Il giudice, letti gli atti, esaminata la documentazione prodotta ed a scioglimento della riserva formulata in udienza, Osserva In fatto. L'avv. Diego Lenci chiese a questo tribunale, con lo speciale procedimento previsto dall'art. 28 della legge n. 794/1942, la liquidazione dei compensi a carico dei suoi clienti, signori Immacolata, Patrizia, Gennaro ed Anna Balbi, per l'attivita' professionale svolta in un giudizio di scioglimento di comunione ereditaria. Si costituirono Immacolata e Patrizia Balbi, proponendo tra l'altro domanda riconvenzionale per ottenere la condanna del professionista al risarcimento dei danni cagionati dalla asserita negligente condotta professionale del legale. Con ordinanza del 26 giugno 2009, la seconda sezione di questo tribunale, ritenendo che la proposizione della domanda riconvenzionale rendesse inapplicabile la procedura prevista dall'art. 28, legge n. 794/1942, dispose il mutamento del rito, fissando l'udienza e designando il giudice per la trattazione nelle forme ordinarie. La causa venne, poi, assegnata alla sesta sezione di questo tribunale. All'udienza del 21 dicembre 2010, il difensore dell'attore dichiaro' l'intervenuto decesso del proprio assistito, ed il giudizio venne interrotto. Con ricorso depositato in data 24 gennaio 2011, Immacolata, Patrizia ed Anna Balbi hanno riassunto il giudizio, chiedendo la fissazione di nuova udienza. All'udienza del 26 aprile 2011, fissata per la prosecuzione della causa, il difensore delle Balbi ha depositato copia del ricorso e del decreto notificata collettivamente ed impersonalmente agli eredi dell'avv. Lenci (deceduto, come da certificato anagrafico, il 16 agosto 2010) presso l'ultimo domicilio di quest'ultimo, in Napoli, alla via Salvator Rosa n. 108, ai sensi dell'art. 140 del codice di procedura civile, mediante deposito nella casa comunale, affissione dell'avviso alla porta dell'abitazione per mancanza di portiere o vicini, e comunicazione a mezzo di lettera raccomandata, della quale, in mancanza di soggetti abilitati a riceverla, e' stato immesso nella cassetta della corrispondenza avviso di giacenza del plico presso l'ufficio postale, con successiva restituzione della cartolina di ritorno al mittente con la dicitura «atto non ritirato entro i dieci giorni previsti». Su tale premessa, ha chiesto la fissazione dei termini ex art. 183, sesto comma del codice di procedura civile ed il giudice si e' riservato di decidere. In diritto. Va sollevata, d'ufficio, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 303, secondo comma del codice di procedura civile, nella parte in cui, nel consentire che, a seguito dell'interruzione del giudizio determinata dalla morte di una parte, l'altra parte possa entro un anno dall'evento morte riassumere la causa notificando il ricorso ed il decreto collettivamente ed impersonalmente agli eredi nell'ultimo domicilio del defunto, permette, nell'interpretazione data dalla giurisprudenza, che cio' possa avvenire anche ai sensi dell'art. 140 del codice di procedura civile ed anche nel caso in cui l'avviso spedito a mezzo di raccomandata non possa essere consegnato e non sia successivamente ritirato presso l'ufficio postale. Com'e' noto, l'art. 303 del codice di procedura civile, nell'intento di agevolare la riassunzione del giudizio interrotto in conseguenza della morte di una delle parti, consente che la prosecuzione avvenga attraverso la notificazione in forma collettiva ed impersonale, per sollevare la parte interessata dall'onere di una, spesso difficoltosa, individuazione nominativa di tutti gli eredi del defunto. La deroga rispetto alle regole generali, come e' stato osservato, riguarda, pero', solamente il «principio di identificazione del destinatario», nel senso di consentire lo svolgimento di un giudizio, pur in assenza della nominativa individuazione dei contraddittori, contro dei soggetti riuniti sotto l'unificante qualificazione di «eredi» dell'originaria parte del giudizio; nessuna deroga e', invece, prevista per quanto attiene alle modalita' di notificazione dell'atto riassuntivo, che puo', dunque, avvenire, nel silenzio della legge, in tutte le forme previste dagli artt. 138 e seguenti del codice di procedura civile, compresa quella che l'art. 140 del codice di procedura civile fissa per il caso di irreperibilita' del destinatario. In questo senso, anche la Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilita' tra la riassunzione collettivamente ed impersonalmente presso l'ultimo domicilio del defunto e la notificazione con le modalita' dell'art. 140 del codice di procedura civile, ha confermato, nell'unico precedente conosciuto, che «la norma consente ..., in presenza delle altre circostanze indicate, di superare le ovvie difficolta' di individuazione degli eredi nell'imminenza della morte della parte, concedendo all'altra parte la facolta' di non indicare nominativamente gli eredi, ma collettivamente e impersonalmente. La deroga riguarda dunque il principio dell'individuazione del destinatario della notificazione, ferme restando le modalita' di notificazione previste dagli artt. 137 e seguenti del codice di procedura civile, compresa quella di cui all'art. 140 del codice di procedura civile» (Cassazione civile, sez. III, 12 ottobre 1998, n. 10080). Ad avviso di questo giudice puo' dubitarsi, in riferimento alla riassunzione in forma collettiva ed impersonale, della legittimita' costituzionale di siffatto meccanismo di notificazione, per contrasto con gli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma e 111, secondo comma Cost. Va considerato, preliminarmente, che il meccanismo di notificazione fissato dall'art. 140 del codice di procedura civile per il caso di irreperibilita' del destinatario e' basato su un collegamento esistente tra il destinatario stesso ed il luogo di sua abituale residenza, collegamento che permette di fondare una presunzione di conoscenza dell'atto una volta che, nella sua sfera di conoscibilita', si siano ritualmente eseguite le formalita' indicate dalla norma. Ed infatti, la Suprema Corte ha chiarito che il notificatore dovrebbe compiere ulteriori ricerche nel caso in cui abbia motivo di ritenere che il destinatario si sia trasferito «perche' in tal caso verrebbe meno il collegamento fra il luogo e il soggetto, collegamento sul quale il legislatore fonda la presunzione di conoscenza, da parte del destinatario, dell'atto notificatogli ai sensi dell'art. 140 del codice di procedura civile» (Cassazione civile, sez. trib., 9 febbraio 2007, n. 2919); ed ha costantemente affermato che la presunzione che in quel luogo si trovi la residenza effettiva del destinatario e' superabile con qualsiasi mezzo di prova e senza necessita' di impugnare la relazione dell'ufficiale giudiziario con querela di falso (in questo senso, tra le altre, cassazione civile, sez. II, 16 novembre 2006, n. 24416; sez. I, 23 giugno 1998, n. 6233; sez. I, 26 agosto 1997, n. 8011; sez. I, 15 luglio 1993, n. 7866). Dunque, il sistema, ordinariamente fondato su una presunzione semplice, trova la sua salvaguardia nella possibilita' che ha il destinatario dell'atto di vanificare il ragionamento presuntivo, facendo in tal modo venir meno il collegamento tra se' ed un determinato luogo erroneamente individuato quale suo centro di interessi. Il carattere solo presunto della conoscenza o, quanto meno, della conoscibilita' dell'atto notificato con le modalita' dell'art. 140 del codice di procedura civile appare, poi, tanto maggiore nei casi in cui, all'esito di tutti gli adempimenti che la norma prevede, la raccomandata spedita dall'ufficiale giudiziario al destinatario per ulteriormente informarlo del deposito dell'atto presso la casa comunale non venga consegnata ne' al destinatario, ne' ad altri soggetti con lui conviventi o incaricati del ritiro della corrispondenza, ne' ritirato presso l'ufficio postale a seguito dell'immissione dell'avviso nella cassetta della corrispondenza, e l'agente postale si limiti, decorsi dieci giorni, a dare avviso al mittente dell'omesso ritiro. In tali casi, infatti, nessun elemento consente di attestare la conoscenza effettiva dell'atto da parte del destinatario, e solo il gia' citato collegamento tra il destinatario ed il luogo di sua abituale residenza, unitamente ad un principio di autoresponsabilita' (che implica anche l'assunzione dei rischi scaturenti dall'affidamento che i terzi abbiano posto nel normale controllo di atti e corrispondenza presso la propria residenza), permettono di ritenere l'atto almeno conoscibile ed in quanto tale ben notificato (e salva sempre la prova contraria gia' citata). Ed infatti, come affermato dalla Corte Costituzionale, «nell'ambito del processo civile, ai fini della garanzia del diritto di difesa del destinatario delle notificazioni per ufficiale giudiziario, deve ritenersi sufficiente che copia dell'atto pervenga nella sfera di disponibilita' del destinatario medesimo ... poiche' e' ovvio che, ove questi si allontani, sia un suo onere predisporre le cose in modo che possa essere informato di eventuali comunicazioni che siano a lui dirette» (Corte Costituzionale, n. 213 del 1975). In ogni caso, specie all'esito della pronuncia di parziale illegittimita' costituzionale dell'art. 140 del codice di procedura civile relativamente al momento di perfezionamento di tale notificazione (sent. 3 del 2010), il sistema pare realizzare un equo contemperamento e bilanciamento tra l'interesse del notificante e le indispensabili tutele del destinatario. Tutto cio', tuttavia, a parere di questo giudice, non vale (o potrebbe non valere) nel caso in cui la notificazione ai sensi dell'art. 140 del codice di procedura civile (e lo stesso discorso potrebbe svilupparsi per quella ai sensi dell'art. 8, secondo comma, legge n. 890 del 1982, non rilevante, pero', nel caso di specie) sia effettuata collettivamente ed impersonalmente agli eredi del defunto presso l'ultimo domicilio di quest'ultimo e l'avviso spedito a mezzo di raccomandata non possa essere recapitato e non sia successivamente ritirato presso l'ufficio postale. In tal caso, infatti, quel collegamento tra un determinato, luogo di residenza ed il destinatario e', per il fatto stesso della morte, escluso; e, ove gli eredi (o almeno uno tra essi) non siano conviventi con il de cuius, e nell'ultimo domicilio non siano rinvenuti vicini che si incarichino di ricevere l'atto o addetti alla casa o un portiere, ed il successivo invio della raccomandata non abbia - come nel caso di specie - alcun esito dopo l'inserimento dell'avviso nella cassetta della corrispondenza, con la restituzione al mittente della sola ricevuta di ritorno con la menzione dell'omesso ritiro nei dieci giorni, non pare fondato alcun ragionamento presuntivo che possa indurre a ritenere che gli eredi siano venuti (in concreto) o possano venire (in astratto) a conoscenza dell'atto. Ed infatti, puo' ben accadere che il de cuius non abbia eredi o comunque familiari o altri soggetti con lui conviventi, e che gli unici eredi siano residenti in altre zone della stessa citta', o in altri comuni o, peggio, in altri Paesi. In tali casi, in assenza di un portiere o di un vicino che - secondo criteri di normalita' - possa essere in grado di rintracciare comunque gli eredi per renderli edotti dell'esistenza di un atto notificato, pare davvero difficilmente sostenibile che questi, pur volendo valorizzare al massimo quel gia' citato principio di autoresponsabilita', debbano essere gravati dall'onere di periodiche visite presso l'ultimo domicilio del defunto, alla ricerca di eventuali comunicazioni, specie ove si consideri che la modalita' di notificazione in forma collettiva ed impersonale ha durata annuale dalla morte, e, dunque, copre un periodo, di tempo relativamente lungo. Tutto cio', ad avviso di questo giudice, implica un possibile contrasto con i parametri costituzionali sopra indicati. Non pare, innanzitutto, ragionevole (e da cio' il dubbio di contrasto della disciplina vigente con l'art. 3, primo comma Cost.) estendere quella presunzione che, si e' visto, costituisce fondamento su cui si fonda la ritualita' della notificazione ai sensi dell'art. 140 del codice di procedura civile, anche agli eredi del de cuius che non siano con lui conviventi: una simile estensione, a ben vedere, equivale ad un'assimilazione fittizia della sfera di conoscibilita' e disponibilita' dei de cuius con quella degli eredi, a prescindere dalla loro effettiva residenza, e per un rilevante periodo di tempo. Siffatto meccanismo, poi, rischia di risolversi in una concreta violazione del diritto di difesa sancito dall'art. 24, secondo comma Cost., impedendo di fatto che il processo si svolga nel rispetto del contraddittorio garantito dall'art. 111, secondo comma Cost. Ed infatti, puo' ben accadere che la notifica ex art. 140 del codice di procedura civile non giunga a conoscenza degli eredi senza che agli stessi possa essere mosso alcun rimprovero, neppure di lieve negligenza; cio' puo' significare anche la formazione di un titolo esecutivo nei loro confronti, a seguito dell'emanazione di una sentenza (in ipotesi, sfavorevole al de cuius) in un giudizio nel quale l'alterazione delle regole del contraddittorio non sia in alcun modo loro addebitabile, e di cui essi possono non aver avuto alcuna notizia (con l'ulteriore pregiudizio di non aver potuto nemmeno premunirsi, sul piano sostanziale, attraverso un'accettazione beneficiata dell'eredita'). Del resto, la preoccupazione in merito ad un'eccessiva estensione degli oneri di diligenza a carico dei destinatari degli atti e' stata ben considerata dalla Corte costituzionale anche con la sentenza n. 3 del 2010, pure relativa alla parziale incostituzionalita' dell'art. 140 del codice di procedura civile, laddove si afferma - sia pure in un contesto diverso e per diverse finalita' - che «l'evoluzione della vita moderna e gli spostamenti sempre piu' frequenti per la generalita' delle persone fanno si' che l'onere di assunzione di misure precauzionali in vista di eventuali notificazioni non puo' operare anche in caso di assenze brevi del destinatario, poiche' altrimenti il suo diritto di difesa sarebbe condizionato da oneri eccessivi». Tale preoccupazione pare a questo giudice dover ispirare anche una lettura, in linea con i precetti costituzionali, delle regole di notificazione che concernono gli eredi della parte processuale, che rischiano di essere gravati da oneri anche maggiori di verifica e controllo estesi a quella che era la sfera di conoscibilita' del de cuius, per un tempo rilevante e pur in caso di oggettive, in ipotesi anche notevoli, lontananze. A fronte di tali dubbi di legittimita' costituzionale del sistema come sopra delineato, la questione appare, nel caso di specie, evidentemente rilevante, dal momento che - come detto - l'atto di riassunzione del giudizio e' stato notificato agli eredi Lenci collettivamente ed impersonalmente presso l'ultimo domicilio del defunto avv. Diego Lenci ai sensi dell'art. 140 del codice di procedura civile, ed anche dell'avviso, spedito loro dall'ufficiale giudiziario a mezzo lettera raccomandata, non e' stato possibile il recapito, supplito da una mera comunicazione nella cassetta della corrispondenza della giacenza del plico presso l'ufficio postale, dove non e' stato ritirato nei dieci giorni: andrebbe, dunque, dichiarata la contumacia dei convenuti, con tutte le evidenti conseguenze sull'ulteriore corso del giudizio, soggetto alla disciplina degli artt. 290 e seguenti del codice di procedura civile; viceversa, ove il dubbio prospettato si rivelasse fondato, risulterebbe indispensabile procedere o ad una nuova notificazione collettivamente ed impersonalmente anche ai sensi dell'art. 140 del codice di procedura civile, con la speranza di una consegna effettiva entro l'anno dalla morte del de cuius, quanto meno della raccomandata contenente l'avviso, ovvero ad una compiuta identificazione degli eredi e ad una notificazione a ciascuno di essi. Ne', infine, pare possibile approdare ad una differente interpretazione delle norme citate che consenta di superare, in via ermeneutica, il dubbio di legittimita' costituzionale: come visto, e come affermato anche dalla Suprema Corte, l'art. 303 del codice di procedura civile contiene una deroga soltanto al principio dell'individuazione del destinatario dell'atto, e non anche agli strumenti di notificazione che non possono che essere (nella genericita' del rinvio) quelli, e tutti quelli, ordinariamente previsti nel codice di rito, compreso, dunque, quello di cui all'art. 140 del codice di procedura civile; risulterebbe, percio', del tutto arbitraria da parte del giudice una lettura dell'art. 303 del codice di procedura civile volta ad escludere - senza l'intervento del giudice delle leggi - una delle modalita' di notificazione li' genericamente richiamate. Va, dunque, disposta la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisone sulla questione pregiudiziale di legittimita' costituzionale, siccome rilevante e non manifestamente infondata. Alla cancelleria vanno affidati gli adempimenti di competenza, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.