specificazione delle esigenze sostitutive) possano ritenersi elementi sufficienti a consentire al dipendente assunto a termine di esercitare ex ante un controllo effettivo ed efficace della legittimita' del termine e ad impedire al datore di lavoro, in fase di controllo ex post, di modificare la causale. Ne' puo' ritenersi che la «indicazione di elementi ulteriori che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorche' non individuati nominativamente», richiesta da Cass. 7 febbraio 2011, n. 2990, sia in grado di superare la discriminazione di cui si discute, visto che - a parte il fatto che non e' chiaro se questo dato, per il Giudice di legittimita', debba essere contenuto (come dovrebbe), a pena di illegittimita' del termine, gia' nel contratto o se sia sufficiente provarlo anche solo in corso di causa - come ha obiettato in maniera convincente la Corte d'Appello di Bari, «la previsione negoziale di un'eventuale risoluzione anticipata del rapporto a termine per il caso di anticipato rientro in servizio del personale assente (...) rende ancor piu' evidente la lacunosita' e/o genericita' della motivazione richiamata nel contratto, in quanto solo conoscendo anticipatamente la causale della sostituzione ed il nominativo del dipendente sostituito sarebbe stato possibile - per il lavoratore prima e per il giudice poi - verificare l'effettiva sussistenza di un nesso eziologico tra l'assunzione a tempo determinato e l'assenza del sostituito. E che tale esigenza di certezza e di verifica tempestiva sia tale si coglie ancor di piu' nel caso in cui siano piu' i lavoratori sostituiti. Infatti, in tale situazione, mancando l'indicazione nominativa del lavoratore sostituito, il datore di lavoro, in caso di rientro anticipato di uno solo dei lavoratori assenti, potra', a suo piacimento (ossia, in modo del tutto arbitrario) scegliere se ritenere cessata la ragione della sostituzione e, quindi, risolvere il rapporto con il contrattista a termine ovvero far proseguire il rapporto (situazione che si aggraverebbe ove fossero stati conclusi due o piu' contratti a termine, atteso che, in tal caso, parte datoriale, rientrando anticipatamente in servizio un dipendente sostituito, potrebbe addirittura scegliere con quale dei due o piu' contrattisti risolvere anticipatamente il rapporto: cosi' arrogandosi un diritto che certamente non le compete» (esattamente in termini, tra le tante, Corte App. Bari n. 5546/2010). XIII. Oltre ad essere contraria all'art. 3 Cost., l'interpretazione «vivente» del S.C., ad avviso dello scrivente, non tiene neppure conto del fatto che nell'ordinanza con la quale questo Tribunale aveva gia' sollevato la questione di costituzionalita' e, soprattutto, nella sentenza n. 214/2009 (oltre che in quelle successive) della Corte costituzionale, il problema non era quello di andare alla ricerca di quali fossero le forme legittime di specificazione della causale sostitutiva e di controllo delle stesse da parte del lavoratore, ma di verificare se il legislatore delegato fosse stato autorizzato da quello delegante ad abrogare l'art. 1, secondo comma, lettera b), della legge n. 230/1962, che consentiva l'apposizione del termine «quando l'assunzione» avesse avuto «luogo per sostituire lavoratori assenti e per i quali» fosse sussistito «il diritto alla conservazione del posto, sempreche' nel contratto di lavoro a termine» fosse stato «indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione». Di fronte a tale questione, non puo' non tenersi conto del fatto che la Corte costituzionale - dopo aver dato atto che, «invero, l'art. 2, comma 1, lettera b), della legge di delega n. 422 del 2000 consentiva al Governo di apportare modifiche o integrazioni alle discipline vigenti nei singoli settori interessati dalla normativa da attuare e cio' al fine di evitare disarmonie tra le norme introdotte in sede di attuazione delle direttive comunitarie e, appunto, quelle gia' vigenti» e che, «in base a tale principio direttivo generale, il Governo era autorizzato a riprodurre, nel decreto legislativo di attuazione della direttiva 1999/70/CE, precetti gia' contenuti nella previgente disciplina del settore interessato dalla direttiva medesima (contratto di lavoro a tempo determinato). Infatti, inserendo in un unico testo normativo sia le innovazioni introdotte al fine di attuare la direttiva comunitaria, sia le disposizioni previgenti che, attenendo alla medesima fattispecie contrattuale, erano alle prime intimamente connesse, si sarebbe garantita la piena coerenza della nuova disciplina anche sotto il profilo sistematico, in conformita' con quanto richiesto dal citato art. 2, comma 1, lettera b), della legge di delega» - in tanto si e' vista costretta ad affermare, con specifico riferimento alla causale sostitutiva, che nulla era cambiato rispetto al passato, in quanto, diversamente opinando, vista la premessa (e cioe' che il legislatore delegato era tenuto, in parte qua, a riprodurre la stessa norma previ-gente), sarebbe stata costretta a dichiarare l'illegittimita' delle norme scrutinate per violazione dell'art. 77 Cost. In sostanza, una interpretazione dell'art. l del d.lgs. n. 368/2001 che avesse, sia pare parzialmente, ipotizzato - per le causali sostitutive - una disciplina difforme da quella precedente, era ed e' fuori delega e finisce per decretare l'illegittimita' delle nonne de quibus (artt. 1 e 11 del d.lgs. n. 368/2001), per violazione dell'art. 77 Cost. Da cio' deriva che il distinguo (costituente «diritto vivente») operato dalla Corte di cassazione tra le aziende a struttura elementare e quelle a struttura complessa, nella misura in cui attribuisce all'art. 1 del d.lgs. n. 368/2001 un contenuto del tutto (o, comunque, parzialmente) diverso da quello della precedente normativa (che, come si e' visto, disciplinava in maniera identica la fattispecie sostitutiva, prescindendo dalle dimensioni delle aziende), determina l'ineluttabilita' di quelle «conclusioni» che il Giudice delle leggi aveva tentato di evitare, suggerendo quell'interpretazione (di cui si e' dato conto e) dalla quale il Giudice di legittimita' ha inteso discostarsi. XIV. Ne' puo' ritenersi utile il richiamo, da parte di Cass. n. 2990/2011, della sentenza resa dalla CGE il 24 giugno 2010, nella causa 98/09 (Sorge), nella parte in cui la Corte europea ha ritenuto che la clausola di non regresso «non osta alla normativa nazionale italiana che ha eliminato l'obbligo del datore di lavoro di indicare il nome dei lavoratori assenti ed i motivi della loro sostituzione, limitandosi a prevedere l'obbligo della forma scritta e la specificazione delle ragioni del ricorso all'assunzione a tempo determinato, "purche' dette nuove condizioni siano compensate dall'adozione di altre garanzie o misure di tutela oppure riguardino unicamente una categoria circoscritta di lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato, circostanza che spetta al giudice di rinvio verificare''», in quanto non compete certo al Giudice europeo stabilire quale sia l'interpretazione da dare ad una norma interna, specie quando, come nel nostro caso, quella interpretazione sia gia' stata data (ed in termini assolutamente diversi) dalla Corte costituzionale. E' a dir poco singolare che il Giudice europeo abbia ritenuto insussistente un principio (quello per cui, in caso di assunzione a termine per esigenze sostitutive, il datore di lavoro sia tenuto ad indicare nel contratto il nominativo del lavoratore sostituito e la ragione della sua assenza), che, da almeno un anno prima (e, peraltro, a piu' riprese), la Consulta aveva certificato essere ancora vigente nel nostro ordinamento giuridico. Non foss'altro perche' la sentenza Sorge e' stata pronunciata dopo la n. 214/2009 della Corte costituzionale, la CGE avrebbe dovuto prendere atto - ed e' grave che (ne' si comprende perche') non lo abbia fatto - della circostanza che il nostro Giudice delle leggi aveva gia' dichiarato immodificato, rispetto al passato, i contenuti del quadro normativo di riferimento ed avrebbe dovuto tenerne conto ai fini della sua decisione. XV. Tutto cio', comunque, non cambia di certo i termini del problema, che oggi non e' piu' quello di stabilire se l'abrogazione dell'art. 1, comma 2, lett. b) della legge n. 230/1962, abbia violato la clausola di non regresso, ma molto piu' semplicemente se il Governo sia stato delegato a farlo e cioe' se il suo intervento sia rimasto nei limiti della delega ricevuta dal Parlamento. E la risposta a tale quesito, visti i ripetuti pronunciamenti della cassazione (che ha «imposto» ai giudici di merito, come «diritto vivente», una lettura dell'art. 1 del d.lgs. n. 368/2001, che di fatto provoca una modificazione sostanziale della previgente disciplina), finisce per essere obbligata (nel senso della illegittimita' costituzionale degli artt. 1 e il del d.lgs. n. 368/2001, per violazione dell'art. 77 Cost.), posto che - e poiche' e' stata la stessa Corte costituzionale a sottolinearlo, questo giudice non puo' non tenerne conto - «il Governo era autorizzato a riprodurre, nel decreto legislativo di attuazione della direttiva 1999/70/CE, precetti gia' contenuti nella previgente disciplina del settore interessato dalla direttiva medesima (contratto di lavoro a tempo determinato). Infatti, inserendo in un unico testo normativo sia le innovazioni introdotte al fine di attuare la direttiva comunitaria, sia le disposizioni previgenti che, attenendo alla medesima fattispecie contrattuale, erano alle prime intimamente connesse, si sarebbe garantita la piena coerenza della nuova disciplina anche sotto il profilo sistematico, in conformita' con quanto richiesto dal citato art. 2, comma 1, lettera b), della legge di delega». L'intervento del legislatore delegato e' stato «abusivo» (nel senso di «senza delega»), anche perche' la Direttiva comunitaria da recepire non imponeva certamente di abrogare l'art. 1, comma 2, lett. b) della legge n. 230/1962, limitandosi, invece, a richiedere d'intervenire solo su alcuni aspetti delle normative interne in tema di contratto a termine ed in particolare sul «principio di non discriminazione» (clausola n. 4), sulle «misure di prevenzione degli abusi ... derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato" (clausola n. 5), nonche' sulle regole da valere in tema di «informazione e possibilita' di impiego» (clausola 6) e di «informazione e consultazione» (clausola 7). XVI. Sulla base di quanto precede, questo giudice ritiene non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' degli artt. 1 e 11 del d.lgs. n. 368/2001, con riferimento agli artt. 3 e 77, primo comma, della Costituzione. XVII. Oltre che non manifestamente infondata, la questione di costituzionalita' innanzi illustrata e' da ritenere anche rilevante nel giudizio a quo, in quanto l'eventuale espunzione dal nostro ordinamento giuridico degli artt. 1 e 11 del d.lgs. n. 368/2001, siccome comportante, per quel che qui interessa, la reviviscenza dell'art. 1, comma 2, lett. b), della legge n. 230/1962, rileverebbe certamente nel giudizio promosso dal sig. Mizzi Giovanni, essendo in grado, ex se, di produrre l'illegittimita' del termine apposto al contratto di lavoro per cui e' causa, stante la mancata indicazione, nel documento negoziale, dei lavoratori sostituiti, nonche' della ragione per la quale questi sarebbero rimasti assenti dal lavoro. Nel contempo, un quadro normativo, interpretato nei termini prospettati dalla Cassazione, se ed in quanto dovesse rimanere confermato, imporrebbe a questo Tribunale di non tener conto, ai fini della delibazione della legittimita' del termine, del fatto che, nel caso di specie, nel documento negoziale, manchi qualsiasi riferimento al nominativo del lavoratore sostituito e al motivo della sua assenza.