IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 344 del 2011, proposto da: P.M.T., rappresentato e difeso dall'avv. Michele Mariella, con domicilio eletto presso l'avv. Andrea Speciale, in Ancona, via Calatafimi, 1; Contro Ministero dell'interno, U.T.G. - Prefettura di Pesaro Urbino Sportello Unico per l'Immigrazione, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliati per legge presso la sede della stessa, in Ancona, piazza Cavour, 29; Per l'annullamento, previa sospensione: del provvedimento (Proc. n. 102508/2009) emesso in data 20/1/2011 dallo Sportello Unico per l'Immigrazione di Pesaro e Urbino con il quale e' stato disposto l'annullamento dell'accoglimento della dichiarazione d'emersione del lavoro irregolare prodotta dal sig. D. N. e il rigetto della medesima, in forza della legge n. 102/2009 (c.d. sanatoria colf e badanti), con comunicazione del 20/01/2011, nonche' avverso e per l'annullamento di ogni atto presupposto, consequenziale e/o comunque connesso a quello impugnato se e in quanto lesivo degli interessi del ricorrente, ed in particolare il provvedimento presupposto della Questura di Pesaro e Urbino (nota PAS/Imm/II Sez. s.b. del 12/01/2011). Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'interno e di U.T.G. - Prefettura di Pesaro Urbino Sportello Unico per l'Immigrazione; Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 aprile 2011 il dott. Tommaso Capitanio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; 1. Il sig. T.P.M., cittadino senegalese, impugna il provvedimento con il quale la competente Prefettura di Pesaro e Urbino - Sportello Unico per l'Immigrazione, recependo il pedissequo parere negativo della locale Questura, gli ha negato la c.d. emersione di cui all'art. 1-ter del D.L. 1° luglio 2009, n. 78, convertito nella legge 3 agosto 2009, n. 102 (richiesta dal datore di lavoro sig. N. D. con istanza del 29/9/2009). Il diniego si fonda sulla circostanza che il ricorrente ha subito una condanna definitiva per il reato di cui all'art. 171-ter, comma 1, lett. c.), della legge 22 aprile 1941, n. 633, con pena condonata in applicazione dell'indulto. Tale reato rientra fra quelli che il comma 13 dell'art. 1-ter considera ostativi alla c.d. regolarizzazione, ed in particolare esso, in ragione della pena edittale prevista dalla norma incriminatrice, e' ricompreso fra quelli di cui all'art. 381 c.p.p. 2. L'atto prefettizio e' censurato per i seguenti motivi: incostituzionalita' del predetto art. 1-ter, comma 13, della legge n. 102/2009, nella parte in cui riconnette automaticamente l'impossibilita' di accedere alla c.d. sanatoria alla condanna, anche con sentenza non definitiva, per i reati di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p., senza imporre all'amministrazione di valutare in concreto la pericolosita' sociale del beneficiario dell'emersione. Cio' si pone in contrasto con i principi di uguaglianza e di proporzionalita', in quanto i suddetti articoli del codice di rito penale comprendono anche reati che, pur passibili in astratto di pene edittali significative, non creano in realta' allarme sociale. Inoltre, anche una sola condanna, a volte risalente nel tempo, preclude l'accesso al beneficio previsto dall'art. 1-ter della legge n. 102/2009, il che appare ugualmente confliggere con il principio di proporzionalita'; violazione artt. 179 c.p. e 445 c.p.p., in quanto, alla data di presentazione della domanda di sanatoria, era trascorso il periodo minimo (tre anni) per il conseguimento della riabilitazione, mentre alla data del 1° febbraio 2011 era trascorso anche il quinquennio di cui all'art. 445 c.p.p. 3. Il secondo motivo e' infondato, in quanto: la riabilitazione non consegue automaticamente al decorso del termine triennale, dovendo essere concessa con un formale provvedimento del giudice e a seguito dell'accertamento della sussistenza di tutti i presupposti di legge; poiche' le condizioni per l'accesso alla c.d. sanatoria debbono sussistere con riferimento alla data di presentazione della domanda (domanda che, nella specie, andava presentata entro il 30 settembre 2009), e' del tutto irrilevante che, in data addirittura successiva a quella di adozione del provvedimento impugnato, fosse decorso anche il termine di cui all'art. 445 c.p.p. 4. Poiche', come detto, il reato per il quale il ricorrente e' stato condannato in sede penale rientra fra quelli ostativi all'emersione, il ricorso andrebbe quindi respinto. Peraltro, il Tribunale dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 1-ter, comma 13, della legge n. 102/2009, nella parte in cui riconnette automaticamente l'impossibilita' di accedere alla c.d. sanatoria alla condanna, anche con sentenza non definitiva, per i reati di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p., senza imporre all'amministrazione di valutare in concreto la pericolosita' sociale del beneficiario dell'emersione. 5. A questo riguardo, il Tribunale (anche per ragioni di economia processuale) ritiene di far proprie le argomentazioni rassegnate dal TAR Friuli Venezia Giulia nell'ordinanza 24 febbraio 2011, n. 100, con cui e' stata gia' sollevata la medesima questione di legittimita' costituzionale della norma in questione. Il Tribunale giuliano ha cosi' motivato la richiesta di pronuncia della Consulta: «.....il Collegio ritiene di sollevare, per le ragioni che verranno in prosieguo evidenziate, questione di legittimita' costituzionale della norma applicabile alla fattispecie (e cioe' l'art. 1-ter, comma 13, del D.L. 1° luglio 2009 n. 78, convertito - con modificazioni - in legge 3 agosto 2009 n. 102). 3.2. La rilevanza della questione deriva dalla circostanza che, vigente la norma nella sua attuale formulazione, il ricorso dovrebbe essere rigettato. 3.3. Quanto alla non manifesta infondatezza si osserva quanto segue. L'art. 1-ter, comma 13, per quanto qui rileva, dispone che «Non possono essere ammessi alla procedura di emersione prevista dal presente articolo i lavoratori extracomunitari: a) ... b) ... c) che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella pronunciata anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei reati previsti dagli articoli 380 e 381 del medesimo codice.». Il reato per il quale il ricorrente e' stato condannato vi rientra. Tuttavia pare al Collegio che la disposizione che inibisce la regolarizzazione dello straniero, in presenta di qualsivoglia tipologia di condanna che rientri negli artt. 380 e 381 c.p.p., senza che sia consentito all'Amministrazione di valutarne la rilevanza, in termini di pericolosita' sociale, contrasti col principio di ragionevolezza, proporzionalita' e di parita' trattamento. Quanto al primo aspetto, si ritiene non risponda ai principi di ragionevolezza e proporzionalita' che la medesima, grave, conseguenza della non ammissione alla procedura di emersione (che, merita sottolinearlo, vale a rendere regolari soggetti che gia' vivono da tempo e lavorano nel territorio dello stato in condizioni di precarieta') colpisca, allo stesso modo, gli stranieri che hanno compiuto reati di rilevante gravita', e che generano allarme sociale, e coloro che - al pari del ricorrente - siano incorsi in una sola azione disdicevole, di scarsissimo rilievo penale, dovuta ad un oggettivo stato di bisogno e di disperazione, e che abbiano successivamente seguito un percorso di riabilitazione, o, avendo compreso il disvalore del proprio operato, abbiano in prosieguo tenuto una condotta di vita esente da mende. Ugualmente, pare violare il fondamentale principio di parita' di trattamento di cui all'art. 3 della Costituzione, riservare, con un automatismo che in piu' occasioni e' stato ritenuto costituzionalmente non corretto (sia pure con riferimento a fattispecie diverse da quella all'esame), la medesima sorte a soggetti che si sono bensi' resi colpevoli di azioni di rilevanza penale, ma profondamente diverse per gravita' e intensita' del dolo. Pur essendo pacifico, come la Corte costituzionale ha piu' volte ribadito, che la disciplina della permanenza degli stranieri sul territorio dello Stato e' affidata alla discrezionalita' del legislatore, cui spetta il bilanciamento dei vari interessi in gioco, e' altresi' vero che tale discrezionalita' incontra il limite della ragionevolezza e proporzionalita', come riconosciuto dalla medesima Corte in numerose pronunce (sentenze n. 104 del 1969, n. 144 del 1970 e n. 62 del 1994). Il Collegio e' ben consapevole che la Corte ha dichiarato inammissibili o respinto questioni analoghe a quelle qui sollevate, ad esempio con riferimento all'automatismo che caratterizza il diniego di rinnovo di permesso di soggiorno in presenta di determinati reati (stupefacenti); ma non puo' esimersi dall'osservare che in altre situazioni (si veda, ad esempio, la decisione n. 180/ 08) ha ritenuto di dichiarare la non fondatezza delle questioni sollevate sol perche', medio tempore, la giurisprudenza (in alcuni casi) aveva fornito un'interpretazione piu' «morbida» della norma, e, in altri, lo stesso legislatore (in applicazione di norme o principi comunitari) ne aveva mitigato il rigore con nuove disposizioni, ad esempio prevedendo che, per i soggetti entrati con ricongiungimento familiare e/o per i soggiornanti di lungo periodo, l'Amministrazione non potesse respingere l'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per la sola preesistenza di una condanna, ma dovesse valutare altri ed ulteriori elementi. A contrario, si puo' quindi ritenere che, tendenzialmente, il sistema rifiuti ogni automatismo, idoneo a generare ingiustizie e disparita', perche' contrastante con i richiamati principi di parita' di trattamento e di adeguatezza. In definitiva, il Collegio ... ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1-ter, comma 13, della legge 3.8.09 n. 102, nella parte in cui dispone che non possono essere ammessi alla procedura di emersione tutti coloro che hanno subito qualsiasi condanna che rientri negli artt. 380 e 381 c.p.p., senza che sia consentito all'Amministrazione che istruisce il procedimento valutare la gravita' del reato, l'allarme sociale che lo stesso ha procurato, la condotta successiva tenuta dal soggetto; in una parola, la attuale pericolosita' di colui per il quale e' chiesta la regolarizzazione, per violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalita' e per violazione del principio di parita' di cui all'art. 3 della Costituzione...». 6. In punto di fatto va solo aggiunto che l'odierno ricorrente e' stato condannato - nel 2006 - per avere venduto supporti audio e video duplicati abusivamente (art. 171-ter, comma 1, lett. c), della legge n. 633/1941 e s.m.i.), ossia per un reato che ordinariamente non e' suscettibile di creare particolare allarme sociale. Per cui non e' da escludere a priori che, laddove la legge consentisse una valutazione caso per caso della concreta pericolosita' sociale, la competente Prefettura avrebbe potuto pervenire ad una diversa conclusione del procedimento, previo accertamento dell'insussistenza di altre cause preclusive alla c.d. emersione. 7. Per le ragioni dianzi esposte, il Tribunale solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1-ter, comma 13, della legge n. 102/2009, nella parte in cui riconnette automaticamente l'impossibilita' di accedere alla c.d. sanatoria alla sussistenza di condanne, anche non definitive, per i reati di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p., senza prevedere una valutazione della concreta pericolosita' sociale del lavoratore extracomunitario di cui e' chiesta la regolarizzazione. Il presente giudizio va quindi sospeso nelle more della decisione della Corte costituzionale. Visti gli artt. 134 Cost. e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.