Sentenza 
 
nel giudizio per conflitto di attribuzione  tra  poteri  dello  Stato
sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del  30
maggio 2007 (doc. IV-ter, n. 1-A), relativa all'insindacabilita',  ai
sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione,  delle  opinioni
espresse da Vittorio Sgarbi - deputato  all'epoca  dei  fatti  -  nei
confronti  del  dott.  Gian  Carlo  Caselli,  promosso  dalla   Corte
d'appello di Milano  con  ricorso  notificato  il  3  dicembre  2009,
depositato in cancelleria il 28 dicembre 2009 ed iscritto al n. 8 del
registro conflitti tra poteri dello Stato 2009, fase di merito. 
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati; 
    Udito nell'udienza pubblica  del  22  novembre  2011  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo; 
    Udito l'avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ricorso (qualificato come  «ordinanza»)  del  22  aprile
2009,  la  Corte  d'appello  di  Milano  ha  sollevato  conflitto  di
attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti  della  Camera  dei
deputati in relazione alla deliberazione adottata il 30  maggio  2007
(doc. IV-ter, n. 1-A), con la quale e' stato dichiarato che  i  fatti
per i quali il deputato Vittorio Sgarbi e' sottoposto a  procedimento
penale per il reato di diffamazione aggravata nei confronti del dott.
Gian Carlo Caselli, concernono opinioni espresse  da  un  membro  del
Parlamento  nell'esercizio  delle  sue  funzioni  e   sono,   quindi,
insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione. 
    La  Corte  ricorrente  premette  che  Vittorio  Sgarbi,  deputato
all'epoca dei fatti, e' imputato del reato di diffamazione (art.  595
del codice penale), aggravato ai sensi degli artt. 99 cod. pen. e 30,
commi 4 e 5, della legge  6  agosto  1990,  n.  223  (Disciplina  del
sistema radiotelevisivo pubblico e privato),  per  avere  rilasciato,
nel   corso   del   programma   televisivo    «Iceberg»,    trasmesso
dall'emittente «Telelombardia» il  17  dicembre  2001,  dichiarazioni
offensive dell'onore  e  della  reputazione  del  dottor  Gian  Carlo
Caselli,  anche  con  l'attribuzione   di   un   fatto   determinato,
«addebitando allo stesso la mancanza di autonomia e  professionalita'
nello svolgimento delle proprie  funzioni  di  magistrato  presso  la
Procura della Repubblica di Palermo». In particolare, all'on.  Sgarbi
e' contestato di avere affermato, tra l'altro: «Caselli  deve  ridare
allo Stato  i  soldi,  i  duecento  miliardi  spesi  per  l'inchiesta
Andreotti, questa cosa e' gravissima e  loro  si  sono  sconfitti  da
soli, dimostrando che le loro inchieste erano senza  fondamento»;  «i
magistrati hanno fatto  atti  criminali  contro  cittadini  innocenti
spendendo soldi  nostri»;  «il  processo  Andreotti  e'  un  processo
politico»; «sperperano i soldi dello Stato e i soldi nostri per  fare
inchieste  senza  fondamento,  inchieste   sbagliate,   politiche   e
sbagliate»; «hanno agito per il Partito  Comunista,  Violante  [...],
Caselli, arrivato a Palermo su indicazione di Violante  ha  messo  in
atto il progetto  politico  Violante»;  «hanno  eseguito  un  mandato
politico e  hanno  arrestato  Calogero  Mannino  innocente,  Contrada
innocente,  Musotto  innocente,   Andreotti   processato   innocente,
spendendo  cinquecento  miliardi  [...]  li  restituiscano»;   «hanno
liberato mafiosi e arrestato gli innocenti»; «partendo dalla sinistra
che gli ha dato il potere i vari Borrelli e Caselli hanno  perseguito
la loro politica giudiziaria di assoluta autonomia rispetto al potere
politico, l'autonomia politica per fare politica loro per essere loro
gli uomini di Governo [...] questo volevano, questo era il progetto»;
«Andreotti era innocente e Caselli non era innocente, perche' Caselli
in quel momento stava facendo un grave errore»; «tutti gli  innocenti
in galera e i colpevoli liberi e i mafiosi e  gli  assassini  liberi,
liberi, liberi, liberi di uccidere, questa e' stata la magistratura».
All'on.  Sgarbi  e',  inoltre,  contestato  di  avere  paragonato  «i
processi promossi da Caselli, in particolare quello contro Andreotti,
a quelli delle Brigate Rosse, con specifico riferimento al caso Moro,
con la sola differenza che il magistrato Caselli non disponeva  della
pena di morte». 
    Il Collegio ricorrente riferisce di essere investito dell'appello
proposto dal pubblico ministero  e  dalla  parte  civile  avverso  la
sentenza del 16 novembre 2007, con la quale il Tribunale di Milano, a
seguito  della  delibera   di   insindacabilita'   impugnata,   aveva
dichiarato non doversi  procedere  nei  confronti  dell'imputato,  in
applicazione  dell'art.  3  della  legge  20  giugno  2003,  n.   140
(Disposizioni  per  l'attuazione  dell'art.  68  della   Costituzione
nonche' in materia  di  processi  penali  nei  confronti  delle  alte
cariche dello Stato). 
    Cio' premesso, la Corte d'appello osserva come -  non  risultando
provata,  «allo  stato  degli  atti»,  la  verita'  oggettiva   delle
circostanze riferite dall'on. Sgarbi  nel  corso  della  trasmissione
televisiva - la predetta delibera risulti  «sicuramente  rilevante  e
decisiva per la prosecuzione del giudizio». 
    La  ricorrente  rileva,  per  altro  verso,   come,   in   ordine
all'applicabilita' della  guarentigia  offerta  dall'art.  68,  primo
comma, Cost. alle opinioni espresse dal membro del  Parlamento  extra
moenia, la giurisprudenza costituzionale abbia da tempo  adottato  il
criterio del nesso funzionale con l'attivita' parlamentare:  criterio
che postula, in particolare, un requisito di  ordine  contenutistico,
rappresentato dalla sostanziale corrispondenza di significato tra  le
opinioni espresse nell'esercizio delle  funzioni  parlamentari  e  le
dichiarazioni esterne. 
    La censurata delibera della Camera dei deputati  si  porrebbe  in
contrasto con  detto  criterio,  non  contenendo  alcuna  indicazione
riguardo  alla  corrispondenza  sostanziale  tra  i  contenuti  delle
dichiarazioni oggetto  di  giudizio  e  specifici  atti  parlamentari
dell'on. Sgarbi. Non  sarebbe,  infatti,  sufficiente,  affinche'  le
dichiarazioni contestate possano ritenersi  collegate  alle  funzioni
parlamentari, ne' una mera comunanza di tematiche  rispetto  ad  atti
tipici della funzione - peraltro, nella specie, neppure individuati -
ne' l'interesse manifestato dall'on. Sgarbi, nello svolgimento  della
sua attivita' politica,  per  le  tematiche  relative  alla  politica
giudiziaria in materia di lotta alla mafia. 
    La ricorrente chiede, pertanto, alla Corte di dichiarare che  non
spettava alla Camera dei deputati adottare la delibera  in  questione
e, per l'effetto, di annullarla. 
    2. - Il conflitto e' stato dichiarato ammissibile  con  ordinanza
n. 303 del 2009. 
    3. - Si e' costituita la Camera dei deputati,  chiedendo  che  il
ricorso sia dichiarato «improcedibile, inammissibile, irricevibile  e
improponibile», o, in subordine, infondato. 
    In  via   preliminare,   la   difesa   della   Camera   eccepisce
l'inammissibilita'   del   ricorso,    perche'    non    risulterebbe
«puntualmente   identificata   la   parte   ricorrente».    Dall'atto
introduttivo  del  giudizio  non  si  evincerebbe,  infatti,  se   il
provvedimento sia stato  adottato  della  Corte  d'appello  penale  o
civile. 
    Inoltre, la ricorrente non  avrebbe  descritto  compiutamente  il
contenuto della deliberazione della Camera dei deputati,  limitandosi
a  riprodurre  «stralci»  della  relazione  della   Giunta   per   le
autorizzazioni.  Essa  avrebbe  omesso,  altresi',  di  identificare,
«nella  loro  "sostanza"  [...]  sia  fattuale  che  giuridica»,   le
espressioni lesive, riconoscendo che, allo stato, non risulta provata
la «verita' oggettiva delle circostanze riferite dallo Sgarbi»:  cio'
non consentirebbe di affermare o  negare  la  sussistenza  del  nesso
funzionale tra le opinioni espresse extra moenia e atti tipici  della
funzione. 
    Il conflitto sarebbe inammissibile anche per  «difetto  assoluto»
di motivazione in ordine alla violazione costituzionale  prospettata,
in quanto la Corte d'appello si sarebbe  limitata  ad  affermare,  in
modo apodittico, che le opinioni manifestate dall'allora deputato non
possono,  per  mancanza   di   nesso   funzionale,   ritenersi   rese
nell'esercizio delle funzioni parlamentari. 
    Un   ulteriore   e   conclusivo   profilo   di   inammissibilita'
risiederebbe nel  fatto  che  il  ricorrente  non  avrebbe  descritto
puntualmente  il  contenuto  delle  dichiarazioni  extra  moenia  del
parlamentare  ne'  raffrontato  le  stesse  con   gli   atti   e   le
dichiarazioni funzionali del medesimo o  di  altri  parlamentari  ne'
precisato in quale contesto le opinioni esterne si inseriscano. 
    Nel  merito,  il  ricorso  sarebbe  comunque  infondato,  essendo
ravvisabile,  in  realta',  un  saldo   nesso   funzionale   tra   le
dichiarazioni esterne dell'on. Sgarbi e atti  tipici  compiuti  nella
sua qualita'  di  parlamentare.  Tali  opinioni  si  collocherebbero,
infatti, nel quadro della critica  politica  piu'  volte  manifestata
dallo stesso on. Sgarbi nei confronti dell'instaurazione e  del  modo
di  conduzione  del  cosiddetto  «processo  Andreotti»  e,  piu'   in
particolare, nell'ambito del complesso di interventi volti a  mettere
in dubbio la correttezza dell'operato  dei  magistrati  inquirenti  e
segnatamente  del  dott.  Caselli  (vertice   della   Procura   della
Repubblica di Palermo). Al riguardo, la difesa della Camera  richiama
quattordici atti tipici, rappresentati da interventi  in  aula  e  da
atti di sindacato  ispettivo,  pronunciati  o  sottoscritti  dall'on.
Sgarbi tra il 13 maggio 1993 e il 19 gennaio  1999,  tutti  duramente
critici nei confronti del dott. Caselli e degli uffici della  Procura
palermitana, da lui diretta. 
    La rilevanza dei suddetti atti funzionali  non  potrebbe  essere,
d'altra parte, negata in ragione della  semplice  distanza  temporale
che li separa dalle dichiarazioni  oggetto  di  giudizio,  stante  la
primaria importanza nella storia politica  e  giudiziaria  del  Paese
delle vicende cui essi si riferiscono,  le  quali  non  perderebbero,
percio', il loro rilievo con il decorso del tempo. 
    4.  -  La  Camera  dei  deputati  ha   depositato   una   memoria
illustrativa,  nella  quale  -  oltre  a  ribadire  e  sviluppare  le
precedenti eccezioni e difese - ha ulteriormente evidenziato come  le
dichiarazioni extra moenia dell'on. Sgarbi  trovino  riscontro  anche
nelle opinioni, di analogo contenuto, espresse in  sede  parlamentare
da numerosi altri deputati e senatori. 
    A tale riguardo, la difesa della Camera - richiamando, in specie,
nove  atti  di  sindacato  ispettivo  posti  in   essere   da   altri
parlamentari tra il 16 novembre 1994 e il 5 febbraio 2004 - sollecita
un ripensamento della giurisprudenza  di  questa  Corte,  secondo  la
quale gli atti di parlamentari diversi da quello le cui dichiarazioni
sono  contestate  in  giudizio  non  rileverebbero  ai   fini   della
configurabilita' del nesso funzionale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - La Corte d'appello  di  Milano  ha  sollevato  conflitto  di
attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti  della  Camera  dei
deputati, contestando che spettasse ad essa deliberare, nella  seduta
del 30 maggio 2007, che i fatti per i quali l'on. Vittorio Sgarbi  e'
sottoposto  a  procedimento  penale  per  il  reato  di  diffamazione
aggravata nei confronti del  dott.  Gian  Carlo  Caselli,  concernono
opinioni espresse nell'esercizio delle sue  funzioni  parlamentari  e
sono, quindi, insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della
Costituzione. 
    2. - Deve essere preliminarmente  ribadita  l'ammissibilita'  del
conflitto, sussistendone i presupposti soggettivi e  oggettivi,  come
gia' ritenuto da questa Corte con l'ordinanza n. 303 del 2009. 
    3. - Al riguardo, vanno, altresi', disattese le plurime eccezioni
di inammissibilita' formulate dalla difesa della Camera dei deputati. 
    Quanto   all'asserito   difetto   di   puntuale   identificazione
dell'Autorita' ricorrente, va infatti  osservato  che  dalla  lettura
complessiva dell'atto introduttivo si desume, in realta', agevolmente
che il conflitto e' stato promosso dalla Corte  d'appello  penale  di
Milano. 
    Infondata e', altresi', l'ulteriore eccezione di inammissibilita'
per  avere  la  ricorrente  omesso  di  descrivere  compiutamente  il
contenuto  della  delibera  della  Camera  dei  deputati.  La   Corte
d'appello ha dato conto del tenore della delibera impugnata,  facendo
riferimento alle indicazioni della  relazione  della  Giunta  per  le
autorizzazioni,  da  essa  approvata  e  ponendo  in  luce  l'aspetto
saliente ai fini del presente giudizio, rappresentato dal  fatto  che
la delibera  non  evochi  alcuno  specifico  atto,  posto  in  essere
dall'onorevole Sgarbi in sede parlamentare, i cui  contenuti  possano
considerarsi riprodotti all'esterno tramite le dichiarazioni  per  le
quali si procede. 
    Di   non   chiaro   significato   e'   l'altra    eccezione    di
inammissibilita', basata sul rilievo che la ricorrente avrebbe omesso
di  identificare  «nella  loro  "sostanza"  [...]  sia  fattuale  che
giuridica» le espressioni lesive per le quali e' in corso il processo
penale nei confronti dell'on. Sgarbi. Ove la difesa della Camera  dei
deputati avesse inteso postulare un onere di preventiva verifica,  da
parte del giudice  ricorrente,  circa  la  corretta  riconducibilita'
delle  dichiarazioni   al   contestato   paradigma   punitivo   della
diffamazione  aggravata,  l'eccezione  sarebbe   comunque   anch'essa
infondata. Nel conflitto di attribuzione tra poteri dello  Stato,  ai
sensi dell'art. 68, primo  comma,  Cost.,  e'  onere  del  ricorrente
riportare in modo  esaustivo  il  contenuto  delle  dichiarazioni  in
assunto lesive, al fine di consentire alla  Corte  di  verificare  la
sussistenza del cosiddetto  nesso  funzionale  tra  le  dichiarazioni
stesse e gli atti tipici del  parlamentare.  L'accertamento  concreto
dei fatti e  della  loro  illiceita'  potra'  essere,  per  converso,
effettuato soltanto nell'ambito del giudizio da cui il conflitto trae
origine, l'esito del quale il giudice ricorrente  non  e'  tenuto  ad
anticipare, tanto piu' a fronte dell'effetto inibente che, alla  luce
della disciplina recata dall'art. 3 della legge 20  giugno  2003,  n.
140   (Disposizioni   per   l'attuazione   dell'articolo   68   della
Costituzione nonche' in materia  di  processi  penali  nei  confronti
delle alte cariche dello  Stato),  la  delibera  di  insindacabilita'
produce sulle attivita' giurisdizionali. Impugnando  detta  delibera,
il giudice mira a "riappropriarsi" del potere (pieno) di giudicare  -
in un senso o nell'altro - sul merito della domanda, al quale attiene
la valutazione della reale lesivita' delle esternazioni, qualora  non
venga in rilievo il diritto di critica o di cronaca. 
    Egualmente infondata e'  l'eccezione  di  «difetto  assoluto»  di
motivazione del ricorso, in quanto la ricorrente ha  sufficientemente
indicato le ragioni del conflitto, precisando - come gia' rimarcato -
che nella delibera di insindacabilita' non sarebbe stato  individuato
alcun atto parlamentare tipico dell'on.  Sgarbi,  rilevante  ai  fini
dell'accertamento del nesso funzionale, e facendo, inoltre, specifico
riferimento alla relazione della Giunta per le autorizzazioni. 
    Infondata, da ultimo, e' anche  l'eccezione  relativa  all'omessa
descrizione del  contenuto  delle  dichiarazioni  da  cui  deriva  il
conflitto, avendo la ricorrente riprodotto, nel ricorso, il  capo  di
imputazione, che contiene il testo delle dichiarazioni stesse. 
    4. - Nel merito, il ricorso e' fondato. 
    Secondo la  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  per  la
configurabilita' di un nesso funzionale  tra  le  dichiarazioni  rese
extra moenia da un parlamentare e l'espletamento delle  sue  funzioni
di membro del Parlamento - al quale  e'  subordinata  la  prerogativa
dell'insindacabilita', ai sensi dell'art. 68, primo comma, Cost. - e'
necessario che tali dichiarazioni possano  rappresentare  espressione
dell'esercizio di  tipiche  attivita'  parlamentari  (tra  le  molte,
sentenze n. 98 del 2011, n. 301 del 2010, n. 420 e n. 410 del 2008). 
    Nella  specie,   ne'   la   relazione   della   Giunta   per   le
autorizzazioni, ne' la delibera  di  insindacabilita'  dell'Assemblea
hanno indicato alcuno specifico atto parlamentare, compiuto  dall'on.
Sgarbi, al quale, per il suo contenuto, possano  essere  riferite  le
opinioni oggetto di conflitto. 
    Nell'ambito del presente giudizio, la  difesa  della  Camera  dei
deputati ha,  invece,  richiamato,  come  atti  parlamentari  cui  le
dichiarazioni  esterne  si  connetterebbero,  quattordici  atti,  tra
interventi e atti di sindacato ispettivo, posti in essere dall'allora
deputato Sgarbi, nell'esercizio delle funzioni,  negli  anni  tra  il
1993 e il 1999. 
    A prescindere dallo iato temporale che  separa  detti  interventi
dalle esternazioni di cui si discute (rese nel corso di un  programma
televisivo trasmesso il 17 dicembre 2001), deve ritenersi carente  il
requisito della sostanziale identita' di contenuti, al di  la'  delle
formule letterali usate,  tra  le  opinioni  espresse  nell'esercizio
delle funzioni e tutte le dichiarazioni esterne: requisito  che,  per
consolidata   giurisprudenza   di   questa   Corte,   condiziona   la
riconoscibilita'  del  nesso  funzionale,   non   potendo   ritenersi
sufficiente, a tal fine, ne' una mera comunanza di argomenti  ne'  un
mero «contesto politico» cui entrambe possano riferirsi (ex plurimis,
sentenze n. 81 del 2011, n. 420 e n. 410 del 2008, n. 152 del 2007  e
n. 258 del 2006). 
    Nelle dichiarazioni extra moenia  in  discussione  si  formulano,
infatti, censure all'operato di alcuni  magistrati,  che  assumono  i
caratteri della determinatezza nei confronti dell'attuale  querelante
dott.  Caselli,  in  rapporto  alla  conduzione,  nella  qualita'  di
Procuratore della  Repubblica  di  Palermo,  di  alcune  indagini  di
rilievo. Gli si rimprovera, in specie, di avere sperperato  «i  soldi
dello Stato» per condurre inchieste - in particolare quella a  carico
del sen. Andreotti - rivelatesi senza fondamento; di avere agito  per
finalita' politiche  e  su  mandato  politico;  di  avere  perseguito
proprie ambizioni  «di  Governo»;  di  avere  fatto  arrestare  degli
innocenti, lasciando «i mafiosi  e  gli  assassini  liberi  [...]  di
uccidere». 
    Per converso, gli atti  funzionali  evocati  dalla  difesa  della
Camera, in alcuni casi (interventi in Aula del 13 maggio 1993  e  del
23 ottobre 1998 e interrogazioni n. 3/00937 del 28  aprile  1993,  n.
3/02766 del 30 luglio 1998, n. 3/02843 del 15  settembre  1998  e  n.
4/21639 del 19 gennaio 1999), rivelano solo un generico  collegamento
tematico con il contenuto delle dichiarazioni in questione. 
    I   restanti   atti   ispettivi,    singolarmente    considerati,
manifestano, invece, una corrispondenza contenutistica solo  parziale
con le dichiarazioni oggetto del conflitto, sicche' queste ultime non
possono essere considerate come divulgazione  del  contenuto  di  una
tipica attivita' parlamentare. In nessuno di tali atti,  si  trovano,
infatti,  riportati  tutti  gli   addebiti   determinati   mossi   al
querelante,  cioe'  le   specifiche   affermazioni   poste   a   base
dell'imputazione di diffamazione aggravata  contestata  al  deputato,
potendosi da essi evincere - come rilevato dalla stessa difesa  della
Camera - solo la generale posizione critica dell'on. Sgarbi, intesa a
«mettere  in  dubbio  la  correttezza  dell'operato  dei   magistrati
inquirenti e in particolare del dott. Caselli (vertice della  Procura
palermitana), sulla base di un giudizio specificamente politico della
loro azione». 
    Da ultimo, e con riferimento agli  atti  funzionali  a  firma  di
altri parlamentari evocati dalla difesa della Camera  nella  memoria,
va ribadito - a prescindere da ogni valutazione sulla loro conferenza
- che tali atti sono irrilevanti  ai  fini  della  sussistenza  della
prerogativa costituzionale prevista dall'art. 68, primo comma,  Cost.
La verifica del nesso funzionale deve essere, infatti, effettuata con
riferimento alla stessa persona, non potendosi configurare una  sorta
di insindacabilita' di gruppo (ex plurimis, sentenze n. 98 del  2011,
n. 97 del 2008, n. 151 e n. 97 del 2007). 
    5. - Si deve, quindi, concludere che la delibera della Camera dei
deputati e' stata adottata in violazione dell'art. 68,  primo  comma,
Cost., ledendo le attribuzioni dell'autorita' giudiziaria ricorrente,
e deve essere, pertanto, annullata.