Ricorso  del  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,   giusta
delibera del  Consiglio  dei  Ministri  in  data  21  novembre  2011,
rappresentato e difeso ex lege dall'avvocatura generale dello Stato e
presso la medesima domiciliato in Roma, via dei portoghesi 12, contro
la regione Lombardia, in persona del Presidente p.t., nella  sede  di
Milano,  piazza  citta'  di  Lombardia  1,  per   sentir   dichiarare
l'illegittimita' costituzionale  della  l.r.  Lombardia  n.  16/2011,
pubblicata  sul  BUR  n.  39  del  29  settembre  2011,   riguardante
«Approvazione del piano di cattura dei richiami vivi per la  stagione
venatoria 2011/2012» per contrasto con gli artt.  117,  primo  comma,
117, secondo comma, lett. s, 136 della costituzione e degli artt. 8 e
9 dello statuto della regione autonoma Trentino Alto Adige 
 
                              Premesso 
 
    La legge, che approva il piano di cattura dei richiami  vivi  per
la stagione venatoria 2011/2012, ai sensi  della  legge  regionale  5
febbraio 2007, n. 3 (Legge quadro sulla cattura  di  richiami  vivi),
presenta diversi aspetti di illegittimita' costituzionale. 
    Violazione dell'art.  117,  comma  secondo  s)  Cost.  -  profilo
formale  delle  modalita'  di  adozione  dell'atto  di  deroga   alla
disciplina dell'art. 9 direttiva 2009/147/CE, fissato da legge  dello
Stato avente carattere di principio fondamentale. 
    In via preliminare, si rappresenta che la scelta dello  strumento
legislativo per dettare tale  disciplina  anziche'  quella  dell'atto
amministrativo - trattasi di legge provvedimento  -  rappresenta  una
violazione della normativa statale di riferimento,  in  quanto,  come
anche ribadito dalla Corte costituzionale nella sentenza n.  250  del
25 giugno 2008, l'esercizio delle  deroghe  con  legge  provvedimento
preclude  l'esercizio  del  potere  di  annullamento  da  parte   del
Consiglio  dei  Ministri  di  cui  all'art.  19-bis  della  legge  n.
157/1992,  «finalizzato  a  garantire  una   uniforme   ed   adeguata
protezione della fauna selvatica su tutto il territorio nazionale». 
    Inoltre, nonostante le regioni abbiano una competenza in  materia
di autorizzazione alla approvazione del piano di cattura dei richiami
vivi, secondo quanto disposto dall'art. 4, comma  3  della  legge  n.
157/1992, tale potesta' deve essere esercitata,  ai  sensi  dell'art.
117,  comma  1,  della  Costituzione,  nel   rispetto   del   diritto
comunitario nonche' dei principi stabiliti  dal  legislatore  statale
con la normativa su richiamata, contenente gli  standards  minimi  ed
uniformi di tutela dell'ambiente  e  dell'ecosistema,  di  competenza
esclusiva statale, secondo quanto disposto dall'art.  117,  comma  2,
lettera s, Cost. In tale quadro l'art. 19-bis legge  n.  157/1992  e'
norma interposta, facente parte della serie di presidi a  tutela  dei
requisiti minimi di tutela della fauna selvatica, che  attraverso  il
sistema della legge provvedimento viene aggirata. Infatti,  fa  parte
delle norme di tutela anche  la  norma  strumentale  che  preveda  il
procedimento per  applicare  tali  minimi  uniformi,  e  tale  e'  la
procedura di annullamento del  piano  di  cattura  previsto  dall'art
19-bis, non applicabile  in  presenza  di  legge  provvedimento.  Per
questo la legge deve essere dichiarata incostituzionale. 
Violazione art. 117, primo comma Cost. sotto il  profilo  sostanziale
delle condizioni della deroga ai disposti  dell'art.  9  direttiva  e
della normativa internazionale. 
    In  primo  luogo,  l'autorizzazione  alla  cattura  delle  specie
indicate nell'Allegato A della legge impugnata avviene in assenza dei
presupposti e delle condizioni  poste  dall'art.  9  della  direttiva
2009/147/CE,  configurandosi,  pertanto,  la  chiara  violazione  del
vincolo comunitario, di cui all'art. 117, comma 1, Cost. Infatti,  la
direttiva su richiamata subordina la possibilita' di  autorizzare  in
deroga la  cattura  di  determinate  specie  di  uccelli  in  piccole
quantita' alla comprovata assenza di altre  soluzioni  soddisfacenti,
al rispetto di condizioni rigidamente controllate  e  all'impiego  di
modalita' selettive in modo che le catture  vengano  effettuate  solo
nella misura in cui siano strettamente  necessarie  a  soddisfare  le
richieste del mondo venatorio. A1 contrario,  leggiamo  nell'allegato
A, viene autorizzata la cattura di 47.000 uccelli. Quantita' che  non
puo' definirsi piccola ai sensi dell'art. 9 direttiva 147, cit.,  che
viene quindi violata puntualmente dalla  legge  impugnata,  che  deve
quindi essere dichiarata incostituzionale Ma vi e' di piu'. La  legge
impugnata costituisce esecuzione della l.r. quadro sulla  cattura  di
uccelli da richiamo n. 3/2007, che all'art. 1, comma 3 prevede che le
catture sono attuate secondo le disposizioni di cui all'all. D  della
l.r. n. 26/93, ed e' leggendo l'allegato D che si evince trattarsi di
catture di massa con l'uso di  reti,  vietate  dall'art.  5  D  della
Convenzione di Parigi del 18 ottobre 1950  ratificata  con  legge  n.
812/78, e dall'art. 8, comma 1, direttiva 2009/147/CE e relativo all.
IV, lettera a). In particolare il comma 5 dell'all. D  alla  l.r.  n.
26/93 dispone che: «Gli impianti possono essere  fissi  o  mobili,  a
reti verticali od orizzontali di  tipo  tramaglio  o  mist-netz,  gli
impianti fissi, costituiti da roccoli, bressane, copertoni o prodine,
dovranno essere adeguatamente tabellati a cura della Provincia.  «Ora
la  Corte  costituzionale,  con  sentenza  n.   165/09,   richiamando
precedente  giurisprudenza,   ha   dichiarato   l'illegittimita'   di
disposizioni di  una  l.r.  della  regione  Friuli  che  consentivano
l'utilizzo della bressana, del roccolo e della prodina, perche' mezzi
non selettivi in contrasto con  la  normativa  internazionale  (Conv.
Berna del 1979 rat. con l. n. 503/81). La legge impugnata consente il
riuso  di   tali   impianti   assolutamente   inibiti   dal   diritto
internazionale e va dichiarata incostituzionale. 
Violazione  art.  117,  primo  comma,  lettera  s)  Cost.  -  Profilo
sostanziale di violazione delle condizioni di esercizio della  deroga
all'art. 9  direttiva  2009/147/CE  fissati  da  normativa  nazionale
inderogabile. 
    La normativa in esame, disponendo l'autorizzazione del  piano  di
cattura dei richiami vivi per la  stagione  venatoria  in  corso,  in
assenza del parere favorevole dell'ISPRA,  contrasta  con  l'art.  4,
comma 3  della  legge  n.  157/1992  che  richiede  espressamente  il
suddetto parere. Ne' basta rifarsi, come la l.r. fa, a remoti  pareri
dell'ISPRA, perche' l'art. 4, comma 3 prevede un parere  in  sede  di
concessione, e se tale concessione avviene in deroga al  citato  art.
9, deve essere rinnovata, con valutazioni aggiornate, anno per anno. 
    Infatti la disciplina dettata dalla citata norma statale  prevede
che il ricorso al regime di deroga implica la necessita' di attenersi
a quanto previsto dall'art. 9, della direttiva  n.  2009/147/CE,  che
prevede la possibilita' di autorizzare  deroghe  «per  consentire  in
condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la
detenzione o  altri  impieghi  misurati  di  determinati  uccelli  in
piccole quantita'», subordinandole alla comprovata assenza  di  altre
soluzioni soddisfacenti. 
    Pertanto  l'ISPRA  (ex  INFS),  nello  svolgere  il  compito   di
«certificazione   e   controllo»   dell'attivita'   degli    impianti
assegnatogli  dalla  legge  statale  indica  alle   diverse   regioni
interessate la necessita' di rispettare alcuni presupposti essenziali
per ottemperare agli obblighi derivanti dalla normativa  comunitaria.
Tale  normativa  vieta  (art.  8  Direttiva)  i  metodi  di   cattura
indiscriminati, e tali sono quelli degli impianti  di  cattura  degli
uccelli da richiamo, consistenti in boschi appositamente coltivati  e
muniti di reti, e vieta (art. 8, secondo comma, all. IV alla medesima
direttiva) la cattura di uccelli con reti. 
    Percio' la legge deve essere dichiarata incostituzionale. 
Violazione art. 117, primo comma Cost., sotto il profilo del  vincolo
comunitario per cui  le  deroghe  all'art.  9  direttiva  2009/147/CE
devono essere motivate. 
    Infine, la motivazione posta a  corredo  dell'autorizzazione  del
piano  di  cattura  regionale  non  appare  rispettare   il   vincolo
comunitario e nazionale, dettato da CGCE 8 giugno 06,  C-118/94,  che
prevede che l'obbligo motivazionale faccia  riferimento  esplicito  e
adeguatamente circostanziato alla sussistenza di tutte le  condizioni
prescritte dall'art. 9, paragrafi  1  e  2,  tra  cui  il  vaglio  di
soluzioni alternative. Infatti, l'affermazione regionale secondo  cui
«gli allevamenti presenti sul territorio regionale non sono in  grado
di soddisfare le richieste dei richiami da  parte  dei  cacciatori  e
che,  pertanto,  l'unica  soluzione  perseguibile,  per   quanto   da
accompagnarsi con la riproduzione in cattivita', pare  essere  quella
della cattura di  esemplari  viventi  allo  stato  naturale»  non  e'
sufficiente  a  chiarire  perche'  una  campagna  di  allevamento  in
cattivita', tempestivamente promossa e realizzata, non sia  idonea  a
fornire  il  fabbisogno  necessario  di  richiami  vivi,  cosi'  come
rilevato gia' dalla Corte costituzionale nella sentenza  n.  190  del
2011 che ha giudicato illegittima analoga disposizione  della  stessa
regione Lombardia riferita alla passata stagione venatoria. 
Violazione del giudicato costituzionale (art. 136 Cost.). 
    Si ricorda, infatti, che la Corte costituzionale, con sentenza n.
266/2010 ha dichiarato illegittima  la  legge  della  stessa  regione
Lombardia n. 19/09, impugnata dal Governo e con sentenza n.  190  del
2011 ha dichiarato illegittima la legge regionale  n.  16  del  2010,
dagli analoghi contenuti,  leggi  regionali  riferite  alle  stagioni
venatorie  2009/2010  e  2010/11.   La   violazione   del   giudicato
costituzionale si da' quando la medesima norma dichiarata illegittima
dalla Corte viene nuovamente emanata dal legislatore. Cfr. C Cost. n.
922/88. 
    Nel  caso  deciso  da  Corte  cost.  n.  266/10,  la  corte,  con
riferimento alla l.r. Lombardia n. 19/09, cosi' motivava. 
    La costante giurisprudenza di questa Corte ha gia'  chiarito  che
si tratta di «un potere di deroga esercitabile  in  via  eccezionale»
che  ammette  «l'abbattimento  o  la  cattura  di  uccelli  selvatici
appartenenti alle specie  protette  dalla  direttiva  medesima,  alle
condizioni ed ai fini di interesse generale indicati dall'art. 9.1, e
secondo le procedure e le modalita' di cui al punto  2  dello  stesso
art. 9» (sentenze n. 168 del 1999 e n. 250 del 2008). 
    Il  carattere  eccezionale  del  potere  in  questione  e'  stato
peraltro  ribadito  anche  dalla   giurisprudenza   comunitaria   (in
particolare, Corte di giustizia CE, 8 giugno 2006,  causa  C-118/94),
secondo la quale l'autorizzazione degli Stati membri  a  derogare  al
divieto generale di cacciare le specie protette e'  subordinata  alla
adozione di misure di deroga dotate di  una  motivazione  che  faccia
riferimento esplicito e adeguatamente circostanziato alla sussistenza
di tutte le condizioni prescritte dall'art. 9, paragrafi 1 e 2. 
    Detti requisiti, infatti - precisa sempre la Corte  di  giustizia
della Comunita' europea (oggi Corte di giustizia dell'Unione europea)
- perseguono il duplice scopo di limitare  le  deroghe  allo  stretto
necessario e di permettere la vigilanza  degli  organi  comunitari  a
cio' preposti. 
    In particolare, il paragrafo 2 dell'art. 9 della citata direttiva
prevede che le deroghe debbano menzionare: a) le specie  che  formano
oggetto delle medesime; b) i  mezzi,  gli  impianti  o  i  metodi  di
cattura o di uccisione autorizzati; c) le condizioni di rischio e  le
circostanze di tempo e di luogo in cui esse possono essere applicate;
d) l'autorita' abilitata a dichiarare  che  le  condizioni  stabilite
sono soddisfatte e a decidere quali mezzi, impianti o metodi  possono
essere utilizzati, entro quali  limiti  e  da  quali  persone;  e)  i
controlli che saranno effettuati. 
    Alla luce di tali considerazioni, dunque, il rispetto del vincolo
comunitario derivante dall'art. 9 della  direttiva  79/409/CEE  (oggi
art. 9 della direttiva 2009/147/CE) impone l'osservanza  dell'obbligo
della puntuale ed espressa indicazione della sussistenza di tutte  le
condizioni in esso specificamente  indicate,  e  cio'  a  prescindere
dalla natura (amministrativa ovvero legislativa) del tipo di atto  in
concreto utilizzato per l'introduzione della  deroga  al  divieto  di
caccia e di cattura degli esemplari appartenenti alla fauna selvatica
stabilito agli articoli da 5 a 8 della medesima direttiva. 
    7. - Ebbene, tale onere non risulta rispettato  in  alcuno  degli
atti legislativi impugnati. In particolare, quanto alla  legge  della
Regione  Lombardia  n.  19  del  2009,  deve  rilevarsi  la  completa
omissione  di  qualsiasi  cenno  in  ordine  alla  sussistenza  delle
condizioni  e  dei  presupposti  richiesti  dalla  direttiva.  Quanto
all'art. 2 della legge della Regione Toscana n. 53 del 2009,  invece,
la motivazione, seppure formalmente  esistente,  risulta  fondata  su
petizioni di principio prive di  alcun  riferimento  alle  condizioni
concrete che avrebbero potuto, in  ipotesi,  giustificare  la  deroga
adottata. 
    Inoltre, il mancato assolvimento di  tale  onere  risulta  ancora
piu'  evidente  se  si  considerano  le  puntuali  obiezioni   svolte
dall'ISPRA (nel parere datato 14 agosto 2009), secondo  il  quale  «i
dati relativi ai richiami attualmente detenuti» dalla Regione Toscana
avrebbero mostrato «come la  riproduzione  in  cattivita'»  non  solo
rappresentasse «una valida alternativa alla cattura», ma  costituisse
anche «la principale fonte di approvvigionamento per i cacciatori». 
    8. - Pertanto, in accoglimento dei  ricorsi  del  Presidente  del
Consiglio  dei  Ministri,  deve  essere  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale di entrambe le disposizioni regionali  impugnate,  per
violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 9
della direttiva  79/409/CEE  -  oggi  riprodotto  nell'art.  9  della
direttiva 2009/147/CE. 
    E' del tutto evidente che anche la l.r.  qui  impugnata  presenta
gli  stessi  vizi,  come  l'omissione  del  parere  dell'ISPRA  e  la
violazione dell'art. 9 della direttiva. 
    Nel  caso  deciso  da  Corte  cost.  n.  190/11  la  Corte,   con
riferimento alla l.r. Lombardia n. 16/10, cosi' motivava. 
    3.1. - Questa Corte, infatti, gia' con la recente sentenza n. 266
del 2010, e' stata chiamata a scrutinare delle disposizioni normative
adottate dalla Regione Lombardia e dalla Regione  Toscana  aventi  ad
oggetto la disciplina della cattura  dei  richiami  vivi.  In  quella
occasione e' stato precisato che l'art. 9 della direttiva 2009/147/CE
(Direttiva del Parlamento europeo  e  del  Consiglio  concernente  la
conservazione degli uccelli selvatici) prevede che gli Stati  membri,
«sempre che non vi  siano  altre  soluzioni  soddisfacenti»,  possano
derogare alle misure di protezione poste dalla medesima direttiva per
il conseguimento di una serie di  interessi  generali  tassativamente
indicati fra i quali,  per  quanto  riguarda  il  presente  giudizio,
quello di «consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo
selettivo la cattura, la detenzione  o  altri  impieghi  misurati  di
uccelli in piccole quantita'». 
    Il  carattere  eccezionale  del  potere  in  questione  e'  stato
peraltro  ribadito  anche  dalla   giurisprudenza   comunitaria   (in
particolare, con riferimento  alla  previsione,  peraltro  avente  lo
stesso tenore di quella ora richiamata, contenuta nell'art.  9  della
direttiva 79/409/CEE: Corte di giustizia CE,  8  giugno  2006,  causa
C-118/94), secondo la quale l'autorizzazione  degli  Stati  membri  a
derogare al divieto  generale  di  cacciare  le  specie  protette  e'
subordinata  alla  adozione  di  misure  di  deroga  dotate  di   una
motivazione  che  faccia  riferimento   esplicito   e   adeguatamente
circostanziato alla sussistenza di  tutte  le  condizioni  prescritte
dall'art. 9, paragrafi 1 e 2. 
    Detti requisiti, infatti, perseguono il duplice scopo di limitare
le deroghe allo stretto necessario e di permettere la vigilanza degli
organi comunitari a cio' preposti. 
    In particolare, il paragrafo 2 dell'art. 9 della citata direttiva
prevede che le deroghe debbano menzionare: a) le specie  che  formano
oggetto delle medesime; b) i  mezzi,  gli  impianti  o  i  metodi  di
cattura o di uccisione autorizzati; c) le condizioni di rischio e  le
circostanze di tempo e di luogo in cui esse possono essere applicate;
d) l'autorita' abilitata a dichiarare  che  le  condizioni  stabilite
sono soddisfatte e a decidere quali mezzi, impianti o metodi  possono
essere utilizzati, entro quali  limiti  e  da  quali  persone;  e)  i
controlli che saranno effettuati. 
    Alla luce di tali considerazioni, dunque, il rispetto del vincolo
comunitario derivante dall'art. 9 della  direttiva  79/409/CEE  (oggi
art. 9 della direttiva 2009/147/CE) impone l'osservanza  dell'obbligo
della puntuale ed espressa indicazione della sussistenza di tutte  le
condizioni in esso specificamente  indicate,  e  cio'  a  prescindere
dalla natura (amministrativa ovvero legislativa) del tipo di atto  in
concreto utilizzato per l'introduzione della  deroga  al  divieto  di
caccia e di cattura degli esemplari appartenenti alla fauna selvatica
stabilito agli articoli da 5 a 8 della medesima direttiva. 
    Chiarito quanto sopra, rileva questa  Corte  che,  per  cio'  che
concerne la legge regionale della Lombardia n. 16 del 2010, la  quale
riproduce in termini  sostanzialmente  testuali  il  contenuto  della
legge regionale n. 19 del 2009, valgono  le  medesime  considerazioni
gia' svolte riguardo a quest'ultima nella citata sentenza n. 266  del
2010; cioe' che in essa vi e'  la  completa  omissione  di  qualsiasi
cenno in ordine alla sussistenza delle condizioni e  dei  presupposti
richiesti dalla direttiva. 
    Quanto all'art. 2 della legge regionale della Toscana n.  50  del
2010, anche se e' dato riscontrare  nel  suo  preambolo,  rispetto  a
quanto contenuto in quello della legge regionale n. 53 del  2009,  lo
sviluppo  di  qualche  ulteriore  linea  argomentativa,  va  tuttavia
evidenziato che, non diversamente che per il passato, e'  fondata  su
di una mera petizione di principio la affermazione secondo  la  quale
«Non esiste al momento altra condizione soddisfacente a fronte  delle
richieste pervenute se non quella del metodo delle catture» (punto 11
del preambolo della legge regionale n.  50  del  2010),  non  essendo
affatto chiarito perche' una campagna di allevamento  in  cattivita',
tempestivamente promossa e realizzata, non sia idonea  a  fornire  il
fabbisogno necessario di richiami  vivi,  in  tal  modo  costituendo,
secondo le prescrizioni rese  in  sede  consultiva  dall'ISPRA,  «una
valida alternativa alla cattura» dei medesimi. 
    L'affermazione della illegittimita'  costituzionale  delle  norme
censurate per violazione dell'art. 117, primo  comma,  Cost.  assorbe
l'ulteriore profilo di censura sollevato dal Presidente del Consiglio
dei Ministri. 
    Parimenti  assorbita  viene  ad   essere   la   questione   della
sospensione dell'efficacia delle disposizioni  legislative  impugnate
posta nei ricorsi (sentenze n. 326 e n. 10 del 2010). 
    Anche qui  si  ripresenta  la  violazione  negli  stessi  termini
dell'art. 9 della direttiva anche per  questa  ragione  la  legge  va
dichiarata incostituzionale. 
    La  norma  regionale  quindi,  oltre  a  violare   il   giudicato
costituzionale con riferimento  alle  citate  sentenze,  si  pone  in
contrasto con l'art. 117, comma 1 della Costituzione, non rispettando
i vincoli  comunitari,  e  viola  altresi'  la  competenza  esclusiva
statale in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, di  cui
all'art. 117, comma 2, lettera s), Cost. 
Istanza cautelare di sospensione. 
    Considerato, inoltre, che con la recente sentenza della Corte  di
Giustizia Cee in causa C-164/09,  la  Repubblica  italiana  e'  stata
condannata a causa di una deroga  immotivata  agli  artt.  5/8  della
Direttiva 79/409/CEE, circa le  specie  cacciabili,  operata  da  una
legge regionale del Veneto, si ritiene che  ricorrano  i  presupposti
per la sospensione  dell'esecuzione  delle  norme  impugnate  di  cui
all'articolo  35  della  legge  n.  87/1953,  cosi'  come  modificato
dall'articolo 9, comma 4, della legge n. 131/2003.  Infatti,  poiche'
la stagione di caccia si chiude, per le specie  oggetto  delle  norme
regionali in esame, tra il 31 dicembre 2011 e  il  31  gennaio  2012,
quindi ben prima della ragionevole conclusione  di  questo  giudizio,
sussistono il fumus boni juris (confortato  da  precedenti  giudicati
costituzionali) e il periculum in mora di cui all'art.  35  legge  n.
87/53, consistente nel rischio, irreparabile, di una  condanna  della
Repubblica italiana. Alle  sanzioni  per  inadempimento  dell'obbligo
gia' accertato come inadempiuto  dalla  CGCE  nella  citata  sentenza
c-164/09, rischio irreparabile in questi momenti  drammatici  per  la
finanza  pubblica.  Sussiste,  poi,  il  rischio  di  un  pregiudizio
permanente per l'ordinamento,  ogni  anno  violato  e  beffato  dalla
reiterazione delle  stesse  norme  gia'  dichiarate  incostituzionali
dalla Corte, sicche' unico rimedio e' la sospensione delle stesse  in
corso di causa.