Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma  1,
lettera t), della legge della Regione Lombardia 27 dicembre 2010,  n.
21, recante «Modifiche alla legge regionale 12 dicembre 2003,  n.  26
(Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme
in materia di gestione dei  rifiuti,  di  energia,  di  utilizzo  del
sottosuolo e di risorse idriche), in attuazione  dell'art.  2,  comma
186-bis,  della  legge  23  dicembre  2009,  n.  191»,  promosso  dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso  notificato  il  25
febbraio-2 marzo 2011, depositato in cancelleria il 1° marzo 2011  ed
iscritto al n. 12 del registro ricorsi 2011. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Lombardia; 
    Udito nell'udienza  pubblica  del  18  ottobre  2011  il  Giudice
relatore Franco Gallo; 
    Uditi l'avvocato dello Stato Giacomo Aiello per il Presidente del
Consiglio dei ministri e l'avvocato Beniamino Caravita di Toritto per
la Regione Lombardia. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ricorso notificato il 25 febbraio 2011 e  depositato  il
successivo 1° marzo (r. ric. n.  12  del  2011),  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri ha impugnato l'art. 1, comma  1,  lettera  t),
della legge della Regione Lombardia 27 dicembre 2010, n. 21,  recante
«Modifiche alla legge regionale 12 dicembre 2003, n.  26  (Disciplina
dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in  materia
di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e  di
risorse idriche), in attuazione dell'art.  2,  comma  186-bis,  della
legge 23 dicembre 2009, n.  191»,  per  la  parte  in  cui  introduce
nell'art. 49 della legge regionale n. 26 del 2003 i commi 2, 4  e  6,
lettera c). La disposizione e' impugnata in riferimento all'art. 117,
secondo comma, lettere e), l), m), s), della  Costituzione,  nonche',
limitatamente all'introduzione del comma 2 nell'art. 49  della  legge
reg. n. 26 del 2003, in riferimento anche all'art. 117, primo  comma,
Cost. 
    Il citato  comma  2  stabilisce  che  «Gli  enti  locali  possono
costituire una societa' patrimoniale d'ambito ai sensi  dell'articolo
113, comma 13, del d.lgs. 267/2000, a condizione che questa sia unica
per ciascun ATO  [ambito  territoriale  ottimale]  e  vi  partecipino
direttamente o indirettamente mediante conferimento della  proprieta'
delle reti, degli impianti, delle altre  dotazioni  patrimoniali  del
servizio idrico integrato e, in caso di partecipazione indiretta, del
relativo ramo d'azienda, i comuni rappresentativi  di  almeno  i  due
terzi del numero dei comuni dell'ambito». Il  comma  4  del  medesimo
articolo della legge regionale prevede che la  societa'  patrimoniale
d'ambito  «In  ogni  caso  [...]  pone  a  disposizione  del  gestore
incaricato della gestione del servizio le reti,  gli  impianti  e  le
altre dotazioni patrimoniali» e  che  «L'ente  responsabile  dell'ATO
puo' assegnare alla societa' il compito  di  espletare  le  gare  per
l'affidamento del servizio, le attivita' di progettazione preliminare
delle  opere  infrastrutturali  relative  al  servizio  idrico  e  le
attivita' di collaudo delle stesse». Il successivo comma  6,  lettera
c), dispone che, al fine di ottemperare nei  termini  all'obbligo  di
affidamento  del  servizio  al  gestore  unico,  l'ente  responsabile
dell'ambito territoriale ottimale, tramite l'Ufficio d'ambito di  cui
all'art. 48 della stessa legge reg. n.  26  del  2003,  effettua  «la
definizione dei criteri per il trasferimento dei beni e del personale
delle gestioni esistenti». 
    2. - Con riguardo all'art. 1, comma 1, lettera t), per  la  parte
in cui introduce il comma 2 nell'art. 49 della  legge  della  Regione
Lombardia  n.  26  del  2003,  il   ricorrente   afferma   che   tale
disposizione, nell'autorizzare «ai sensi dell'articolo 113, comma 13,
del  d.lgs.  267/2000»,   il   conferimento   in   proprieta'   delle
infrastrutture idriche a societa' patrimoniali  d'ambito  a  capitale
interamente pubblico, non cedibile, viola:  a)  l'art.  117,  secondo
comma, lettere e), l), m), s), Cost.; b)  l'art.  117,  primo  comma,
Cost. 
    Quanto alla violazione del secondo comma dell'art. 117 Cost.,  il
ricorrente si duole che la disposizione impugnata  contrasta  con  la
seguente normativa statale, adottata nell'esercizio della  competenza
legislativa  esclusiva  in  materia  di  tutela  della   concorrenza,
ordinamento  civile,  determinazione  dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni  dei  diritti  civili  e  sociali,  tutela  dell'ambiente
(articolo 117, secondo comma, lettere e, l, m, s): a) i commi 5 e  11
dell'art.  23-bis  del  decreto-legge  25   giugno   2008,   n.   112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la  semplificazione,
la competitivita', la stabilizzazione della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla  legge
6 agosto 2008, n. 133; b) l'art. 143, comma 1, del  d.lgs.  3  aprile
2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), il  quale,  in  combinato
disposto con gli artt. 822, 823 e 824 del codice civile, qualifica le
infrastrutture   idriche   come   beni   demaniali   e   ne   dispone
l'inalienabilita' «se non nei  modi  e  nei  limiti  stabiliti  dalla
legge». 
    Secondo la difesa dello  Stato,  il  conferimento  in  proprieta'
previsto  dall'impugnato  comma  2  dell'art.  49  non  puo'  trovare
fondamento  nell'espresso  richiamo  che  tale   comma   opera   alla
disciplina statale di cui al  comma  13  dell'art.  113  del  decreto
legislativo  18  agosto  2000,  n.  267  (Testo  unico  delle   leggi
sull'ordinamento degli enti locali), in seguito indicato  come  TUEL.
La  disposizione   da   ultimo   citata,   infatti,   sarebbe   stata
implicitamente abrogata dai commi 5 e 11 dall'art. 23-bis del  citato
decreto-legge n. 112 del  2008.  Dal  comma  5,  che,  affermando  il
principio della proprieta' pubblica delle reti, ne vieta la  cessione
a soggetti privati quali  sono  le  societa'  patrimoniali  d'ambito,
nonostante il loro capitale totalmente pubblico; dal  comma  11,  che
dispone  l'abrogazione   dell'art.   113   del   TUEL   nelle   parti
incompatibili con il menzionato art.  23-bis.  Con  tale  abrogazione
sarebbe venuta meno la norma statale dalla quale il comma 2 impugnato
traeva l'autorizzazione a intervenire in una materia  riservata  alla
legislazione esclusiva dello  Stato  dall'art.  117,  secondo  comma,
lettere l) e s). 
    In  subordine,   la   difesa   erariale   deduce   il   contrasto
dell'impugnato comma 2 con la normativa statale vincolante in tema di
servizio idrico integrato di cui all'art. 143, comma 1,  del  decreto
legislativo 3 aprile 2006, n.  152  (Norme  in  materia  ambientale).
Quest'ultimo  stabilisce  che  «Gli  acquedotti,  le  fognature,  gli
impianti  di  depurazione  e  le  altre  infrastrutture  idriche   di
proprieta' pubblica, fino al punto di consegna  e/o  di  misurazione,
fanno parte del demanio ai sensi  dell'art.  822  e  ss.  del  codice
civile e sono inalienabili se non nei modi  e  nei  limiti  stabiliti
dalla legge». Da tale articolo, nella sua connessione sistematica con
gli artt. 822, 823 e  824  del  cod.  civ.,  si  evince,  secondo  il
ricorrente, che gli acquedotti provinciali e comunali  sono  soggetti
al   regime   del   demanio   pubblico.   Di   qui   l'illegittimita'
costituzionale  del  denunciato  comma  2,  in  quanto  autorizza  il
trasferimento della proprieta' degli impianti a societa'  di  diritto
privato che si trovano in posizione di autonomia soggettiva  rispetto
agli enti pubblici che ne sono soci. 
    Quanto alla violazione del primo comma dell'art.  117  Cost.,  il
Presidente del Consiglio dei ministri  lamenta  che  la  disposizione
impugnata   disattende   un   vincolo   derivante    dall'ordinamento
comunitario e reso operante attraverso l'art. 15,  comma  1-ter,  del
decreto-legge 25 settembre 2009, n.  135  (Disposizioni  urgenti  per
l'attuazione di obblighi comunitari e per  l'esecuzione  di  sentenze
della Corte di giustizia delle Comunita'  europee),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, il quale prevede
che «tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico
integrato devono avvenire nel  rispetto  dei  principi  di  autonomia
gestionale del soggetto gestore e di piena  ed  esclusiva  proprieta'
pubblica delle risorse idriche». 
    2.1. - Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  ha  impugnato
anche l'art. 1, comma 1, lettera t), per la parte in cui introduce il
comma 4 nell'art. 49 della legge reg. Lombardia n. 26 del 2003.  Tale
comma e' censurato in quanto, prevedendo la possibilita' di assegnare
alla societa' patrimoniale d'ambito il compito di espletare  le  gare
per l'affidamento del servizio, si porrebbe in contrasto  con  l'art.
150, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 e con l'art.  12,  comma  1,
lettera b), del d.P.R. 7  settembre  2010,  n.  168  (Regolamento  in
materia di servizi pubblici locali di rilevanza  economica,  a  norma
dell'articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008,  n.
112, convertito, con modificazioni, dalla legge  6  agosto  2008,  n.
133). La suddetta normativa  statale  prevede,  infatti,  che  spetti
all'Autorita' d'ambito aggiudicare la gestione  del  servizio  idrico
integrato. La riserva alla legge statale del potere di  attribuire  a
diversi organi ed enti le funzioni gia' di competenza  degli  ATO  e'
confermata, secondo la difesa erariale, dall'art. 2,  comma  186-bis,
della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la  formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  -  legge  finanziaria
2010), il quale, nel prevedere la soppressione  delle  AATO,  ammette
soltanto la loro attribuzione in blocco ad altro, unico soggetto, non
anche, come previsto dalla disposizione  regionale,  lo  scorporo  di
singole attribuzioni da devolvere a soggetti diversi. 
    2.2. - L'art. 1, comma 1, lettera t), della legge reg.  Lombardia
n. 21 del 2010 e' impugnato, infine, per la parte  in  cui  introduce
nell'art. 49 della citata legge della Regione  Lombardia  n.  26  del
2003  il  comma  6,  lettera  c),  il  quale   attribuisce   all'ente
responsabile dell'ATO la competenza  a  definire  i  criteri  per  il
trasferimento dei beni e del personale delle gestioni  esistenti.  La
norma, secondo l'Avvocatura dello  Stato,  si  collega  all'impugnato
comma 2 del medesimo art. 49, perche' presuppone il trasferimento  di
proprieta' da questa autorizzato. Siffatto trasferimento - secondo la
gia' illustrata doglianza del  ricorrente  -  e',  tuttavia,  vietato
dalla legge statale. Ne consegue, secondo la difesa dello Stato,  che
al comma 6, lettera  c),  del  citato  art.  49  sono  riferibili  le
medesime censure formulate rispetto  al  comma  2  dell'art.  49  nel
precedente punto 2. 
    3. - Si e' costituita in giudizio la Regione  Lombardia,  che  ha
chiesto di dichiarare  la  questione  non  fondata  e,  limitatamente
all'impugnazione del richiamato comma 6,  lettera  c),  inammissibile
per genericita' della censura. 
    3.1. - In merito all'impugnazione del comma 2  dell'art.  49,  la
difesa regionale nega che il comma 13  dell'art.  113  del  TUEL  sia
stato implicitamente abrogato dall'art. 23-bis del  decreto-legge  n.
112 del 2008. Si osserva in proposito che l'art. 23-bis prevede - nel
comma 11 - l'abrogazione delle disposizioni previgenti incompatibili,
ma demanda pure - nel comma 10, lettera m) -  ad  un  regolamento  di
delegificazione l'espressa individuazione delle norme da abrogare.  E
l'art. 12, comma 1, lettera a), di tale regolamento  (d.P.R.  n.  168
del 2010) indica quali norme abrogate - a decorrere  dall'entrata  in
vigore dell'atto regolamentare di cui e' parte - i commi 5, 5-bis, 6,
7, 8, 9, escluso il primo periodo, 14, 15-bis, 15-ter e 15-quater del
menzionato art. 113 del TUEL, senza fare menzione del  comma  13.  Di
qui la conclusione che il comma 13 dell'art. 113 del TUEL, al quale -
come visto - l'impugnato comma 2 dell'art. 49 si richiama  quale  suo
fondamento, deve considerarsi pienamente vigente. 
    Inoltre,  prosegue  la  resistente,  non   sussisterebbe   alcuna
incompatibilita' fra il predetto art. 23-bis e il comma 13  dell'art.
113  del  TUEL.  Quest'ultimo,   argomenta   la   difesa   regionale,
autorizzando il conferimento  della  «proprieta'  delle  reti,  degli
impianti e delle altre dotazioni patrimoniali a societa'  a  capitale
interamente pubblico» e sancendone l'incedibilita',  non  contraddice
il comma 5 dell'art. 23-bis, il quale stabilisce  che  la  proprieta'
delle  reti  e'  pubblica.  Alle  societa'   patrimoniali,   infatti,
dovrebbero essere attribuite «le funzioni che  normalmente  competono
ai soggetti proprietari, senza  che  cio'  metta  in  discussione  lo
status  pubblicistico  di  tali  funzioni   e   dei   relativi   beni
infrastrutturali». Il modello della separazione  fra  gestione  delle
reti ed erogazione del servizio sarebbe stato abbandonato  proprio  a
seguito della sentenza di questa Corte  n.  307  del  2009,  e  cio',
secondo la difesa regionale, renderebbe possibile  l'affidamento  del
servizio idrico integrato a un gestore unico di natura privatistica. 
    Ugualmente insussistente, secondo la difesa regionale, sarebbe il
contrasto  dell'impugnato  comma  2  dell'art.  49  con  il  comma  1
dell'art. 143 del d.lgs. n. 152 del 2006 -  il  quale  assoggetta  le
reti e le infrastrutture idriche al regime  del  demanio  pubblico  -
nonche' con la disciplina dei beni demaniali cui tale comma fa rinvio
(artt. 822 e  seguenti  del  codice  civile).  Infatti,  la  societa'
patrimoniale d'ambito, al di  la'  della  veste  formale  di  diritto
privato, «costituisce chiaramente un'articolazione  funzionale  degli
enti locali», come emerge dalla circostanza che detta  societa'  deve
possedere un capitale interamente pubblico di  cui  e'  espressamente
sancita  l'incedibilita'.  Il  modello   gestionale   prescelto   dal
legislatore regionale, prosegue la Regione Lombardia,  e'  stato  del
resto  applicato  ai  beni  del  demanio  pubblico.  L'art.   7   del
decreto-legge 15 aprile  2002,  n.  63  (Disposizioni  finanziarie  e
fiscali urgenti in  materia  di  riscossione,  razionalizzazione  del
sistema  di  formazione  del   costo   dei   prodotti   farmaceutici,
adempimenti    ed    adeguamenti    comunitari,    cartolarizzazioni,
valorizzazione del patrimonio e finanziamento delle  infrastrutture),
convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n. 112 ha,
difatti, istituito la «Patrimonio dello Stato S.p.A.»,  una  societa'
per azioni il cui capitale  e'  interamente  detenuto  dal  Ministero
dell'economia e delle finanze, prevedendo, nel  comma  10,  che  alla
menzionata  societa'  possano  essere  trasferiti  «diritti  pieni  o
parziali (...) su beni  immobili  facenti  parte  del  demanio  dello
Stato», senza che il trasferimento modifichi il regime giuridico  dei
beni demaniali trasferiti.  Anche  la  giurisprudenza  costituzionale
relativa al principio di pubblicita'  delle  acque  confermerebbe,  a
detta della Regione resistente, la legittimita' del  conferimento  in
proprieta' di infrastrutture idriche operato dall'impugnato  comma  2
dell'art. 49. Dalla sentenza di questa Corte  n.  259  del  1996,  in
particolare, emergerebbe che il principio di pubblicita' delle  acque
deve essere interpretato in una prospettiva  teleologica,  nel  senso
che esso  va  inteso  come  strumentale  alla  garanzia  del  massimo
godimento possibile dei beni idrici, indipendentemente dal regime  di
proprieta' che li conforma. 
    3.2. - Quanto al comma 4 dell'art. 49 della legge reg. n. 26  del
2003,  impugnato  perche',  consentendo  di  «sottrarre  all'ATO   la
competenza ad aggiudicare la gestione del servizio idrico integrato»,
violerebbe l'art. 150, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, la difesa
regionale deduce che la censura statale muove  da  una  ricostruzione
inesatta del quadro normativo. Si afferma, al riguardo, che il potere
di  riallocazione  delle  funzioni   precedentemente   svolte   dalle
soppresse Autorita' d'ambito territoriale ottimale (AATO)  -  che  lo
Stato contesta alla Regione di essersi arbitrariamente assegnato - e'
stato in realta' attribuito alle Regioni dal legislatore statale, dal
comma 186-bis dell'art. 2, della legge n. 191 del 2009. Questo  comma
ha stabilito la soppressione delle Autorita'  d'ambito  operanti  nei
settori del servizio idrico integrato e dei rifiuti a  decorrere  dal
1° gennaio 2011 e ha inoltre previsto che le  Regioni,  entro  il  31
dicembre  2010,  debbano  attribuire  con  legge  le  funzioni  prima
esercitate dalle Autorita' d'ambito, nel  rispetto  dei  principi  di
sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza. In conformita' con il
predetto comma 186-bis - che ha trasferito alle Regioni  la  potesta'
di distribuire funzioni per  l'innanzi  riconducibili  ad  ambiti  di
legislazione statale esclusiva - la legge regionale n. 21  del  2010,
cui appartiene il denunciato comma 4, ha stabilito  che  le  funzioni
spettanti  alle  soppresse  AATO  in  materia  di   servizio   idrico
integrato, a decorrere dal 1°  gennaio  2011,  siano  conferite  alle
Province e, limitatamente alla citta' di Milano, al Comune di Milano.
In questa cornice normativa, il denunciato comma 4 si  pone,  secondo
la difesa regionale, come adempimento necessario  della  legislazione
statale e non viola, percio', l'art. 150 del d.lgs. n. 152 del  2006.
Inoltre, prosegue la Regione resistente, le funzioni delle  soppresse
AATO non devono essere assegnate "in blocco" ad  un  unico  soggetto,
come sostiene la difesa erariale, poiche' nessuna indicazione in  tal
senso si trae dal richiamato comma 186-bis. Al contrario,  la  scelta
di assegnare alle societa' patrimoniali la possibilita' di  espletare
le gare per l'affidamento del servizio e le altre attivita'  connesse
alla progettazione e al collaudo delle infrastrutture e', a  giudizio
della  difesa  regionale,  l'unica  opzione   capace   di   garantire
l'efficienza complessiva del sistema del  servizio  idrico  integrato
una  volta  soppressa  una  struttura  intermedia  quale  l'Autorita'
d'ambito. 
    4. - In prossimita'  dell'udienza  pubblica,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri ha presentato ulteriori  memorie  nelle  quali
rileva che, per effetto del referendum popolare svoltosi il 12  e  13
giugno 2011, il piu' volte richiamato art. 23-bis  del  decreto-legge
n. 112 del 2008 e' stato abrogato, ma che  permane  l'interesse  alla
decisione della causa, poiche' il tema della  proprieta'  delle  reti
non e' stato inciso in alcun modo dall'esito referendario. La  difesa
erariale  ribadisce  che  il  predetto  art.  23-bis  ha  determinato
l'abrogazione per incompatibilita' del comma  13  dell'art.  113  del
TUEL e osserva che  l'intervenuta  abrogazione  in  via  referendaria
dello stesso art. 23-bis non fa rivivere automaticamente il comma 13,
come del resto avrebbe chiarito la sentenza di questa Corte n. 24 del
2011.  Secondo  l'Avvocatura  dello  Stato,  nel   quadro   normativo
risultante dall'abrogazione referendaria dell'art. 23-bis verrebbe in
rilievo  la  direttiva  2004/17/CE  del  Parlamento  europeo  e   del
Consiglio, del 31 marzo 2004, che coordina le  procedure  di  appalto
degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono
servizi di trasporto e servizi postali. Tale direttiva,  prosegue  la
difesa erariale, nulla prescrive in merito al regime giuridico  delle
infrastrutture, e anzi, nel considerando  n.  10,  prevede  che  «sia
lasciato impregiudicato il regime di proprieta' esistente negli Stati
membri»,  in  cio'  conformandosi  all'art.  345  del  Trattato   sul
funzionamento dell'Unione europea (in seguito indicato come TFUE) che
pone  la  medesima  norma  quale  principio  generale   del   diritto
dell'Unione. In conclusione,  la  natura  pubblica  della  proprieta'
delle reti sarebbe tuttora  prevista,  dovendosi  ancora  considerare
applicabile il comma 1 dell'art. 143 del d.lgs. n. 152  del  2006;  e
con il regime  pubblico  della  proprieta'  contrasterebbe  la  norma
regionale impugnata, la  quale,  conferendo  in  proprieta'  le  reti
idriche, le trasformerebbe  in  patrimonio  aziendale  privato  e  le
renderebbe pertanto soggette a trasferimento in favore di un terzo  o
ad azioni esecutive, con violazione degli artt. 822, 823  e  824  del
codice   civile.   Ne    resterebbe    confermata    l'illegittimita'
costituzionale del comma 2 dell'art. 49 della legge reg.  n.  26  del
2003. 
    4.1. - Quanto al comma 4 dell'art. 49 della legge reg. n. 21  del
2010, come introdotto dall'impugnato art. 1, comma 1, lettera t),  la
difesa erariale osserva che esso era stato denunciato,  nel  ricorso,
per il contrasto con il comma 2 dell'art. 150 del d.lgs. n.  152  del
2006 e con il comma 1, lettera b), dell'art. 12 del d.P.R. n. 168 del
2010. La richiamata abrogazione referendaria del citato  art.  23-bis
del decreto-legge n. 133 del 2008 ha fatto venire meno il  fondamento
normativo  del  d.P.R.  da  ultimo  citato,  ma  non  ha  toccato  il
richiamato art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006 se non nelle  parti  -
non rilevanti per la questione - che erano state  modificate  proprio
dal menzionato d.P.R. n. 168 del  2010.  Di  qui  la  permanenza  del
denunciato  contrasto  con  l'art.  150,  nella  parte  in  cui  esso
attribuisce all'ATO (e comunque,  in  seguito  alla  soppressione  di
questo  organismo  intermedio,  agli  enti  cui  le   Regioni   hanno
trasferito le relative funzioni)  la  competenza  ad  aggiudicare  la
gestione del servizio idrico integrato  «mediante  gara  disciplinata
dai principi e dalle disposizioni comunitarie». 
    5. - Anche la Regione Lombardia ha presentato  ulteriori  memorie
difensive in prossimita' dell'udienza. La Regione contesta  anzitutto
l'assunto della difesa statale secondo il  quale  l'art.  23-bis  del
decreto-legge n. 112 del 2008 avrebbe abrogato il comma 13  dell'art.
113 del TUEL. Si osserva, in proposito,  che  l'art.  23-bis  prevede
l'abrogazione delle disposizioni con esso incompatibili  e  che  tali
disposizioni sono state puntualmente ed  espressamente  elencate  nel
menzionato d.P.R. n. 168 del 2010 e in particolare nell'art. 12 comma
1, lettera a), il quale non menziona il comma 13, che per questo deve
ritenersi tuttora vigente. 
    Dell'abrogazione,  si  prosegue  nelle  memorie,  mancherebbe  il
presupposto sostanziale, non ravvisandosi alcuna incompatibilita' fra
il predetto art. 23-bis e il comma 13 dell'art. 113 TUEL. Il comma  5
dell'art. 23-bis, la' dove stabilisce «ferma restando  la  proprieta'
pubblica delle reti, la loro gestione puo' essere affidata a soggetti
privati», dovrebbe essere interpretato, secondo  la  resistente,  nel
senso che «gli enti locali non possono  cedere  la  proprieta'  delle
infrastrutture, ma possono conferire la  proprieta'  delle  stesse  a
societa' patrimoniali a  capitale  interamente  pubblico  incedibile,
perpetuandosi, cosi', per tale via, il regime di proprieta'  pubblica
degli  asset».  In  seguito  all'abrogazione  referendaria  dell'art.
23-bis,  inoltre,  sarebbe  divenuta  immediatamente  applicabile  la
normativa comunitaria, che e' meno restrittiva. Il  diritto  europeo,
infatti, non  impone  obblighi  di  privatizzazione  per  le  imprese
pubbliche o incaricate della gestione di servizi pubblici, in  quanto
nell'art. 345 del TFUE enuncia il principio di  neutralita'  rispetto
al regime pubblico o privato della proprieta'  e  nell'art.  106  del
TFUE,  enuncia  i  principi  di  liberta'   di   definizione   e   di
proporzionalita', stabilendo che le imprese incaricate della gestione
di servizi di interesse economico  generale  o  aventi  carattere  di
monopolio  fiscale  sono  sottoposte  alle  norme  del  TFUE,  e   in
particolare  alle  regole  di  concorrenza   «nei   limiti   in   cui
l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento,  in  linea  di
diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata».  Secondo
la Regione Lombardia, la stessa direttiva 2004/17/CE, che disciplina,
fra l'altro, le procedure di appalto degli enti erogatori  di  acqua,
evidenzierebbe la necessita' di tutelare le infrastrutture, anche  al
fine di assicurarne un  utilizzo  capace  di  garantire  il  migliore
svolgimento del servizio  pubblico  alle  comunita'  di  riferimento.
Dalla ricostruzione del quadro normativo di diritto europeo rilevante
in materia risulterebbe confermata  l'infondatezza  della  denunciata
violazione dei  vincoli  derivanti  dall'ordinamento  comunitario  da
parte dell'impugnato comma 2 dell'art. 49 della legge reg.  Lombardia
n. 26 del 2003. 
    Il medesimo comma, secondo la Regione, sarebbe  inoltre  conforme
all'art. 143, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, il  quale  dispone
l'appartenenza al demanio delle infrastrutture idriche di  proprieta'
pubblica.   Tale   disciplina   statale,   infatti,   non    sancisce
l'inalienabilita' assoluta dei predetti beni,  ma  la  consente  «nei
modi e nei limiti stabiliti dalla legge». E non potrebbe certo  dirsi
derogatoria di siffatto  regime  di  inalienabilita'  la  previsione,
nella disposizione  regionale  impugnata,  che  la  proprieta'  delle
infrastrutture idriche possa essere conferita a societa' patrimoniali
a capitale interamente pubblico incedibile. 
    5.1. - In replica alle  censure  formulate  avverso  il  comma  4
dell'art. 49  della  legge  reg.  Lombardia  n.  26  del  2003,  come
sostituito dall'impugnato art. 1, comma 1,  lettera  t),  la  Regione
osserva che il primo periodo di tale comma, ove si  prevede  che  «in
ogni caso la societa' patrimoniale pone a  disposizione  del  gestore
incaricato della gestione del servizio le reti,  gli  impianti  e  le
altre dotazioni patrimoniali», riprende un criterio  enunciato  nella
normativa statale di settore, e precisamente nell'art. 153 del citato
d.lgs. n. 152 del 2006. Quanto alla seconda parte del medesimo  comma
- impugnata  perche'  consentirebbe  alle  societa'  patrimoniali  di
espletare  le  gare  per  l'affidamento  del  servizio  -  la  difesa
regionale rileva che l'ente locale  cui  sono  affidate  le  funzioni
delle   soppresse   AATO   conserva   la   responsabilita'   relativa
all'affidamento  del  servizio,  mentre  alle  societa'  patrimoniali
d'ambito sarebbe assegnato solo il compito di espletare le gare,  non
anche quello di aggiudicare. 
    5.2. - Venendo alla censura concernente il comma 6,  lettera  c),
dell'art. 49 della legge reg. n. 26 del  2003,  come  sostituito  dal
denunciato art. 1, comma 1,  lettera  t),  la  resistente  chiede  di
dichiararla inammissibile  per  la  sua  genericita',  lacunosita'  e
incompiutezza. La disposizione impugnata, si argomenta, si  riferisce
alle aziende che attualmente effettuano il servizio  di  gestione  in
alcune parti del territorio regionale in  assenza  di  un  titolo  di
affidamento coerente con le disposizioni legislative in  materia.  Il
comma impugnato si limiterebbe a prescrivere agli  enti  responsabili
degli ATO la verifica propedeutica all'individuazione di  un  gestore
d'ambito, e farebbe riferimento  ai  dipendenti  delle  aziende  allo
stato operanti e ai beni strumentali i cui costi sono  stati  coperti
dalle tariffe introitate dal servizio. Secondo la  difesa  regionale,
in conclusione, la norma denunciata disciplina oggetti su  cui  nulla
si dice ne' nel ricorso, ne' nelle memorie depositate in vista  della
trattazione in udienza pubblica, che omettono del tutto di richiamare
questa doglianza.  Di  qui  l'inammissibilita',  in  parte  qua,  del
ricorso statale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l'art.
1, comma 1, lettera  t),  della  legge  della  Regione  Lombardia  27
dicembre 2010, n. 21, recante  «Modifiche  alla  legge  regionale  12
dicembre 2003, n. 26 (Disciplina  dei  servizi  locali  di  interesse
economico generale. Norme in materia  di  gestione  dei  rifiuti,  di
energia, di  utilizzo  del  sottosuolo  e  di  risorse  idriche),  in
attuazione dell'art. 2, comma 186-bis, della legge 23 dicembre  2009,
n. 191», per la parte in  cui  introduce  nell'art.  49  della  legge
regionale 12 dicembre 2003, n. 26, i commi 2, 4 e 6, lettera  c).  La
disposizione e' impugnata in riferimento all'art. 117, secondo comma,
lettere e), l), m), s), della  Costituzione,  nonche',  limitatamente
all'introduzione del comma 2 dell'art. 49 della legge reg. n. 26  del
2003, in riferimento anche all'art. 117, primo comma, Cost. 
    Tale comma 2 dell'art. 49 stabilisce che «Gli enti locali possono
costituire una societa' patrimoniale d'ambito ai sensi  dell'articolo
113, comma 13, del d.lgs. 267/2000, a condizione che questa sia unica
per ciascun  ATO  e  vi  partecipino  direttamente  o  indirettamente
mediante conferimento della proprieta' delle  reti,  degli  impianti,
delle altre dotazioni patrimoniali del servizio idrico  integrato  e,
in caso di partecipazione indiretta, del relativo ramo  d'azienda,  i
comuni rappresentativi di almeno i due terzi del  numero  dei  comuni
dell'ambito». Il comma 4 del medesimo articolo della legge  regionale
prevede che la societa' patrimoniale d'ambito  «In  ogni  caso  [...]
pone  a  disposizione  del  gestore  incaricato  della  gestione  del
servizio le reti, gli impianti e le altre dotazioni  patrimoniali»  e
che «L'ente responsabile dell'ATO puo'  assegnare  alla  societa'  il
compito di espletare le  gare  per  l'affidamento  del  servizio,  le
attivita' di progettazione preliminare delle  opere  infrastrutturali
relative al servizio idrico e le attivita' di collaudo delle stesse».
Il  successivo  comma  6,  lettera  c),  dispone  che,  al  fine   di
ottemperare nei termini all'obbligo di affidamento  del  servizio  al
gestore unico, l'ente responsabile dell'ambito territoriale  ottimale
[ATO], tramite l'Ufficio d'ambito di cui  all'art.  48  della  stessa
legge reg. n. 26 del 2003, effettua «la definizione dei  criteri  per
il trasferimento dei beni e del personale delle gestioni esistenti». 
    2. - Con riguardo al  comma  2  dell'art.  49  della  legge  reg.
Lombardia n. 26 del 2003,  il  ricorrente  afferma  che  tale  comma,
nell'autorizzare, «ai sensi dell'articolo 113, comma 13,  del  d.lgs.
267/2000», il conferimento in proprieta' delle reti, degli impianti e
delle altre dotazioni patrimoniali del servizio  idrico  integrato  a
societa' patrimoniali d'ambito a capitale interamente  pubblico,  non
cedibile, viola: a) l'art. 117, secondo comma, lettere  e),  l),  m),
s), Cost.; b) l'art. 117, primo comma, Cost. 
    Quanto alla violazione del secondo comma dell'art. 117 Cost.,  la
difesa dello Stato deduce che la denunciata disposizione si  pone  in
contrasto con la seguente normativa emessa dallo Stato nell'esercizio
della sua competenza legislativa esclusiva nelle materie tutela della
concorrenza   (lettera   e),   ordinamento   civile   (lettera    l),
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni  dei  diritti
civili e sociali (lettera m), tutela dell'ambiente (lettera s): a)  i
commi 5 e «10» [recte: 11]  dell'art.  23-bis  del  decreto-legge  25
giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo  economico,
la  semplificazione,  la  competitivita',  la  stabilizzazione  della
finanza pubblica  e  la  perequazione  tributaria),  convertito,  con
modificazioni,  dalla  legge  6  agosto  2008,  n.  133,   i   quali,
rispettivamente, affermano il principio di pubblicita' delle reti dei
servizi pubblici locali di rilevanza economica ed abrogano l'art. 113
del  d.lgs.  18  agosto  2000,  n.  267  (Testo  unico  delle   leggi
sull'ordinamento degli enti locali) - in seguito indicato  come  TUEL
-, nelle parti incompatibili con lo stesso  art.  23-bis  e,  quindi,
anche nelle parti incompatibili con tale principio di pubblicita'; b)
comunque, l'art. 143, comma 1, del  d.lgs.  3  aprile  2006,  n.  152
(Norme in materia ambientale), il quale, «in lettura  combinata»  con
gli  artt.  822,  823  e  824  del  codice  civile,   assoggetta   le
infrastrutture idriche al regime del demanio pubblico  e  ne  dispone
l'inalienabilita', salvi i casi e i modi stabiliti dalla legge. 
    Quanto alla violazione del primo comma dell'art.  117  Cost.,  la
difesa dello Stato deduce che la denunciata disposizione si  pone  in
contrasto con «un vincolo derivante dall'ordinamento  comunitario  in
ossequio al quale l'art. 15, comma 1-ter del decreto-legge n. 135 del
2009 ha previsto [...]  che  tutte  le  forme  di  affidamento  della
gestione del servizio idrico integrato devono avvenire  nel  rispetto
dei principi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di  piena
ed esclusiva proprieta' pubblica delle risorse idriche». 
    2.1. - Con riferimento alla prospettata violazione dell'art. 117,
secondo comma, Cost., la questione  e'  fondata  nei  limiti  qui  di
seguito precisati. 
    2.1.1. - Al momento dell'emanazione della legge regionale recante
la disposizione impugnata, era gia'  vigente  il  principio  generale
stabilito - per tutti i servizi pubblici locali  (SPL)  di  rilevanza
economica  (salvo  quelli  afferenti  ad  alcuni  specifici  settori,
tassativamente indicati dalla legge statale) - dalla prima parte  del
comma 2 dell'articolo 113 del citato  TUEL,  secondo  cui  «Gli  enti
locali non possono cedere la proprieta' degli impianti, delle reti  e
delle altre dotazioni destinati all'esercizio dei servizi  pubblici»,
salva  la  possibilita',  prevista  dal  successivo  comma   13,   di
«conferire la proprieta'» dei beni medesimi «a  societa'  a  capitale
interamente pubblico, che e' incedibile», purche'  tale  conferimento
«non sia vietato dalle  normative  di  settore».  Sempre  al  momento
dell'emanazione della stessa legge regionale vigeva anche il comma  5
dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112  del  2008  il  quale,  con
riguardo in genere ai SPL di  rilevanza  economica,  stabiliva  -  in
parziale contrasto con detto comma 13 dell'art. 113 del TUEL  -  che,
«Ferma restando la proprieta' pubblica delle reti, la  loro  gestione
puo' essere affidata a soggetti privati». 
    La  disposizione  regionale  censurata  prevede,  sia  pure   con
riferimento alle sole infrastrutture idriche, un caso di cessione  ad
un soggetto di diritto privato - la societa' patrimoniale d'ambito  a
capitale pubblico incedibile - di beni demaniali e,  percio',  incide
sul regime giuridico della proprieta' pubblica.  Essa  va,  pertanto,
ascritta alla materia ordinamento civile, riservata  alla  competenza
legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera l), Cost.  Ne  segue  che  la  Regione  resistente  e'
legittimata a disporre in tale materia solo ove  la  legge  regionale
costituisca attuazione di una specifica normativa statale. 
    2.1.2. - Nella specie, una siffatta normativa statale manca,  non
potendo essa essere individuata nel citato comma 13 dell'art. 113 del
TUEL, nonostante che la stessa disposizione  regionale  impugnata  lo
richiami quale norma statale da attuare. Detto comma 13, infatti, non
poteva  costituire  il  fondamento   della   competenza   legislativa
regionale  in  tema  di  regime  proprietario  delle   infrastrutture
idriche, perche' doveva  ritenersi  gia'  tacitamente  abrogato,  per
incompatibilita', dal comma 5 dell'art. 23-bis del  decreto-legge  n.
112 del 2008, il quale - come  si  e'  visto  -  aveva  stabilito  il
principio  secondo  cui  le  reti  sono  di  «proprieta'   pubblica»;
principio evidentemente in contrasto con il richiamato comma 13,  che
consentiva, invece,  il  conferimento  delle  reti  in  proprieta'  a
societa' di diritto  privato  a  capitale  interamente  pubblico.  Al
riguardo, va osservato che la proprieta' pubblica delle reti implica,
indubbiamente, l'assoggettamento di queste - e, dunque,  anche  delle
reti idriche - al regime giuridico del demanio accidentale  pubblico,
con conseguente divieto di cessione e di mutamento della destinazione
pubblica. In particolare  le  reti,  intese  in  senso  ampio,  vanno
ricomprese, in quanto appartenenti ad enti pubblici territoriali, tra
i beni demaniali, ai sensi del combinato disposto del  secondo  comma
dell'art. 822 e del primo comma dell'art. 824 cod. civ.  Il  comma  1
dell'art. 143 del d.lgs. n. 152 del 2006  (anch'esso  anteriore  alla
disposizione regionale impugnata) conferma la natura demaniale  delle
infrastrutture idriche, dettando una specifica normativa di  settore.
Esso dispone,  infatti,  che:  «Gli  acquedotti,  le  fognature,  gli
impianti  di  depurazione  e  le  altre  infrastrutture  idriche   di
proprieta' pubblica, fino al punto di consegna  e/o  di  misurazione,
fanno parte del demanio ai sensi degli articoli 822  e  seguenti  del
codice civile e sono inalienabili  se  non  nei  modi  e  nei  limiti
stabiliti dalla legge». 
    E', percio', evidente  l'incompatibilita'  del  regime  demaniale
stabilito dal comma 5 dell'art. 23-bis del decreto-legge n.  112  del
2008 e dal comma l dell'art. 143 del d.lgs. n. 152 del  2006  con  il
conferimento in proprieta' previsto dal comma 13  dell'art.  113  del
TUEL. 
    2.1.3. - La  difesa  della  Regione  resistente  obietta  che  la
disposizione impugnata, nel prevedere  espressamente  l'incedibilita'
del capitale della societa' a totale partecipazione  pubblica  e  nel
richiamare  il  comma  13  dell'art.  113  del  TUEL,  garantisce  il
mantenimento  del  regime  giuridico  proprio  dei   beni   demaniali
conferiti in proprieta' alla societa' patrimoniale d'ambito. 
    L'obiezione non e' fondata. 
    E' noto che il patrimonio sociale costituisce una nozione diversa
da  quella  di  capitale  sociale:  il  primo  e'  rappresentato  dal
complesso dei rapporti giuridici, attivi e passivi,  che  fanno  capo
alla societa'; il secondo e' l'espressione  numerica  del  valore  in
denaro  di  quella  frazione  ideale  del  patrimonio  sociale  netto
(dedotte, cioe', le passivita') che e' fissata dall'atto  costitutivo
e non e' distribuibile tra i  soci.  Ne  deriva  che  l'incedibilita'
delle quote od azioni del capitale sociale - sia essa frutto  di  una
pattuizione fra i soci (art. 2341-bis cod. civ.) o, come nel caso  di
specie,  di  una  previsione  legislativa  -   non   comporta   anche
l'incedibilita'  dei  beni  che  costituiscono  il  patrimonio  della
societa'; beni, percio', che  possono  liberamente  circolare  e  che
integrano la garanzia generica dei creditori (art. 2740  cod.  civ.),
limitabile  solo  nei  casi  stabiliti  dalla   legge   dello   Stato
nell'esercizio  della  sua  competenza  esclusiva   in   materia   di
ordinamento  civile.  La  sola  partecipazione  pubblica,   ancorche'
totalitaria, in societa' di capitali non vale, dunque,  a  mutare  la
disciplina della circolazione  giuridica  dei  beni  che  formano  il
patrimonio sociale e la loro qualificazione. 
    A sostegno dell'incedibilita' dei beni  conferiti  in  proprieta'
nella societa' patrimoniale d'ambito non puo' invocarsi - come fa  la
difesa regionale - neppure il disposto dell'art. 7 del  decreto-legge
15 aprile 2002, n. 63 (Disposizioni finanziarie e fiscali urgenti  in
materia di riscossione, razionalizzazione del sistema  di  formazione
del costo  dei  prodotti  farmaceutici,  adempimenti  ed  adeguamenti
comunitari,  cartolarizzazioni,  valorizzazione  del   patrimonio   e
finanziamento delle infrastrutture), convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 giugno 2002, n. 112, secondo cui  il  conferimento  in
proprieta' di beni demaniali dello Stato alla «Patrimonio dello Stato
S.p.A.», anch'essa societa'  a  capitale  interamente  pubblico,  non
comporta la modificazione del regime giuridico di  tali  beni,  quale
stabilito dagli articoli 823 e  829,  primo  comma,  cod.  civ.  Tale
normativa statale, infatti, non riguarda i beni demaniali degli  enti
pubblici  territoriali  considerati  dalla  disposizione   impugnata,
perche' ha introdotto una speciale disciplina del regime proprietario
dei soli beni demaniali dello Stato, insuscettibile  di  applicazione
estensiva o analogica. 
    2.1.4. - Non puo' opporsi  all'indicata  abrogazione  tacita  del
comma 13 dell'art. 113 del TUEL il fatto che tale comma non e'  stato
inserito dall'art. 12,  comma  1,  lettera  a),  del  regolamento  di
delegificazione  di  cui  al  d.P.R.  7  settembre   2010,   n.   168
(Regolamento in materia  di  servizi  pubblici  locali  di  rilevanza
economica, a norma dell'articolo 23-bis, comma 10, del  decreto-legge
25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge  6
agosto 2008, n. 133), tra  le  disposizioni  del  medesimo  art.  113
abrogate ai sensi dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008. 
    Va precisato in proposito  che  l'art.  23-bis  ha  previsto  due
diverse modalita' di abrogazione delle  norme  previgenti:  a)  nella
lettera m)  del  comma  10  ha  affidato  al  Governo  il  potere  di
«individuare  espressamente»,  con   regolamento,   le   disposizioni
abrogate ai sensi dello stesso art. 23-bis; b) nel  successivo  comma
11, con riferimento al  solo  art.  113  del  TUEL,  ne  ha  disposto
l'abrogazione «nelle parti incompatibili  con  le  disposizioni»  del
medesimo art. 23-bis. Nel primo caso, l'effetto abrogativo  e'  stato
differito - conformemente all'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto
1988, n. 400 (Disciplina  dell'attivita'  di  Governo  e  ordinamento
della  Presidenza  del  Consiglio  dei   Ministri)   -   al   momento
dell'entrata  in  vigore  del  regolamento  di  delegificazione;  nel
secondo caso, invece, tale effetto e' conseguito immediatamente dalla
vigenza   dell'art.   23-bis    ed    e'    accertato    direttamente
dall'interprete.  La   speciale   disciplina   dell'abrogazione   per
incompatibilita' prevista per l'art. 113  del  TUEL  ha,  dunque,  lo
specifico significato di far discendere l'effetto abrogativo di  tale
articolo unicamente dal comma 11 dell'art. 23-bis e, di  conseguenza,
di rendere non operante il disposto della lettera m)  del  precedente
comma 10, che, percio', si riferisce soltanto alle  norme  previgenti
diverse  dall'art.  113  del  TUEL.  Cio'  trova  indiretta  conferma
nell'alinea del comma  1  dell'art.  12  del  citato  regolamento  di
delegificazione,  il  quale  -   riferendosi   cumulativamente   alle
disposizioni abrogate sia dell'art.  113  del  TUEL  (indicate  nella
lettera a), sia del d.lgs. n. 152 del 2006 (indicate nelle lettere  b
e c) - precisa che tali disposizioni «sono o restano  abrogate».  Con
tale espressione, evidentemente, il Governo ha inteso distinguere  le
disposizioni di cui all'art. 113 del TUEL (lettera a), che  «restano»
abrogate  perche'  l'effetto  abrogativo  si  era  gia'  perfezionato
all'atto della  entrata  in  vigore  dell'art.  23-bis,  dalle  altre
disposizioni  (lettere  b  e  c),  che  «sono  abrogate»  a   seguito
dell'entrata in vigore del regolamento e, cioe', nel momento al quale
la legge delegificante differisce l'effetto abrogativo. 
    In altri termini, il  fatto  che  il  menzionato  regolamento  di
delegificazione non abbia ricompreso il comma 13  dell'art.  113  del
TUEL  tra  le  disposizioni  abrogate  non  esclude   che   l'effetto
abrogativo si sia gia' verificato  a  far  data  dalla  promulgazione
della lex posterior (art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del  2008).
E  cio'  indipendentemente  dalla  circostanza   che   il   ricordato
regolamento - adottato, come si e' visto, sulla base  del  comma  10,
lettera m), dell'art.  23-bis  -  e'  stato  ormai  privato  del  suo
fondamento normativo dall'art. 1, comma 1, del d.P.R. 18 luglio 2011,
n. 113 (Abrogazione, a  seguito  di  referendum  popolare,  dell'art.
23-bis  del  decreto-legge  n.  112   del   2008,   convertito,   con
modificazioni,  dalla  legge  n.   133   del   2008,   e   successive
modificazioni, nel testo risultante a seguito  della  sentenza  della
Corte costituzionale n. 325 del 2010,  in  materia  di  modalita'  di
affidamento e gestione  dei  servizi  pubblici  locali  di  rilevanza
economica),  il  quale  ha   dichiarato   l'intervenuta   abrogazione
dell'intero  art.  23-bis  per  effetto  dell'esito  del   referendum
popolare indetto con d.P.R. 23 marzo 2011. 
    2.1.5. - E' necessario,  infine,  avvertire  che  il  piu'  volte
menzionato comma 13 dell'art. 113 del TUEL non ha  ripreso  vigore  a
seguito della dichiarazione - ad opera del citato art.  1,  comma  1,
del d.P.R. n. 113 del 2011 -  dell'avvenuta  abrogazione  dell'intero
art. 23-bis del decreto-legge n.  112  del  2008  (in  questo  senso,
specificamente, sentenza n. 24 del 2011). 
    Questo quadro normativo  non  e'  stato  modificato  neppure  dal
decreto-legge 13  agosto  2011,  n.  138  (Ulteriori  misure  per  la
stabilizzazione finanziaria  e  per  lo  sviluppo),  convertito,  con
modificazioni, dal comma 1 dell'art. 1 della legge 14 settembre 2011,
n. 148. Il comma 28 dell'art.  4  di  tale  decreto,  nel  riprodurre
letteralmente il contenuto del comma 5 dell'art. 23-bis del d.lgs. n.
112 del 2008 - abrogato, come si e' visto, in  seguito  a  referendum
popolare -, ha ripristinato il principio (dettato in generale  per  i
SPL  di  rilevanza  economica)  secondo  cui,  «Ferma   restando   la
proprieta' pubblica delle reti, la loro gestione puo' essere affidata
a soggetti privati». Con riferimento al regime della proprieta' delle
reti, tale principio non solo e' incompatibile - per le ragioni  gia'
esposte al punto 2.1.2. - con il comma 13 dell'art. 113 del TUEL,  ma
e' espressamente dichiarato non applicabile  al  settore  idrico  dal
comma 34 dello stesso art. 4 del decreto-legge n. 138 del 2011 («Sono
esclusi dall'applicazione del presente articolo  il  servizio  idrico
integrato [...]»). Ne deriva che questo settore  continua  ad  essere
disciplinato dalla sopra evidenziata normativa e, in particolare, dal
citato art. 143 del d.lgs. n. 152 del 2006, che, come visto,  prevede
la proprieta' demaniale delle infrastrutture idriche  e,  quindi,  la
loro «inalienabilita' se non nei modi e nei  limiti  stabiliti  dalla
legge». 
    2.2. - In conclusione, la rilevata abrogazione tacita  del  comma
13 dell'art. 113 del  TUEL,  per  incompatibilita'  con  il  comma  5
dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112  del  2008,  preclude  alla
Regione resistente di disciplinare, in attuazione del medesimo  comma
13, il regime della proprieta' di beni del demanio accidentale  degli
enti  pubblici  territoriali,  trattandosi  di  materia   ascrivibile
all'ordinamento  civile,  riservata  dall'art.  117,  secondo  comma,
lettera l), Cost. alla competenza legislativa esclusiva dello  Stato.
Da cio' consegue la violazione, da parte della Regione Lombardia,  di
tale  sfera  di  competenza  statale  e,   quindi,   l'illegittimita'
costituzionale del comma 2 dell'art. 49 della legge reg.  n.  26  del
2003, quale introdotto dalla disposizione impugnata. 
    Restano assorbiti gli altri profili di  censura  prospettati  dal
ricorrente in relazione al medesimo comma dell'art. 49. 
    3.- Con riguardo al comma 4 dell'art. 49 della legge reg.  n.  26
del 2003, il ricorrente afferma che tale disposizione, nella parte in
cui stabilisce che «l'ente responsabile dell'ATO puo' assegnare  alla
societa' il compito  di  espletare  le  gare  per  l'affidamento  del
servizio [...]», si pone  in  contrasto  con  la  seguente  normativa
emessa dallo Stato nell'esercizio della  sua  competenza  legislativa
esclusiva, ad esso riservata dalle  lettere  e),  l),  m)  e  s)  del
secondo comma dell'art. 117 Cost.: a) l'art. 150, comma 2, del d.lgs.
n. 152 del 2006, come modificato dall'art. 12, comma 1,  lettera  b),
del d.lgs.  n.  168  del  2010,  secondo  cui  «l'Autorita'  d'ambito
aggiudica la gestione del servizio idrico integrato»;  b)  l'art.  2,
comma 186-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -  legge
finanziaria  2010),  il   quale,   prescrivendo   che   «le   regioni
attribuiscono con legge le funzioni  gia'  esercitate  dall'Autorita'
[...]», avrebbe previsto l'attribuzione di tali funzioni  «in  blocco
ad altro, unico soggetto anziche' [...] l'enucleazione di una singola
attribuzione da devolvere a soggetto formalmente privato isolatamente
dalle rimanenti competenze». 
    Questa Corte deve preliminarmente rilevare  che  la  disposizione
denunciata, prevedendo la possibilita' di  assegnare  il  compito  di
espletare le gare per l'affidamento del servizio idrico alla societa'
patrimoniale d'ambito di cui al precedente comma 2 dello stesso  art.
49, fa riferimento ad un soggetto la cui costituzione e' prevista  da
una  disposizione  della  quale  e'  stata  accertata,  al  punto  2,
l'illegittimita'  costituzionale.  Da  tale  illegittimita'  consegue
quindi, necessariamente, anche quella del denunciato comma  4,  senza
che debba  procedersi  allo  scrutinio  di  tale  comma  in  base  ai
parametri evocati. 
    4. - Con riguardo al comma 6,  lettera  c),  dell'art.  49  della
legge reg. Lombardia n. 26 del 2003, secondo cui l'ente  responsabile
dell'ATO effettua «la definizione dei criteri  per  il  trasferimento
dei beni e del personale delle  gestioni  esistenti»,  il  ricorrente
afferma che tale disposizione viola le lettere e), l), m)  e  s)  del
secondo comma dell'art. 117 Cost., perche'  sussistono  «le  medesime
illegittimita'» gia' prospettate con riferimento al «collegato» comma
2 dello stesso articolo 49. 
    La questione non e' fondata. 
    Il ricorrente, muovendo  dalla  premessa  interpretativa  che  il
denunciato comma 6, lettera c), sia «collegato» al  precedente  comma
2,  ripropone  le  medesime  censure  prospettate  in   relazione   a
quest'ultimo comma. Detta premessa e',  pero',  erronea,  perche'  il
comma 2 riguarda, come visto, il  conferimento  in  proprieta'  delle
infrastrutture idriche alla societa'  patrimoniale  d'ambito,  mentre
l'impugnato comma 6, lettera c), concerne  solo  la  definizione  dei
criteri per il trasferimento dei beni e del personale delle  gestioni
esistenti al gestore unico del servizio idrico integrato, gestore che
e' soggetto diverso dalla societa'  patrimoniale  d'ambito.  Risulta,
quindi, evidente che non sussiste  il  dedotto  collegamento  tra  il
comma 2 e il comma 6, lettera c), dell'art. 49 e che, di conseguenza,
le censure  prospettate  dal  ricorrente  nei  riguardi  della  prima
disposizione  non  possono  valere  con  riferimento   al   contenuto
normativo della seconda.