IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 409 del 2011,  proposto  da  Abbatecola  Monica  ed
altri 169, rappresentati e  difesi  dagli  avv.  Vittorio  Angiolini,
Marco Cuniberti e Carlo Emanuele Gallo, con domicilio  eletto  presso
Carlo Emanuele Gallo in Torino, via Pietro Palmieri, 40; 
    Contro: 
        Ministero dell'economia  e  delle  finanze,  in  persona  del
Ministro  pro-tempore,   rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura
distrettuale dello Stato di Torino presso la quale domicilia in corso
Stati Uniti n. 45; 
        Presidenza del Consiglio dei Ministri, in  persona  del  Capo
del Governo in carica e Ministero della  giustizia,  in  persona  del
Ministro  pro-tempore,   rappresentati   e   difesi   dall'Avvocatura
distrettuale dello Stato di Torino presso  la  quale  domiciliano  in
corso Stati Uniti n. 45; 
    e con l'intervento di ad adiuvandum: 
        Paolo Rampini, rappresentato  e  difeso  dall'avv.  Salvatore
Petillo, con domicilio eletto presso T.A.R. Piemonte, Segreteria,  in
Torino, corso Stati Uniti, 45; 
    Per il riconoscimento, previa idonea cautela, e  con  riserva  di
motivi aggiunti, del diritto  al  trattamento  retributivo  spettante
senza tener conto delle decurtazioni di cui al comma 22  dell'art.  9
del  decreto-legge  31  marzo  2010,  n.  78,  come  convertito   con
modificazioni in legge  30  luglio  2010,  n.  122,  nonche'  per  la
condanna delle Amministrazioni resistenti al  pagamento  delle  somme
corrispondenti, con ogni accessorio di legge. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti  gli  atti  di  costituzione  in  giudizio  del   Ministero
dell'economia e delle finanze e della Presidenza  del  Consiglio  dei
Ministri e del Ministero della giustizia; 
    Visto l'atto di intervento ad adiuvandum di Paolo Rampini; 
    Relatore nell'udienza pubblica  del  giorno  7  luglio  2011,  il
presidente Vincenzo Salamone e uditi per le parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    Va premesso che i ricorrenti - nella dedotta e comune qualita' di
magistrati ordinari in servizio presso Uffici  giudiziari  ricompresi
nell'ambito  di  competenza  territoriale  dell'adito  giudicante  ed
assoggettati,  in  quanto  tali,  alle  decurtazioni  del  rispettivo
trattamento   retributivo   derivanti   dalla   applicazione    delle
disposizioni finanziarie contenute  nel  comma  22  dell'art.  9  del
decreto-legge 31 marzo 2010, n. 78, come convertito con modificazioni
dalla 1egge 30 luglio 2010, n. 122  -  agivano  in  giudizio  per  la
declaratoria di illegittimita' di dette  misure,  con  consequenziale
riconoscimento del diritto al trattamento  retributivo  asseritamente
spettante, senza tener conto  delle  contestate  riduzioni,  all'uopo
prospettando violazione di legge sotto plurimo profilo ed,  altresi',
lamentando la  sospetta  illegittimita'  costituzionale  della  sopra
richiamata normativa primaria. 
    Le Amministrazioni convenute si sono costituite in  giudizio  con
il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, chiedendo il  rigetto  del
ricorso. 
    Con atto depositato veniva spiegato  da  parte  del  dott.  Paolo
Rampini atto di intervento ad adiuvandum. 
    Premette il Collegio che in  forza  dell'art.  9,  comma  22  del
decreto-legge n.  78/2010  cit.,  quale  risultante  dalle  modifiche
introdotte  con  la  legge  di  conversione,  con  la  c.d.  manovra,
economica 2010, veniva, per quanto di  interesse,  previsto,  per  il
personale di cui alla legge n. 27 del 1981: 
        a)  che  «non  [fossero]  erogati,  senza   possibilita'   di
recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed  il  conguaglio
del triennio 2010-2012»; 
        b) che «per il triennio  2013-2015  l'acconto  spettante  per
l'anno 2014 [fosse] pari alla misura gia' prevista, per l'anno 2010 e
il conguaglio per l'anno 2015 [venisse] determinato  con  riferimento
agli anni 2009, 2010 e 2014»; 
        c) che «l'indennita' speciale di  cui  all'articolo  3  della
legge 19 febbraio 1981, n. 27, spettante  negli  anni  2011,  2012  e
2013, [fosse] ridotta del 15 per cento per l'anno 2011,  del  25  per
cento per l'anno 2012 e del  32  per  cento  per  l'anno  2013»,  con
riduzione non operante ai fini previdenziali. 
    Entro i limiti di dette previsioni legislative si  incentrano  le
censure del ricorso e l'atto  di  intervento  che  non  riguarda  gli
effetti della manovra finanziaria prodotti  da  norme  che  investono
l'intero comparto del pubblico impiego (ivi compreso il personale  di
magistratura). 
    Le  censure  del  ricorso  riguardano,  infatti,  non   tanto   i
«sacrifici» economici richiesti a  tutte  le  componenti  del  lavoro
pubblico,  bensi'  la  lesione  che   deriva   all'indipendenza   dei
componenti  della  Magistratura,  alla   quale   e'   funzionale   la
adeguatezza del trattamento economico e soprattutto la sottrazione  a
scelte discriminatorie di altri poteri dello Stato (e segnatamente  i
poteri legislativo ed esecutivo). 
    Premette il Collegio che la disciplina che - specificamente per i
magistrati - si ricava dal coacervo normativo dei commi 21  e  22  e'
cosi' sintetizzatile: 
        per essi,  cosi'  come  per  tutte  le  altre  categorie  del
personale non  contrattualizzato,  viene  introdotto  il  blocco  dei
«meccanismi di adeguamento retributivo» previsto  dal  primo  periodo
del comma 21, la cui operativita' e' estesa sia a livello di  acconto
che a livello di conguaglio (e dunque con  effetto  retroattivo)  dal
primo periodo dell'art. 22; 
        per  i  soli  Magistrati  (di  tutte  le   Magistrature),   a
differenza delle altre categorie del personale non contrattualizzato,
sono salvaguardati i meccanismi  di  «progressione  automatica  dello
stipendio», ossia, gli scatti di carriera, e cio' perche' ad essi non
si applicano i periodo secondo e terzo del comma 21; 
        nei confronti dei soli magistrati  viene  pero'  operata  una
riduzione crescente nel tempo dell'indennita' giudiziaria (ex art. 3,
legge 27/1981), come previsto dal secondo periodo del comma 22; 
        i magistrati subiscono poi, sempre in forza del comma 22,  il
blocco di acconti (anni 2011, 2012 e 2013) e conguagli (triennio 2010
- 2012); 
        vengono, infine, introdotti, ancora dal comma 22, dei «tetti»
all'acconto per l'anno 2014 (che non puo' superare quello del 2010) e
del conguaglio per l'anno 2015 (determinato con riferimento agli anni
2009, 2010 e 2014, escludendo quindi il triennio 2011 - 2013). 
    I commi 21 e 22 introducono, pertanto, nel loro complesso, misure
di  notevole  rilevanza,  poiche'  finalizzate  a   vincolare   assai
incisivamente,  per  gli  anni  2011,  2012  e  2013  il  trattamento
economico dei singoli magistrati; e cio'  ancorche'  le  progressioni
stipendiali siano fatte salve. Ed infatti, come gia' prima  facie  si
scorge, si tratta di misure ingiustamente penalizzanti,  estemporanee
e totalmente sganciate dalla normativa in materia di retribuzione del
personale di Magistratura. 
    Sussistono, ad avviso del Collegio, i presupposti  per  sollevare
la questione di legittimita' costituzionale con riguardo  alla  sopra
richiamata, normativa sui trattamenti stipendiali dei ricorrenti, che
si appalesa, in parte qua e per quanto di ragione, non manifestamente
infondata, sotto plurimi e concorrenti aspetti (come,  peraltro  gia'
rilevato dal Tribunale  amministrativo  regionale  della  Campania  -
Sezione staccata di Salerno con ord. n. 1162 del 23 giugno 2011). 
    Il dubbio di legittimita' costituzionale delle norme di cui sopra
sussiste, avuto in primo luogo riguardo alle misure  incidenti  sugli
automatismi stipendiali che caratterizzano la progressione  economica
dei magistrati: 
        a) che le stesse appaiono in contraddizione con il  principio
(desumibile dall'art. 104, 1° comma Cost.)  per  cui  il  trattamento
economico  dei   magistrati   non   puo'   ritenersi   nella   libera
disponibilita'  del  potere  legislativo  o  del  potere   esecutivo,
trattandosi  di  un  aspetto  essenziale  per  attuare  il   precetto
costituzionale dell'indipendenza; 
        b) che, come piu' volte ribadito dal Giudice delle leggi,  il
meccanismo del c.d. adeguamento  automatico  (essenzialmente  fondato
sulla garanzia di un aumento delle retribuzioni, che, sulla  base  di
indici  appositamente  ed  obiettivamente   elaborati   dall'istituto
centrale di statistica, viene assicurato «di diritto», ogni triennio,
nella misura percentuale pari alla media degli incrementi  realizzati
nel triennio precedente dalle altre categorie del  pubblico  impiego)
rappresenta un elemento intrinseco della struttura delle retribuzioni
in discorso, inteso  alla  «attuazione  del  precetto  costituzionale
dell'indipendenza dei magistrati, che va salvaguardato anche sotto il
profilo economico» (Corte cost. 16 gennaio 1978, n. 1), «evitando tra
l'altro che essi  siano  soggetti  a  periodiche  rivendicazioni  nei
confronti di altri poteri» (Corte cost. 10  febbraio  1993,  n.  42),
concretizzando «una guarentigia, idonea a tale  scopo»  (Corte  cost.
sentenza 8 maggio 1990, n. 238); 
        c) che la tradizione  costituzionale  italiana  risulta,  sul
punto, confermata e rafforzata, dalla c.d. Magna carta  dei  Giudici,
approvata a Strasburgo il 17 novembre 2010 dal Consiglio  d'Europa  -
Comitato consultivo dei Giudici  europei  (CCJE)  (la  quale,  seppur
beninteso priva ex se di valore cogente sotto il  profilo  giuridico,
costituisce una decisione fondamentale alla cui  luce  devono  essere
interpretate le disposizioni interne, per la sua autorevole fonte  di
provenienza, esprimendo il CCJE le  «tradizioni  costituzionali»  dei
quarantasette Stati europei che ne sono membri):  secondo  l'espresso
disposto  degli  artt.  2  e   4   della   Carta,   in   particolare,
l'indipendenza dell'ordine giudiziario rispetto ai poteri legislativo
ed esecutivo  va  garantita  anche  sotto  il  profilo  della  tutela
finanziaria della retribuzione dei Magistrati;  e  l'art.  7  prevede
espressamente che «il giudice deve beneficiare di una remunerazione e
di un sistema previdenziale adeguati e garantiti dalla legge, che  lo
mettano al riparo da ogni indebita influenza». 
    I valori dell'autonomia e della, indipendenza della  Magistratura
da ogni altro potere dello Stato sono sanciti in via  generale  dagli
artt. 101, comma 2 («I giudici sono soggetti soltanto alla legge»)  e
104 comma 1 Cost. ("La magistratura costituisce un ordine autonomo  e
indipendente da ogni altro potere. 
    Proprio per la delicatezza dei compiti  anzidetti  e'  essenziale
che sia assicurata l'indipendenza della Magistratura. 
    L'art. 9, comma 22 del decreto-legge n. 78 del 2010 ha come fine,
o quantomeno  come  effetto,  quello  di  ledere  non  solo  il  dato
testuale, ma altresi' i principi e valori sottesi  alle  disposizioni
richiamate. 
    I valori anzidetti sono a  loro  volta  funzionali  all'esercizio
imparziale ed  obiettivo  della  funzione  giudicante,  come  esigono
molteplici norme costituzionali anche in vista della celebrazione  di
un «giusto» processo (cfr. artt. 24, 103 e 111  Cost.;  Corte  cost.,
sent. n. 381/1999). 
    Il Legislatore, mediante uno  strumento  che  formalmente  incide
(solo) sulla retribuzione del magistrato, viene in realta' ad operare
un   indebito   condizionamento   sull'esercizio    della    funzione
giurisdizionale, poiche' costringe l'Ordine di  appartenenza,  quando
non addirittura il magistrato come singolo, ad un  confronto  con  il
pubblico potere al fine  di  ripristinare  le  condizioni  economiche
originarie, o  quantomeno  di  elidere  o  attenuare  le  conseguenze
negative della misura disposta. 
    La costante giurisprudenza della Corte costituzionale  induce  il
collegio a ritenere  la  non  manifesta  infondatezza  della  censura
dedotta, sussistendo  la,  necessita'  di  «attuazione  del  precetto
costituzionale dell'indipendenza dei magistrati, che va salvaguardato
anche sotto il profilo economico», onde evitare «tra l'altro che essi
siano sonetti a periodiche  rivendicazioni  nei  confronti  di  altri
poteri» (Sentt. nn. 1/1978, 42/1993, 238/1990). 
    Tale stato  di  cose,  generando  un  sotterraneo  conflitto  tra
Istituzioni che mina alla radice la  serenita'  del  Giudice,  appare
particolarmente grave per la specifica funzione del magistrato. 
    Un Magistrato «condizionato», quand'anche solo apparentemente  (e
potenzialmente) e non nella sostanza (e nella realta'), da una misura
legislativa fortemente penalizzante per i  suoi  interessi  economici
rischia di vedersi sottratto quel credito e quel prestigio di cui  il
singolo magistrato e l'Ordine  giudiziario  nel  suo  insieme  devono
sempre ed indefettibilmente godere presso la comunita' dei cittadini. 
    Sul punto la Corte costituzionale nella sentenza n. 100 del 1981,
ha chiarito che «I magistrati, per dettato costituzionale (artt. 101,
comma secondo, e 104, comma primo, Cost.), debbono essere  imparziali
e indipendenti e tali valori vanno tutelati non  solo  con  specifico
riferimento al concreto esercizio delle funzioni  giurisdizionali  ma
anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento al
fine  di  evitare  che  possa  fondatamente  dubitarsi   della   loro
indipendenza ed imparzialita': nell'adempimento del loro  compito.  I
principi  anzidetti  sono  quindi   volti   a   tutelare   anche   la
considerazione di cui il magistrato deve godere  presso  la  pubblica
opinione,  assicurano,  nel  contempo,  quella  dignita'  dell'intero
ordine giudiziario, che la norma, denunziata, qualifica  prestigio  e
che si concreta,  nella  fiducia  dei  cittadini  verso  la  funzione
giudiziaria e nella credibilita' di essa». 
    In senso analogo si e' espresso, come sopra rilevato, il Comitato
dei  Ministri  del  Consiglio   d'Europa   nella   gia'   richiamata.
Raccomandazione del 17 novembre 2010. 
    Il   prestigio   e   l'onorabilita'    dell'Ordine    giudiziario
resterebbero  esposti  a  critiche  e  perplessita'  che  il  sistema
costituzionale impone di evitare nel modo piu' assoluto. 
    Alle stesse conseguenze di «appannamento» della neutralita' della
funzione  giurisdizionale  si  perverrebbe  associando  la  riduzione
stipendiale alle ben note polemiche tra poteri dello Stato. 
    In tale ottica, la misura legislativa potrebbe apparire come  una
sorta di punizione o di monito per il  potere  giudiziario,  rendendo
manifesta  ai  cittadini  una  condizione  di   evidente   supremazia
gerarchica di un Potere sull'altro, in contrasto - anche  sotto  tale
profilo - con i dettami costituzionali che improntano i rapporti  tra
poteri alla separazione, all'equilibrio ed al bilanciamento. 
    L'idea  di  un  magistrato  punito,   ammonito   o   anche   solo
«influenzabile»  dalla  consapevolezza  che  il  taglio   stipendiale
disposto oggi puo' ben essere ripetuto o addirittura inasprito (oltre
il 2013), ripugna al nostro sistema costituzionale ed  ordinamentale,
godendo della piu' elevata, tutela, in esso, anche la mera  apparenza
della imparzialita' della funzione giurisdizionale, in quanto  valore
fondante per l'affidabilita' e la  credibilita'  istituzionale  della
figura del Magistrato. 
    Alla luce di tali considerazioni va richiamata la sentenza  della
Corte  costituzionale  n.  145   del   1976,   la   quale   riconosce
esplicitamente «l'esigenza di  una  rigorosa  tutela,  del  prestigio
dell'ordine giudiziario che rientra senza dubbio tra i piu' rilevanti
beni costituzionalmente protetti». 
    Ai sensi del comma 21 dell'art. 9 succitato, per  quanto  qui  di
interesse, «i meccanismi di adeguamento retributivo per il  personale
non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto  legislativo
30 marzo 2001, n. 165, cosi' come  previsti  dall'articolo  24  della
legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli  anni  2011,
2012 e 2013 ancorche' a titolo di acconto, e non danno comunque luogo
a successivi recuperi. (...)». 
    Il successivo comma 22 cosi' dispone: «Per il  personale  di  cui
alla legge n. 27 del 1981 non sono  erogati,  senza  possibilita'  di
recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed  il  conguaglio
del triennio 2010-2012; per tale personale, per il triennio 2013-2015
l'acconto spettante  per  l'anno  2014  e'  pari  alla,  misura  gia'
prevista per l'anno 2010  e  il  conguaglio  per  l'anno  2015  viene
determinato con riferimento agli anni  2009,  2010  e  2014.  Per  il
predetto personale l'indennita' speciale di cui all'articolo 3  della
legge 19 febbraio 1981, n. 27, spettante  negli  anni  2011,  2012  e
2013, e' ridotta del 15 per cento per l'anno 2011, del 25  per  cento
per l'anno 2012 e del 32 per cento per l'anno  2013.  Tale  riduzione
non opera ai fini previdenziali. Nei confronti del predetto personale
non si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e  21,  secondo  e
terzo periodo». 
    Alla luce degli evocati principi e direttive costituzionali, deve
ritenersi che il trattamento economico dei  magistrati  debba  essere
(oltreche' «adeguato» alla quantita' e qualita' del lavoro  prestato,
come imposto, in termini generali, dall'art. 36  della  Costituzione)
certo  e  costante,  e  in  generale  non  soggetto  a   decurtazioni
concretanti, come tali, una surrettizia  menomazione  delle  garanzie
della sua indipendenza ed autonomia. 
    Avuto distinto riguardo alla (diversa ed autonoma  misura  della)
contestata riduzione percentuale della indennita' speciale, oltre  ai
rilievi sopra formulati, va ulteriormente considerato quanto segue in
termini  di  non   manifesta,   infondatezza   della   questione   di
costituzionalita'. 
    Trattandosi obiettivamente, come non e' dato  di  dubitare  anche
alla luce del contesto normativo  in  cui  e'  stata  codificata,  di
prestazione   patrimoniale   imposta   di   natura    sostanzialmente
tributaria, come tale assoggettata ai vincoli di cui agli artt. 23  e
53 della Carta  costituzionale,  la  sua  previsione  (esclusivamente
rimessa, al  di  la'  del  nomen  juris  utilizzato,  alla  normativa
primaria, in forza dei principi di  legalita'  e  sostanzialita'  dei
tributi) avrebbe dovuto gravare, a  parita'  di  redditi  incisi,  su
«tutti» i cittadini (c.d. principio di generalita',  delle  imposte),
in ragione della loro capacita' contributiva, in un sistema informato
a criteri di progressivita' (c.d. principio di progressivita'). 
    Avuto riguardo al comune e condiviso intendimento  del  requisito
della, capacita'  contributiva  previsto  dall'art.  53  Cost.  quale
«valore»  diretto  ad  orientare,  nel  quadro  di  una   complessiva
«razionalita'» impositiva, la  discrezionalita'  del  legislatore  in
ordine alla prefigurazione e configurazione dei fenomeni tributari  -
deve ritenersi che limite espresso all'azione impositiva  sia  quello
per cui «a situazioni uguali corrispondano tributi  uguali»:  di  tal
che, anche alla luce del correlato principio di  uguaglianza  di  cui
all'art. 3 Cost. e del principio solidaristico di cui all'art. 2,  il
sacrificio patrimoniale che -  per  non  implausibili  e  contingenti
ragioni di contenimento della spesa pubblica - incida soltanto  sulla
condizione e sul patrimonio di una determinata categoria di  pubblici
impiegati, lasciando indenni,  a  parita'  di  capacita'  reddituale,
altre  categorie  di  lavoratori   (essenzialmente   e   segnatamente
autonomi), risulterebbe arbitrario ed irragionevole  (arg.  ex  Corte
cost. [ord.] 14 luglio 1999, n. 299; e cfr. Id. 18  luglio  1997,  n.
245). 
    Si tratta altresi'  di  prelievo  sul  trattamento  economico  in
godimento sostanzialmente regressivo, poiche' (essendo, come e' noto,
l'indennita' ex art. 3 della legge n.  27  del  1981  corrisposta  in
misura uguale ad ogni magistrato,  indipendentemente  dall'anzianita'
di servizio) finisce per colpire (in violazione del canone di cui  al
2° comma dell'art. 53  Cost.)  in  misura  minore  i  magistrati  con
retribuzione  complessiva  piu'  elevata  ed  in  misura  maggiore  i
magistrati con retribuzione complessiva inferiore. 
    Gli interventi normativi per cui e'  causa  appaiono  anche'essi,
per le ragioni gia' esposte in contraddizione con  il  principio  per
cui il trattamento economico dei magistrati non puo' ritenersi nella,
libera disponibilita' del Legislativo o  dell'Esecutivo,  trattandosi
di  aspetto  essenziale  per  attuare  il   precetto   costituzionale
dell'indipendenza (art. 104, 1°  comma  Cost.;  e  cfr.,  proprio  in
relazione  alla  indennita'  speciale  in  quanto   assoggettata   al
meccanismo di adeguamento automatico, (Corte cost. n. 238 del 1990). 
    L'art. 9, comma 22 cit. sembra al Collegio  porsi,  altresi',  in
contrasto con l'art. 36 della Costituzione, in quanto la  prefigurata
ed incisiva riduzione del trattamento economico finisce per  alterare
la «proporzione» tra la retribuzione complessiva del magistrato ed il
lavoro giudiziario svolto,  inteso  complessivamente  come  l'insieme
delle  attivita'  materiali,  delle  attivita',   giuridiche,   delle
responsabilita' e degli oneri su di esso gravanti. 
    Cio' in  quanto  -  riconoscendo  la  legge  come  «adeguato»  il
complessivo trattamento economico  solo  in  quanto  integrato  dalla
indennita', speciale - una decurtazione di  quest'ultima,  a  parita'
dell'attivita' svolta e degli oneri incontrati (che  l'indennita'  in
questione   mira,   come   e'   noto,   a   compensare   in   termini
omnicomprensivi), costituisce in sostanza una palese alterazione  dei
principi di proporzione e adeguatezza degli stipendi. 
    L'ingiustificata  ed  indifferenziata  riduzione  dell'indennita'
giudiziaria a tutti  i  magistrati,  a  prescindere  dalla  posizione
giuridico  economica  e  dal  trattamento  economico  complessivo  in
godimento,  costituisce  di  per  se  violazione  del  principio   di
uguaglianza e ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. 
    Cio' in quanto, essendo la  misura  dell'indennita'  giudiziaria,
uguale per tutti i  magistrati  proprio  perche'  sono  uniformi  gli
«oneri» che essi incontrano nello svolgimento della  loro  attivita',
il paradossale risultato della omogenea, riduzione percentuale e'  di
compensare in modo minore  i  magistrati  con  minore  anzianita'  di
servizio, che sono  notoriamente  impegnati  principalmente  in  sedi
disagiate con evidente esposizione a rischi ed oneri spesso di  fatto
maggiori dei magistrati piu' anziani. 
    La riduzione del trattamento retributivo si appalesa,  alla  luce
degli esposti rilievi, irragionevole e  disparitaria,  violativa  del
principio  di  autonomia  ed  indipendenza  anche   economica   della
magistratura, nonche' del canone di proporzionalita'  ed  adeguatezza
de retribuzione, costituendo, altresi', tributo occulto,  speciale  e
regressivo, in violazione degli arti. 3, 23, 36, 53, 97,  101  e  111
della Costituzione. 
    La rilevanza della questione sussiste atteso che: 
        le norme dell'art. 9, comma 22 del decreto-legge  n.  78/2010
cit, quale risultante dalle modifiche  introdotte  con  la  legge  di
conversione,  sono  di  immediata  applicazione  e  la   domanda   di
riconoscimento  del  diritto   al   mantenimento   della   precedente
disciplina del trattamento economico non puo' essere esaminata  senza
il  previo  scrutinio  di  costituzionalita'  delle  norme   primarie
censurate; 
        le parti ricorrenti  subiscono  nel  corrente  anno  2011  il
blocco del meccanismo di adeguamento retributivo, nonche'  il  blocco
di acconti e conguagli cui avrebbe avuto altrimenti diritto ed  hanno
gia' subito la decurtazione della indennita' speciale giudiziaria. 
    Alla luce dei predetti rilievi,  va  sollevata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 22  del  decreto-legge
n. 78/2010 cit., quale risultante dalle modifiche introdotte  con  la
legge di conversione, nella parte in cui dispone: 
        a)  che  «non  [fossero]  erogati,  senza   possibilita'   di
recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed  il  conguaglio
del triennio 2010-2012»; 
        b) che «per il triennio  2013-2015  l'acconto  spettante  per
l'anno 2014 [fosse] pari alla misura gia' prevista per l'anno 2010  e
il conguaglio per l'anno 2015 [venisse] determinato  con  riferimento
agli anni 2009, 2010 e 2014; 
        c) che «l'indennita' speciale di  cui  all'articolo  3  della
legge 19 febbraio 1981, n. 27, spettante  negli  anni  2011,  2012  e
2013, [fosse] ridotta del 15 per cento per l'anno 2011,  del  25  per
cento per l'anno 2012 e del  32  per  cento  per  l'anno  2013»,  con
riduzione non operante ai fini previdenziali. 
    Visto l'art. 23 della legge Cost. n. 87/1953; 
    Riservata ogni altra decisione  all'esito  del  giudizio  innanzi
alla  Corte  costituzionale,  alla  quale  va  rimessa  la  soluzione
dell'incidente di costituzionalita';