Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri,  rappresentato
e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato  presso  i  cui  uffici
domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
    Nei confronti della regione Liguria, in  persona  del  Presidente
della  Giunta   Regionale   pro   tempore,   per   la   dichiarazione
dell'illegittimita' costituzionale della legge della regione  Liguria
n. 18 del 25 luglio 2011, recante «Variazione della  tassa  regionale
per il diritto allo studio universitario», pubblicata sul  B.U.R.  n.
14 del 27 luglio 2011, giusta delibera del Consiglio dei Ministri  in
data 22 settembre 2011, con riguardo all'art. 1, comma 2. 
    La legge della regione Liguria n. 18 del 25 luglio 2011,  recante
«Variazione  della  tassa  regionale  per  il  diritto  allo   studio
universitario», pubblicata sul B.U.R. n. 14 del 27  luglio  2011,  e'
illegittima  con  riguardo  all'art.  1,  comma  2,  perche'  prevede
disposizioni in contrasto con l'art. 117, comma 2, lettera  e)  della
Costituzione. 
    E' avviso dunque del Governo che,  con  la  legge  denunciata  in
epigrafe, la regione Liguria abbia ecceduto dalla  propria  sfera  di
attribuzioni in violazione della normativa  costituzionale,  come  si
confida di dimostrare di seguito con l'illustrazione dei seguenti 
 
                             M o t i v i 
 
    1) L'art. 1, comma 2, della legge regionale  Liguria  n.  18/2011
viola l'art. 117, comma 2, lettera e), della Costituzione. 
    La disposizione contenuta nel 2° comma dell'art.  1  dispone  che
«la tassa regionale per il diritto  allo  studio  universitario  deve
essere corrisposta entro i  termini  di  scadenza  dell'iscrizione  e
contestualmente ad essa all'Universita' degli studi di Genova o  alle
Istituzioni di alta formazione artistica  e  musicale  (A.F.A.M).  Lo
studente che provvede oltre tale termine e' tenuto  al  pagamento  di
una indennita' di mora pari al 30 per cento della tassa per i ritardi
da uno a trenta giorni e al 50 per cento della tassa  per  i  ritardi
oltre i trenta giorni». 
    La previsione sanzionatoria in esame si pone in contrasto con  la
normativa statale di riferimento dettata dal decreto  legislativo  18
dicembre 1997, n. 471, recante «Riforma delle sanzioni tributarie non
penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore  aggiunto
e di riscossione dei tributi, a norma dell'art. 3, comma 133, lettera
q), della legge 23 dicembre 1996, n. 662». 
    Invero, l'art. 13 del decreto legislativo n. 471/1997  e  s.m.i.,
nel disciplinare i ritardati od omessi  versamenti  diretti,  prevede
che «chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i
versamenti (in acconto,  periodici,  di  conguaglio  o  a  saldo)  e'
soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento  di  ogni
importo non versato (...). Per i versamenti effettuati con un ritardo
non superiore a quindici giorni (oltre  alle  riduzioni  previste  in
caso di ravvedimento ai sensi della lettera a) dell'art. 13, comma 1,
del decreto legislativo n. 472/1997)  la  sanzione  e'  ulteriormente
ridotta ad un importo pari ad un quindicesimo per ciascun  giorno  di
ritardo». 
    Ebbene, emerge chiaramente che la normativa statale  prevede  una
sanzione pari al trenta per cento dell'importo non  versato,  che  si
riduce proporzionalmente in caso di ritardo non superiore a  quindici
giorni. L'art. 1, comma 2, della suddetta  legge  regionale,  invece,
prevede una sanzione  pari  al  trenta  per  cento  dell'importo  non
versato per i ritardi «da  uno  a  trenta  giorni»,  incrementata  al
cinquanta per cento per i ritardi superiori. 
    La  disposizione,  pertanto,  incrementa  irragionevolmente   gli
importi  delle  sanzioni  amministrative  per   ritardato   pagamento
introducendo   una   disciplina   sanzionatoria   che   si   discosta
profondamente da quella in proposito dettata dal legislatore statale,
la quale e', invece, indubbiamente ispirata ai criteri di gradualita'
e proporzionalita'. 
    Sembra dunque evidente che le disposizioni contenute nell'art. 1,
comma 2,  della  legge  regionale  in  esame,  dettando  disposizioni
difformi dalla normativa statale di riferimento  interposta,  violino
l'art. 117 Cost., comma 2, lettera e), che nella  ripartizione  della
potesta' legislativa tra Stato e  regioni  attribuisce  al  primo  la
potesta' esclusiva in materia  di  «sistema  tributario  e  contabile
dello Stato». 
    Peraltro, e' arcinoto che rientra nella  competenza  dello  Stato
anche la disciplina sanzionatoria del tributo. 
    Ne discende che il contrasto tra la norma regionale ivi impugnata
e la normativa statale interposta comporta la violazione  dei  limiti
di esercizio della potesta' legislativa regionale in una  materia  in
cui lo Stato ha, come si e' detto, competenza legislativa esclusiva. 
    Ne' puo' affermarsi la sussistenza di  una  potesta'  legislativa
concorrente della regione ai sensi dell'art. 117, terzo comma,  della
Costituzione,  sul  mero  presupposto  che  la  norma  costituzionale
contempla la materia del «coordinamento della finanza pubblica e  del
sistema tributario». 
    La tassa regionale per il diritto allo  studio  universitario  e'
stata istituita dalla legge 28 dicembre 1995, n. 549, recante «Misure
di razionalizzazione della  finanza  pubblica»  e  trova  la  propria
disciplina all'art. 3, commi 20-23, della suddetta legge. 
    Al  riguardo,  sembra  sufficiente  richiamare  la  sentenza   n.
296/2003 con cui  la  Corte  Costituzionale,  sebbene  con  specifico
riferimento all'IRAP,  ritenendo  che  alla  categoria  dei  «tributi
propri»  regionali  siano   ascrivibili   soltanto   le   fattispecie
impositive  introdotte  con  legge  regionale,   ha   confermato   la
permanenza della disciplina «IRAP» nella competenza esclusiva statale
ed ha precisato che «La circostanza che l'imposta sia stata istituita
con  legge  statale  e  che  alle  regioni   a   statuto   ordinario,
destinatarie del tributo, siano espressamente  attribuite  competenze
di carattere solo attuativo, rende  palese  che  l'imposta  stessa  -
nonostante la sua denominazione  -  non  puo'  considerarsi  «tributo
proprio della regione», nel senso in cui  oggi  tale  espressione  e'
adoperata dall'art. 119, secondo comma, della  Costituzione,  essendo
indubbio il riferimento della norma costituzionale  ai  soli  tributi
istituiti dalle regioni con propria legge, nel rispetto dei  principi
del coordinamento con il sistema tributario statale. Ne discende che,
allo stato, la disciplina sostanziale dell'imposta  non  e'  divenuta
oggetto di legislazione concorrente, ai sensi  dell'art.  117,  terzo
comma,  della  Costituzione,  ma  rientra  tuttora  nella   esclusiva
competenza dello Stato in materia di tributi erariali, secondo quanto
previsto dall'art. 117, secondo comma,  lettera  e)»  (analogo  esito
interpretativo si rinviene nelle sentenze n. 431, n. 381 e n. 241 del
2004, n. 311, n. 297 del 2003; n. 37 e n. 29 del 2004). 
    Ancora piu' recente, la Consulta, con la sentenza n. 216/2009  ha
stabilito che «La circostanza  che  il  gettito  sia  in  gran  parte
destinato alle regioni e che alcune  funzioni  di  riscossione  siano
loro affidate non fa venir meno la natura statale dell'imposta e,  di
conseguenza, non fa di essa uno dei "tributi propri"  della  regione,
ai quali fa riferimento l'art. 119 Cost. (sentenze n. 193  del  2007,
n. 155 del 2006 e nn. 431,  381  e  241  del  2004).  Dalla  potesta'
legislativa esclusiva dello Stato consegue che la  disciplina,  anche
di dettaglio, e' riservata alla legge statale e che l'intervento  del
legislatore regionale e' ammesso solo  nei  termini  stabiliti  dallo
Stato (sentenza n. 296 del 2003)». 
    Alla luce della giurisprudenza costituzionale citata, e' evidente
che la tassa regionale per il diritto allo studio  universitario,  si
configura  come  tributo  regionale  nel  solo   senso   di   tributo
istituzionalmente destinato ad alimentare la  finanza  della  regione
nel cui territorio avviene il prelievo.  Non  rientra,  pero',  nella
gamma dei tributi  regionali  «propri»  in  senso  stretto,  i  quali
potranno essere istituiti  dalle  regioni,  con  propria  legge,  nel
rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica  e  del
sistema tributario statale. 
    Detto altrimenti, e' pur sempre un tributo istituito  e  regolato
con legge statale, precisamente  un  «tributo  proprio  derivato»  ai
sensi dell'art. 7 della legge n. 42 del 2009 e da ultimo dell'art. 8,
comma 3, del decreto legislativo n. 68 del 2011, recante disposizioni
in materia di federalismo fiscale, senza che  in  contrario  rilevino
ne' l'attribuzione del gettito alle Regioni,  ne'  le  determinazioni
espressamente attribuite alla legge regionale dalla norma statale. 
    Di  qui  la  preclusione  per  le  regioni  di  introdurre  norme
sanzionatorie configgenti con  quelle  contenute  nella  legislazione
statale di riferimento, e tanto piu', come nel caso di che  trattasi,
maggiormente afflittive per il contribuente. 
    Conclusivamente, la legge regionale in oggetto, presenta  profili
di  illegittimita'  costituzionale  poiche',  dettando   disposizioni
difformi dalla normativa statale di riferimento, eccede dalla propria
competenza ed invade la competenza esclusiva dello Stato  in  materia
di «sistema tributario e contabile» di cui  all'art.  117,  comma  2,
lettera e) della Costituzione.