Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 10-bis  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art.  1,  comma  16,
lettera a), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica), e dell'articolo 6, commi 2 e  3,  del
medesimo d.lgs. n. 286 del 1998, commi modificati dall'art. 1,  comma
22,  lettere  g)  e  h),  della  legge  n.  94  del   2009,   nonche'
dell'articolo 116 del codice civile,  come  modificato  dall'art.  1,
comma 15, della legge n. 94 del 2009, promosso dal Giudice di pace di
Trento, nel procedimento vertente tra M.D.C.C.A. e la Questura  della
Provincia di Trento, con ordinanza del 16 giugno 2010, iscritta al n.
327 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 43, 1ª serie speciale, dell'anno 2010. 
    Udito nella camera di consiglio del  6  luglio  2011  il  Giudice
relatore Alfonso Quaranta. 
    Ritenuto che con ordinanza del 16 giugno 2010, iscritta al n. 327
del reg. ord. 2010, il Giudice di  pace  di  Trento,  a  seguito  del
ricorso proposto da M.D.C.C.A. ai sensi dell'articolo  13,  comma  8,
del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), ha sollevato, in riferimento  agli
artt. 2, 3, 29 e 117, primo  comma,  della  Costituzione,  parametro,
quest'ultimo,  invocato  con  riguardo  agli  artt.  8  e  12   della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta'   fondamentali    (CEDU),    questioni    di    legittimita'
costituzionale dei seguenti articoli: 
        a) 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, inserito  dall'art.  1,
comma 16, lettera a), legge 15 luglio 2009, n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica), nella parte in  cui  non  prevede  la
sospensione del procedimento di espulsione  a  carico  del  cittadino
straniero  irregolare  per  l'esercizio  del  prevalente  diritto   a
contrarre matrimonio per l'assenza della clausola "senza giustificato
motivo"; 
        b) 6, commi 2 e 3, del d.lgs. n.  286  del  1998  cosi'  come
modificato dall'art. 1, comma 22, lettere g) e h), della legge n.  94
del 2009, nella parte in cui non prevede l'esclusione dell'obbligo di
esibizione del titolo di soggiorno da parte del  cittadino  straniero
per l'esercizio del diritto fondamentale a contrarre matrimonio; 
        c) 116 del codice civile, come modificato dall'art. 1,  comma
15, della legge n. 94 del 2009,  nella  parte  in  cui  subordina  il
diritto a contrarre matrimonio all'esibizione del nulla  osta  e  del
titolo di soggiorno; 
        che, premette il Giudice di pace di Trento, la ricorrente del
giudizio a quo e' una cittadina  cilena  che  ha  fatto  ingresso  in
Italia il 17 febbraio 2009 e che, pur avendo «intenzione di contrarre
matrimonio»  con  un  cittadino  italiano  residente  in  un   Comune
trentino, dapprima non otteneva la pubblicazione di cui  all'art.  93
cod.  civ.,  «per  assenza  di  documentazione  riguardo  al  proprio
divorzio nel paese di origine», successivamente,  in  data  16  marzo
2010, si vedeva contestare «il  reato  di  cui  all'art.  10-bis  del
d.lgs. n. 286 del 1998», introdotto dalla legge n. 94 del 2009; 
        che osserva, al riguardo, il remittente che  «il  diniego  di
esercizio del diritto a contrarre matrimonio» in virtu' dello «status
di   irregolare»   che   deriverebbe   dall'obbligo   di   richiedere
l'esibizione dei documenti inerenti alla regolarita' del soggiorno al
fine di  celebrare  il  matrimonio  e  consentire  le  pubblicazioni,
previsto dall'art. 116 del codice civile, cosi' come novellato  dalla
legge n. 94 del 2009, sarebbe  in  contrasto  con  l'art.  29,  primo
comma, Cost. e con l'art. 2 Cost.; 
        che secondo il remittente, infatti, l'art. 116 del cod.  civ.
deve essere letto in chiave costituzionalmente  orientata  secondo  i
principi fissati dagli artt.  2,  3  e  29  Cost.  che  impongono  di
considerare il nulla osta al matrimonio non gia'  come  un  requisito
indispensabile per contrarre le nozze,  bensi'  come  formalita'  con
valore puramente certificativo e pertanto derogabile  per  motivi  di
ordine pubblico,  evidenziandosi  al  riguardo  che  la  ratio  legis
dell'art.  116,  primo  comma,  cod.  civ.,  nella  sua  formulazione
antecedente le modifiche apportate con la legge n. 94 del  2009,  era
quella di scongiurare il pericolo che lo straniero  contraesse  nozze
senza possederne i requisiti in ragione di situazioni e/o  condizioni
esistenti nel suo  Paese  (quali:  dichiarazione  di  interdizione  o
mancanza di liberta' di stato); 
        che deduce ancora il remittente che il nulla  osta  non  solo
puo' essere sostituito da qualunque altro documento equipollente  dal
quale risulti la  mancanza  di  impedimenti  a  contrarre  nozze,  ma
soprattutto puo' mancare  del  tutto,  senza  che  sia  inficiato  il
diritto di sposarsi dello straniero, ove  il  rifiuto  dell'autorita'
straniera sia determinato da ragioni  contrarie  all'ordine  pubblico
italiano, con la  conseguenza  che  l'ufficiale  dello  stato  civile
italiano deve procedere alle  pubblicazioni  matrimoniali  dopo  aver
accertato che il cittadino straniero  sia  adulto  e  non  legato  da
precedente matrimonio; 
        che, peraltro, prosegue il  remittente,  anche  l'obbligo  di
esibire  il  documento  di  soggiorno  e'  parimenti  derogabile   se
l'impossibilita' di esibizione non risponde ad una esigenza di ordine
pubblico; 
        che cio' non di meno l'art.  116,  primo  comma,  cod.  civ.,
cosi' come modificato dall'art. 1, comma 15, della legge  n.  94  del
2009, all'apparenza introdurrebbe il divieto di contrarre  matrimonio
in  Italia  per  lo  straniero  che  vi  soggiorna  clandestinamente,
dovendosi invece riconoscere che la mancanza in capo  allo  straniero
di un titolo per soggiornare in Italia non puo'  impedire  il  libero
esercizio del suo diritto di  contrarre  matrimonio,  trattandosi  di
diritto fondamentale dell'individuo, non solo del cittadino, che,  in
quanto  tale,  potrebbe  subire  limitazioni  solo   a   salvaguardia
dell'unita' familiare o dell'ordine pubblico ai  sensi  dell'art.  29
Cost.; 
        che, alla luce di tali considerazioni, il Giudice di pace  di
Trento  afferma  che  in  assenza  di  esibizione  del  documento  di
soggiorno non puo' vietarsi la celebrazione  del  matrimonio,  ma  e'
necessario verificare in concreto se l'impedimento sia determinato da
motivi contrari all'ordine pubblico che devono essere necessariamente
bilanciati con la  tutela  dei  diritti  fondamentali  sanciti  dalla
nostra Costituzione e discendenti dagli obblighi  internazionali,  ai
sensi in particolare degli artt. 10 e 117 Cost.; 
        che, pertanto, prosegue il remittente, la modifica introdotta
dall'art. 1, comma 15, della legge n. 94 del 2009 all'art.  116  cod.
civ.  comporterebbe  una   violazione   dell'esercizio   al   diritto
all'unita'  familiare  violando  il  diritto  umano  fondamentale   a
contrarre matrimonio, tutelato dall'art. 29 Cost., posto che la  mera
situazione  amministrativa  di  irregolarita'   del   soggiorno   sul
territorio nazionale non puo' impedire di  fatto  l'esercizio  di  un
diritto  umano  fondamentale  quale  e'  quello  di  costituire   una
famiglia; 
        che, inoltre, argomenta ancora  il  remittente,  vietando  di
fatto allo straniero privo del permesso di  soggiorno  di  costituire
una famiglia fondata  sul  matrimonio,  la  norma  censurata  avrebbe
introdotto una gravissima  forma  di  discriminazione  in  violazione
dell'art. 3 Cost.; 
        che alla luce di queste  considerazioni,  sempre  secondo  il
remittente, l'art. 10-bis del d.lgs. n. 286  del  1998  violerebbe  i
citati  parametri  costituzionali,   in   quanto   non   prevede   la
sospensione/annullamento del decreto di espulsione del Questore e del
procedimento  penale  per  il  prevalente  esercizio  del  diritto  a
contrarre  matrimonio,  essendo  privo  della  clausola  del   "senza
giustificato motivo" dopo i termini "si trattiene"; 
        che  i   medesimi   vizi   di   legittimita'   costituzionale
inficerebbero anche l'art. 6 del d.lgs. n. 286 del 1998, il quale,  a
seguito della riforma della legge n. 94 del 2009, prevede l'esenzione
per gli atti di stato civile solo per l'esercizio  del  diritto  alla
salute  e  per  l'obbligo  scolastico  dei  minori,  non   disponendo
l'esenzione della segnalazione in caso di  esercizio  del  diritto  a
contrarre matrimonio e stabilendo l'obbligo di presentare il permesso
di soggiorno; 
        che  entrambe  le  norme,  sempre  secondo   il   remittente,
determinerebbero in tal modo un'ingerenza sul diritto a  formare  una
famiglia, quale diritto fondamentale della persona umana riconosciuto
anche dagli artt. 8 e 12 della CEDU, come tale spettante a  tutte  le
persone presenti sul  territorio  italiano,  indipendentemente  dalla
loro nazionalita'; 
        Considerato che il giudice a quo ha censurato gli articoli 6,
commi 2 e 3, e 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286
(Testo   unico   delle   disposizioni   concernenti   la   disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero),  nonche'
l'articolo 116 del codice civile - tutti come inseriti  o  modificati
dalla legge 15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in  materia  di
sicurezza pubblica) -, per asserita violazione degli artt. 2, 3, 29 e
117,  primo  comma,  della  Costituzione,  parametro,   quest'ultimo,
invocato con riguardo agli artt. 8 e  12  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU),  in  quanto  le  disposizioni  censurate  impedirebbero  allo
straniero privo di un legittimo titolo di  soggiorno  sul  territorio
dello Stato di esercitare il proprio diritto fondamentale (in  quanto
tale  spettante  indipendentemente  dalla  propria  nazionalita')   a
contrarre matrimonio con un cittadino  italiano,  introducendo  cosi'
una «gravissima forma di discriminazione»; 
        che l'ordinanza di rimessione - oltre  alla  indeterminatezza
del  petitum  -  presenta,  in  relazione  alla   descrizione   della
fattispecie concreta e alla motivazione sulla rilevanza, carenze tali
da impedire uno scrutinio nel merito; 
        che, in  particolare,  non  vengono,  indicati  i  motivi  di
ricorso proposti dalla ricorrente  nel  giudizio  a  quo  avverso  il
decreto di espulsione, nonche' il contenuto del decreto di espulsione
medesimo, essendosi, al riguardo, il remittente limitato a  precisare
nell'epigrafe  dell'ordinanza  di  rimessione  che  l'«oggetto»   del
procedimento e' una «opposizione ex art. 13, comma 8, del  d.lgs.  n.
286 del 1998»; 
        che,   pertanto   la   questione   deve   essere   dichiarata
manifestamente inammissibile (ex multis, ordinanze n. 100 e n. 3  del
2011). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.