Ordinanza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'articolo 32, commi  1
e 1-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico
delle disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e
norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall'art. 1,
comma 22, lettera v), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni
in  materia  di   sicurezza   pubblica),   promossi   dal   Tribunale
amministrativo regionale per il Piemonte con  tre  ordinanze  del  10
febbraio 2011 e con due ordinanze del 22 gennaio 2011 rispettivamente
iscritte ai nn. 78, 79, 80, 94 e 95 del  registro  ordinanze  2011  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 20 e 23,  1ª
serie speciale, dell'anno 2011. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 18 ottobre  2011  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano. 
    Ritenuto  che  il  Tribunale  amministrativo  regionale  per   il
Piemonte, con tre ordinanze di identico tenore,  rispettivamente  due
del 22 gennaio 2011 (r. o. n. 94 e n. 95  del  2011)  e  una  del  10
febbraio 2011 (r. o. n. 78 del 2011), ha sollevato -  in  riferimento
agli artt. 3, 10, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione
- questione di legittimita' costituzionale dell'art. 32,  commi  1  e
1-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286  (Testo  unico
delle disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e
norme sulla condizione dello straniero),  nella  parte  in  cui,  nel
testo risultante dalle modifiche introdotte dall'art.  1,  comma  22,
lettera v), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica), estende ai minori affidati  ai  sensi
dell'art. 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore  ad
una  famiglia),  e  a  quelli  sottoposti  a  tutela  la   disciplina
originariamente prevista per i soli  minori  «non  accompagnati»,  in
virtu' della quale,  per  la  conversione  del  titolo  di  soggiorno
rilasciato  per  «minore  eta'»  in  quello  rilasciato  per  «lavoro
subordinato», e' necessario  aver  partecipato  per  un  periodo  non
inferiore a due anni ad un progetto di integrazione sociale e  civile
gestito da un  ente  pubblico  o  privato  che  abbia  rappresentanza
nazionale; 
        che  il  TAR  e'  chiamato  a  decidere  su  ricorsi  avverso
provvedimenti del Questore  di  Torino  di  rigetto  dell'istanza  di
conversione del permesso di soggiorno per  minore  eta',  in  «attesa
occupazione» o in «lavoro subordinato» e in un caso (ord. n.  78  del
2011) anche della legittimita'  del  provvedimento  del  Prefetto  di
Torino  con  il  quale  e'  stato  respinto  il  ricorso   gerarchico
presentato avverso il provvedimento del Questore; 
        che le ordinanze si differenziano solo per la parte in fatto; 
        che  i  ricorrenti  nel  giudizio   principale   sono   tutti
stranieri, entrati clandestinamente in Italia, che hanno ottenuto  il
rilascio di un permesso di soggiorno per minore eta' e che sono stati
affidati dall'autorita'  giudiziaria  all'assessorato  all'assistenza
del Comune di Torino e, in un caso, ad uno zio materno  (ord.  n.  95
del 2011); 
        che in tutti e tre i giudizi, il TAR ha ritenuto di sollevare
d'ufficio questione di legittimita' costituzionale, provvedendo,  con
separate  ordinanze,  a  disporre  la   sospensione   cautelare   dei
provvedimenti  impugnati  sino  alla  prima   camera   di   consiglio
successiva  alla  restituzione  degli  atti  da  parte  della   Corte
costituzionale; 
        che il remittente ritiene infondata  la  tesi  sostenuta  dai
ricorrenti  secondo  la  quale   la   normativa   censurata   sarebbe
applicabile  soltanto  per  il  futuro,  cioe'   esclusivamente   nei
confronti degli stranieri minorenni  entrati  in  Italia,  dotati  di
permesso di soggiorno per minore eta' e affidati ai sensi dell'art. 2
della legge n. 184 del 1983 dopo l'entrata in vigore della  legge  15
luglio 2009, n. 94, in quanto, in  base  al  principio  tempus  regit
actum, ritiene di dover applicare la  normativa  vigente  al  momento
dell'emissione del provvedimento; 
        che, a parere  del  Tribunale  amministrativo,  la  normativa
censurata introdurrebbe una  definizione  di  straniero  «minore  non
accompagnato»    assolutamente    difforme    rispetto    a    quella
antecedentemente conosciuta dal diritto comunitario  e  nazionale  e,
tale   normativa,   nella   sua   irrazionalita'   e   arbitrarieta',
frustrerebbe   l'affidamento   dell'interessato    nella    sicurezza
giuridica, elemento fondamentale dello Stato di diritto; 
        che in precedenza erano considerati «minori non accompagnati»
soltanto coloro che, non avendo la  cittadinanza  italiana  o  di  un
altro Stato UE e non avendo presentato domanda di asilo, si trovavano
in Italia privi di assistenza e rappresentanza da parte dei  genitori
o di altri adulti per loro legalmente responsabili; 
        che le definizioni di «minore  non  accompagnato»  desumibili
dalle diverse norme in materia sono coincidenti (art. 2,  lettera  h,
della direttiva del Consiglio UE del 27 gennaio 2003, n. 2003/9/CE  -
recepita in Italia  con  d.lgs.  30  maggio  2005,  n.  140,  recante
«Attuazione della direttiva 2003/9/CE  che  stabilisce  norme  minime
relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri»  -
recante norme minime in materia di accoglienza dei richiedenti  asilo
negli Stati membri; art. 1, comma 1, della Risoluzione del  Consiglio
UE del 26 giugno 1997 sui minori non accompagnati, cittadini di Paesi
terzi; art. 1, comma 2, del d.P.C.m. 9 dicembre 1999, n. 535, recante
«Regolamento  concernente  i  compiti  del  Comitato  per  i   minori
stranieri», a norma dell'art. 33, commi 2  e  2-bis,  del  d.lgs.  25
luglio 1998, n. 286); 
        che, inoltre, con riferimento  alla  previgente  formulazione
dell'art.  32  del  d.lgs.  n.  286  del  1998,   la   giurisprudenza
amministrativa aveva chiarito che le fattispecie  disciplinate  dalla
norma riguardavano situazioni diverse: da un lato vi erano  i  minori
comunque affidati, che rientravano  nella  previsione  del  comma  1,
dall'altro i minori stranieri non accompagnati,  per  i  quali  erano
dettate le disposizioni di cui ai commi 1-bis e 1-ter; 
        che la suddetta interpretazione era  stata  avvalorata  anche
dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 198 del  2003,  con  la
quale era stato affermato che la disposizione del comma  1  dell'art.
32 del d.lgs. n.  286  del  1998  andava  riferita  anche  ai  minori
stranieri sottoposti a tutela; 
        che,   pur   nella   consapevolezza   che   il   divieto   di
retroattivita' e' elevato  a  precetto  costituzionale  solo  per  la
materia penale, si profila, ad avviso del  remittente,  un  contrasto
con il principio di ragionevolezza (di  cui  all'art.  3  Cost.)  del
disposto diniego di conversione del titolo di soggiorno nei confronti
di coloro che al momento dell'entrata in vigore della legge n. 94 del
2009 erano gia' entrati in Italia, avevano ottenuto  il  permesso  di
soggiorno per  minore  eta'  e  si  trovavano  in  una  documentabile
condizione di affidamento ad un adulto; 
        che, in tali casi,  i  minori  stranieri  si  sono  venuti  a
trovare, senza colpa, nell'impossibilita' materiale  e  giuridica  di
partecipare e concludere prima del raggiungimento della maggiore eta'
il progetto di integrazione previsto dalla nuova normativa; 
        che  le  disposizioni  censurate,   inoltre,   sarebbero   in
contrasto con il principio di uguaglianza, perche'  attribuiscono  lo
stesso trattamento a due diverse categorie di soggetti, quali sono  i
minori non accompagnati e i minori che, invece,  possono  documentare
l'esistenza di una situazione di affidamento ad adulti; 
        che, infine, sarebbero violati gli artt. 10, primo  comma,  e
117, primo comma, Cost., perche' la nuova definizione di «minore  non
accompagnato»  si  porrebbe  in   contrasto   con   le   disposizioni
comunitarie sopra richiamate; 
        che lo stesso TAR del Piemonte, con due ordinanze di identico
tenore del 10 febbraio 2011 (r.o.  n.  79  e  n.  80  del  2011),  ha
sollevato - in riferimento agli artt. 3,  10,  primo  comma,  e  117,
primo  comma,  della  Costituzione  -   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 32, commi 1 e 1-bis, del  d.lgs.  25  luglio
1998, n. 286, cosi' come modificato dalla lettera  v)  del  comma  22
dell'art. 1 della legge 15 luglio 2009,  n.  94,  limitatamente  alla
parte in cui: a) estende ai minori  affidati  ai  sensi  dell'art.  2
della legge 4 maggio 1983, n. 184, e a quelli sottoposti a tutela, la
disciplina  originariamente  prevista  per   i   soli   minori   «non
accompagnati», in virtu' della quale, per la conversione  del  titolo
di soggiorno rilasciato per «minore eta'» in  quello  rilasciato  per
«lavoro subordinato», e' necessario aver partecipato per  un  periodo
non inferiore a due anni ad un progetto  di  integrazione  sociale  e
civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza
nazionale; b) si applica anche  agli  stranieri  -  gia'  entrati  in
Italia come non accompagnati - che abbiano ottenuto  il  permesso  di
soggiorno per  minore  eta'  e  siano  in  grado  di  documentare  la
sussistenza di una condizione di affidamento, ovvero  di  tutela,  in
epoca antecedente alla data di entrata in vigore della  legge  n.  94
del 2009; 
        che in entrambi i giudizi il TAR e' chiamato  a  decidere  su
ricorsi avverso decreti del Questore della  provincia  di  Torino  di
rigetto dell'istanza di conversione del proprio permesso di soggiorno
da «minore eta'» in «lavoro subordinato», ai sensi dell'art.  32  del
d.lgs. n. 286 del 1998; 
        che,  anche  in  questi  casi,  i  ricorrenti  nel   giudizio
principale sono stranieri  entrati  clandestinamente  in  Italia  che
hanno ottenuto il rilascio di un permesso  di  soggiorno  per  minore
eta' e che sono stati affidati dall'autorita' giudiziaria alla tutela
di parenti o all'assessorato all'assistenza del Comune di Torino; 
        che il Questore motiva il diniego del permesso di soggiorno a
causa della mancata ricorrenza in capo agli interessati dei requisiti
stabiliti dall'art. 32, commi 1-bis e 1-ter, del d.lgs.  n.  286  del
1998 e, in particolare, per non essere stati ammessi per  un  periodo
non inferiore a due anni ad un progetto  di  integrazione  sociale  e
civile; 
        che il rimettente in entrambe le ordinanze evidenzia che  gli
interessati,  pur  avendo  avanzato  l'istanza  di  conversione   del
permesso di soggiorno in un momento successivo all'entrata in  vigore
della norma censurata, hanno dimostrato  di  possedere,  ancor  prima
dell'entrata  in  vigore  della  novella  del   2009,   i   requisiti
sufficienti per poter ottenere -  nella  vigenza  del  vecchio  testo
dell'art. 32, ossia quello introdotto con la legge 30 luglio 2002, n.
189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo) -
la conversione del titolo; 
        che,  infatti,  nel  caso  specifico  ricorrevano   tutti   i
presupposti per ritenere applicabile l'art. 32, comma 1,  del  d.lgs.
n. 286 del 1998 nella sua  precedente  formulazione,  trattandosi  di
minori che erano stati  «affidati»,  ancorche'  di  fatto,  ai  sensi
dell'art. 9, comma 4, della legge n. 184 del 1983 e, nel  primo  caso
(ord. n. 79 del 2011),  anche  di  minore  sottoposto  a  tutela  con
provvedimento della competente autorita'; 
        che  a  seguito  dell'introduzione  della  norma  oggetto  di
censura l'intervenuto «affidamento» ai sensi della legge n.  184  del
1983, nonche' il deferimento della tutela, non sono piu'  sufficienti
ai fini della conversione del permesso di soggiorno  gia'  rilasciato
per «minore eta'»  in  quanto,  anche  in  questi  casi,  il  minore,
«affidato» o sottoposto a tutela,  deve  sottoporsi  al  percorso  di
inserimento sociale e civile previsto dal comma 1-bis; 
        che la nozione di minore «non accompagnato»,  ma  pur  sempre
«affidato» ovvero «sottoposto a tutela», di cui al nuovo comma  1-bis
dell'art. 32 del d.lgs. n. 286 del 1998,  si  riferisce,  secondo  il
rimettente, a quei minori che fanno  ingresso  in  Italia  come  «non
accompagnati» e che sono, in  un  momento  successivo,  «affidati»  o
sottoposti a tutela; 
        che la possibilita' di ottenere la conversione  del  permesso
di soggiorno senza la necessita' del percorso di inserimento  sociale
e civile, ai sensi del comma 1, e'  stata  limitata  solo  ai  minori
«affidati» e, al tempo stesso, «accompagnati»; 
        che, a giudizio del rimettente, la situazione dei  ricorrenti
si trova ad essere disciplinata, in virtu' del principio tempus regit
actum, proprio dai commi 1 ed 1-bis quali modificati dalla  legge  n.
94 del 2009 (legge priva, per tale aspetto,  di  alcuna  disposizione
transitoria), in quanto la domanda di  conversione  del  permesso  di
soggiorno e' stata avanzata all'amministrazione in un momento in  cui
era gia' in vigore la legge nuova, e con  essa  il  nuovo  regime  di
regolarizzazione degli stranieri minori  al  momento  del  compimento
della maggiore eta'; 
        che, dunque,  i  ricorrenti  non  avrebbero  piu'  titolo  ad
ottenere la conversione del permesso di soggiorno ai sensi del  comma
1 dell'art. 32 (come,  invece,  sarebbe  stato  nella  vigenza  della
vecchia  legge),  avendo  fatto  ingresso   in   Italia   come   «non
accompagnati» e  non  avendo  frequentato  il  percorso  biennale  di
integrazione sociale e civile descritto dal comma 1-bis; 
        che la normativa censurata introdurrebbe una  definizione  di
straniero «minore non accompagnato» assolutamente difforme rispetto a
quella  antecedentemente  conosciuta  dal   diritto   comunitario   e
nazionale   e,   tale   normativa,   nella   sua   irrazionalita'   e
arbitrarieta',  frustrerebbe  l'affidamento  dell'interessato   nella
sicurezza giuridica, elemento fondamentale dello Stato di diritto; 
        che, invero, in  precedenza  erano  considerati  «minori  non
accompagnati»  soltanto  coloro  che,  non  avendo  la   cittadinanza
italiana o di un  altro  Stato  dell'Unione  europea,  e  non  avendo
presentato  domanda  di  asilo,  si  trovavano  in  Italia  privi  di
assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di  altri  adulti
per loro legalmente responsabili; 
        che le definizioni di «minore  non  accompagnato»  desumibili
dalle diverse norme in materia sono coincidenti (art. 2,  lettera  h,
della direttiva del Consiglio UE del 27 gennaio 2003, n. 2003/9/CE  -
recepita in Italia con d.lgs. 30 maggio 2005, n. 140, - recante norme
minime in materia di accoglienza dei richiedenti  asilo  negli  Stati
membri; art. 1, comma 1, della Risoluzione del Consiglio  UE  del  26
giugno 1997 sui minori non accompagnati, cittadini  di  Paesi  terzi;
art. 1, comma 2, del  d.P.C.m.  9  dicembre  1999,  n.  535,  recante
«Regolamento  concernente  i  compiti  del  Comitato  per  i   minori
stranieri», a norma dell'art. 33, commi 2  e  2-bis,  del  d.lgs.  25
luglio 1998, n. 286); 
        che, inoltre, con riferimento  alla  previgente  formulazione
dell'art.  32  del  d.lgs.  n.  286  del  1998,   la   giurisprudenza
amministrativa aveva chiarito che le fattispecie  disciplinate  dalla
norma riguardavano situazioni diverse: da un lato vi erano  i  minori
comunque affidati, che rientravano  nella  previsione  del  comma  1,
dall'altro i minori stranieri non accompagnati,  per  i  quali  erano
dettate le disposizioni di cui ai commi 1-bis e 1-ter; 
        che la suddetta interpretazione era  stata  avvalorata  anche
dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 198 del  2003,  con  la
quale era stato affermato che la disposizione del comma  1  dell'art.
32 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286,  andava  riferita
anche ai minori stranieri sottoposti a tutela; 
        che,   pur   nella   consapevolezza   che   il   divieto   di
retroattivita' e' elevato  a  precetto  costituzionale  solo  per  la
materia penale, ad avviso del remittente, il diniego  di  conversione
del titolo di soggiorno nei  confronti  di  coloro  che,  al  momento
dell'entrata in vigore della legge n. 94 del 2009 erano gia'  entrati
in Italia, avevano ottenuto il permesso di soggiorno per minore  eta'
e si trovavano in una documentabile condizione di affidamento  ad  un
adulto, si porrebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza; 
        che, in tali casi,  i  minori  stranieri  si  sono  venuti  a
trovare, senza colpa, nell'impossibilita' materiale  e  giuridica  di
partecipare e concludere prima del raggiungimento della maggiore eta'
il progetto di integrazione previsto dalla nuova normativa; 
        che  le  disposizioni  censurate,   inoltre,   sarebbero   in
contrasto con il principio di uguaglianza, perche'  attribuiscono  lo
stesso trattamento a due diverse categorie di soggetti, quali sono  i
minori non accompagnati e i minori che, invece,  possono  documentare
l'esistenza di una situazione di affidamento ad adulti; 
        che, infine, sarebbero violati gli artt. 10, primo  comma,  e
117, primo comma, Cost., perche' la nuova definizione di «minore  non
accompagnato»  si  porrebbe  in   contrasto   con   le   disposizioni
comunitarie sopra richiamate; 
        che  nei  giudizi  e'  intervenuto,  con  atti   di   analogo
contenuto, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   la
questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, non fondata; 
        che alla prima conclusione  potrebbe  pervenirsi,  ad  avviso
dell'interveniente,  per  difetto  di  motivazione  sulla  rilevanza,
derivante  dal  fatto  che  il  remittente  ha  ritenuto  di   dovere
applicare, anche nei casi sub iudice, la nuova normativa, in base  al
principio tempus regit actum,  per  effetto  di  una  interpretazione
della  normativa  censurata  che  lo  stesso  remittente   ha,   poi,
considerato irragionevole; 
        che il  remittente  avrebbe  omesso  di  considerare  che  il
principio  tempus  regit   actum   non   si   sottrae   alla   regola
costituzionale secondo cui, tra diverse interpretazioni possibili  di
una norma e dei relativi effetti, deve darsi la prevalenza  a  quella
piu' aderente al canone di ragionevolezza,  come  riconosciuto  dalla
giurisprudenza  del  Consiglio  di  Stato,  anche  nella  materia  in
argomento; 
        che  nella  specie,   quindi,   si   dovrebbe   tener   conto
dell'affidamento dello straniero in merito alle condizioni  richieste
dalla legge per ottenere, prima della scadenza,  la  conversione  del
permesso di soggiorno; 
        che il TAR non ha fornito congrua spiegazione  delle  ragioni
ostative ad  un'interpretazione  costituzionalmente  orientata  della
normativa censurata, che avrebbe potuto indurlo a non applicarla alla
fattispecie in esame; 
        che,  quanto  al  merito  della  questione,   l'interveniente
sostiene che non si configura alcun contrasto con gli artt. 10, primo
comma,  e  117,  primo  comma,  Cost.,  perche'  le  disposizioni  in
argomento non hanno introdotto una nuova definizione di  «minore  non
accompagnato»,  ma  hanno  esteso  i  requisiti  richiesti   per   la
conversione del permesso di soggiorno  dei  minori  non  accompagnati
anche ai minori in stato di affidamento ai sensi della legge  n.  184
del 1983 o sottoposti a tutela; 
        che, anche  con  riferimento  all'art.  3  Cost.  la  censura
sarebbe infondata; 
        che, infatti, con l'art. 1, comma 22, lettera v), della legge
n. 94 del 2009,  il  legislatore  ha  colmato  il  vuoto  legislativo
derivante dalla mancanza di una espressa disciplina della conversione
del permesso di soggiorno dei  minori  sottoposti  a  tutela  e,  nel
contempo, ha modificato la previgente  disciplina  della  conversione
per i minori posti in affidamento ai sensi dell'art. 2 della legge n.
184 del 1983; 
        che la scelta operata dal legislatore nell'ambito  della  sua
discrezionalita' e' stata quella di richiedere, come  condizione  per
la conversione del permesso  di  soggiorno  al  raggiungimento  della
maggiore eta', l'ammissione ad un progetto di integrazione, sia per i
minori in stato di affidamento familiare sia per quelli sottoposti  a
tutela, cosi' come gia' anteriormente  previsto  per  i  «minori  non
accompagnati»,  sul  presupposto  incontestabile  che  in  tutte   le
suddette ipotesi si tratta di minori che non convivono con i relativi
genitori; 
        che, pertanto, si e' in presenza di una scelta non arbitraria
ne' irragionevole. 
    Considerato che il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  il
Piemonte,  con  le  ordinanze  indicate  in  epigrafe,  ha  sollevato
questione di costituzionalita' dell'art. 32, commi  1  e  1-bis,  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), come modificato dalla  lettera  v)
del  comma  22  dell'art.  1  della  legge  15  luglio  2009,  n.  94
(Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), in riferimento  agli
articoli   3   (principi   di   ragionevolezza,   imparzialita'    ed
uguaglianza),  10,  primo  comma,   e   117,   primo   comma,   della
Costituzione, parametro evocato con riguardo all'art. 2, lettera  h),
della  direttiva  27  gennaio  2003,  n.  2003/9/CE  (Direttiva   del
Consiglio  recante  norme   minime   relative   all'accoglienza   dei
richiedenti asilo negli Stati membri), all'art.  1,  comma  1,  della
risoluzione CE del 26 giugno  1997  (Risoluzione  del  Consiglio  sui
minori non  accompagnati,  cittadini  di  paesi  terzi),  nonche'  al
principio di «sviluppo e consolidamento dello Stato di diritto»; 
        che, con le prime tre ordinanze (r. o. nn. 78, 94  e  95  del
2011), i commi suddetti sono censurati, limitatamente alla  parte  in
cui estendono ai minori affidati ai sensi dell'art. 2 della  legge  4
maggio 1983, n. 184, e a quelli sottoposti a  tutela,  la  disciplina
originariamente prevista per i soli  minori  «non  accompagnati»,  in
virtu' della quale,  per  la  conversione  del  titolo  di  soggiorno
rilasciato  per  «minore  eta'»  in  quello  rilasciato  per  «lavoro
subordinato», e' necessario  aver  partecipato  per  un  periodo  non
inferiore a due anni ad un progetto di integrazione sociale e  civile
gestito da un  ente  pubblico  o  privato  che  abbia  rappresentanza
nazionale; 
        che con ulteriori due ordinanze il  Tribunale  amministrativo
regionale per il Piemonte, in riferimento ai medesimi  parametri,  ha
censurato l'art. 32, commi 1 e 1-bis, del d.lgs.  n.  286  del  1998,
come modificato dalla lettera v) del comma 22 dell'art. 1 della legge
n.  94  del  2009  anche  nella  parte  in  cui  estende  la  propria
applicazione agli stranieri  -  gia'  entrati  in  Italia  come  «non
accompagnati» - che abbiano ottenuto il  permesso  di  soggiorno  per
minore eta' e che siano in grado di documentare la sussistenza di una
condizione di affidamento, ovvero di  tutela,  in  epoca  antecedente
alla data di entrata in vigore della legge n. 94 del 2009; 
        che, preliminarmente, va disposta la  riunione  dei  suddetti
giudizi   in    ragione    dell'identita'    delle    questioni    di
costituzionalita' oggetto degli stessi, affinche' siano unitariamente
decisi; 
        che analoghe questioni sollevate dal medesimo TAR  sono  gia'
state  decise   da   questa   Corte   nel   senso   della   manifesta
inammissibilita' perche' il rimettente non aveva tenuto  conto  della
diversa    interpretazione     formatasi     nella     giurisprudenza
amministrativa, cosi'  omettendo  di  esplorare  la  possibilita'  di
pervenire,  in  via  interpretativa,  alla   soluzione   conforme   a
Costituzione (ordinanza n. 222 del 2011); 
        che, in particolare, gia' nella vigenza dell'art.  32,  comma
1-bis, del d.lgs.  n.  286  del  1998,  come  aggiunto  dal  comma  1
dell'art. 25 della legge  30  luglio  2002,  n.  189  (Modifica  alla
normativa in materia di immigrazione  e  di  asilo),  e  prima  della
novella introdotta dalla legge n. 94 del 2009, il Consiglio di  Stato
(sezione VI, decisioni n. 3690 del 2007 e n. 2951 del 2009)  riteneva
l'impossibilita' di applicare il comma 1-bis ai soggetti che avessero
compiuto la maggiore eta' prima della entrata in vigore  della  legge
n. 189 del 2002, ovvero nei due anni successivi, in quanto gli stessi
non avrebbero potuto, in termini materiali e  giuridici,  partecipare
ad un progetto di integrazione sociale e civile della  durata  minima
di due anni prima del compimento della maggiore eta',  come  previsto
dal citato comma 1-bis; 
        che tale orientamento giurisprudenziale e'  stato  confermato
anche con riguardo all'art. 32 del  d.lgs.  n.  286  del  1998,  come
modificato dalla legge n.  94  del  2009  sia  in  grado  di  appello
(Consiglio di Stato, sezione VI, ordinanze n. 2919 del 2010 e n. 4232
del 2010) che in primo grado (TAR Lazio, Sezione di Roma, sezione  II
quater, sentenza n. 2681 del 2011); 
        che, successivamente alle  ordinanze  di  rimessione  e  alla
pronuncia di inammissibilita'  sopra  citata,  la  norma  oggetto  di
censura  e'  stata  modificata  dalla  lettera  g-bis)  del  comma  1
dell'art. 3, del decreto-legge 23 giugno 2011,  n.  89  (Disposizioni
urgenti  per  il  completamento   dell'attuazione   della   direttiva
2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari  e  per
il  recepimento  della  direttiva  2008/115/CE  sul   rimpatrio   dei
cittadini di Paesi terzi irregolari) convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 2 agosto 2011, n. 129; 
        che, con la nuova formulazione dell'art. 32,  il  legislatore
ha  ripristinato   la   distinzione   tra   minori   stranieri   «non
accompagnati» e minori stranieri «comunque affidati», prevedendo solo
per i primi, ai fini  del  rilascio  del  permesso  di  soggiorno  al
compimento della maggiore eta', la necessita'  che  siano  ammessi  a
frequentare, per almeno due anni, un progetto di integrazione sociale
e civile; 
        che compete al rimettente verificare  se  la  motivazione  in
ordine alla rilevanza della questione, prospettata nell'ordinanza  di
rimessione, resti o meno valida alla luce del novum normativo, tenuto
altresi' conto del diverso orientamento  giurisprudenziale  circa  il
momento dal quale ritenere applicabile la  norma  oggi  ulteriormente
modificata; 
        che, pertanto, va disposta  la  restituzione  degli  atti  al
giudice a quo, per una  nuova  valutazione  riguardo  alla  rilevanza
della questione alla luce del mutato quadro normativo.