Ordinanza 
 
nel giudizio per conflitto di attribuzione  tra  poteri  dello  Stato
sorto a seguito della deliberazione del Senato della  Repubblica  del
22 luglio 2009, di accoglimento delle conclusioni della Giunta  delle
elezioni e delle immunita' parlamentari, che  dichiara  il  carattere
ministeriale dei  reati  contestati  al  senatore  Roberto  Castelli,
Ministro pro-tempore, promosso dalla Corte di cassazione con  ricorso
depositato in cancelleria il 24 giugno 2011 ed iscritto al n.  9  del
registro  conflitti  tra   poteri   dello   Stato   2011,   fase   di
ammissibilita'. 
    Udito nella camera di consiglio del 18 ottobre  2011  il  Giudice
relatore Paolo Grossi. 
    Ritenuto che, con ordinanza-ricorso del 5 maggio 2011,  la  Corte
di cassazione ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato in  relazione  alla  deliberazione  assunta  dal  Senato  della
Repubblica nella seduta del 22 luglio 2009, con la  quale  dichiarava
il carattere  ministeriale  dei  reati  di  ingiuria  e  diffamazione
contestati al  senatore  Roberto  Castelli  ai  danni  dell'onorevole
Oliviero Diliberto in riferimento a talune espressioni profferite dal
primo  nei  confronti  del  secondo  nel  corso  della   trasmissione
televisiva Telecamere, trasmessa il 21 marzo 2004, e la  sussistenza,
in ordine a tali reati, della finalita' di cui all'art. 9,  comma  3,
della legge costituzionale 16 gennaio 1989,  n.  1  (Modifiche  degli
articoli  96,  134  e  135   della   Costituzione   e   della   legge
costituzionale  11  marzo  1953,  n.  1,  e  norme  in   materia   di
procedimenti per i reati di cui all'articolo 96 della Costituzione); 
        che, a tal proposito, la Corte ricorrente riferisce di essere
stata  investita  a  seguito  di  ricorso  proposto  dal  Procuratore
generale presso la Corte di  appello  di  Roma  avverso  la  sentenza
pronunciata dal Tribunale della medesima citta' il 6  novembre  2009,
con la quale il senatore Castelli  e'  stato  assolto  dai  reati  di
ingiuria e diffamazione commessi con il  mezzo  televisivo  ai  danni
dell'onorevole Diliberto, in quanto  «non  punibile,  trattandosi  di
opinioni espresse per il perseguimento  di  un  preminente  interesse
pubblico nell'esercizio della funzione di governo»; 
        che,  nel  riferire  le   complesse   vicende   che   avevano
contrassegnato   l'iter   processuale,   la   Corte   ricorrente   ha
sottolineato  che  il  pubblico   ministero   aveva   preliminarmente
investito il Tribunale  dei  ministri  della  questione  relativa  al
carattere ministeriale del reato contestato, trasmettendo gli atti ai
sensi dell'art. 6 della  legge  costituzionale  n.  1  del  1989,  ma
l'apposito Collegio aveva declinato la propria competenza,  ritenendo
che i fatti integrassero un reato comune; 
        che il  procedimento  aveva  subito,  poi,  una  sospensione,
essendo emerso che il Senato, con deliberazione del 30  giugno  2004,
aveva dichiarato la insindacabilita', ex art. 68 della  Costituzione,
delle  espressioni  usate  dal  senatore  Castelli,   affermando   la
estensibilita' della deliberazione pronunciata  in  riferimento  alla
causa civile promossa dall'onorevole Diliberto al procedimento penale
avente il medesimo oggetto; 
        che, sollevato conflitto di attribuzione da parte del Giudice
per le indagini preliminari, il ricorso stesso era stato  accolto  da
questa Corte, con sentenza n. 304 del 2007; 
        che, tuttavia, disposto il rinvio  a  giudizio  del  senatore
Castelli, quest'ultimo aveva richiesto al Presidente del Senato della
Repubblica che la vicenda venisse riesaminata alla luce dell'art.  96
Cost.,  trattandosi  di  dichiarazioni  connesse  alla  funzione   di
Ministro della giustizia, all'epoca esercitata; 
        che, a seguito di  tale  richiesta,  l'Assemblea  del  Senato
aveva adottato la deliberazione del 22  luglio  2009,  con  la  quale
erano state accolte le conclusioni  della  Giunta  delle  elezioni  e
delle immunita', dichiarando, appunto, il carattere ministeriale  dei
reati contestati al senatore Castelli, quale Ministro pro tempore,  e
la sussistenza, in ordine ai medesimi reati, della finalita'  di  cui
all'art. 9, comma 3, della legge costituzionale n. 1 del 1989; 
        che tali conclusioni erano state poi recepite dal  Tribunale,
davanti al quale il processo era ripreso fino  alla  pronuncia  della
sentenza avverso la quale  il  Procuratore  generale  aveva  proposto
ricorso, denunciando «la violazione dell'art. 96 Cost.  in  relazione
alla corretta interpretazione della categoria del reato ministeriale;
la violazione della l.  cost.  n.  1  del  1989,  in  relazione  alla
individuazione dell'organo cui spetta  stabilire  la  ministerialita'
dei  reati;  la  erronea  applicazione  dell'art.  134  Cost.   sulla
individuazione  dell'organo  cui  e'  riconosciuta  la  competenza  a
dirimere i conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato»; 
        che, tanto premesso in punto di fatto, la Corte  rileva  come
il giudice a quo abbia errato nel ritenere nella  specie  applicabile
la guarentigia dell'art. 96 Cost., dovendosi reputarsi esclusi, dalla
categoria dei reati ministeriali, quelli per i quali sia  ravvisabile
soltanto un nesso di mera occasionalita' tra la condotta illecita del
ministro e l'esercizio delle funzioni, come  chiaramente  emergerebbe
dallo  stesso  tenore  delle  espressioni  contestate   al   senatore
Castelli; 
        che  la  conseguenza   diretta   di   cio',   vale   a   dire
l'annullamento della sentenza impugnata,  comporterebbe  pero'  -  ad
avviso della  Corte  ricorrente  -  la  necessita'  di  esaminare  la
deliberazione del Senato con la quale e' stato  parimenti  dichiarato
il carattere ministeriale dei reati: delibera sulla quale si  e'  poi
fondata la  ulteriore  decisione  relativa  alla  applicazione  della
finalita' esimente prevista dall'art. 9, comma  3,  della  richiamata
legge costituzionale n. 1 del 1989; 
        che  al  riguardo  -  sottolinea  la  Corte,  aderendo   alle
deduzioni poste  a  base  del  ricorso  del  Procuratore  generale  -
verrebbe, nella specie, in considerazione il fatto che sarebbe  stata
«formalizzata dal Senato una delibera di diniego di autorizzazione  a
procedere, ossia di una condizione  di  procedibilita'  del  processo
penale in corso, in assenza dei  presupposti  previsti  dall'art.  96
Cost. per l'esercizio di tale prerogativa, dal momento che, in base a
tale norma ed alla disciplina prevista dalla legge costituzionale  n.
1 del 1989, non spettava all'Organo parlamentare  la  valutazione  in
ordine alla natura ministeriale del reato,  rimessa  invece  in  modo
esclusivo all'Autorita' giudiziaria»; 
        che quest'ultimo assunto sarebbe stato avallato non  soltanto
dalla giurisprudenza di legittimita', ma anche dalla sentenza n.  241
del 2009 di questa  Corte,  ove  si  e'  affermato  che,  qualora  il
Tribunale dei  ministri  abbia  espresso  la  propria  determinazione
escludendo il carattere ministeriale del reato oggetto  di  indagini,
la Camera competente  ha  solo  la  possibilita',  nel  dissenso,  di
sollevare conflitto di attribuzione davanti a questa Corte, assumendo
di  essere  stata  menomata   dalla   autorita'   giudiziaria   nella
prerogativa riconosciutale dall'art. 96 Cost. 
        che, pertanto - conclude la Corte ricorrente - il Senato  non
aveva il potere di negare l'autorizzazione a procedere,  ne'  risulta
che tale aspetto sia stato in alcun modo considerato, posto  che  dai
lavori parlamentari emerge solo che e' stato valutato e censurato  il
merito del provvedimento adottato dal Tribunale dei ministri; 
        che la deliberazione impugnata, dunque,  sarebbe  illegittima
ed invasiva delle  attribuzioni  del  potere  giudiziario,  cosi'  da
indurre la  medesima  Corte  ricorrente  a  sollecitare  direttamente
attraverso il conflitto - senza  far  luogo  a  giudizio  di  rinvio,
reputato  superfluo  -  la  rimozione  della  deliberazione   stessa,
chiedendo conclusivamente  a  questa  Corte  di  dichiarare  che  non
spettava   al   Senato   della   Repubblica   deliberare,   ai   fini
dell'esercizio della prerogativa di cui all'art.  96  Cost.,  che  le
frasi  pronunciate  dall'allora  Ministro  della  giustizia   Roberto
Castelli  nel  corso  della  predetta   trasmissione,   oggetto   del
procedimento  penale  in  relazione  al  quale  pende   ricorso   per
cassazione, integravano un reato avente natura ministeriale in quanto
commessi nell'esercizio delle funzioni. 
    Considerato che,  in  questa  fase  del  giudizio,  la  Corte  e'
chiamata, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge  11
marzo 1953, n. 87, a delibare, senza contraddittorio, se  il  ricorso
sia ammissibile in quanto vi sia «materia  di  un  conflitto  la  cui
risoluzione spetti alla sua competenza»,  sussistendone  i  requisiti
soggettivo ed oggettivo  e  restando  impregiudicata  ogni  ulteriore
questione, anche in punto di ammissibilita'; 
        che,  sotto  il  profilo   del   requisito   soggettivo,   va
riconosciuta la legittimazione della Corte di cassazione a  sollevare
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato,  in  quanto  organo
giurisdizionale,  in  posizione  di  indipendenza  costituzionalmente
garantita, competente a dichiarare definitivamente  la  volonta'  del
potere cui appartiene nell'esercizio delle funzioni attribuitegli; 
        che, parimenti, deve essere  riconosciuta  la  legittimazione
del Senato della Repubblica ad essere parte del  presente  conflitto,
quale organo competente a dichiarare in modo definitivo  la  volonta'
del potere cui appartiene; 
        che, per  quanto  attiene  al  profilo  oggettivo,  la  Corte
ricorrente lamenta la lesione della  propria  sfera  di  attribuzioni
costituzionalmente garantite, in conseguenza di un esercizio ritenuto
illegittimo, per inesistenza dei relativi presupposti, del potere  di
dichiarare, da  parte  del  Senato  della  Repubblica,  il  carattere
ministeriale dei reati  di  ingiuria  e  diffamazione  contestati  al
senatore  Roberto  Castelli  in  riferimento  a  talune   espressioni
profferite nei confronti dell'onorevole Oliviero Diliberto nel  corso
di una trasmissione televisiva e la sussistenza,  in  ordine  a  tali
reati, della finalita' di  cui  all'art.  9,  comma  3,  della  legge
costituzionale n. 1 del 1989; 
        che, dunque,  esiste  la  materia  di  un  conflitto  la  cui
risoluzione spetta alla competenza della Corte.