Ricorso della Regione Emilia-Romagna, in persona  del  Presidente
della Giunta regionale pro  tempore  Vasco  Errani,  autorizzato  con
deliberazione della Giunta regionale 5 settembre 2011, n. 1272  (doc.
1), rappresentata e difesa, come da procura speciale  a  margine  del
presente atto,  dall'avv.  prof.  Giandomenico  Falcon  di  Padova  e
dall'avv. Luigi Manzi di Roma, con domicilio  eletto  in  Roma  nello
studio di quest'ultimo in via Confalonieri n. 5 - C.a.p. 00195; 
    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   per   la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'articolo 6, comma
1, lett. a) e b) del  decreto-legge  13  agosto  2011,  n.  138,  che
ulteriormente modificano l'art. 19 della legge n.  241  del  1990  in
tema di segnalazione certificata di inizio attivita', per  violazione
degli articoli 3, 97, 114, 117 e 118 della Costituzione, nei  modi  e
per i profili di seguito illustrati. 
 
                              F a t t o 
 
    La Regione Emilia-Romagna  ha  gia'  impugnato  con  il  ricorso,
rubricato al n. 106/2010 il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78,  poi
convertito con modificazioni nella legge  30  luglio  2010,  n.  122,
nella parte in cui esso sostituiva la disciplina  della  denuncia  di
inizio attivita' di cui all'art. 19, legge  n.  241/1990  con  quella
della  segnalazione  certificata  di  inizio   attivita',   attraendo
d'autorita' tale istituto alla competenza esclusiva statale. 
    Inoltre essa ha anche impugnato (con il ricorso rubricato  al  n.
91/2011) l'art. 5 del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito in legge
12 luglio  2011,  n.  106,  nella  parte  in  cui  tale  articolo  ha
confermato o disposto l'applicabilita' della  s.c.i.a.  alla  materia
edilizia e nella parte in cui esso - attraverso il nuovo comma  6-bis
dell'art. 19 della legge n. 241 del 1990 - ha introdotto  un  termine
breve di trenta giorni per l'adozione dei provvedimenti di divieto di
prosecuzione  dell'attivita'  e  di  rimozione  degli  effetti  della
s.c.i.a. in materia edilizia. 
    E' ora intervenuto l'art. 6, comma 1, del decreto-legge 13 agosto
2011, n. 138, che con le lettere - per quanto qui interessa - a) e b)
ha ulteriormente modificato l'art. 19 della legge n. 241 del 1990  in
tema di segnalazione certificata di inizio  attivita',  nel  seguente
modo: 
    a) al comma 4, dopo le parole «primo periodo del  comma  3»  sono
inserite le seguenti: «ovvero di cui al comma 6-bis»; 
    b) al comma 6-bis, secondo periodo, dopo le parole: «disposizioni
di cui», sono inserite le seguenti: «al comma 4 e»; 
    A seguito delle predette modiche, il comma 4 risulta come segue: 
        «4. Decorso il termine per l'adozione  dei  provvedimenti  di
cui al primo periodo del comma  3  ovvero  di  cui  al  comma  6-bis,
all'amministrazione e' consentito intervenire solo  in  presenza  del
pericolo di un danno per il patrimonio  artistico  e  culturale,  per
l'ambiente, per la salute, per la  sicurezza  pubblica  o  la  difesa
nazionale  e  previo  motivato  accertamento  dell'impossibilita'  di
tutelare   comunque    tali    interessi    mediante    conformazione
dell'attivita' dei privati alla normativa vigente». 
    A sua volta, il comma 6-bis risulta come segue: 
        «6-bis. Nei casi di Scia in materia edilizia, il  termine  di
sessanta giorni di cui al primo periodo del  comma  3  e'  ridotto  a
trenta giorni. Fatta salva l'applicazione delle disposizioni  di  cui
al comma 4 e al comma  6,  restano  altresi'  ferme  le  disposizioni
relative alla  vigilanza  sull'attivita'  urbanistico-edilizia,  alle
responsabilita' e alle sanzioni previste dal d.P.R. 6 giugno 2001, n.
380, e dalle leggi regionali». 
    Sennonche',    le    modificazioni    cosi'    introdotte    sono
costituzionalmente illegittime e per i seguenti motivi; 
 
                            D i r i t t o 
 
    1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 1, lett. a)
del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138. 
    Il significato della modifica che l'art. 6, comma 1, lett. a) del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, introduce nel comma 4 dell'art.
19 della legge n.  241  del  1990  pare  consistere  nel  disporre  o
comunque nel confermare che in materia  di  Scia  edilizia,  dopo  il
decorso del termine brevissimo di trenta giorni,  all'amministrazione
e'  consentito  di  intervenire  solo  nelle  ipotesi  determinate  e
specifiche di danno per il  patrimonio  artistico  e  culturale,  per
l'ambiente, per la salute, per la  sicurezza  pubblica  o  la  difesa
nazionale: tutti interessi in  larga  misura  estranei  alla  materia
dell'edilizia e, piu' in generale, del governo del territorio. 
    Dunque, decorsi trenta giorni  dalla  segnalazione,  non  sarebbe
piu'  possibile  intervenire  a  tutela  dell'interesse  all'ordinato
sviluppo del territorio: cioe'  proprio  di  quell'interesse  cui  e'
preordinata  lo  stesso  sistema  che  subordina  lo  svolgimento  di
attivita' edilizie al previo ottenimento di un titolo abilitativo. 
    Nemmeno sarebbe  possibile  intervenire  a  tutela  di  interessi
pubblici specifici non meno fondamentali, quali ad esempio quello  ad
un non ostacolato scorrimento del traffico o  al  regolare  esercizio
dei servizi pubblici. 
    Se cosi' fosse, varrebbero avverso le nuove disposizioni tutte le
censure gia' fatte valere - in particolare - nel ricorso  n.  91/2011
in relazione all'art. 5 del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito in
1egge 12 luglio 2011, n. 106. 
    In  particolare,   risulterebbero   violati   il   principio   di
ragionevolezza derivato dall'art. 3 Cost. ed  il  principio  di  buon
andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97,  comma  1,  Cost.,
che la regione e' abilitata a far valere in quanto tali violazioni si
traducono in menomazione della potesta' legislativa ed amministrativa
regionale. Le regole cosi' poste infatti consistono in un superamento
di  legittime  discipline  regionali  ed  in  una  limitazione  della
capacita' regionale di dettare una congrua disciplina del governo del
proprio territorio. 
    Sarebbe  violato  altresi'  l'art.  117,   comma   terzo,   della
Costituzione,  in  quanto  la  disposizione  impugnata  -  lungi  dal
limitarsi  alla  fissazione  di  principi  di  carattere  generale  -
preclude alla  regione  la  possibilita'  di  esercitare  la  propria
potesta'  legislativa  in  materia   di   governo   del   territorio,
disciplinandone in modo rigido e dettagliato i limiti di intervento. 
    Sarebbe  infine  violato  l'art.  118   Cost.,   in   quanto   la
disposizione impugnata delimita in modo irragionevole il potere della
regione di  attribuire  e  disciplinare  le  funzioni  amministrative
proprie e dei comuni. 
    Va tuttavia osservato come quella  dinanzi  prospettata  non  sia
l'unica possibile interpretazione del comma 4 dell'art. 19  1egge  n.
241/1990 (e della connessa aggiunta operata dal d.l. n. 138/2011). 
    Infatti, il testo del comma 4 va coordinato con quello di cui  al
precedente comma 3, il quale fa comunque salvo - in apparenza in  via
generale e senza limiti che non siano quelli propri  dell'istituto  -
il potere di «assumere determinazioni in via di autotutela, ai  sensi
degli articoli 21-quinquies e 21-nonies». 
    Nel rapporto fra  le  previsioni  dei  due  commi,  due  sono  in
astratto le possibili soluzioni: 
        a) si puo' ritenere, in primo luogo, che le citate previsioni
dei commi 3 e 4 siano destinate ad operare congiuntamente: nel senso,
cioe', che decorso il termine per l'esercizio del potere  inibitorio,
l'amministrazione possa intervenire in autotutela  (e  dunque  con  i
limiti propri di tale istituto) soltanto ove sussistano  al  contempo
anche le condizioni indicate nel comma 4 (pericolo di  danno  per  il
patrimonio artistico culturale, per l'ambiente, ecc.); 
        b) al contrario, e' possibile ritenere anche  che  le  citate
disposizioni  dei  commi  3  e  4  siano  destinate  a   disciplinare
fattispecie diverse ed autonome. Nel senso, cioe', che  -  una  volta
decorso  il  termine  per  l'esercizio  del   potere   inibitorio   -
l'amministrazione  abbia   a   disposizione   due   strade   diverse:
intervenire nell'esercizio del potere di autotutela (con  i  consueti
limiti ora positivizzati negli artt. 21-quinquies e  21-nonies  1egge
n. 241/1990) ovvero intervenire ai sensi del comma 4 dell'art. 19. In
tale ultimo caso, il potere dell'amministrazione non sarebbe soggetto
ai  limiti  dell'autotutela,  ma  potrebbe  esplicarsi  con  maggiore
efficacia  ed  incisivita',  sulla   sola   base   dell'assenza   dei
presupposti  per  l'esercizio  dell'attivita'  oggetto  di   s.c.i.a.
(edilizia).  Si  tratterebbe,  in  altre  parole,  di  una  sorta  di
ultrattivita' del  potere  inibitorio  anche  dopo  la  scadenza  del
termine: il cui impatto sarebbe limitato dal suo necessario riferirsi
solo alle particolari  situazioni  del  pericolo  di  danno  per  gli
interessi sensibili indicati nel medesimo comma 4. 
    L'interpretazione da ultimo proposta consentirebbe di evitare  la
compromissione degli interessi pubblici sopra denunciata. 
    In  particolare,  risulterebbe  sempre   consentita   la   tutela
dell'interesse all'ordinato sviluppo del  territorio  e  degli  altri
interessi non indicati nel comma  4:  che  risulterebbero  garantiti,
appunto, attraverso il perdurante riconoscimento del generale  potere
di autotutela anche al di fuori delle  ipotesi  di  cui  al  predetto
comma 4. 
    Nella  misura  in  cui  l'interpretazione  ora  proposta  risulta
possibile, essa appare anche doverosa: in virtu' del  noto  principio
dell'interpretazione costituzionalmente conforme. 
    2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 1, lett. b)
del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138. 
    Come sopra esposto, a seguito della modifica  ora  introdotta  il
comma 6-bis dell'art. 19 della legge n.  241  del  1990  recita  come
segue: 
        «Fatta salva l'applicazione  delle  disposizioni  di  cui  al
comma 4 e al comma 6, restano altresi' ferme le disposizioni relative
alla    vigilanza    sull'attivita'    urbanistico-edilizia,     alle
responsabilita' e alle sanzioni previste dal d.P.R. 6 giugno 2001, n.
380, e dalle leggi regionali». 
    Ora, mentre la salvezza delle «disposizioni di cui al  comma  6»,
confermando la specifica sanzione penale, e' funzionale ad  aumentare
la  tutela  del  territorio,  l'introduzione  della  salvezza   delle
disposizioni di  cui  al  comma  4  produce  l'effetto  contrario  di
vanificare le stesse disposizioni che formalmente la rimanente  parte
del comma mantiene ferme. 
    Infatti, il richiamo del  comma  4  significa  che  la  vigilanza
sull'attivita' urbanistico-edilizia non potra' mai portare  al  venir
meno dell'intervento edilizio nel frattempo realizzato, e che saranno
vane le sanzioni e le responsabilita' che siano previste  per  coloro
che abbiano violato la legge o le norme urbanistiche e non provvedano
alla rimessione in pristino. 
    Di qui,  di  nuovo,  la  violazione  della  potesta'  legislativa
regionale in materia di governo del territorio  ex  art.  117  Cost.,
della connessa potesta' di disciplina dei  poteri  amministrativi  ex
art. 118 Cost., della capacita' dei comuni di esercitare  le  proprie
funzioni,  dei  principi  di  ragionevolezza  e  di  buon   andamento
dell'amministrazione ex art. 97 Cost., nei termini  gia'  esposti  al
punto 1. 
    Anche in questo caso, come  gia'  esposto  al  punto  precedente,
un'interpretazione  (costituzionalmente  orientata)   del   comma   4
dell'art. 19 1egge n. 241/1990 sganciata dalla previsione del comma 3
- con conseguente generale possibilita' di  ricorrere  all'autotutela
anche al di fuori dei casi del comma 4 - consentirebbe di superare le
problematicita' esposte. 
    Le ragioni della presente impugnazione,  percio',  risulterebbero
soddisfatte ove  potesse  essere  ritenuta  esatta  l'interpretazione
costituzionalmente orientata sopra esposta.