Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 35 del  decreto
legislativo 28 agosto 2000, n.  274  (Disposizioni  sulla  competenza
penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della  legge  24
novembre 1999, n. 468), in combinato  disposto  con  l'art.  516  del
codice di procedura penale, promosso dal Giudice di pace di Agrigento
nel procedimento penale a carico  di  N.  S.  con  ordinanza  del  23
settembre 2010, iscritta al n. 400  del  registro  ordinanze  2010  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1,  1ª  serie
speciale, dell'anno 2011. 
    Udito nella camera di consiglio dell'11 maggio  2011  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Giudice di  pace  di  Agrigento,  con  ordinanza  del  23
settembre 2010, pervenuta a questa Corte il 29 novembre 2010 (r.o. n.
400 del 2010), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,  24  e  111
della Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale  del
«combinato disposto» dell'art. 516 del codice di procedura  penale  e
dell'art.  35  del  decreto  legislativo  28  agosto  2000,  n.   274
(Disposizioni sulla competenza penale del giudice di  pace,  a  norma
dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468),  nella  parte
in  cui  non  prevedono  «che,  in  caso  di  modifica  del  capo  di
imputazione  nel  corso  del  dibattimento,  anche  quando  la  nuova
contestazione concerna un fatto che  gia'  risultava  dagli  atti  di
indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale  ovvero  quando
l'imputato  abbia   tempestivamente   e   ritualmente   proposto   la
definizione anticipata del procedimento  in  ordine  alle  originarie
imputazioni, l'imputato possa usufruire di  quello  che  puo'  essere
considerato un vero e proprio rito alternativo, in quanto  l'art.  35
del decreto legislativo n. 274 del 2000 non consente l'ammissione  al
rito alternativo oltre l'udienza di comparizione». 
    Il rimettente era investito del  processo  nei  confronti  di  un
imputato accusato del reato di cui agli artt. 81,  secondo  comma,  e
582 del codice penale, per aver cagionato alla persona offesa lesioni
giudicate  guaribili  in  cinque  giorni.  Il  giudice  a  quo  aveva
rigettato la richiesta di definizione anticipata del  procedimento  a
norma dell'art. 35 del d.lgs. n. 274 del 2000 avanzata dall'imputato,
ritenendo la somma corrisposta alla  persona  offesa  «non  adeguata,
allo stato, a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato» per i
motivi indicati nell'ordinanza letta  nell'udienza  del  24  dicembre
2009, alla quale il rimettente si era riportato. 
    Dopo l'apertura del  dibattimento,  l'ammissione  delle  prove  e
l'esame di due testimoni, il pubblico ministero aveva  proceduto,  ai
sensi dell'art. 516 cod. proc. pen., alla modifica  dell'imputazione,
contestando all'imputato  lesioni  giudicate  guaribili  in  quindici
giorni.   La    difesa    dell'imputato    aveva    pero'    eccepito
l'inammissibilita' della  modifica  dell'imputazione,  in  quanto  la
certificazione medica posta a base della stessa, oltre a essere stata
rilasciata dal medico curante e non dal personale  sanitario  di  una
struttura pubblica, era gia' allegata  all'atto  di  querela  ed  era
quindi ben nota al pubblico ministero, laddove l'art. 516 cod.  proc.
pen. fa riferimento a fatti nuovi emersi  nel  corso  dell'istruzione
dibattimentale. Il giudice a quo si era riservato di  decidere  sulla
questione e, a quanto risulta dall'ordinanza di  rimessione,  in  una
successiva udienza «scioglieva la riserva, ritenendo  ammissibile  la
contestazione, con ordinanza cui (...) si riporta[va] integralmente». 
    La difesa dell'imputato, richiamate le sentenze n. 265 del 1994 e
n. 530 del 1995 di  questa  Corte,  chiedeva  di  essere  rimessa  in
termini allo scopo di effettuare l'offerta  risarcitoria  finalizzata
all'estinzione del reato a norma dell'art. 35 del d. lgs. n. 274  del
2000. Il giudice, presone atto e considerato che l'art. 35 del d.lgs.
n. 274 del 2000 esclude che ai  fini  dell'estinzione  del  reato  la
condotta riparatoria possa avvenire dopo l'udienza  di  comparizione,
ha  sollevato  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  sopra
indicata. 
    Il rimettente osserva che l'imputato ha chiesto di essere rimesso
in termini per effettuare l'offerta risarcitoria e che, qualora venga
dichiarata l'illegittimita' delle norme censurate, consentendo  cosi'
«l'ammissione al rito alternativo in caso di riparazione del danno  a
mezzo risarcimento, anche  oltre  l'udienza  di  comparizione»,  egli
conseguirebbe la dichiarazione di estinzione del reato, un esito piu'
conforme alla ratio del procedimento  dinanzi  al  giudice  di  pace,
caratterizzato dalla celerita'  del  rito  e,  ove  possibile,  dalla
conciliazione tra le parti. 
    La  disciplina  censurata  sarebbe,  secondo  il  rimettente,  in
contrasto con l'art. 3 Cost., poiche', consentendo di  accedere  alla
procedura alternativa solo nel caso in cui il fatto venga  contestato
fin dall'emissione dell'atto di citazione, irragionevolmente  farebbe
dipendere  da  un  soggetto  -  il  pubblico  ministero   -   diverso
dall'imputato  la  possibilita'   di   pervenire   alla   definizione
anticipata del procedimento, con conseguenze sanzionatorie certe e un
trattamento piu' favorevole di quello conseguente a una condanna.  La
disciplina  censurata  sarebbe  dunque  irragionevole,  «essendo  una
valutazione discrezionale ed insindacabile del p.m. o, meglio,  anche
la  sola  scrupolosita'  con  cui  quest'ultimo  assume  le   proprie
determinazioni  in  ordine   all'esercizio   dell'azione   penale   a
condizionare il rito da  applicare  e  a  privare  l'interessato  dei
benefici connessi ai procedimenti speciali». 
    L'istituto previsto dall'art. 35 del d.lgs. n. 274 del 2000,  che
si fonda sull'interesse dello Stato alla definizione dei procedimenti
relativi a reati di minore importanza con risparmio  di  tempo  e  di
spese e sull'interesse dell'imputato a evitare l'ulteriore corso  del
procedimento  e  l'eventuale  condanna,  ha   come   effetto   tipico
l'estinzione del  reato,  sicche'  -  aggiunge  il  rimettente  -  la
relativa domanda esprime una modalita' di esercizio  del  diritto  di
difesa. Considerate, quindi, la natura e la  funzione  dell'istituto,
la preclusione  dell'accesso  ad  esso  nel  caso  in  cui  un  reato
suscettibile di estinzione a norma dell'art. 35 del d.  lgs.  n.  274
del  2000   «costituisca   oggetto   di   contestazione   nel   corso
dell'istruzione dibattimentale per modifica ai  sensi  dell'art.  516
cod. proc. pen., risulta - secondo il rimettente - priva di razionale
giustificazione»;  infatti,   l'avvenuto   superamento   del   limite
temporale rappresentato dall'udienza di comparizione (la cui ratio e'
quella  di  evitare  che  l'imputato  possa  vanificare   l'attivita'
processuale a seconda degli esiti del dibattimento) nel caso in esame
non sarebbe riconducibile a una libera scelta dell'imputato, ossia  a
un'inerzia allo stesso addebitabile. 
    Secondo il rimettente, la  disciplina  censurata  sarebbe  lesiva
dell'art.  3  Cost.  anche  sotto  il  profilo  della  disparita'  di
trattamento di situazioni identiche, tra chi abbia commesso un  certo
reato e possa chiedere la definizione anticipata del  procedimento  e
chi si veda preclusa la richiesta perche' la  relativa  contestazione
e' intervenuta solo nel corso del dibattimento. Inoltre, aggiunge  il
giudice a quo, nel caso di specie non e' ravvisabile  alcuna  inerzia
nella condotta processuale dell'imputato, che aveva gia'  optato  per
una  definizione  anticipata  del  processo,  sicche'  sussiste   una
disparita' di trattamento tra imputati per i quali non sia aperto  il
dibattimento e imputati che chiedano la  definizione  anticipata  del
processo per il reato risultante dalla  modifica  dell'imputazione  a
norma dell'art. 516 cod. proc. pen., nel caso di  richiesta  avanzata
nell'udienza di comparizione per il reato originariamente  contestato
nell'atto di citazione a giudizio e non accolta. 
    Le norme censurate risulterebbero altresi'  lesive  dell'art.  24
Cost., non essendo assicurato l'esercizio del  diritto  di  difesa  a
fronte della modifica dell'imputazione, in quanto «la  determinazione
unilaterale dell'organo dell'accusa, il quale, pur a  conoscenza  del
fatto diverso, omette  la  contestazione  nell'atto  di  citazione  a
giudizio,  priva  l'imputato   di   una   delle   possibili   opzioni
processuali».  Nel  caso  di  specie,   sottolinea   il   rimettente,
precludendo  all'imputato  di  «ridelineare  la   propria   strategia
difensiva in seguito alla modificazione dell'imputazione»,  le  norme
censurate finiscono per far ricadere sull'imputato stesso gli effetti
dell'errore   commesso   dal   pubblico   ministero.   La    modifica
dell'imputazione non  determinata  da  un'evenienza  fisiologica  del
procedimento  (ossia  dall'istruttoria  dibattimentale,  sicche'   il
relativo rischio rientrerebbe nei calcoli dell'imputato), ma  da  una
patologia processuale (ossia  da  un  errore  o  da  una  scelta  del
pubblico ministero)  «non  puo'  risolversi  in  un  pregiudizio  per
l'imputato di essa non  responsabile,  il  quale  ha  il  diritto  di
prediligere  la  propria  strategia  difensiva,  previa   valutazione
informata e consapevole», tanto piu' che la presunzione di  legalita'
dell'operato del pubblico ministero e  il  principio  di  completezza
delle indagini preliminari comportano un legittimo affidamento  sulle
scelte compiute da tale organo. 
    Risulterebbe infine violato, secondo il rimettente, il  principio
del giusto processo, che implica «la lealta' processuale delle parti,
dal momento che la normativa di cui  si  denuncia  la  censurabilita'
pone le parti su un piano di assoluta disparita', rispetto al dettato
di cui all'art. 111 della Costituzione». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. − Il Giudice di pace di Agrigento ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di  legittimita'
costituzionale del «combinato disposto» dell'art. 516 del  codice  di
procedura penale e dell'art. 35 del  decreto  legislativo  28  agosto
2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza  penale  del  giudice  di
pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468),
nella parte in cui non prevedono «che, in caso di modifica  del  capo
di imputazione nel corso del  dibattimento,  anche  quando  la  nuova
contestazione concerna un fatto che  gia'  risultava  dagli  atti  di
indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale  ovvero  quando
l'imputato  abbia   tempestivamente   e   ritualmente   proposto   la
definizione anticipata del procedimento  in  ordine  alle  originarie
imputazioni, l'imputato possa usufruire di  quello  che  puo'  essere
considerato un vero e proprio rito alternativo, in quanto  l'art.  35
del decreto legislativo n. 274 del 2000 non consente l'ammissione  al
rito alternativo oltre l'udienza di comparizione». 
    Secondo  il  rimettente,  le  norme  censurate  sarebbero  lesive
dell'art. 3 Cost., sotto il profilo dell'irragionevolezza, in quanto,
consentendo all'imputato di  procedere  alla  riparazione  del  danno
cagionato dal reato ai fini della sua estinzione solo quando il fatto
sia   contestato   fin   dall'emissione   dell'atto   di   citazione,
condizionerebbero la definizione anticipata del  procedimento  a  una
valutazione discrezionale e insindacabile del  pubblico  ministero  o
anche alla  sola  scrupolosita'  delle  sue  determinazioni  riguardo
all'esercizio dell'azione penale. 
    L'art. 3 Cost. sarebbe altresi' violato sotto  il  profilo  della
disparita' di trattamento di situazioni  identiche,  con  riferimento
all'imputato  che  puo'  chiedere  la  definizione   anticipata   del
procedimento per un certo reato, rispetto a quello al quale la stessa
richiesta e' preclusa perche' la contestazione del medesimo reato  e'
avvenuta solo nel dibattimento; analoga violazione  sussisterebbe  in
relazione  all'imputato  per  il  quale  non  sia  stato  aperto   il
dibattimento  rispetto  all'imputato  che   chieda   la   definizione
anticipata del  processo  per  il  reato  risultante  dalla  modifica
dell'imputazione a norma dell'art. 516 cod. proc. pen., qualora  tale
richiesta sia stata rigettata nel corso dell'udienza di  comparizione
per il reato oggetto dell'originaria imputazione. 
    Le norme censurate sarebbero, inoltre, in contrasto con l'art. 24
Cost., in quanto, in forza di esse,  «la  determinazione  unilaterale
dell'organo di accusa, il quale, pur a conoscenza del fatto  diverso,
omette la contestazione nell'atto di  citazione  a  giudizio»,  priva
l'imputato   di   «una   delle   possibili   opzioni    processuali».
Sussisterebbe infine la violazione dell'art. 111 Cost., in quanto, in
contrasto con «la lealta' processuale» prescritta dal  principio  del
giusto processo, le norme censurate porrebbero «le parti su un  piano
di assoluta disparita'». 
    2. − La questione e' per piu' ragioni inammissibile. 
    3.  -  Il  giudice  rimettente  muove  dall'idea  che  l'istituto
introdotto dall'art. 35 del d. lgs. n. 274 del 2000 sia  assimilabile
ai procedimenti speciali previsti dal codice di  procedura  penale  e
sia qualificabile come «un vero e proprio rito alternativo». 
    In realta',  i  procedimenti  speciali  previsti  dal  codice  di
procedura penale, e  in  particolare  l'applicazione  della  pena  su
richiesta  delle  parti,  si  distinguono   dalla   definizione   del
procedimento disciplinata dall'art. 35 del d. lgs. n. 274  del  2000;
quest'ultima, infatti, non e' un rito alternativo, attivabile con una
richiesta   dell'imputato   (che   nel    caso    di    modificazione
dell'imputazione potrebbe avvenire anche nel corso del dibattimento),
ma una  fattispecie  estintiva  complessa,  basata  su  una  condotta
riparatoria, antecedente, di regola, all'udienza di  comparizione  (a
meno  che  l'imputato  dimostri  di  non  averla  potuta  tenere   in
precedenza)  e  giudicata  idonea  a  soddisfare   le   esigenze   di
riprovazione del reato e quelle di prevenzione. 
    Anche  a  queste   esigenze   si   ricollega   lo   "sbarramento"
procedimentale  rappresentato  dall'udienza  di   comparizione,   che
risponde non solo alla logica deflattiva, che  pure  caratterizza  la
disciplina dettata dall'art. 35 del d.  lgs.  n.  274  del  2000,  ma
altresi' alla necessita' di assicurare, per riprendere un'espressione
utilizzata dalla giurisprudenza di legittimita' (Cass. pen., Sez.  V,
n. 41297 del 26 settembre 2008),  la  «spontaneita'»  della  condotta
dell'imputato. E' in questa prospettiva, del resto, che la  Corte  di
cassazione ha letto l'analogo "sbarramento"  previsto  dall'art.  62,
numero 6), cod. pen. (che prevede, come  circostanza  attenuante,  la
riparazione del danno prima del giudizio), ritenendo  che  lo  stesso
non dia luogo ad  una  «irragionevole  compressione  del  diritto  di
difesa», ma si ponga «in sintonia con la ratio  dell'attenuante,  che
e' di  dare  rilevanza  solo  a  comportamenti  che,  precedendo  gli
sviluppi del giudizio e i condizionamenti derivanti  dalle  connesse,
contingenti esigenze difensive, possano considerarsi  sintomatici  di
ravvedimento» (Cass. pen., Sez. I, n. 3340 del 13 gennaio 1995). 
    D'altra parte, il perfezionamento delle condotte riparatorie  non
dipende  normalmente  dal   contenuto   dell'imputazione,   come   e'
dimostrato dal rilievo che esse ben possono essere  realizzate  anche
prima  dell'esercizio  dell'azione  penale,  benche'   talvolta   una
dipendenza ci possa essere, come  nel  caso  in  cui  l'insufficiente
determinazione del danno da risarcire  sia  stata  determinata  dalla
descrizione del fatto contenuta nell'originaria imputazione,  diversa
da quella emergente in seguito alle nuove contestazioni. 
    4. - Cio' premesso, una prima ragione di  inammissibilita'  della
questione deriva dalla carente descrizione della fattispecie concreta
da parte del rimettente,  laddove  si  limita  a  dare  atto  che  la
richiesta  di  definizione  anticipata  del  procedimento   a   norma
dell'art. 35 del d. lgs.  n.  274  del  2000,  inizialmente  avanzata
dall'imputato, era stata rigettata in  quanto  la  somma  corrisposta
alla persona offesa era stata ritenuta «non adeguata, allo  stato,  a
soddisfare le esigenze di riprovazione del reato». 
    Nell'ordinanza di rimessione non si precisa per quale ragione  la
somma era stata ritenuta inadeguata e, in particolare,  se  cio'  era
stato in  qualche  modo  determinato  dal  contenuto  dell'originaria
imputazione,  mentre  il  rimettente  avrebbe  dovuto   chiarire   se
l'inidoneita' della condotta riparatoria dell'imputato  dipendeva  da
lacune o da inesattezze dell'imputazione originaria rispetto a quella
modificata nel corso del dibattimento. 
    5. - Una seconda  ragione  di  inammissibilita'  della  questione
deriva dal carattere indeterminato e oscuro della  sua  formulazione,
operata dal rimettente facendo riferimento  al  «combinato  disposto»
dell'art. 516 cod. proc. pen. e dell'art. 35 del d.lgs.  n.  274  del
2000, laddove non e' previsto «che, in caso di modifica del  capo  di
imputazione  nel  corso  del  dibattimento,  anche  quando  la  nuova
contestazione concerna un fatto che  gia'  risultava  dagli  atti  di
indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale  ovvero  quando
l'imputato  abbia   tempestivamente   e   ritualmente   proposto   la
definizione anticipata del procedimento  in  ordine  alle  originarie
imputazioni»,  l'imputato  possa  avvalersi  dell'istituto  estintivo
previsto dall'art. 35 del d. lgs. n. 274 del 2000. 
    Il   rimettente   prospetta,   dunque,   due   censure   (legate,
nell'ordinanza di rimessione, ora con la  disgiuntiva  «ovvero»,  ora
con la formula «e/o») senza interrogarsi sulle  rationes  dell'una  e
dell'altra, che appaiono diverse per presupposti: la prima,  infatti,
fa  leva  sul  carattere  "tardivo"  della  nuova  contestazione,   e
prescinde dalla realizzazione, nel termine di legge, di una  condotta
riparatoria, mentre la  seconda  e'  incentrata  sulla  tempestivita'
della condotta riparatoria, pur  ritenuta  inidonea  a  integrare  la
fattispecie  estintiva  del  reato,   e   prescinde   dal   carattere
"fisiologico" o meno della modifica dell'imputazione. 
    Ne' a rendere ragione dell'articolazione  della  questione  nelle
due censure indicate giova il riferimento  alla  sentenza  di  questa
Corte n. 265 del 1994 (richiamata dalla successiva  sentenza  n.  333
del 2009), che ha dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  degli
artt. 516 e 517 cod. proc. pen. «nella parte in cui non prevedono  la
facolta' dell'imputato di  richiedere  al  giudice  del  dibattimento
l'applicazione di pena a norma dell'art. 444 del codice di  procedura
penale,  relativamente  al  fatto  diverso  o  al  reato  concorrente
contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un
fatto  che  gia'  risultava  dagli  atti  di  indagine   al   momento
dell'esercizio  dell'azione  penale  ovvero  quando   l'imputato   ha
tempestivamente e ritualmente proposto la richiesta  di  applicazione
di pena in ordine alle originarie imputazioni». 
    Con riferimento all'ipotesi  della  contestazione  "tardiva",  la
sentenza n.  265  del  1994  ha  messo  l'accento  sul  rilievo  che,
nell'applicazione della pena su richiesta delle parti, la valutazione
dell'imputato   e'    «indissolubilmente    legata»    alla    natura
dell'addebito, trattandosi «non solo di  avviare  una  procedura  che
permette di definire il merito del processo al di fuori e  prima  del
dibattimento, ma di determinare lo stesso contenuto della  decisione,
il che non puo' avvenire se non in riferimento a una ben  individuata
fattispecie penale»;  con  riguardo  all'ipotesi  della  reiterazione
della richiesta di applicazione della pena,  la  stessa  sentenza  ha
invece richiamato il disposto dell'art. 448, comma 1, ultimo periodo,
cod. proc. pen., che  non  considera  «l'evenienza  in  cui  la  pena
richiesta dall'imputato risulti inevitabilmente incongrua, in  quanto
formulata con riferimento a  una  imputazione  poi  modificatasi  nel
corso della istruzione dibattimentale». Entrambi  gli  argomenti  non
sono immediatamente  riferibili  alla  definizione  del  procedimento
disciplinata dall'art. 35 del d. lgs. n. 274 del 2000, in  quanto  in
essa, per un verso, la condotta riparatoria, come si e' visto, non e'
necessariamente condizionata dall'imputazione  e,  per  altro  verso,
manca una regola analoga a quella dettata  dall'art.  448,  comma  1,
ultimo periodo, cod. proc. pen. 
    Deve quindi concludersi che la formulazione delle diverse censure
mosse dal rimettente e il rapporto tra le stesse  presentano  aspetti
di indeterminatezza e di oscurita', che anche  sotto  questo  profilo
fanno ritenere la questione inammissibile.