IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero  di  registro
generale  10937   del   2010,   proposto   da:   Organismo   Unitario
dell'Avvocatura  Italiana   Oua,   Maurizio   De   Tilla,   Consiglio
dell'Ordine degli Avvocati,  di  Napoli,  Francesco  Caia,  Consiglio
dell'Ordine degli Avvocati  di  Torre  Annunziata,  Gennaro  Tornese,
Unione  Regionale  dei  Consigli  dell'Ordine  degli  Avvocati  della
Campania, Franco Tortorano, Consiglio dell'Ordine degli  Avvocati  di
Lagonegro, Consiglio dell'Ordine  degli  Avvocati  di  Larino,  Marco
d'Errico,  Consiglio  dell'Ordine  degli  Avvocati   di   Campobasso,
Demetrio Rivellino, Mario Pietrunti,  Aiaf  -  Associazione  Italiana
degli Avvocati per la Famiglia e per i minori, Filippo Pucino,  Paola
Pucino, Angelo Pucino, Carmelo  Maurizio  Sergi,  Federica  Eminente,
Sabrina Sifo, Pompeo Salvatore Walter, Eugenio  Bisceglia,  Vitangelo
Iviongelli,  Vincenzo  Papaleo,  Salvatore  di  Cristofalo,  Giovanni
Zambelli, Giuseppe di Girolamo, Agostino  Maione,  Claudio  Acampora,
Luigi Ernesto Zanoni, rappresentati e  difesi  dagli  avv.ti  Giorgio
Orsoni, Mariagrazia Romeo e Mario Sanino, con domicilio eletto presso
lo studio dell'ultimo in Roma, v.le Parioli n. 180; 
    Contro Ministero  della  giustizia  e  Ministero  dello  sviluppo
economico, rappresentati  e  difesi  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, presso la cui sede domiciliano in Roma, via dei Portoghesi  n.
12; 
    E con l'intervento di 
ad adiuvandum: 
        Associazione degli Avvocati Romani  e  Associazione  Agire  e
informare, rappresentate e difese dagli avv.ti Giampiero  Amorelli  e
Dorodea Ciano, presso lo studio dei quali  elettivamente  domiciliano
in Roma, via Guglielmo Pepe, n. 37; 
        Consiglio   dell'Ordine   degli    Avvocati    di    Firenze,
rappresentato e  difeso  dagli  avv.ti  Nino  Scripelliti  e  Gaetano
Viciconte, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Alessandro
Turco in Roma, largo dei Lombardi n. 4; 
        Consiglio   dell'Ordine   degli    Avvocati    di    Salerno,
rappresentato e  difeso  dall'avv.  Gaetano  Paolino,  con  il  quale
elettivamente domicilia presso  l'avv.  Leopoldo  Fiorentino,  studio
Carlini, in Roma, p.za Cola di Rienzo, n. 92; 
ad opponendum: 
        Associazione Avvocati  per  la  mediazione,  Lorenza  Morello
Alberto Mascia, rappresentati e difesi dagli avv.ti Daniela Bauduin e
Giorgio Prete,  con  domicilio  eletto  presso  lo  studio  dell'avv.
Alberto Mascia in Roma, via Michele di Lancio n. 41; 
        Adr Center  s.p.a.,  rappresentato  e  difeso  dagli.  avv.ti
Giuseppe  De  Palo,  Rodolfo  Cicchetti  e  Donatella  Mangani,   con
domicilio eletto presso lo studio legale associato Oikos in Roma, via
Luigi Rizzo n. 62; 
        Associazione Italiana dei Dottori Commercialisti  ed  Esperti
Contabili  e  Unione  Nazionale   Giovani   Dottori   Commercialisti,
rappresentati  e  difesi  dall'avv.  Ernesto  Sticchi  Damiani,   con
domicilio eletto presso lo studio Bdl in Roma, via Bocca di Leone  n.
78; 
    Sul ricorso numero di registro generale 11235 del 2010,  proposto
da: Unione Nazionale delle  Camere  Civili  (Uncc),  rappresentata  e
difesa dagli avv.ti Francesco Storace e Antonio De  Notaristefani  Di
Vastogirardi, con domicilio detto presso lo studio del primo in Roma,
via Crescenzio n. 20; 
    Contro Ministero  della  giustizia  e  Ministero  dello  sviluppo
economico, rappresentati  e  difesi  dall'Avvocatura  Generale  dello
Stato, presso la cui sede domiciliano in Roma, via dei Portoghesi  n.
12; 
    Per l'annullamento sia quanto al ricorso n. 10937  del  2010  che
quanto al ricorso n. 11235 del 2010: del decreto del  Ministro  della
giustizia adottato di  concerto  con  il  Ministro  per  lo  sviluppo
economico n. 180 del 18 ottobre 2010, pubblicato nella  G.U.  n.  258
del 4 novembre  2010,  avente  ad  oggetto  «Regolamento  recante  la
determinazione dei criteri e delle modalita' di iscrizione  e  tenuta
del  registro  degli  organismi  di  mediazione  e  dell'elenco   dei
formatori per la mediazione, nonche' l'approvazione delle  indennita'
spettanti  agli  organismi,  ai  sensi  dell'art.  16   del   decreto
legislativo n. 28 del 2010», nonche' per la dichiarazione  della  non
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
degli artt. 5 e 16 del d.lgs. n. 28 del  2010,  in  riferimento  agli
artt. 24, 76 e 77 e Cost. 
    Visto il ricorso n. 10937 del 2010; 
    Visto il ricorso n. 11235 del 2010; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio  del  Ministero  della
giustizia e del Ministero dello  sviluppo  economico  in  entrambi  i
ricorsi; 
    Visti gli atti di intervento ad adiuvandum nel ricorso  n.  10937
del 2010; 
    Visti gli atti di intervento ad opponendum nel ricorso  n.  10937
del 2010; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti gli atti tutti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del 9 marzo  2011  il  cons.  Anna
Bottiglieri e uditi  per  le  parti  i  difensori  come  da  relativo
verbale; 
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. 
    1. Il Collegio dispone preliminarmente la riunione dei ricorsi in
trattazione (n. 10937 del 2010; n. 11235  del  2010),  che  risultano
connessi sotto il profilo oggettivo,  nonche'  parzialmente  connessi
sotto il profilo soggettivo,  stante  l'identita'  del  provvedimento
impugnato e delle resistenti amministrazioni della Giustizia e  dello
Sviluppo economico. 
    In   particolare,   con   entrambi    i    gravami,    interposti
rispettivamente con atti notificati  nelle  date  del  22  e  del  27
novembre 2010 e depositati nelle date del 7 e 13  dicembre  2010,  si
introduce lo scrutinio di legittimita' del decreto 18  ottobre  2010,
n. 180 adottato dal Ministro della  giustizia,  di  concerto  con  il
Ministro dello sviluppo economico,  ovvero  il  regolamento  che,  in
forza della previsione di cui all'art. 16 del d. 1gs. 4  marzo  2010,
n. 28, «Attuazione dell'art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in
materia  di   mediazione   finalizzata   alla   conciliazione   delle
controversie  civili  e  commerciali»,  reca  la  determinazione  dei
criteri e delle modalita' di iscrizione e tenuta del  registro  degli
organismi  di  mediazione  e  dell'elenco  dei   formatori   per   la
mediazione, nonche'  l'approvazione  delle  indennita'  spettanti  ai
suddetti organismi. 
    I  ricorrenti  di  entrambi  i  giudizi,  nel  prosieguo   meglio
specificati, ne domandano l'annullamento  in  parte  qua  ritenendolo
lesivo degli interessi della categoria forense,  nonche'  illegittimo
perche' in contrasto con il precitato d.lgs. n. 28 del 2010,  con  la
relativa legge delega ed affetto da  eccesso  di  potere  sotto  vari
profili. 
    Nei limiti  di  cui  all'art.  1  della  legge  costituzionale  9
febbraio  1948,  n.  1,  ovvero  incidentalmente,  lo  scrutinio   in
trattazione concerne in parte qua anche gli artt. 5 e 16 dello stesso
d.lgs. n. 28 del 2010, avverso i quali i  ricorrenti  di  entrambi  i
giudizi spiegano eccezione di incostituzionalita', per contrasto  con
i precetti di cui agli artt. 24, 76 e 77 della Costituzione. 
    Nello  scenario  investito  dal  gravame  si  innesta  anche   la
direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE del Parlamento europeo e  del
Consiglio dell'Unione europea, che  ha  disciplinato  alcuni  aspetti
della mediazione in materia civile e commerciale. 
    Ancorche', infatti, la precitata legge delega n. 69 del 2009  non
menzioni specificamente la direttiva n. 2008/52/CE, l'ambito  oggetto
di regolazione  comunitaria  e'  pressoche'  coincidente  con  quello
disciplinato dalle richiamate norme legislative nazionali ed  attuato
con il decreto impugnato, ed il comma 2 nonche' il terzo  criterio  e
principio direttivo della legge delega in parola (art. 60, l.  n.  69
del 2009) prescrivono al  legislatore  delegato  di  disciplinare  la
mediazione nel rispetto ed in coerenza con la normativa comunitaria. 
    Tant'e' che  la  direttiva  n.  2008/52/CE  e'  stata  richiamata
espressamente nel preambolo del decreto delegato 28/2010. 
    2.  Prima  di  dare  ingresso  alla  disamina   delle   questioni
introdotte  dai  ricorrenti,  e,  segnatamente,  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale - alcune  delle  quali  ad  avviso  della
Sezione  risultano,  rilevanti   ai   fini   del   decidere   e   non
manifestamente  infondate  -  occorre  prioritariamente   affrontare,
com'e' d'uopo, le questioni di carattere pregiudiziale. 
    2.1. In detto ambito, in riferimento  al  ricorso  n.  10937  del
2010,  viene  in  immediata  evidenza  l'eccezione  di   difetto   di
legittimazione  attiva  sollevata  dai  resistenti  Ministero   della
giustizia e Ministero per lo sviluppo  economico  nei  confronti  del
ricorrente Organismo  Unitario  dell'Avvocatura  Italiana  -  O.U.A.,
ritenuto privo della  rappresentanza  istituzionale  degli  interessi
della categoria degli avvocati, che il ricorso assume lesi. 
    Si osserva,  al  riguardo,  che  il  gravame  in  parola  risulta
proposto, oltre che da O.U.A., da ordini esponenziali della categoria
forense e da singoli avvocati ad essi iscritti. 
    I primi  sono  pacificamente  legittimati  a  difendere  in  sede
giurisdizionale gli interessi della categoria nel suo  complesso,  di
cui hanno la rappresentanza istituzionale, non solo quando si  tratti
di violazione di norme poste a tutela  della  professione,  ma  anche
ogniqualvolta  si  tratti  di   perseguire   comunque,   come   nella
fattispecie, il conseguimento di vantaggi  giuridicamente  riferibili
alla sfera della  categoria  stessa  (tra  altre,  C.  Stato,  V,  10
novembre 2010, n. 8006; VI, 14 giugno 2004, n. 3874; V, 7 marzo 2001,
n. 1339; Tar Lazio, Roma, I, 16 maggio 2005, n. 3770). I secondi sono
legittimati a difendere i propri interessi legittimi. 
    Ne deriva che l'eccezione, come, del resto; sembrano  essere  ben
consapevoli gli stessi eccepenti e' suscettibile, al piu', in caso di
accoglimento, di condurre all'estromissione dal giudizio n. 10937 del
2010 dell'O.U.A., e giammai di paralizzare l'esame  di  merito  delle
doglianze introdotte con il  ricorso  -  e,  indi,  massimamente,  di
quelle attinenti alla verifica di costituzionalita'  -  in  relazione
alle quali permarrebbe, comunque, l'interesse ad  agire  degli  altri
ricorrenti. 
    Di talche' l'esame della questione attinente alla  legittimazione
ad agire di O.U.A., anche alla luce  delle  argomentazioni  difensive
sul punto svolte dall'Organismo [che, pur non obliando che  la  Corte
costituzionale ha escluso la legittimazione di O.U.A. a rappresentare
e tutelare gli interessi giuridici appartenenti alla  classe  forense
nelle sue vesti istituzionalizzate (sentenza  21  novembre  2006,  n.
390), ha invocato il ruolo di organo  titolare  della  rappresentanza
politica dell'Avvocatura  italiana  conferitogli  dall'art.  6  dello
Statuto, e si e' appellato  all'evoluzione  interpretativa-ampliativa
della nozione di legittimazione attiva nel processo  amministrativo],
non si configura come pregiudiziale rispetto alla presente ordinanza,
e,  puo',  pertanto,  essere   senz'altro   rinviato   all'atto   del
pronunciamento definitivo sul gravame stesso. 
    2.2. Anche nel ricorso n. 11235 del 2010 i  resistenti  Ministero
della giustizia e Ministero per lo sviluppo economico hanno  spiegato
eccezione  di  difetto  di  legittimazione   attiva   nei   confronti
dell'unico ricorrente, Unione Nazionale delle Camere Civili  -  UNCC,
sostenendo che la rappresentanza istituzionale dei professionisti del
settore che occupa appartiene esclusivamente al Consiglio dell'Ordine
e al Consiglio Nazionale Forense. 
    L'eccezione deve essere respinta. 
    E'  principio  giurisprudenziale  pacifico  che   un'associazione
professionale, se e in quanto ne sia comprovato un apprezzabile grado
di  rappresentativita',  puo'   essere   legittimata   ad   impugnare
provvedimenti lesivi, oltre che di  interessi  propri,  di  interessi
collettivi della categoria, non anche di singole posizioni giuridiche
degli associati (C. Stato, V, 22 ottobre 2007, n.  5498;  Tar  Lazio,
Roma, I, 5 dicembre 2008, n. 11015). 
    Nella  fattispecie,  alla  luce  dello  statuto   dell'UNCC,   la
ricorrente risulta essere associazione  non  riconosciuta  costituita
tra associazioni di avvocati civilisti, avente scopo, tra  altri,  di
promuovere iniziative dirette a conseguire un  miglior  funzionamento
della giustizia, con particolare riguardo a quella  civile  (art.  2,
lett. a) e di rappresentare a  livello  nazionale  le  istanze  degli
avvocati civilisti e  degli  iscritti  alle  Camere  Civili  aderenti
all'Unione,   nei   rapporti    con    gli    organi    istituzionali
dell'Avvocatura,  i  rappresentanti  dei  pubblici  poteri,  l'Ordine
Giudiziario, le altre Associazioni forensi (art. 2, lett.  g),  senza
che lo statuto stesso  preveda  una  qualche  limitazione  dei  mezzi
mediante i quali realizzare i detti scopi. 
    Riferisce, inoltre, la ricorrente, senza  essere  smentita  dalle
eccepenti, di contare circa settemila iscritti sull'intero territorio
nazionale, e di essere stata  riconosciuta  dal  Congresso  Nazionale
Forense   tra   le    associazioni    maggiormente    rappresentative
dell'Avvocatura nel suo complesso. 
    2.3. Nell'ambito del ricorso n. 10937 del  2010,  l'interveniente
ad opponendum Associazione Avvocati per la mediazione afferma che  il
ricorso stesso e' inammissibile per, mancanza di interesse ad  agire,
non concretando l'atto impugnato, avente  natura  regolamentare,  una
diretta ed immediata lesione in capo ai ricorrenti. 
    L'eccezione va immediatamente apprezzata. 
    Infatti, se, per un verso, puo' fondatamente  dubitarsi  che  gli
interventori in un giudizio amministrativo possano formulare autonomi
mezzi  di  gravame,  sia  che  intervengano  ad  adiuvandum  sia  che
intervengano ad opponendum, traducendosi, in questo ultimo caso,  gli
stessi motivi  in  una  sorta  di  ricorso  «incidentale»  per  conto
dell'autorita'.  che  ha  emanato  l'atto  impugnato  (Tar  Campania,
Napoli, 10 agosto  1987,  n.  175),  per  altro  verso  la  questione
proposta afferisce alla verifica della sussistenza  delle  condizioni
della interposta  azione  impugnatoria,  ed  e'  pertanto  rilevabile
d'ufficio. 
    Nel merito, essa e' pero' da respingere. 
    E' vero che, secondo un principio consolidato  in  giurisprudenza
amministrativa,   le   norme   regolamentari,   categoria   cui    e'
pacificamente ascrivibile l'impugnato decreto n. 180 del 2010,  vanno
impugnate unitamente all'atto  applicativo,  che  rende  concreta  la
lesione degli interessi di cui sono portatori i destinatari. 
    Ma la descritta  regola  e'  diretta  conseguenza  della  natura,
solitamente  generale  ed  astratta,  delle   previsioni   di   fonte
regolamentare, sicche' trova eccezione per i provvedimenti  che,  sia
pur di natura regolamentare,  presentano  un  carattere  specifico  e
concreto,  e  sono  idonei  ad  incidere  direttamente  nella   sfera
giuridica degli interessati: in tal caso sorge l'onere  di  immediata
impugnazione, a decorrere dalla pubblicazione  nelle  forme  previste
dalla legge (C. Stato, V, 19 novembre 2009; IV, 17  aprile  2002,  n.
2032). 
    Siffatta ultima evenienza si apprezza nella fattispecie,  in  cui
il  regolamento  impugnato  regola   puntualmente   e   compiutamente
l'iscrizione nel registro degli organismi di mediazione, con  criteri
che svelano un  immediato  e  certo  effetto  precettivo  ovvero  con
formativo in relazione  alla  posizione  della  platea  dei  soggetti
interessati all'iscrizione. 
    Risulta, pertanto, pienamente ammissibile la domanda  diretta  ed
autonoma di verifica giudiziale della conformita' a  legge  dell'atto
che li contiene, che  risulta  preordinata  all'utilita'  consistente
nell'evitarne  l'efficacia  cogente  per  ogni   avente   causa,   in
osservanza   del   termine   decadenziale   decorrente   dalla    sua
pubblicazione,  senza,   cioe',   che   sia   necessario   rimandarne
l'impugnazione al momento successivo  dell'adozione  dei  conseguenti
provvedimenti applicativi o esecutivi, che, del resto, non potrebbero
che esplicare  effetti  meramente  consequenziali  rispetto  all'atto
stesso, che funge loro da indeclinabile presupposto. 
    2.4. Va ancora riferito che nel ricorso n. 109.37 del 2010  hanno
spiegato  intervento  volontario  adesivo  alle  domande   ricorsuali
l'Associazione  degli  Avvocati  Romani,   l'Associazione   Agire   e
informare,  il  Consiglio  dell'Ordine  degli  Avvocati  di   Firenze
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Salerno. 
    Hanno, invece,  spiegato  intervento  volontario  ad  opponendum,
oltre alla gia' citata Associazione Avvocati per la mediazione, anche
l'Associazione  Italiana  dei  Dottori  Commercialisti   ed   Esperti
Contabili,  l'Unione  Nazionale  Giovani  Dottori  Commercialisti   e
l'Organismo di mediazione ADR Center s.p.a. 
    Con riferimento alla posizione di tutti i nominati intervenienti,
va preliminarmente ribadito, in forza delle argomentazioni di cui  ai
punti che precedono, che il ricorso  in  parola  risulta  ritualmente
interposto da soggetti legittimati ad agire e che il provvedimento di
cui  si  domanda  l'annullamento  si  configura   come   direttamente
impugnabile dinanzi al giudice amministrativo. 
    Va ulteriormente  osservato  che  le  amministrazioni  che  hanno
adottato l'atto impugnato (Giustizia  e  Sviluppo  economico),  parti
necessarie della controversia, sono  state  regolarmente  evocate  in
giudizio, nel quale si sono costituite in resistenza. 
    Tanto premesso, il Collegio ritiene, anche qui, che  puo'  essere
rimandato all'atto della definizione  del  gravame  l'approfondimento
delle articolate questioni (di cui alcune  sollevate,  con  eccezioni
incrociate, dalle parti costituite) che non si rivelano  direttamente
ovvero immediatamente incidenti  sullo  scrutinio  di  non  manifesta
infondatezza delle spiegate eccezioni di costituzionalita'. 
    In detta sede, si avra', indi, cura di delineare  puntualmente  i
soggetti nei confronti dei quali la sentenza di merito  deve  e  puo'
essere resa,  previa  disamina  della  sussistenza  delle  condizioni
legittimanti gli interventi volontari nel giudizio amministrativo. 
    Non appare, comunque, sin d'ora  superfluo  rammentare  che  tali
condizioni consistono, per  gli  interventori  ad  adiuvandum,  nella
carenza di una posizione  sostanziale  di  interesse  legittimo,  cui
conseguirebbe, anziche' la assunta posizione adesiva, la proposizione
di autonomo ricorso nei prescritti termini di  decadenza  (C.  Stato,
VI,  6  settembre  2010,  n.  6483),  e,  per  gli  interventori   ad
opponendum, nella titolarita' di  un  interesse  contrario  a  quello
azionato  dai  deducenti,  il  quale  potrebbe   subire   pregiudizio
dall'annullamento dell'atto impugnato (Tar Lazio, Roma, I,  4  giugno
2007, n. 5149). 
    3. A questo punto deve necessariamente essere  svolta,  ancorche'
sinteticamente,   l'illustrazione   del   quadro   normativo    della
controversia, per quanto qui di interesse. 
    4. In forza dell'invito formulato agli Stati membri dal Consiglio
europeo nella riunione di Tampere del 15 e  16  ottobre  1999,  delle
conclusioni  adottate  dal  Consiglio  nel  maggio  2000  sui  metodi
alternativi di risoluzione delle controversie  in  materia  civile  e
commerciale, nonche' del Libro  verde  presentato  dalla  Commissione
nell'aprile del 2002, relativo ai  modi  alternativi  di  risoluzione
delle controversie, nelle predette materie, la  direttiva  21  maggio
2008,  n.  2008/52/CE  del  Parlamento  europeo   e   del   Consiglio
dell'Unione europea ha disciplinato alcuni aspetti  della  mediazione
in materia civile e commerciale. 
    Come sempre in tema  di  diritto  comunitario,  i  «considerando»
della  direttiva  delineano  la   generale   impostazione   conferita
all'oggetto della regolazione, sia quanto alle finalita', sia  quanto
alle caratteristiche. 
    La direttiva chiarisce innanzitutto che l'obiettivo di  garantire
un miglior accesso alla giustizia sia giudiziale che extragiudiziale,
e, segnatamente, la disponibilita' del servizio  di  mediazione,  nel
contesto della politica dell'Unione europea  volta  a  istituire  uno
spazio  di  liberta',  sicurezza  e  giustizia,  e'   un   importante
contributo al corretto  funzionamento  del  mercato  interno  (quinto
considerando). 
    Alla luce del sesto considerando della direttiva,  la  mediazione
e', infatti, ritenuta una risoluzione extragiudiziale  conveniente  e
rapida delle controversie in materia civile e commerciale, poiche' le
relative procedure sono concepite in base alle esigenze delle  parti,
e gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilita'
di  essere  rispettati  volontariamente,  oltre  a  preservare   piu'
facilmente una relazione  amichevole  e  sostenibile  tra  le  parti,
benefici che diventano anche piu' evidenti nelle questioni di portata
transfrontaliera. 
    La direttiva intende indi delinearne  gli  elementi  chiave,  per
rendere certo il relativo contesto giuridico (scalino considerando). 
    Sotto il profilo sostanziale, in  positivo,  si  afferma  che  la
direttiva dovrebbe applicarsi alle controversie transfrontaliere,  ma
che nulla  dovrebbe  vietare  agli  Stati  membri  di  estenderla  ai
«procedimenti di mediazione interni» (ottavo considerando). 
    In  negativo,  si  afferma  che  la   mediazione   non   dovrebbe
applicarsi: «ai diritti e agli obblighi su cui le parti non hanno  la
facolta'  di  decidere  da  sole  in  base  alla   pertinente   legge
applicabile. Tali diritti ed obblighi sono particolarmente  frequenti
in  materia  di  diritti  di   famiglia   e   del   lavoro»   (decimo
considerando); «alle trattative precontrattuali o ai procedimenti  di
natura arbitrale quali talune forme di conciliazione  dinanzi  ad  un
organo giurisdizionale, i reclami dei consumatori, l'arbitrato  e  la
valutazione  di  periti  o  i  procedimenti  gestiti  da  persone  od
organismi  che  emettono  una  raccomandazione  formale,   sia   essa
legalmente vincolante o meno, per la risoluzione della  controversia»
(undicesimo considerando). 
    Quanto  agli  elementi  chiave  della  mediazione,   vengono   in
evidenza, sempre tra i considerando, la differenza  tra  mediatore  e
giudice (dodicesimo considerando),  la  possibilita'  di  rendere  il
ricorso alla mediazione obbligatorio ovvero soggetto  a  incentivi  o
sanzioni, purche' non venga impedita alle  parti  «di  esercitare  il
loro diritto di  accesso  al  sistema  giudiziario»  (quattordicesimo
considerando) ovvero non si impedisca alle  parti,  nell'incoraggiare
la  mediazione,  in  relazione  ai  termini  di  prescrizione  e   di
decadenza,  «di  adire  un  organo  giurisdizionale  o  di  ricorrere
all'arbitrato  in  caso  di  infruttuoso  tentativo  di   mediazione»
(ventiquattresimo considerando), la fissazione di termine al processo
di  mediazione  (tredicesimo  considerando),  la   riservatezza   del
relativo procedimento, anche in  relazione  all'eventuale  successivo
procedimento giudiziario od arbitrale  (ventitreesimo  considerando),
l'esecutivita' dell'accordo scritto raggiunto, fatta salva  l'ipotesi
di contrasto tra lo stesso e il diritto nazionale ovvero  quella  che
l'obbligo contemplato nell'accordo non possa essere  per  sua  natura
reso esecutivo (diciannovesimo considerando); ai  fini  erariali,  la
tendenziale neutralita' finanziaria in relazione  agli  stati  membri
della mediazione, che puo' includere «il ricorso a  soluzioni  basate
sul mercato» (diciassettesimo considerando). 
    Viene inoltre  in  rilievo  l'assistenza  dei  mediatore  (decimo
considerando),  la  sua  formazione  e  l'introduzione  di   efficaci
meccanismi di controllo della qualita' della fornitura  del  servizio
(sedicesimo  considerando),  la  flessibilita'  del  procedimento  di
mediazione   e   l'autonomia   delle   parti,   nonche'   l'efficacia
l'imparzialita' e la  competenza  della  mediazione  (diciassettesimo
considerando). 
    4.1) La direttiva  2008/52/CE  regola  indi  la  materia  con  14
articoli. 
    In particolare: 
        l'art.  1  enuncia   l'obiettivo   della   regolazione   («..
facilitare l'accesso alla risoluzione alternativa delle  controversie
e  di  promuovere   la   composizione   amichevole   delle   medesime
incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo  un'equilibrata
relazione tra mediazione e procedimento giudiziario») e ne delinea il
campo di applicazione [«...controversie transfrontaliere, in  materia
civile e  commerciale  tranne  per  i  diritti  e  gli  obblighi  non
riconosciuti alle parti dalla pertinente legge applicabile. Essa  non
si  estende,  in  particolare,  alla  materia  fiscale,  doganale   e
amministrativa ne'  alla  responsabilita'  dello  Stato  per  atti  o
omissioni nell'esercizio di pubblici poteri (acta iure imperii)]; 
        l'art.  3,  dedicato  alle  definizioni,  dispone   che   per
mediazione, al di la' della denominazione, si intende un procedimento
strutturato ove «...due o piu' parti di una controversia tentano esse
stesse,  su  base  volontaria,  di  raggiungere  un   accordo   sulla
risoluzione della medesima con l'assistenza  di  un  mediatore.  Tale
procedimento puo' essere avviato dalle parti, suggerito  od  ordinato
da un organo giurisdizionale o prescritto di  diritto  da  uno  Stato
membro»; 
        lo stesso art. 3  esplicita  che  per  mediatore  si  intende
«...qualunque terzo cui e' chiesto di condurre la mediazione in  modo
efficace, imparziale e competente, indipendentemente dalla denominane
o  dalla   professione   di   questo   terza   nello   Stato   membro
interessato...» (lett. b), che comunque incoraggia «...la  formazione
iniziale e successiva dei mediatori allo scopo di garantire che la  l
mediazione sia gestita in maniera efficace, imparziale  e  competente
in relazione alle parti» (par. 2); 
        l'art. 5, dedicato al ricorso alla  mediazione,  esplicitando
l'intendimento gia' anticipato dal preambolo, prevede  che  «L'organo
giurisdizionale  investito  di  una  causa  puo',   se   lo   ritiene
appropriato e tenuto conto di tutte le circostanze del caso, invitare
le parti a ricorrere  alla  mediazione  allo  scopo  di  dirimere  la
controversia...» e che «La presente direttiva  lascia  impregiudicata
la legislazione  nazionale  che  rende  il  ricorso  alla  mediazione
obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni,  sia  prima  che
dopo l'inizio del procedimento giudiziario, purche'  le  legislazione
non impedisca alle parti di  esercitare  il  diritto  di  accesso  al
sistema giudiziario»; 
        l'art. 6 delinea la  esecutivita'  degli  accordi  risultanti
dalla mediazione, che e', peraltro, esclusa laddove «...il  contenuto
dell'accordo e' contrario alla legge dello Stato membro in cui  viene
presentata la richiesta o se la legge di detto Stato  membro  non  ne
prevede l'esecutivita'»; 
        l'art. 8 dispone che «Gli Stati membri  provvedono  affinche'
alle parti che scelgono la mediazione nel tentativo di  dirimere  una
controversia  non  sia  successivamente  impedito   di   avviare   un
procedimento  giudiziario  o  di  arbitrato  in  relazione   a   tale
controversia per il fatto che durante il procedimento  di  mediazione
siano scaduti i termini di prescrizione o decadenza». 
    5. Con la legge 18 giugno 2009, n. 69, titolata «Disposizioni per
lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita'  nonche'
in materia di processo civile», e, segnatamente, con  l'art.  60,  il
legislatore nazionale ha delegato il Governo ad adottare uno  o  piu'
decreti legislativi in materia di mediazione e  di  conciliazione  in
ambito civile e commerciale (comma 1), nel rispetto e in coerenza con
la normativa comunitaria e  in  conformita'  ai  principi  e  criteri
direttivi enunciati al comma 3 (comma 2). 
    Tra questi  ultimi,  sono  attinenti  alla  materia  dell'odierno
contendere i principi e criteri direttivi dettati dalle lettere: 
        «a)   prevedere   che   la   mediazione,   finalizzata   alla
conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili,
senza precludere l'accesso alla giustizia; 
        b) prevedere  che  la  mediazione  sia  svolta  da  organismi
professionali e dipendenti, stabilmente destinati all'erogazione  del
servizio di conciliazione; 
        c) disciplinare la mediazione, nel rispetto  della  normativa
comunitaria, anche attraverso l'estensione delle disposizioni di  cui
al decreto legislativo  17  gennaio  2003,  n.  5,  e  in  ogni  caso
attraverso l'istituzione, presso il Ministero della giustizia,  senza
nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di un Registro  degli
organismi di conciliazione...; 
        d) prevedere che i requisiti per l'iscrizione nel Registro  e
per la sua conservazione siano stabiliti  con  decreto  del  Ministro
della giustizia; 
        e) prevedere la possibilita', per  i  consigli  degli  ordini
degli avvocati,  di  istituire,  presso  i  tribunali,  organismi  di
conciliazione che,  per  il  loro  funzionamento,  si  avvalgono  del
personale degli stessi consigli; 
        f) prevedere che gli  organismi  di  conciliazione  istituiti
presso i tribunali siano iscritti di diritto nel Registro; 
        g) prevedere, per le controversie in particolari materie,  la
facolta' di istituire organismi di conciliazione  presso  i  consigli
degli ordini professionali; 
        h) prevedere che gli organismi di conciliazione di  cui  alla
lettera g) siano iscritti di diritto nel Registro; 
        n) prevedere il dovere dell'avvocato di informare il cliente,
prima  dell'instaurazione  del  giudizio,   della   possibilita'   di
avvalersi dell'istituto della conciliazione nonche' di ricorrere agli
organismi di conciliazione; 
        p) prevedere, nei casi in cui il provvedimento che chiude  il
processo corrisponda interamente al contenuto  dell'accordo  proposto
in sede di  procedimento  di  conciliazione,  che  il  giudice  possa
escludere la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore  che  ha
rifiutato  l'accordo  successivamente  alla  proposta  dello  stesso,
condannandolo-altresi', e nella  stessa  misura,  al  rimborso  delle
spese sostenute dal soccombente... e, inoltre, che  possa  condannare
il  vincitore  al  pagamento  di  un'ulteriore  somma  a  titolo   di
contributo unificato...; 
        q) prevedere, nel rispetto del codice deontologico, un regime
di incompatibilita' tale da garantire la neutralita',  l'indipendenza
e  /imparzialita'  del  conciliatore  nello  svolgimento  delle   sue
funzioni; 
        r) prevedere che il verbale di conciliazione abbia  efficacia
esecutiva per l'espropriazione forzata,  per  l'esecuzione  in  forma
specifica  e  costituisca  titolo   per   l'iscrizione   di   ipoteca
giudiziale». 
    6. La delega in parola e' stata esercitata con il d.lgs. 4  marzo
2010, n. 28. 
    L'art. 2 del d.lgs. 28/2010 recita che «1. Chiunque puo' accedere
alla mediazione per la conciliazione di  una  controversia  civile  e
commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le  disposizioni
del presente decreto». 
    L'art. 4 chiarisce che  «1.  La  domanda  di  mediazione  ...  e'
presentata mediante deposito di un'istanza presso un organismo ... 2.
L'istanza deve indicare l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni
della pretesa. 3. All'atto del conferimento dell'incarico, l'avvocato
e' tenuto a informare l'assistito della possibilita' di avvalersi del
procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e  delle
agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L'avvocato informa
altresi' l'assistito dei casi in cui l'esperimento  del  procedimento
di  mediazione  e'  condizione  di   procedibilita'   della   domanda
giudiziale.». 
    E' bene a questo punto illustrare l'art. 5 del d.lgs. n.  28  del
2010, che, in continuita' logica  con  l'ultima  disposizione  appena
richiamata, sancisce al  comma  1  che  «Chi  intende  esercitare  in
giudizio  un'azione  relativa  ad  una  controversia  in  materia  di
condominio, diritti reali, divisione, successioni  ereditarie,  patti
di famiglia, locazione, comodato, affitto  di  aziende,  risarcimento
del danno derivante dalla  circolazione  di  veicoli  e  natanti,  da
responsabilita' medica e da diffamazione con il mezzo della stampa  o
con altro mezzo di pubblicita',  contratti  assicurativi,  bancari  e
finanziali, e' tenuto preliminarmente a esperire il  procedimento  di
mediazione ai sensi del presente decreto ovvero  il  procedimento  di
conciliazione previsto dal decreto legislativo  8  ottobre  2007,  n.
179, ovvero il procedimento  istituito  in  attuazione  dell'articolo
128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e  creditizia
di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive
modificazioni,  per  le  materie  ivi  regolate.  L'esperimento   del
procedimento di mediazione  e'  condizione  di  procedibilita'  della
domanda  giudiziale.  L'improcedibilita'  deve  essere  eccepita  dal
convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non
oltre la prima udienza». 
    Esclusa,  ai  sensi  dell'ultimo  periodo  del  ridetto  comma  1
dell'art. 5 la sua applicazione alle azioni previste dagli  art.  37,
140 e 140-bis del codice del consumo (d.lgs.  6  settembre  2005,  n.
206), il successivo comma 4 dispone ancora  che  lo  stesso  comma  1
(nonche' il comma 2) non si applica: 
        «a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa  l'opposizione,
fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione  della
provvisoria esecuzione; 
        b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto,  fino
al mutamento del rito di cui all'articolo 667 del codice di procedura
civile; 
        c) nei  procedimenti  possessori,  fino  alla  pronuncia  dei
provvedimenti di cui all'articolo 703,  temo  comma,  del  codice  di
procedura civile; 
        d)  nei  procedimenti  di  opposizione   o   incidentali   di
cognizione relativi all'esecuzione forzata; 
        e) nei procedimenti in camera di consiglio; 
        f) nell'azione civile esercitata nel processo penale». 
    Regolati, poi, agli artt. 6, 8, 11, 12 e 13, il  procedimento  di
mediazione, anche sotto il profilo temporale (art. 6: durata  massima
di  quattro  mesi),  gli  effetti  dalla  legge  ricondotti  ai  suoi
possibili esiti [a) mancata partecipazione senza giustificato motivo,
art.  8,  comma  5;  b)   raggiungimento   dell'accordo   amichevole,
formazione del relativo processo verbale  anche  sulla  base  di  una
proposta  di  mediazione,  ed  efficacia  esecutiva   ed   esecuzione
dell'accordo, non contrario all'ordine pubblico e a norme imperative,
previa omologazione, art. 11, commi 1, 2, 3 e  art.  12;  c)  mancato
raggiungimento dell'accordo, art. 11,  comma  4],  nonche'  le  spese
dell'eventuale giudizio che fa seguito al procedimento di  mediazione
nel quale non si e' raggiunto un accordo (art. 13), il capo  ILI  del
d.lgs. 28/2010 e' dedicato agli organismi di mediazione. 
    Al riguardo, viene in rilievo la previsione dell'art.  16,  comma
1, della costituzione da parte di enti pubblici o privati, che  diano
garanzie di serieta' ed efficienza, di organismi deputati, su istanza
della parte interessata, a  gestire  il  procedimento  di  mediazione
nelle materie di cui all'art. 2. 
    Tali organismi devono essere iscritti nel registro, con  separate
sezioni,  disciplinato  da  appositi  decreti  del   Ministro   della
giustizia, di concerto, relativamente alla materia del  consumo,  con
il Ministro dello sviluppo economico, che regola anche le  indennita'
loro spettanti (art. 16, commi 1 e 2). 
    Dette amministrazioni costituiscono, per la parte di  competenza,
le autorita' vigilanti sul registro (art. 16, comma 4). 
    Ai fini dell'iscrizione, secondo il comma 3 dello stesso art. 16,
gli organismi,  unitamente  alla  relativa  domanda,  sono  tenuti  a
depositare il proprio regolamento  di  procedura,  la  cui  idoneita'
forma oggetto di specifica valutazione da parte del  Ministero  della
giustizia, e il codice etico. Al regolamento  devono  inoltre  essere
allegate  le  tabelle  delle  indennita'  spettanti  agli   organismi
costituiti da enti privati,  che  sono  a  loro  volta  proposte  per
l'approvazione, a norma del successivo art. 17. 
    Invero, l'art. 17, disposto ai commi 2 e 3 che  tutti  gli  atti,
documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono
esenti dall'imposta di bollo e da ogni  spesa,  tassa  o  diritto  di
qualsiasi specie e natura, e che il  verbale  di  accordo  e'  esente
dall'imposta di registro entro il limite di  valore  di  50.000  euro
(altrimenti l'imposta e' dovuta per la parte eccedente),  prevede  al
comma 4 che con  il  decreto  di  cui  all'art.  16,  comma  2,  sono
determinati: 
        a) l'ammontare minimo e massimo  delle  indennita'  spettanti
agli organismi pubblici, il criterio di calcolo  e  le  modalita'  di
ripartizione tra le parti; 
        b)  i  criteri  per  l'approvazione   delle   tabelle   delle
indennita' proposte dagli organismi costituiti da enti privati; 
        c) le maggiorazioni  massime  delle  indennita'  dovute,  non
superiori al venticinque per cento, nell'ipotesi  di  successo  della
mediazione; 
        d) le riduzioni minime delle indennita' dovute nelle  ipotesi
in cui  la  mediazione  e'  condizione  di  procedibilita'  ai  sensi
dell'articolo 5, comma 1». 
    La disposizione di cui alla appena citata lett. d) si correla  al
comma 5, che dispone che,  quando  la  mediazione  e'  condizione  di
procedibilita'  della  domanda  ai  sensi  dell'art.  5,   comma   1,
all'organismo non e' dovuta alcuna  indennita'  dalla  parte  che  si
trova nelle condizioni per l'ammissione al patrocinio a  spese  dello
Stato. 
    7. Con  decreto  18  ottobre  2010,  n.  180  il  Ministro  della
giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo  economico,  ha
adottato il regolamento recante la determinazione dei criteri e delle
modalita' di iscrizione e tenuta  del  registro  degli  organismi  di
mediazione e dell'elenco dei formatori  per  la  mediazione,  nonche'
l'approvazione delle indennita' spettanti agli organismi. 
    8. Come gia' sopra anticipato, il decreto  n.  180  del  2010  e'
l'atto di cui in questa sede i ricorrenti domandano l'annullamento in
parte qua, per le ragioni che si passa sinteticamente ad illustrare. 
    8.1. Nell'ambito del  ricorso,  n.  10937  del  2010  (O.U.A.  ed
altri), il primo ed il secondo motivo di gravame (entrambi  titolati:
violazione di  legge;  violazione  art.  16,  d.lgs.  28/10;  erronea
interpretazione;  eccesso  di   potere;   difetto   di   presupposto;
illogicita';   arbitrarieta')   racchiudono   i    tratti    salienti
dell'interesse azionato in giudizio e investono  anche  questioni  di
rilevanza costituzionale. 
    Di essi si trattera' piu' diffusamente nell'immediato prosieguo. 
    Il terzo motivo di ricorso (violazione di legge; violazione  art.
16,  d.lgs.  28/10;   violazione   art.   60,   l.   69/09;   erronea
interpretazione;  difetto  di   presupposto;   eccesso   di   potere;
arbitrarieta'; illogicita'; sviamento) e' diretto avverso  l'art.  4,
comma 4 del regolamento,  che,  nel  subordinare  l'iscrizione  degli
organismi costituiti dai  consigli  dell'ordine  degli  avvocati  nel
registro degli organismi di. mediazione  alla  presentazione  di  una
polizza  assicurativa  di  importo  non  inferiore  a   € 500.000,00,
introduce,  secondo  i  ricorrenti,   una   limitazione   all'accesso
all'attivita' di mediazione di tipo economico e  finanziario  che  e'
illegittima, in quanto non prevista ne' dalla legge delega 69/09  ne'
dal decreto delegato 28/10. 
    Con lo stesso  terzo  motivo  i  ricorrenti  avversano  anche  la
disposizione transitoria di cui  all'art.  20  del  regolamento,  che
consente l'iscrizione di diritto  nel  registro  degli  organismi  di
mediazione degli organismi gia'  iscritti  nel  registro  di  cui  al
decreto  del  Ministro  della  giustizia  23  luglio  2004,  n.  222,
rappresentando che tale  previsione  risulta  del  tutto  arbitraria,
tenendo conto sia dell'art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 28  del  2010,
che aveva previsto l'operativita' di  detti  organismi  solo  ano  al
momento dell'entrata in vigore del  regolamento,  sia  dell'art.  60,
comma 3, lett. e) ed  f)  n.  69  del  2009,  che  collega  piuttosto
l'immediata   operativita'    dei    procedimenti    di    mediazione
all'iscrizione di diritto nel relativo registro  dei  soli  organismi
eventualmente costituiti dai consigli dell'ordine presso i tribunali. 
    Con il quarto motivo di ricorso (violazione di legge;  violazione
art.  17,  d.lgs.  28/10;   erronea   interpretazione;   difetto   di
presupposto; eccesso di potere; sviamento) i ricorrenti lamentano che
l'art.  16  del  regolamento,  disattendendo  l'art.  17  del  d.lgs.
28/2010: a) non prevede la determinazione dell'importo  minimo  delle
indennita' spettanti agli organismi di  mediazione  in  relazione  al
primo scaglione e non individua il criterio di calcolo e le modalita'
di  ripartizione  tra  le  parti;  b)  non  appronta  i  criteri  per
l'approvazione  delle  tabelle  delle   indennita'   proposte   dagli
organismi  costituiti  dagli  enti  privati;   c)   non   indica   le
maggiorazioni massime delle indennita'  dovute;  d)  non  prevede  la
riduzione minima dell'indennita' nell'ipotesi in cui la mediazione e'
condizione di procedibilita' della domanda giudiziale. 
    8.2. Come si desume da quanto appena riferito, mentre la disamina
della fondatezza delle doglianze di cui al terzo e quarto  motivo  di
ricorso non investe  l'apprezzamento  di  questioni  di  legittimita'
costituzionale, e puo' essere rimandata  all'atto  della  definizione
del gravame, analoga condizione non  si  ravvisa  per  le  due  prime
doglianze, che vanno, pertanto, illustrate in dettaglio. 
    8.3. Mediante le censure dedotte al primo ed  al  secondo  motivo
del gravame n. 10937 del 2010 i ricorrenti lamentano che  il  decreto
180/2010 non reca alcun criterio volto a individuare e a  selezionare
gli organismi di mediazione in ragione  dell'attivita'  squisitamente
giuridica che essi andranno ad effettuare, e  che  e'  richiesto  sia
dalla normativa comunitaria [laddove dispone che la  mediazione  «sia
gestita in maniera efficace, imparziale  e  competente  in  relazione
alle parti» (art. 4 direttiva 2008/52/CE)], sia  dalla  legge  delega
[art. 60, lett. b), l. n. 69 del 2009: «prevedere che  la  mediazione
sia svolta da organismi professionali  ed  indipendenti,  stabilmente
destinati all'erogazione del servizio di conciliazione»]. 
    A sostegno  della  censura,  viene  ulteriormente  osservato  che
l'art.  4  del  regolamento  n.  180  del  2010,   nel   disciplinare
l'iscrizione, a domanda, degli organismi di mediazione,  che  possono
essere costituiti sia da enti pubblici che da enti privati, si limita
a  prevedere,  al  comma  2,  una  serie   di   parametri   di   tipo
amministrativo-economico-finanziario   (tra    cui    la    capacita'
finanziaria e organizzativa, il possesso di polizza assicurativa,  la
trasparenza amministrativa e contabile), poi a prescrivere, al  comma
3,  una  verificazione  di  tipo  «aggiuntivo»   sui   requisiti   di
qualificazione dei mediatori, che viene demandata al responsabile del
procedimento («Il  responsabile  verifica  altresi'  i  requisiti  di
qualificazione dei mediatori»), senza essere in alcun modo  correlata
con le competenze giuridiche oggettivamente richieste  dall'attivita'
di mediazione. 
    A tale ultimo riguardo, i ricorrenti O.U.A.  ed  altri  escludono
che il criterio selettivo di cui lamentano la  carenza  possa  essere
costituito  dalla  previsione  di  cui  all'art.  4,  comma  3,   del
regolamento impugnato, che prevede, alla lett. a), che  il  mediatore
deve essere in possesso di «un titolo  di  studio  non  inferiore  al
diploma di laurea universitaria triennale»  ovvero,  in  alternativa,
essere iscritto «ad un ordine o collegio professionale» e, alla lett.
b), che  il  mediatore  abbia  «una  specifica  formazione  e...  uno
specifico aggiornamento almeno biennale, acquisiti presso gli enti di
formazione» regolati al successivo art. 18. 
    Cio' in  quanto,  secondo  i  ricorrenti,  tutti  tali  elementi,
essendo    sprovvisti    dell'indicazione    di     una     specifica
professionalita',  delineano  un'area  generica,  attinente  al  solo
ambito della formazione culturale, e che risulta, pertanto, priva  di
quegli agganci ad una precipua qualificazione e  perizia  nell'ambito
giuridico e  processuale  -  senza  la  quale  l'attivita'  formativa
specifica prevista, peraltro esigua, non puo' raggiungere utili scopi
- che essi ritengono invece necessaria  in  ragione  della  tipologia
della  prestazione  che  deve  essere  resa.   E   cio'   soprattutto
considerando che, alla luce dell'art. 5 del d.lgs. n.  28  del  2010,
per le  materie  ivi  previste,  l'esperimento  del  procedimento  di
mediazione e' condizione di procedibilita' della domanda  giudiziale,
ovvero si  pone  come  alternativa  al  sistema  giudiziale  o  quale
funzione stragiudiziale di soddisfazione di pretese giuridiche. 
    L'assunto secondo il quale il procedimento di mediazione non puo'
che  essere  gestito  con  l'ausilio  dei   soggetti   svolgenti   la
professione  legale  viene  dai  ricorrenti   affidata   anche   alla
considerazione che: 
        il procedimento  di  mediazione  non  positivamente  concluso
incide sulle spese del successivo giudizio [art.  13,  d.lgs.  28/10;
art. 60, lett. p), l. 69/09]; 
        il  verbale  dell'accordo  conclusivo  del  procedimento   di
mediazione, non contrario all'ordine pubblico o a  norme  imperative,
nonche' sottoposto ad omologazione, ha efficacia di titolo  esecutivo
per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma  specifica  e
per l'iscrizione di ipoteca giudiziale (art. 12, d.lgs. 28/10); 
        l'avvocato ha l'obbligo di informare  il  proprio  assistito,
all'atto  del  conferimento  dell'incarico,  della  possibilita'   di
avvalersi della mediazione [art. 4, comma 3, d.lgs. 28/10;  art.  60,
lett.  n),  l.  69/09],  nonostante  lo  svolgimento  della  relativa
attivita' sia, poi, demandato ad altre categorie professionali. 
    Proseguendo nel  descritto  ambito  argomentativo,  i  ricorrenti
pervengono, infine, alla conclusione che l'intero  corpo  sistematico
delle fonti di  disciplina  del  procedimento  di  mediazione  faccia
emergere evidenti profili di contraddittorieta', ed, in  particolare,
che la mancata previsione di  idonei  criteri  di  valutazione  della
competenza  degli  organismi  di  mediazione  ponga  il   regolamento
impugnato in palese contrasto non tanto  con  l'art.  16  del  d.lgs.
28/2010, ma piuttosto con  i  principi  generali  e  l'insieme  delle
disposizioni dell'intero impianto legislativo considerato. 
    8.4.  Sempre  nell'ambito  del  ricorso  n.  10937  del  2010,  i
ricorrenti espongono che gli artt. 5 e  16  del  d.lgs.  28/2010  non
sfuggirebbero  a   censure   di   legittimita'   costituzionale,   in
riferimento agli artt. 77 e 24 della Costituzione. 
    In particolare: 
        a) l'art. 5 del d.lgs. n. 28  del  2010,  nel  prevedere  che
l'esperimento  del  procedimento  di  mediazione  e'  condizione   di
procedibilita', rilevabile anche d'ufficio, della domanda  giudiziale
in riferimento alle controversie nelle previste materie  (condominio,
diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di  famiglia,
locazione, comodato,  affitto  di  aziende,  risarcimento  del  danno
derivante dalla circolazione di veicoli  e  natanti,  responsabilita'
medica e diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo  di
pubblicita',   contratti   assicurativi,   bancari   e   finanziari),
precluderebbe  l'accesso  diretto   alla   giustizia,   disattendendo
espressamente le previsioni della legge delega, art. 60 della  l.  n.
69 del 2009, e, segnatamente, il principio e  criterio  direttivo  di
cui alla lett. a), che lo tutela specificamente; 
        b) l'art. 16 del d.lgs. n. 28 del 2010, ponendo quali criteri
di selezione degli organismi abilitati alla mediazione esclusivamente
la   «serieta'   ed   efficienza»,   liberalizzerebbe   il   settore,
contravvenendo sia all'art. 4 della direttiva  2008/52/CE,  sia  alla
citata  legge  di  delega,   lett.   b),   che   fanno   riferimento,
rispettivamente,   ai    criteri    della    competenza    e    della
professionalita'. 
    8.5. Passando all'illustrazione del ricorso n. 11235 del 2010, si
rileva che esso consta di tre censure. 
    Con  la  prima  (illegittimita'  derivata  dalla   illegittimita'
costituzionale degli artt. 5 e 17 del  d.lgs.  28/2010  in  relazione
agli artt. 24,  76  e  77  della  Costituzione)  la  ricorrente  UNCC
sostiene che il legislatore-delegato e' incorso in eccesso di  delega
laddove  ha   introdotto   l'obbligatorieta'   della   mediazione   e
l'improcedibilita'  del   giudizio   interposto   senza   il   previo
esperimento della  mediazione,  entrambi  non  previsti  dalla  legge
delega. 
    Con la  seconda  (illegittimita'  derivata  dalla  illegittimita'
costituzionale dell'art. 8 del d.lgs. 28/2010 in relazione agli artt.
24, 76 e 77 della Costituzione) la ricorrente sostiene  che,  poiche'
nella logica del decreto delegato, le scelte che la parte e' chiamata
ad effettuare nel procedimento di  mediazione  sono  suscettibili  di
condizionare l'esito del successivo processo, per un verso la mancata
previsione   nel   procedimento    stesso    della    obbligatorieta'
dell'assistenza del difensore  viola  l'art.  24  della  Costituzione
(nonche'  favorisce  le  classi  piu'   abbienti,   facoltizzate   ad
avvalersene), per altro verso l'introduzione  della  possibilita'  di
acquisire elementi  di  prova  in  assenza  di  difesa  tecnica,  non
prevista dalla legge delega, concreta eccesso di delega  ex  art.  76
Cost. 
    Con il terzo motivo di gravame [violazione  dell'art.  60,  comma
III, lett. b) della l. n. 69 del  2009  e  dell'art.  16  del  d.lgs.
20/2010 - eccesso di potere  per  irragionevolezza  -  illegittimita'
derivata dalla illegittimita' costituzionale dell'art. 16 del  d.lgs.
28/2010 in relazione agli  artt.  76  e  77  della  Costituzione]  la
ricorrente lamenta che, laddove la legge  delega  pone  il  requisito
dell'indipendenza sia in capo agli organismi  di  mediazione  sia  in
capo ai singoli mediatori, l'art. 4 del  decreto  impugnato  assicura
tale indipendenza in misura molto minore, riferendola  esclusivamente
«allo svolgimento del servizio di mediazione». 
    9. A  questo  punto  va  subito  chiarito  che  le  eccezioni  di
costituzionalita' relative alla mancata previsione  nel  procedimento
di mediazione della  obbligatorieta'  dell'assistenza  del  difensore
nonche'  alla  mancata  esplicitazione  in  capo  agli  organismi  di
mediazione del requisito della indipendenza, sollevate esclusivamente
nel ricorso n. 11235 del 2010, si profilano non rilevanti ai fini del
presente giudizio. La prima in quanto priva di qualsiasi collegamento
diretto od indiretto  con  la  domanda  demolitoria  del  regolamento
impugnato avanzata innanzi  a  questa  sede;  la  seconda  in  quanto
afferisce esclusivamente allo scrutinio di legittimita'  dell'art.  4
del regolamento stesso. 
    10. Ritiene, invece,  il  Collegio  che  le  altre  questioni  di
costituzionalita' sollevate dai ricorrenti  sono  rilevanti  ai  fini
della  decisione  del  gravame  e  non  si  profilano  manifestamente
infondate. 
    Esse investono, precisamente: 
        l'art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, comma  1,  primo  periodo
(che introduce  a  carico  di  chi  intende  esercitare  in  giudizio
un'azione relativa  alle  controversie  nelle  materie  espressamente
elencate  l'obbligo  del  previo  esperimento  del  procedimento   di
mediazione),  secondo  periodo  (che  prevede  che  l'esperimento  di
mediazione e' condizione di procedibilita' della domanda giudiziale),
terzo  periodo  (che  dispone  che  l'improcedibilita'  deve   essere
eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal
giudice, non oltre la prima udienza); 
        l'art. 16 del d.lgs. n. 28 del 2010, comma 1, laddove dispone
che sono abilitati a costituire organismi deputati, su istanza  della
parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione  gli  enti
pubblici e privati, che diano garanzie di serieta' ed efficienza. 
    11. Va, quindi, ora immediatamente affrontato  il  profilo  della
rilevanza ai fini della decisione della presente  controversia  delle
questioni di cui al precedente punto 10. 
    Punto centrale della  stessa,  nonche'  qualificante  espressione
dell'interesse sostanziale dedotto in giudizio, alla luce della prima
e dalla seconda doglianza di cui al ricorso n. 10937 del 2010, e'  la
dedotta omissione, da parte dell'art.  4  dell'impugnato  regolamento
180/2010, di criteri, volti a delineare i  requisiti  attinenti  alla
specifica professionalita' giuridico-processuale del mediatore. 
    L'illegittimita' di siffatta omissione, precisano  i  ricorrenti,
non si apprezza che in relazione alle previsioni contenute  nell'art.
4 della direttiva 2008/52/CE e nell'art. 60 della l. n. 69 del  2009,
che appunto  prevedono,  rispettivamente,  che  la  mediazione  debba
essere svolta con competenza e professionalita'. 
    Cio' in quanto l'art. 16 del d.lgs. n. 28 del  2010,  di  cui  il
regolamento  costituisce  attuazione,  e  in  relazione  al  quale  i
ricorrenti introducono il sospetto di incostituzionalita', ha obliato
la  valenza   di   detti   requisiti   (si   ripete,   competenza   e
professionalita'), sostituendoli con altri (serieta' ed  efficienza),
che il regolamento impugnato ha fatto propri, ma che non  soddisfano,
pero', secondo i ricorrenti, le esigenze considerate dal  legislatore
comunitario e da quello nazionale delegante. 
    Tali   ultime   esigenze   i   ricorrenti   ritengono,    invece,
insopprimibili, soprattutto osservando che, per un vasto ventaglio di
materie, l'art. 5 dello stesso d.lgs. 28/2010,  pure  dai  ricorrenti
sospettato  di   incostituzionalita',   rende   l'esperimento   della
mediazione condizione di procedibilita' della domanda giudiziale. 
    E  allora,  per  effettuare  in  questa  sede   autonomamente   e
compiutamente la disamina della eventuale fondatezza di  un  siffatto
impianto argomentativo -  prescindendo,  cioe',  dalle  questioni  di
costituzionalita' - il Collegio dovrebbe sottoporre l'art.  60  della
l. n. 69 del 2009 e l'art. 16 del  d.lgs.  n.  28  del  2010  ad  una
interpretazione costituzionalmente orientata, che tenga  conto  della
necessita' di una stretta continuita' e coerenza delle  disposizioni,
tra di esse ed in relazione all'art. 4 della direttiva 2008/52/CE. 
    Cio'  al  fine  di   risolvere   ermeneuticamente   il   problema
consistente nella non sovrapponibilita' dei concetti di «competenza»,
«professionalita'»,     nonche'     «serieta'     ed     efficienza»,
alternativamente utilizzati dalle  fonti  regolatrici  della  materia
(rispettivamente,  direttiva,  legge  delega  e  decreto   delegato),
individuando, anche alla luce degli scopi e dei principi fondanti che
esse assumono, il parametro normativo specifico in relazione al quale
apprezzare  se  la  disposizione  regolamentare  impugnata  (art.  4)
presenti le caratteristiche della completezza e della congruenza. 
    In tal modo, non solo non si porrebbe la necessita' di scrutinare
in via incidentale l'art. 16 del d.lgs. 28/2010, ma  anche  l'art.  5
dello  stesso  d.lgs.   28/2010   rimarrebbe   sullo   sfondo   della
controversia,  senza  essere   direttamente   investito   dalla   sua
definizione. 
    Ma il Collegio ritiene che  una  siffatta  impostazione  non  sia
oggettivamente perseguibile. 
    Cio' in quanto essa non  esaurirebbe  che  in  una  misura  molto
limitata l'ambito delle questioni sottoposte a  giudizio,  lasciando,
in particolare, aperto l'interrogativo di  quale  sia  il  ruolo  che
l'ordinamento giuridico  nazionale  intende  effettivamente  affidare
alla mediazione. 
    Laddove, invece, e' proprio la puntuale  individuazione  di  tale
ruolo ad essere imprescindibilmente  pregiudiziale  all'apprezzamento
dei requisiti che,  in  via  attuativa-amministrativa,  e'  legittimo
richiedere al mediatore ovvero da cui  e'  legittimamente  consentito
prescindere. 
    E' infatti  intuitivo,  anche  sotto  il  profilo  del  grado  di
affidamento da ingenerarsi verso l'esterno in relazione  alla  figura
del mediatore, e che si riflette nella professionalita' che  in  capo
al medesimo l'amministrazione e' tenuta a verificare, che: 
        una cosa e' la costruzione della  mediazione  come  strumento
cui lo Stato in  un  vasto  ambito  di  materie  obbligatoriamente  e
preventivamente rimandi per l'esercizio  del  diritto  di  difesa  in
giudizio; 
        altra cosa e' la costruzione della mediazione come  strumento
generale normativamente predisposto, di  cui  lo  Stato  incoraggi  o
favorisca  l'utilizzo,  lasciando   purtuttavia   impregiudicata   la
liberta' nell'apprezzamento dell'interesse del privato ad adirla ed a
sopportarne i relativi effetti e costi. 
    In altre parole, non pare potersi porre  fondatamente  in  dubbio
che la disamina rimessa a questa  sede  in  ordine  alla  valutazione
della fondatezza delle descritte doglianze, in relazione  alle  norme
del regolamento n. 180 del 2010 interessate dalla domanda demolitoria
nei sensi sopra precisati, non  possa  prescindere  dall'accertamento
della correttezza, in raffronto ai criteri della legge delega  ed  ai
precetti  costituzionali,   e   tenuto   conto   delle   disposizioni
comunitarie, delle scelte operate dal legislatore delegato laddove: 
        all'art. 16, ha conformato gli organismi di  conciliazione  a
parametri, o meglio  a  qualita',  che  attengono  esclusivamente  ed
essenzialmente all'aspetto della funzionalita' generica, e  che,  per
contro, sono scevri da qualsiasi  riferimento  a  canoni,  tipologici
tecnici  o   professionali   di   carattere   qualificatorio   ovvero
strutturale; 
        al contempo, all'art. 5, ha configurato, per le  materie  ivi
previste, l'attivita' da questi posta in essere  come  insopprimibile
fase preprocessuale, cui altre norme del decreto  assicurano  effetti
rinforzati, ed, in quanto tale, suscettibile, in ogni  suo  possibile
sviluppo, o di conformare definitivamente  i  diritti  soggettivi  da
esso coinvolti, o di incidervi, comunque, anche laddove ne residui la
giustiziabilita' nelle sedi  istituzionali  e  si  intenda  adire  la
tutela giudiziale. 
    E cio' anche tenendo particolarmente conto, sotto un profilo piu'
generale, del fatto che nel decreto legislativo n.  28  del  2010  si
rinvengono, come  al  Collegio  sembra  palese,  elementi  che  fanno
emergere due scelte di fondo che, in relazione ai diritti disponibili
e nelle materie considerate, in misura inversamente proporzionale, ma
biunivocamente,   mirano,   con   forza    cogente,    l'una,    alla
de-istituzionalizzazione e de-tecnicizzazione della giustizia  civile
e commerciale nelle materie stesse, e, l'altra,  alla  enfatizzazione
di un procedimento para-volontario di componimento delle controversie
nelle materie stesse, che, pero', per come strutturate, non risultano
omogenee con una ulteriore scelta pure ivi operata. 
    Che consiste nel disporre che l'atto che conclude la  mediazione,
sottoposto ad omologazione,  possa  acquistare  efficacia  di  titolo
esecutivo per l'espropriazione forzata,  per  l'esecuzione  in  forma
specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale (art.  12,  d.lgs.
28/10) - rientrando, cosi', a pieno titolo tra gli  atti  aventi  gli
stessi effetti giuridici tipici delle statuizioni  giurisdizionali  -
laddove, nel corso della mediazione, ed ai sensi decreto  legislativo
stesso, il profilo della competenza tecnica del mediatore  sbiadisce,
e, vieppiu', anche il diritto positivo viene in evidenza  solo  sullo
sfondo,  come  cornice  esterna  ovvero  come  generale  limite  alla
convenibilita' delle posizioni giuridiche in essa coinvolte  (divieto
di  omologare  accordi  contrari  all'ordine  pubblico  o   a   norme
imperative, art. 12 del d.lgs. n. 28 del 2010). 
    E allora, per  assicurare  la  certezza  della  fattibilita'  del
descritto meccanismo, al fine di escludere che lo stesso  ridondi  in
danno del diritto di difesa in giudizio garantito dall'art. 24 Cost.,
risulta insopprimibile la necessita' che l'interpretazione  dell'art.
16 del d.lgs. 28/2010 [propedeutica  alla  disamina  della  impugnata
disposizione regolamentare dell'art. 4)]  sia  correlata  con  quanto
previsto dall'art. 5  dello  stesso  decreto  (entrambi  nelle  parti
precisate al punto 9), il cui combinato disposto costituisce il  vero
perno della regolazione delegata. 
    Tale ultima  norma,  pero',  per  le  ragioni  che  si  passa  ad
illustrare, non risulta al Collegio  trovare  una  rispondenza  nella
legge delega, con conseguente violazione dell'art. 77 Cost. 
    12.  Nell'illustrare  il  complessivo  quadro   normativo   della
fattispecie, si e' dato conto che la direttiva  21  maggio  2008,  n.
2008/52/CE  e'  chiara  nell'affermare,  all'ottavo  considerando  ed
all'art.  1,  che  il  campo  privilegiato  di   applicazione   delle
disposizioni  comunitarie  sulla  mediazione  in  materia  civile   e
commerciale e' rappresentato dalle controversie transfrontaliere,  ma
che  nulla  dovrebbe  vietare  agli  Stati  membri  di  stenderla  ai
«procedimenti di mediazione interni». 
    L'intento della direttiva sul punto e' chiaro. 
    La immediata disponibilita' nell'ambito dell'Unione  europea  del
servizio   di   mediazione    in    relazione    alle    controversie
transfrontaliere  nelle  materie  civili  e   commerciali   risponde,
infatti, con efficacia apprezzabile a prima vista, alla necessita' di
superare le problematiche solitamente e squisitamente proprie di tali
tipologie di controversie,  quali  l'individuazione  dell'ordinamento
statale applicabile e del giudice competente, contribuendo, cosi,  ad
una soluzione rapida ed efficace delle ragioni  del  contendere,  che
altrettanto  indubitabilmente  manifesta   il   ruolo   di   elemento
necessario al  corretto  funzionamento  del  mercato  interno,  anche
tenuto  conto  che  la  materia  degli  scambi  commerciali  non   e'
ontologicamente   estranea   alla   composizione   amichevole   delle
controversie. 
    Al contempo, il  legislatore  comunitario  esprime  evidentemente
l'avviso  che  nulla  osta  a  che  la  mediazione,  quale  strumento
tendenzialmente  generale  di  risoluzione  delle  controversie,  sia
valorizzata   dalle   singole   legislazioni   nazionali,    mediante
l'esercizio di un'opzione estensiva dell'istituto, come delineato nei
tratti salienti dalla direttiva, che ne comporti l'applicazione anche
a quelle che esulano dal campo dei rapporti transfrontalieri,  e  che
ricadono interamente  nell'ambito  degli  ordinamenti  interni  degli
Stati membri. 
    Secondo  le  attribuzioni  proprie   dell'ordinamento   nazionale
vigente,   l'eventuale   adesione,   di    carattere    pacificamente
discrezionale, a siffatta ipotesi ampliativa, e, conseguentemente, la
competenza ad esercitare opzione nei detti sensi, non puo' che essere
individuata che in capo  alla  fonte  normativa  primaria  [art.  111
Cost.; art. 117, lett. l) ed m) Cost.]. 
    E cio' anche perche', come meglio in seguito, essa non  esaurisce
le  scelte  da  compiersi,  ma  costituisce  il  presupposto  da  cui
scaturisce la necessita' di operare altre scelte, che ineriscono,  se
cosi' si puo' dire, ai massimi livelli del  sistema  nazionale  della
«giustizia» in materia civile. 
    Si  pone,  indi,  la  necessita'  di  verificare  se  le   scelte
effettuate dal legislatore delegato, con specifico  riferimento  alle
prime tre disposizioni dell'art. 5 del d.lgs. 28/2010, possano essere
ascritte,  nelle  parti  fondanti,  all'art.  60  della  piu'   volte
richiamata l. n. 69 del 2009. 
    E' il caso di chiarire  che  ad  analoga  necessita'  condurrebbe
anche l'eventualita' che l'art. 60 della l. n. 69 del 2009,  oltre  a
porsi in continuita' con la direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE -
come  sembra  al  Collegio  palese  ancorche'  la  stessa  non  venga
richiamata nel testo dell'articolo, che rimanda pero'  al  «rispetto»
ed alla «coerenza» con la normativa comunitaria [comma 2 e  comma  3,
lett. c)], e come e' in effetti sembrato palese anche al  legislatore
delegato, che l'ha citata nel preambolo - esprima  anche  l'ulteriore
ed autonomo intendimento  del  legislatore  di  approntare  soluzioni
volte a  fronteggiare  le  note  problematiche  connesse  nel  nostro
ordinamento al processo civile. 
    In  tale  ultimo  senso  sembrano,   per   vero,   militare   sia
l'inserimento dell'art. 60 non nella legge comunitaria annuale bensi'
in   un   corpus   normativo   per   «lo   sviluppo   economico,   la
semplificazione, la competitivita' nonche'  in  materia  di  processo
civile», sia la dizione utilizzata dal comma 2 dello stesso articolo,
che qualifica la delega conferita al Governo ai sensi del comma 1 che
lo precede (»in materia di mediazione e di  conciliazione  in  ambito
civile e commerciale») quale «riforma». 
    Infatti, quand'anche ci si trovasse di  fronte  ad  una  autonoma
«riforma»   di   carattere   ordinamentale,   meramente   occasionata
dall'obbligo di recepire la direttiva n. 2008/52/CE, da cui mutua  il
contenuto essenziale, ma senza che l'intento recettivo  esaurisca  le
intenzioni  del  legislatore,  a  maggior   ragione   si   imporrebbe
l'indagine sull'oggetto che costituisce il reale ambito della delega,
che  non  potrebbe  essere  sic   et   simpliciter   derivato   dalle
disposizioni comunitarie in corso di recepimento. 
    13. Ma il Collegio non rinviene nella legge delega alcun elemento
che consenta di ritenere che la  regolazione  della  materia  andasse
effettuata nei sensi prescelti dalle prime tre previsioni dell'art. 5
del d.lgs. n. 28 del 2010. 
    E cio' per le ragioni che si passa ad illustrare. 
    13.1.  Va  subito  chiarito  che,  laddove  indubitabilmente   e'
ascrivibile al piu' volte nominato art. 60 della l. 60/09  la  scelta
di ampliare il ricorso alla mediazione nelle controversie interne  in
ambito civile e commerciale, nessuno dei criteri e principi direttivi
previsti e nessuna  altra  disposizione  dell'articolo  espressamente
assume  l'intento  deflattivo  del  contenzioso   giurisdizionale   o
configura l'istituto  della  mediazione  quale  fase  pre-processuale
obbligatoria. 
    Ne' detto tema puo' ritenersi rientrante nell'ambito di liberta',
ovvero  nell'area  di  discrezionalita'  commessa  alla  legislazione
delegata, esso non costituendo,  per  quanto  sopra  riferito  e  per
quanto in seguito, ne' un mero sviluppo delle  scelte  effettuate  in
sede di delega ne' una fisiologica  attivita'  di  riempimento  o  di
coordinamento normativo, sia che si tratti di recepire  la  direttiva
comunitaria n.  2008/52/CE  sia  che  si  tratti  della  riforma  del
processo civile. 
    Ne  consegue  che,  ai  fini  della  positiva  valutazione  della
costituzionalita'  della  previsione,  tenendo  conto  del   silenzio
serbato dal legislatore delegante sullo specifico tema,  occorrerebbe
almeno che l'art. 60 lasci trasparire elementi in tal senso univoci e
concludenti. 
    Ma cosi' non e'. 
    13.2. Va poi anche escluso che l'art. 60 della legge  n.  69  del
2009, con la locuzione del relativo comma 2 (regolare la riforma «nel
rispetto e in coerenza con la normativa comunitaria») ovvero  con  il
principio e criterio direttivo  posto  alla  lett.  c)  del  comma  3
(«disciplinare   la   mediazione   nel   rispetto   della   normativa
comunitaria») possa essere inteso quale delega al Governo a  compiere
ogni e qualsivoglia  scelta  latamente  occasionata  dalla  direttiva
comunitaria n. 2008/52/CE, che, come sopra si e' rilevato, il Governo
non e' stato neanche espressamente chiamato a recepire. 
    Ma, sul punto, come gia' sopra accennato, e' ancor piu'  decisivo
osservare che varie sono le opzioni da considerare  a  termini  della
direttiva in parola. 
    La prima e la  piu'  significativa,  nonche'  quella  chiaramente
compiuta  dall'art.  60,  e'  indubbiamente  quella   relativa   alla
estensione dell'applicazione  delle  disposizioni  comunitarie  sulla
mediazione    anche    ai    procedimenti    interamente    ricadenti
nell'ordinamento nazionale, per i quali essa non  e'  originariamente
ed obbligatoriamente prevista. 
    La seconda e' quella di valutare se il procedimento di mediazione
debba essere «avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo
giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato  membro»  [art.
3, lett. a), direttiva n. 2008/52/CE]. 
    La terza, logicamente conseguente all'ultima delle opzioni  della
seconda,  e'  quella  di  apprezzare  se,   dinamicamente,   lasciare
«impregiudicata la legislazione nazionale che rende il  ricorso  alla
mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o  sanzioni,  sia
prima che dopo l'inizio del procedimento giudiziario» (art.  5,  par.
2, direttiva n. 2008/52/CE). 
    Il tutto, tenendo comunque  conto  del  limite  costituito  dalla
necessita' di non impedire «alle parti di esercitare  il  diritto  di
accesso al  sistema  giudiziario»  (art.  5,  par.  2,  direttiva  n.
2008/52/CR). 
    I ricaschi della scelta estensiva dell'istituto della  mediazione
dal campo privilegiato delle controversie  transfontaliere  a  quello
dei procedimenti interamente ricadenti nell'ordinamento interno sono,
indi, molteplici, ed attengono precipuamente alle varie modalita' con
cui tale estensione, salvaguardando l'accesso  alla  giustizia,  puo'
essere effettuata nei singoli ordinamenti, ed, in primis, all'opzione
di rendere il ricorso alla mediazione «prescritto dal diritto»,  indi
«obbligatorio» e «soggetto a sanzioni». 
    Quand'anche, pertanto, dovesse ritenersi che l'art. 60  si  ponga
un intento integralmente recettivo della direttiva n. 2008/52/CE,  il
silenzio del legislatore delegante su tali ultime opzioni non ha, ne'
puo' avere, alla luce della doverosa interpretazione della delega  in
conformita' agli artt. 24 e 77 Cost., il significato di assentire  la
meccanica  introduzione  nell'ordinamento   statale   delle   opzioni
comunitarie  che,  rispetto  al  diritto  di  difesa  come   scolpito
dall'art. 24 Cost., appaiono le piu' estreme, ovvero la «prescrizione
di diritto» per talune materie dell'obbligatorieta' del ricorso  alla
mediazione, e la predisposizione della massima «sanzione» per il  suo
eventuale inadempimento, quale e' l'improcedibilita' rilevabile anche
d'ufficio, come, al contempo, ha fatto l'art. 5 del decreto delegato. 
    13.3. Va, altresi', chiarito che nessun elemento decisivo, sempre
ai fini in parola, e' ricavabile dal principio e  criterio  direttivo
previsto dalla lett. a) della legge delega, laddove si dispone che la
mediazione,  finalizzata  alla  conciliazione,  abbia   per   oggetto
controversie su diritti disponibili, «senza precludere l'accesso alla
giustizia». 
    Tale principio e  criterio  direttivo,  infatti,  nella  dinamica
della  delega,  non  sembra  assumere  altro  ruolo  che  quello   di
richiamare l'attenzione sulla necessita' di rispettare  un  principio
assoluto  e  primario  dell'ordinamento  nazionale  (art.  24   della
Costituzione) e di quello comunitario. 
    Cio' posto, e' vero che l'accesso  alla  giustizia  potrebbe  non
ritenersi   ex   se   precluso   dalla   previsione   di   una   fase
pre-processuale, che, ancorche' obbligatoria, lasci  comunque  aperta
la facolta' di adire la via giurisdizionale. 
    Infatti, secondo  il  costante  insegnamento  del  Giudice  delle
leggi, l'art. 24 Cost. non impone che il cittadino  possa  conseguire
la tutela giurisdizionale sempre allo stesso modo e  con  i  medesimi
effetti,  e  non  vieta  quindi  che  la  legge   possa   subordinare
l'esercizio dei diritti a controlli o condizioni, purche' non vengano
imposti oneri tali o non vengano prescritte modalita' tali da rendere
impossibile o  estremamente  difficile  l'esercizio  del  diritto  di
difesa o lo svolgimento dell'attivita' processuale (Corte  Cost.,  21
gennaio 1988, n. 73; 13 aprile 1977, n. 63; sul punto, non  puo'  non
richiamarsi anche la recente sentenza della Corte  di  Giustizia  CE,
IV, 18 marzo 2010). 
    Ma e' altresi' vero: 
        sia che, proprio in forza delle statuizioni appena citate, le
modalita' di una siffatta previsione non sono ininfluenti al fine  di
valutarne la conformita' a Costituzione; 
        sia che nell'ordinamento giuridico vigente, e  specificamente
in quello che regola la delega legislativa, non tutto cio' che e'  in
via generale permesso all'autorita' delegante  puo'  ritenersi  anche
assentito alla sede delegata. 
    Di  talche',  anche  potendosi  ammettere  che   le   prime   tre
disposizioni del comma 1 dell'art. 5 del d.lgs. 28/2010, isolatamente
considerate,  possano  non  essere  in  contrasto  con  il  principio
costituzionale del  diritto  alla  difesa,  alla  stessa  conclusione
potrebbe  non  pervenirsi  tenendo  conto  degli  effetti  del   loro
coordinamento  con  altre  disposizioni  dello  stesso   d.lgs.,   e,
segnatamente, con l'art. 16. In ogni  caso,  poi,  attesa  la  natura
della fonte,  occorrerebbe  rinvenirne  il  fondamento  in  un  altro
principio e criterio direttivo della delega. 
    Ma, come si e' gia' accennato, cio' non e' dato. 
    13.4. Atteso, quindi, che i principi e criteri direttivi,  appena
esaminati appaiono neutrali al  fine  di  apprezzare  la  rispondenza
dell'art. 5  del  d.lgs.  28/10  alla  legge  delega,  va  osservato,
vieppiu', che  ben  due  principi  e  criteri,  direttivi  depongono,
invece, a favore della non rispondenza. 
    13.4.1. Con il principio e criterio direttivo previsto  dall'art.
60, lett. c), si prevede che la  mediazione  sia  disciplinata  anche
«attraverso  l'estensione  delle  disposizioni  di  cui  al   decreto
legislativo 17 gennaio 2003, n. 5». 
    Il  decreto  legislativo  5/2003   reca   la   «Definizione   dei
procedimenti in materia di diritto societario  e  di  intermediazione
finanziaria, nonche' in materia bancaria e creditizia, in  attuazione
dell'articolo 12 della l. 3 ottobre 2001, n. 366», e nel  titolo  VI,
dedica(va) alla conciliazione stragiudiziale gli artt. da  38  a  40,
ora abrogati proprio dall'art. 23 del d.lgs. n. 28 del 2010. 
    Il richiamo dell'art. 60 in parola al d.lgs. 5/2003 fa  escludere
che la puntuale scelta operata dal comma l  dell'art.  5  del  d.lgs.
28/2010 possa essere ascritta al legislatore delegante. 
    Infatti, il d.lgs. 5/2003, segnatamente, all'art.  40,  comma  6,
molto piu' limitatamente di quanto previsto dal  ridetto  art.  5,  e
solo nello scenario in cui «il  contratto  ovvero  lo  statuto  della
societa' prevedano una clausola di conciliazione e il  tentativo  non
risulti esperito», prevede che «il giudice, su  istanza  della  parte
interessata proposta nella prima difesa dispone  la  sospensione  del
procedimento pendente davanti a lui fissando  un  termine  di  durata
compresa tra trenta e sessanta giorni per il deposito dell'istanza di
conciliazione davanti ad un organismo di conciliazione ovvero  quello
indicato dal contratto o dallo statuto». 
    Il  modello  legale  valorizzato  dall'art.  60  della  l.  69/90
mediante il richiamo al d.lgs. 5/2003 e' quello, quindi,  in  cui  si
versa innanzitutto in un ambito gia'  delineato  da  norme  di  fonte
volontaria privata (contratto o statuto sociale). 
    In  tale  quadro,  e'  comunque  rimesso  ad  un  altro   momento
volontario privato, ovvero  alla  facolta'  della  parte  che  vi  ha
interesse, e non alla forza cogente della  legge,  far  constare  nel
giudizio  gia'  interposto,  ed  entro   termini   prestabiliti,   la
sussistenza di una clausola conciliativa ed  il  mancato  esperimento
della conciliazione. 
    Ed anche qualora la parte ritenga di avvalersi di tale  facolta',
il  procedimento  giudiziale  non  si  estingue,   ma,   molto   piu'
limitatamente, deve essere  sospeso  per  il  periodo  necessario  ad
esperire la conciliazione. 
    Il decreto legislativo 5/2003 delinea,  dunque,  una  fattispecie
nella quale l'esistenza di un modulo normativo di composizione  delle
controversie alternativo alla giurisdizione, di cui l'interessato non
si sia avvalso, ne' pospone de iure  il  suo  diritto  di  difesa  in
giudizio ne' lo  rende,  eventualmente,  inuliter  esercitato,  come,
invece, fanno le prime tre disposizioni del comma 1 dell'art.  5  del
d.lgs. 28/2010. 
    E' bene aggiungere che  nulla  muta,  poi,  considerando  che  il
decreto delegato n. 28 del 2010, al comma  2  dello  stesso  art.  5,
affianca al meccanismo sospetto  di  incostituzionalita'  di  cui  al
comma 1 anche un meccanismo coincidente a  quello  appena  descritto,
ascrivibile al modello richiamato dal legislatore  delegante  (d.lgs.
5/2003), in forza del quale e' il giudice adito,  anche  in  sede  di
appello, che, valutati una serie  di  elementi,  invita  le  parti  a
procedere alla mediazione e differisce la decisione  giurisdizionale:
tale disposizione, infatti, tiene comunque «Fermo quanto previsto dal
comma 1...». 
    Anzi, il comma 2 dell'art. 5 lumeggia maggiormente la incisivita'
della diversa scelta compiuta dal legislatore  delegato  al  comma  1
dello stesso articolo, di subordinare nelle materie ivi  previste  il
diritto di  difesa  in  giudizio  all'esperimento  della  mediazione,
rendendo ancor piu' pressante l'esigenza che di una  siffatta  scelta
si individui il preciso fondamento nella legge delega. 
    13.4.2. A sua volta, la lett. n) del piu' volte  richiamato  art.
60 prevede il dovere dell'avvocato di  informare  il  cliente,  prima
dell'instaurazione  del  giudizio,  della   «possibilita'»,   e   non
dell'obbligo, di avvalersi dell'istituto della conciliazione  nonche'
di ricorrere agli organismi di conciliazione. 
    Anche tale disposizione non consente di ritenere che l'art. 5 del
d.lgs. 20/10, al comma 1, nelle  tre  prime  disposizioni,  trovi  un
riscontro nella legge delega 69/09. 
    Infatti,   la   possibilita'   e',   per   definizione,   diversa
dall'obbligatorieta', e l'accentuazione di tale differenza  non  puo'
ritenersi  superflua,  vertendosi   nel   campo   della   deontologia
professionale, ovvero in un complesso di obblighi  e  doveri  la  cui
inosservanza puo' determinare  conseguenze  pregiudizievoli  in  base
all'ordinamento  civile  (risarcimento  del  danno),   amministrativo
(sanzioni disciplinari) e pubblicistico  (art.  4,  comma  4,  d.lgs.
28/2010),  che  richiedono  l'esatta  individuazione   del   precetto
presidiato dalle sanzioni. 
    Tant'e'  che  lo  stesso  decreto  delegato  28/2010  ha   dovuto
differenziare, al comma 4 dell'art. 4, l'ipotesi  in  cui  l'avvocato
omette di informare il  cliente  della  «possibilita'»  di  avvalersi
della mediazione, da quella in cui l'omissione informativa concerne i
casi  in  cui  «l'esperimento  del  procedimento  di  mediazione   e'
condizione di procedibilita' della domanda giudiziale». 
    E cio' ancorche' poi, alquanto sorprendentemente, l'art. 4, comma
4  in  parola  non  diversifichi  la  sanzione  correlata  alle   due
fattispecie, che sono state entrambe ricondotte alla unica  categoria
della    «violazione    degli    obblighi    di    informazione»    e
all'annullabilita'  del  contratto  intercorso   tra   l'avvocato   e
l'assistito, nonostante la  assai  maggior  pregiudizievolezza  della
seconda. 
    14. Nessuna delle problematiche di rilievo  costituzionale  sopra
evidenziate   viene   risolta   dalle    difese    formulate    dalle
amministrazioni resistenti. 
    14.1. Si opina che lo schema  procedimentale  seguito  e'  quello
dell'art. 46 della l. 3 maggio 1982, n. 203, in tema di  controversie
agrarie. 
    L'argomentazione non e' satisfattiva. 
    Detta risalente legge, che effettivamente configura un meccanismo
in  forza  del  quale  il  previo  esperimento   del   tentativo   di
conciliazione assume la condizione di presupposto processuale, la cui
carenza preclude al giudice eventualmente adito  di  pronunciare  nel
merito della domanda (Cass. SS.UU., 20 dicembre 1985, n. 6517), oltre
a concernere le limitatissime (rispetto alle materie di cui  all'art.
5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010) ipotesi dei contratti  agrari,
non figura  menzionata  in  alcuna  parte  della  legge  delega,  che
richiama, invece, la completamente diversa fattispecie normativa  del
gia' citato d.lgs. n. 5 del 2003, sopra illustrata. 
    14.2.  L'assunzione  di  finalita'  deflative   del   contenzioso
giudiziale, l'apprezzamento dell'equilibrio della soluzione prescelta
e delle eccezioni previste  rispetto  all'esercizio  del  diritto  di
azione ex art. 24  Cost.  e  all'interesse  generale  alla  sollecita
definizione  della  giustizia  ed  al  contenimento  «dell'abuso  del
diritto  alla  tutela  giurisdizionale»  -  posto  che  una  siffatta
tipologia di «abuso»  possa  essere  legittimamente  e  genericamente
visualizzata, a termini  dell'ordinamento  nazionale  vigente,  unico
parametro lecito nella prospettiva propria dell'argomentazione,  solo
sulla scorta del dato costituito dal  numero  di  contenziosi  civili
pendenti - non sono qui in discussione. 
    Si tratta, infatti, di questioni di merito  sottratte  all'ambito
proprio del giudizio amministrativo, laddove, invece, piu'  a  monte,
occorre  verificare,  in  osservanza  delle  regole   proprie   dello
scrutinio incidentale di costituzionalita' di cui all'art. 1 della l.
cost. n. 1 del 1948,  se  trattasi  di  scelte  che  il  Governo  era
legittimato ad attuare, e con le previste modalita', in  forza  delle
attribuzioni delegate dal Parlamento. 
    14.3. E' fuori tema e non  coglie  comunque  nel  segno,  per  le
stesse ragioni appena riferite e per  quanto  al  punto  13.3.,  ogni
questione attinente alle indicazioni ricavabili dalla  giurisprudenza
comunitaria  in  tema  di  telecomunicazioni  invocata  dalle   parti
resistenti,  in  relazione  alla   astratta   possibilita'   per   il
legislatore  nazionale  di   sottoporre   l'esercizio   dei   diritti
fondamentali a restrizioni compatibili  con  obiettivi  di  interesse
generale,  a  condizione  che  essi  siano  perseguiti  in  modo  non
sproporzionato o inaccettabile, ed  alla  verifica  del  rispetto  di
siffatte condizioni da parte delle norme delegate. 
    14.4. Non e' vero, per quanto pure in  precedenza  riferito,  che
l'unico limite posto al decreto delegato e' quello del rispetto della
possibilita' di accesso alla giustizia. 
    Si e' infatti sopra dato conto che nell'art. 60 della  l.  n.  69
del 2009 sussistono alcuni elementi di carattere positivo  univoci  e
concludenti, tra cui primariamente il richiamo alle  gia'  illustrate
disposizioni di cui al decreto legislativo n. 5 del 2003 (artt. da 38
a 40, ora abrogati dall'art. 23 del d.lgs. n. 28 del 2010), che,  nel
rapporto tra mediazione e processo,  delineano  un  equilibrio  molto
diverso da quello assunto dal comma 1 dell'art. 5. 
    Ne' e' conducente, per quanto  sopra  pure  diffusamente  esposto
(13.2),  affermare  che  la  normativa   comunitaria   fa   esplicito
riferimento  all'ipotesi  di  mediazione  obbligatoria  anche   negli
specifici termini estremi fatti propri dal  legislatore  delegato  (e
non, si ribadisce, dalla legge delega), atteso che essi, nel contesto
comunitario, come sopra acclarato, costituiscono previsioni  via  via
«facoltizzate». 
    Quanto all'affermazione  che,  ai  fini  dell'introduzione  della
obbligatorieta' della mediazione, sono state  prescelte  controversie
che traggono origine da rapporti particolarmente conflittuali,  quali
quelle attinenti al risarcimento del danno, e che sono caratterizzate
da maggior complessita' e durata, essa, oltre a  inverare  ancora  un
giudizio di merito non consono alla presente sede, sembra  deporre  a
favore delle tesi ricorsuali, piu' che confutarle. 
    Il problematico contesto  sopra  considerato  non  muta,  infine,
tenendo conto delle materie (d.lgs. 8 settembre 2007, n. 179,  Camera
di conciliazione e arbitrato  presso  la  Consob;  art.  128-bis  del
d.lgs. 1° settembre1993, n. 385 e s.m.i., t.u. in materia bancaria  e
creditizia, risoluzione  stragiudiziale  delle  controversie  tra  le
banche e gli intermediari finanziari e la clientela), per le quali e'
gia' previsto un procedimento conciliativo, trattandosi,  anche  qui,
di elementi che si profilano di  assoluta  neutralita'  in  relazione
alle questioni dibattute in questa sede. 
    15. Tutto quanto sin qui argomentato giustifica la valutazione di
rilevanza  e  non   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale: 
        dell'art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, comma 1, primo periodo
(che introduce  a  carico  di  chi  intende  esercitare  in  giudizio
un'azione relativa  alle  controversie  nelle  materie  espressamente
elencate  l'obbligo  del  previo  esperimento  del  procedimento   di
mediazione),  secondo  periodo  (che  prevede  che  l'esperimento  di
mediazione e' condizione di procedibilita' della domanda giudiziale),
terzo  periodo  (che  dispone  che  l'improcedibilita'  deve   essere
eccepita dal convenuto o rilevata d'ufficio dal giudice); 
        dell'art. 16 del d.lgs. n. 28  del  2010,  comma  1,  laddove
dispone che abilitati a costituire  organismi  deputati,  su  istanza
della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione sono
gli enti pubblici e privati,  che  diano  garanzie  di  «serieta'  ed
efficienza». 
    15.1. In particolare, le disposizioni di cui sopra  risultano  in
contrasto con l'art. 24 Cost. nella misura in cui determinano,  nelle
considerate materie, una incisiva influenza da  parte  di  situazioni
preliminari e pregiudiziali sull'azionabilita' in giudizio di diritti
soggettivi e sulla successiva funzione giurisdizionale  statuale,  su
cui lo svolgimento della mediazione variamente influisce. 
    Cio'  in  quanto  esse  non  garantiscono,  mediante  un'adeguata
conformazione della figura del mediatore, che i privati non subiscano
irreversibili  pregiudizi  derivanti  dalla  non  coincidenza   degli
elementi loro  offerti  in  valutazione  per  assentire  o  rifiutare
l'accordo  conciliativo,  rispetto   a   quelli   suscettibili,   nel
prosieguo, di essere evocati in giudizio. 
    15.2. Le disposizioni in parola risultano altresi'  in  contrasto
con l'art. 77 Cost.,  atteso  il  silenzio  serbato  dal  legislatore
delegante in tema di obbligatorieta'  del  previo  esperimento  della
mediazione  al  fine  dell'esercizio  della  tutela   giudiziale   in
determinate materie, nonche' tenuto conto del grado  di  specificita'
di alcuni principi e criteri direttivi fissati  dalla  legge  delega,
art. 60 della l. 69/09, che risultano stridenti con  le  disposizioni
stesse. 
    In particolare, alcuni principi e criteri  direttivi  [lett.  c);
lett.  n)]  fanno  escludere   che   l'obbligatorieta'   del   previo
esperimento della mediazione  al  fine  dell'esercizio  della  tutela
giudiziale   in   determinate   materie   possa    rientrare    nella
discrezionalita' commessa  alla  legislazione  delegata,  quale  mero
sviluppo o fisiologica attivita' di riempimento della  delega,  anche
tenendo conto della sua  ratio  e  finalita',  nonche'  del  contesto
normativo comunitario al quale e' ricollegabile. 
    15.3. Si rende conseguentemente  necessaria  la  sospensione  del
giudizio  e  la  rimessione  degli  atti  alla  Corte  Costituzionale
affinche' si pronunci sulla questione.