Ordinanza 
 
nel giudizio per conflitto di attribuzione  tra  poteri  dello  Stato
sorto a seguito  della  sentenza  del  Tribunale  di  Trento  del  14
febbraio 2011, n. 248, promosso dalla Procura della Corte  dei  conti
presso la sezione giurisdizionale del  Trentino-Alto  Adige/Südtirol,
sede di Bolzano, con ricorso depositato in cancelleria il  10  maggio
2011 ed iscritto al n. 4 del  registro  conflitti  tra  poteri  dello
Stato 2011, fase di ammissibilita'. 
    Udito nella camera di consiglio del 21 settembre 2011 il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano. 
    Ritenuto che, con ricorso in data 29  aprile  2011  e  depositato
presso la cancelleria della Corte il 10 maggio 2011, la Procura della
Corte dei conti presso la sezione giurisdizionale  del  Trentino-Alto
Adige/Südtirol,  sede  di   Bolzano,   ha   promosso   conflitto   di
attribuzione fra poteri dello Stato nei confronti  del  Tribunale  di
Trento, sezione civile, in  composizione  monocratica,  in  relazione
alla sentenza n. 248 del 2011 pronunciata nel giudizio civile n. 3327
del 2007, nella parte in cui in tale atto si afferma  «la  fondatezza
del  "giudizio"  di  accanimento  formulato  da  un  giornalista  nei
confronti del Sostituto Procuratore generale in  servizio  presso  la
Procura  ricorrente»,  in  tal  modo  ledendo   le   prerogative   di
indipendenza del pubblico ministero della Corte dei  conti  garantite
dall'art. 108 della Costituzione; 
        che la ricorrente  premette,  in  fatto,  che  un  quotidiano
locale - a seguito di un invito a dedurre emesso  nei  confronti  del
sindaco del Comune  di  Bolzano  nel  corso  di  un  procedimento  di
responsabilita' amministrativa azionato  su  specifica  denuncia  dei
revisori dei conti - pubblicava in prima pagina un editoriale a firma
Toni Visentini, titolato "Schulmers e il Comune - Un  Savonarola  per
Bolzano",  nel  quale  si  tratteggiava  la  figura   del   Sostituto
procuratore generale che aveva emesso  gli  atti,  dipingendola  come
animata da intenti persecutori nei confronti degli  amministratori  e
dei dipendenti dell'ente territoriale; 
        che, in  relazione  alla  pubblicazione  dell'editoriale,  il
Sostituto procuratore generale sporgeva querela presso la Procura  di
Bologna, competente per territorio, ed esercitava l'azione civile  di
risarcimento danni presso il Tribunale civile di  Trento,  lamentando
l'uso di un linguaggio manifestamente irridente  e  denigratorio  nei
suoi confronti, nonche' l'estrema gravita' dell'accusa, a lui  mossa,
di deliberato "accanimento" nei confronti  degli  amministratori  del
Comune di Bolzano; 
        che mentre il Tribunale penale di Bologna ravvisava nel testo
dell'editoriale il superamento dei limiti della continenza espositiva
e condannava il giornalista per il  reato  di  diffamazione  a  mezzo
stampa (sentenza n. 3047 del 7 ottobre 2010), il Tribunale civile  di
Trento - dinanzi al quale era rimasta pendente la causa nei confronti
della casa editrice e del  direttore  responsabile  (mentre  l'azione
civile nei confronti dell'editorialista era stata trasferita in  sede
penale)  -  perveniva,  con  la  sentenza  impugnata,  a  conclusioni
opposte, affermando, da un lato e sotto il profilo della  continenza,
che l'accostamento alla figura del  Savonarola  era  da  considerarsi
elogiativo, e concludendo, dall'altro, nel senso che «il giudizio  di
accanimento»  nei  confronti  dell'attivita'  del   Comune   appariva
fondato; 
        che, in particolare, si afferma nella suddetta  sentenza  che
«non [era] stato utilizzato un  linguaggio  offensivo  nei  confronti
dell'attore in  quanto  il  giudizio  di  accanimento  nei  confronti
dell'attivita' del comune, che il  giornalista  Visentini  mostra  di
condividere con il sindaco, non poteva che essere espresso con  l'uso
di termini efficaci, e comunque non appare gratuito bensi' fondato su
specifici fatti storici pregressi ed in atto»  e  che  dalla  lettura
dell'articolo in questione  risulta,  in  effetti,  la  volonta'  del
giornalista di aderire al giudizio critico espresso dal sindaco; 
        che la ricorrente, tanto premesso in fatto,  precisa,  da  un
lato, di non voler in alcun modo esercitare  un  improprio  mezzo  di
impugnazione della sentenza emessa dal Tribunale di Trento alla  luce
degli  eventuali  errores  in  iudicando  contenuti   nella   stessa,
potendosi ricorrere, a tal fine, agli ordinari mezzi di  impugnazione
previsti dal codice di rito e, dall'altro, di non voler contestare la
competenza esclusiva del Tribunale  di  Trento  a  risolvere  con  la
sentenza oggetto del conflitto la controversia civile insorta dinanzi
ad esso; 
        che, viceversa, la Procura della Corte dei conti ritiene  che
talune statuizioni contenute nella pronuncia  del  giudice  ordinario
siano  lesive  delle  sue  prerogative  di  indipendenza   assicurate
dall'art.  108,  secondo  comma,  Cost.  in  quanto  non   rispettose
dell'obbligo   di   diligenza   nell'espletamento   della    funzione
giudiziaria necessario al fine di  non  pregiudicare  le  prerogative
costituzionali spettanti ad altro potere; 
        che, in tal senso, la Procura  ricorrente  precisa  di  voler
proporre un conflitto  per  menomazione  seguendo  la  giurisprudenza
della Corte secondo cui la figura dei conflitti di attribuzione,  sia
tra lo Stato e le Regioni sia tra  i  poteri  dello  Stato,  «non  si
restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l'appartenenza del
medesimo potere, che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi per
se', ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall'illegittimo
esercizio di un potere altrui consegua la menomazione di una sfera di
attribuzioni   costituzionalmente   assegnate   all'altro   soggetto»
(sentenza n. 110 del 1970); 
        che, quanto al requisito soggettivo per la  legittimazione  a
proporre il conflitto, la ricorrente afferma che la Corte  dei  conti
e' un potere dello Stato  e  la  Procura,  nell'esercizio  delle  sue
funzioni, e' competente a dichiarare definitivamente la volonta'  del
potere cui appartiene (ordinanza n. 196 del 1996); 
        che la legittimazione passiva del  Tribunale  di  Trento,  in
composizione monocratica, ad essere parte in un conflitto tra  poteri
dello Stato, secondo la  parte  ricorrente,  sarebbe  certa,  essendo
organo competente a dichiarare definitivamente la volonta' del potere
cui appartiene, in ragione dell'esercizio di funzioni giurisdizionali
svolte  in  posizione  di  piena   indipendenza,   costituzionalmente
garantita (sono citate, ex multis, l'ordinanza n. 8  del  2008  e  la
sentenza n. 290 del 2007); 
        che  il  ricorso  sarebbe  ammissibile  perche'  la   Procura
contabile lamenta la menomazione delle  prerogative  di  indipendenza
che la Carta fondamentale direttamente assicura al pubblico ministero
presso la Corte dei conti nel solo rispetto della riserva assoluta di
legge  (art.  108,  secondo  comma,  Cost.)  e  non  la  lesione   di
attribuzioni riconducibili all'art. 103,  secondo  comma,  Cost.,  in
relazione al quale la Corte costituzionale ha ritenuto non sussistere
materia di conflitto,  essendo  la  giurisdizione  nelle  materie  di
contabilita' pubblica disciplinata da norme ordinarie  (ordinanza  n.
196 del 1996); 
        che, inoltre, la Procura contabile richiama la giurisprudenza
costituzionale  successiva  al   1996   secondo   cui   il   giudice,
«nell'esercizio delle sue competenze, [deve tenere]  conto  non  solo
delle esigenze della attivita' di propria pertinenza, ma anche  degli
interessi, costituzionalmente tutelati, di altri poteri, che  vengano
in considerazione ai  fini  dell'applicazione  delle  regole  comuni»
(sentenza n. 225 del 2001); 
        che  tale  principio  sarebbe  la  trasposizione,  in  chiave
processuale, del principio di leale collaborazione tra  poteri  dello
Stato che impone ad ognuno  di  essi,  nell'esercizio  delle  proprie
funzioni, l'adozione delle cautele  necessarie  a  non  pregiudicare,
inutilmente ed  arbitrariamente,  le  prerogative  costituzionali  di
altro potere dello Stato (sono citate le sentenze n. 26 del 2008,  n.
149 del 2007 e n. 403 del 1994); 
        che, dunque, e' possibile che  una  pronuncia  dell'autorita'
giudiziaria, in ragione del  suo  specifico  contenuto  o  della  sua
motivazione,  sia  lesiva  delle  attribuzioni   costituzionali   del
[pubblico ministero contabile], e come tale sia suscettibile  di  dar
luogo ad un conflitto costituzionale (e' citata la  sentenza  n.  263
del 2003); 
        che, nel merito, la ricorrente  ritiene  prioritario  partire
dalla  considerazione  che  l'indipendenza  assicurata  dalla   Carta
costituzionale al pubblico ministero della Corte  dei  conti  non  e'
fine a se' stessa, ma e' tesa ad assicurare la  correttezza  del  suo
operato, liberandolo da impropri condizionamenti interni ed esterni a
vantaggio dell'intera collettivita'; 
        che  la  ricorrente  richiama   la   sentenza   della   Corte
costituzionale sull'istituto  del  legittimo  impedimento  dove,  con
argomentazioni di carattere  generale,  estensibili  ad  ogni  potere
dello Stato, si e' chiarito come il  giudice,  «nell'esercizio  delle
sue competenze, [debba tenere] conto non solo  delle  esigenze  della
attivita'  di  propria  pertinenza,   ma   anche   degli   interessi,
costituzionalmente  tutelati,  di  altri  poteri,  che   vengano   in
considerazione  ai  fini  dell'applicazione  delle   regole   comuni»
(sentenza n. 248 del 2011); 
        che, secondo la Procura contabile ricorrente, il modo in  cui
il giudice del Tribunale di Trento ha applicato le  norme  comuni  in
materia di fatto illecito per diffamazione a mezzo stampa e di  onere
della prova (artt. 2043 e 2697 del codice civile, 595 e 51 del codice
penale), ha prodotto - in ragione delle sopra censurate  affermazioni
contenute nella sentenza n. 248 del 2011  -  un  paradossale  effetto
sanzionatorio a carico del magistrato del pubblico ministero  per  il
solo ed esclusivo fatto di avere svolto le proprie funzioni; 
        che il Tribunale di Trento, senza  pretendere  dai  convenuti
l'assolvimento dell'onere di provare  rigorosamente  la  verita'  dei
fatti affermati, ha avallato un "giudizio di  accanimento"  formulato
dal giornalista nei  confronti  del  Sostituto  procuratore  generale
sulla sola base del dato, in  se'  neutro,  del  numero  di  vertenze
condotte dal  magistrato  inquirente  nei  confronti  del  Comune  di
Bolzano (che secondo il quotidiano convenuto erano cinque), omettendo
completamente  di  considerare   l'obbligatorieta'   dell'azione   di
responsabilita', che, per quanto non costituzionalizzata, e' comunque
imposta dalla legge; 
        che, in particolare, a dimostrazione dell'omissione  di  ogni
doveroso  approfondimento  diretto  ad   appurare   l'obbligatorieta'
dell'avvio dell'azione da parte del pubblico ministero contabile,  la
Procura ricorrente evidenzia  come  il  giudice  abbia  completamente
trascurato di valutare - sia nella parte in fatto che  in  diritto  -
come   l'invito   a   dedurre,   oggetto   di   censura   da    parte
dell'editorialista, fosse in realta' originato da un  esposto  penale
dei Revisori dei conti del Comune di  Bolzano,  debitamente  prodotto
agli atti del giudizio civile  in  allegato  alla  memoria  di  parte
attrice, unitamente alla nota di trasmissione  della  locale  Procura
della Repubblica e al provvedimento di archiviazione penale; 
        che, pertanto, le statuizioni contenute in  sentenza  non  si
limiterebbero a motivare un giudizio di non fondatezza della  domanda
risarcitoria  avanzata  dall'attore,  ma  lederebbero   un   bene   -
l'indipendenza del pubblico ministero contabile  -  avente  rilevanza
costituzionale; 
        che la lesione sarebbe immediata e diretta laddove  l'attore,
pubblico ministero contabile, viene sanzionato per il solo  fatto  di
avere esercitato le proprie funzioni, peraltro doverose, senza che il
Tribunale si senta in dovere di  appurare  le  circostanze  del  caso
concreto che hanno prodotto l'avvio delle indagini; 
        che si produrrebbe l'ulteriore effetto  di  condizionare  pro
futuro l'esercizio delle funzioni inquirenti, affermando  l'esistenza
di un limite oltre il quale la condotta del magistrato contabile deve
essere considerata antidoverosa; 
        che,  sulla  base  di  queste  argomentazioni,   la   Procura
ricorrente  ritiene  che  la  sentenza  sopra  citata  debba   essere
annullata in quanto lesiva delle proprie attribuzioni costituzionali. 
    Considerato che, in questa fase del giudizio, a  norma  dell'art.
37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la  Corte
costituzionale e' chiamata a deliberare, senza contraddittorio, circa
l'esistenza o meno della «materia di un conflitto la cui  risoluzione
spetti alla sua competenza»; 
        che,  sotto  il   profilo   soggettivo,   la   giurisprudenza
costituzionale  e'  costante  nel  riconoscere  ai   singoli   organi
giurisdizionali la legittimazione ad assumere la  qualita'  di  parte
nei conflitti di attribuzione,  in  quanto,  in  posizione  di  piena
indipendenza garantita dalla Costituzione,  competenti  a  dichiarare
definitivamente, nell'esercizio delle relative funzioni, la  volonta'
del potere cui  appartengono,  ma  solo  limitatamente  all'esercizio
dell'attivita' giurisdizionale assistita da  garanzia  costituzionale
(ordinanze n. 338 del 2007, n. 340 e n.  244  del  1999,  n.  87  del
1978); 
        che, in altri termini, il carattere diffuso, che connota  gli
organi  giurisdizionali  in  ordine  alla  competenza  a   dichiarare
definitivamente la volonta' del potere dello Stato cui  appartengono,
secondo quanto richiesto dall'art. 37, primo comma,  della  legge  11
marzo 1953, n. 87, viene in rilievo solo con riferimento al  concreto
esercizio delle funzioni giurisdizionali (ordinanza n. 22 del 2000); 
        che la Procura ricorrente  rivendica  la  sua  legittimazione
solo   in   quanto   organo   astrattamente   titolare   del   potere
giurisdizionale ma al di fuori dell'esercizio concreto delle funzioni
ad essa assegnate; 
        che la motivazione della sentenza  del  Tribunale  civile  di
Trento sulla natura  non  diffamatoria  dell'affermazione  fatta  dal
giornalista di «accanimento della Procura nei confronti del Comune di
Trento» non interferisce in alcun modo con l'esercizio della funzione
giurisdizionale in relazione a singoli provvedimenti da adottare; 
        che,  pertanto,  manca  nella   fattispecie   in   esame   la
legittimazione della ricorrente a proporre il conflitto, non  essendo
titolare in concreto di un potere giurisdizionale  il  cui  esercizio
possa dipendere dall'annullamento dell'atto impugnato; 
        che  il  ricorso  e'  inammissibile  anche  per  carenza  del
requisito oggettivo; 
        che l'ammissibilita' di un conflitto avente ad  oggetto  atti
giurisdizionali   «sussiste   solo   quando   sia    contestata    la
riconducibilita' della decisione o di statuizioni in  essa  contenute
alla funzione  giurisdizionale,  o  si  lamenti  il  superamento  dei
limiti,  diversi  dal  generale  vincolo  del  giudice  alla   legge»
(sentenza n. 222 del 2007, ordinanza n. 334 del 2008); 
        che il conflitto di attribuzione, al  di  la'  delle  formali
asserzioni a corredo della  prospettazione,  non  puo'  tradursi  «in
strumento atipico di impugnazione» dell'atto giurisdizionale giacche'
avverso «gli errori in iudicando di diritto sostanziale o processuale
valgono i rimedi consueti riconosciuti dagli ordinamenti  processuali
delle diverse giurisdizioni» (ordinanza n. 284 del 2008); 
        che  il  ricorso  si  risolve,  al  di  la'  della   espressa
affermazione della suddetta Procura di non voler sindacare errores in
judicando, in una censura  della  motivazione  della  sentenza  nella
parte in cui il Giudice avrebbe, secondo la ricorrente,  erroneamente
omesso di considerare l'obbligatorieta'  dell'avvio  dell'azione  del
pubblico  ministero  e  avrebbe,  sempre   secondo   la   ricorrente,
completamente trascurato di valutare - sia nella parte in  fatto  che
in diritto - come l'invito a dedurre  oggetto  di  censura  da  parte
dell'editorialista fosse in realta' originato da  un  esposto  penale
dei Revisori dei conti del Comune di Bolzano; 
        che non rientra nei  poteri  di  questa  Corte  sindacare  il
percorso logico argomentativo in virtu'  del  quale  il  giudice  del
Tribunale di Trento, nel motivare la sentenza  oggetto  del  presente
giudizio costituzionale, ha  ritenuto  non  diffamatorio,  in  quanto
rientrante nel diritto di critica e di cronaca, il giudizio  espresso
dal giornalista nell'articolo oggetto del giudizio civile; 
        che, pertanto, va dichiarata l'inammissibilita' del ricorso.