Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli articoli 3, comma 2
e 14, commi 3, 7, 8, 9 e 10, della legge della Regione  Lombardia  23
dicembre  2010,  n.   19   (Disposizioni   per   l'attuazione   della
programmazione economico-finanziaria regionale,  ai  sensi  dell'art.
9-ter della legge regionale 31  marzo  1978,  n.  34  -  Norme  sulle
procedure della programmazione, sul  bilancio  e  sulla  contabilita'
della  Regione  -  Collegato  2011),  promosso  dal  Presidente   del
Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 25 febbraio-2  marzo
2011, depositato  in  cancelleria  il  successivo  7  marzo  2011  ed
iscritto al n. 13 del registro ricorsi 2011. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Lombardia; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  18  ottobre  2011  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo; 
    uditi l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente
del Consiglio dei ministri e gli  avvocati  Marcello  Cardi  e  Fabio
Cintioli per la Regione Lombardia. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ricorso del 24 febbraio 2011,  consegnato  all'ufficiale
giudiziario per la notifica il 25 febbraio 2011  e  depositato  il  7
marzo 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di
legittimita' costituzionale della legge della  Regione  Lombardia  23
dicembre  2010,  n.   19   (Disposizioni   per   l'attuazione   della
programmazione economico-finanziaria regionale,  ai  sensi  dell'art.
9-ter della legge regionale 31  marzo  1978,  n.  34  -  Norme  sulle
procedure della programmazione, sul  bilancio  e  sulla  contabilita'
della Regione - Collegato 2011). In particolare, sono stati impugnati
gli articoli 3, comma 2, e 14, commi 3, 7, 8, 9 e  10,  della  citata
legge regionale n. 19 del 2010. 
    2. - L'art. 3, comma 2, lettera a), che  sostituisce  l'art.  25,
comma 6, della legge della Regione Lombardia 7  luglio  2008,  n.  20
(Testo unico delle leggi regionali in  materia  di  organizzazione  e
personale), e' impugnato nella parte in cui dispone che «Le  economie
risultanti dalla riduzione dell'organico complessivo della  dirigenza
possono  essere  destinate  alla   valorizzazione   delle   posizioni
organizzative, in aggiunta  alle  risorse  annualmente  stanziate  ai
sensi  dell'articolo  31  del  CCNL  del   personale   del   comparto
Regioni-autonomie locali del 22 gennaio 2004». 
    Ad  avviso  della  difesa  dello  Stato,  tale  materia   sarebbe
riservata alla contrattazione collettiva e, pertanto, la disposizione
censurata si porrebbe in contrasto con le norme contenute nel  Titolo
III (dall'art. 40 all'art. 50) del decreto legislativo 30 marzo 2001,
n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle  dipendenze
delle Amministrazioni pubbliche), le quali indicano le  procedure  da
seguire in sede di contrattazione collettiva, nonche'  l'obbligo  del
rispetto della  normativa  contrattuale.  Il  legislatore  regionale,
dunque, sarebbe andato oltre  la  propria  competenza,  invadendo  la
competenza esclusiva dello Stato in materia  di  ordinamento  civile,
prevista  dall'art.   117,   secondo   comma,   lettera   l),   della
Costituzione. 
    2.1. - L'art. 14 della legge regionale n. 19 del 2010,  sotto  la
rubrica «Modifica alla legge regionale n. 26  del  2003,  concernente
disposizioni in materia di grandi derivazioni ad uso  idroelettrico»,
introduce varie modifiche alla citata  legge  regionale  12  dicembre
2003, n. 26 (Disciplina dei servizi  locali  di  interesse  economico
generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti,  di  energia,  di
utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche). 
    Tra l'altro, dopo l'art. 53  di  detta  legge,  inserisce  l'art.
53-bis, il cui comma 3 dispone che «La Regione, in  assenza  e  nelle
more dell'individuazione dei  requisiti  organizzativi  e  finanziari
minimi e dei parametri  di  aumento  dell'energia  prodotta  e  della
potenza installata concernenti le procedure di gara, di  cui  all'art
12, comma 2, del d.lgs. n. 79 del  1999,  provvede  a  determinare  i
suddetti requisiti e parametri entro  diciotto  mesi  dalla  data  di
entrata in vigore del presente articolo». 
    Secondo l'Avvocatura generale dello Stato, con tale  disposizione
il  legislatore  regionale  avrebbe  invaso  l'esclusiva   competenza
statale in materia di tutela della concorrenza,  ai  sensi  dell'art.
117, secondo comma, lettera e), Cost. 
    La disposizione  de  qua  non  regolerebbe  affatto  il  modo  di
produrre l'energia, ma detterebbe  soltanto  misure  incidenti  sulle
procedure di scelta del concessionario. Sul punto  e'  richiamata  la
sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2008, alla stregua della
quale la disciplina relativa all'espletamento delle gare ad  evidenza
pubblica  rientra  nella  materia  della  tutela  della  concorrenza,
spettante  appunto  alla  competenza  esclusiva  dello  Stato,   come
affermato anche dalla sentenza n. 401 del 2007. La difesa dello Stato
prosegue  rilevando  che,  in  base  a  quest'ultima  pronuncia,   la
determinazione dei «requisiti organizzativi e finanziari minimi,  dei
parametri di aumento di energia prodotta e della  potenza  installata
concernenti la procedura di gara, e' un atto  che,  da  un  lato,  e'
riconducibile alla indicata competenza statale in materia  di  tutela
della concorrenza, dall'altro, interferisce su aspetti organizzativi,
programmatori e gestori della  materia,  di  competenza  concorrente,
della produzione, trasporto e  distribuzione  nazionale  dell'energia
(art. 117, terzo  comma,  della  Costituzione)».  In  ordine  a  tale
potere, che  potrebbe  coinvolgere  anche  aspetti  di  gestione  del
territorio, si dovrebbe prevedere la  necessita'  di  riconoscere,  a
fianco dei poteri  specifici  degli  organi  dello  Stato,  anche  un
coinvolgimento sul piano amministrativo delle Regioni. 
    A  tale  indicazione  della  giurisprudenza   costituzionale   il
legislatore  statale  avrebbe  ottemperato,  introducendo  la   nuova
formulazione dell'art. 12, comma 2, del decreto legislativo 16  marzo
1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni
per il  mercato  interno  dell'energia  elettrica),  come  sostituito
dall'art. 15, comma 6-ter, lettera c), del  decreto-legge  31  maggio
2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria
e  di  competitivita'  economica),  convertito,  con   modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della  legge  30  luglio  2010,  n.  122,  alla
stregua del quale e' demandata al Ministero dello sviluppo economico,
di concerto  con  il  Ministero  dell'ambiente  e  della  tutela  del
territorio e del mare, previa intesa con la Conferenza  unificata  di
cui all'art. 8 del d.lgs. n. 281 del 1997, la  determinazione,  entro
il termine di sei mesi,  dei  requisiti  organizzativi  e  finanziari
minimi, dei parametri e dei termini concernenti la procedura di gara,
tenendo conto degli interessi strategici degli impianti alimentati da
fonti rinnovabili e del contributo degli impianti idroelettrici  alla
copertura della domanda e dei picchi di consumo. 
    2.2. - L'art. 14, commi 7, 8, 9 e 10 della  legge  della  Regione
Lombardia n. 19 del 2010 violerebbe, poi, l'art.  117,  comma  terzo,
Cost. 
    La normativa censurata, infatti,  disporrebbe  che  gli  impianti
concernenti l'utilizzazione delle  acque  pubbliche  demaniali  delle
grandi  derivazioni  idroelettriche  sono  direttamente  conferiti  a
societa' pubbliche patrimoniali di scopo (comma 7); che  la  Regione,
anche per il tramite di tali societa', affida l'esercizio industriale
di detti impianti mediante procedure  di  evidenza  pubblica,  ovvero
direttamente a societa' a partecipazione  mista  pubblica  e  privata
(comma 8); che le concessioni idroelettriche ricadenti nei  territori
delle Province montane, o delle Province che abbiano il 50 per  cento
del territorio ad una quota superiore a 500  metri  sul  livello  del
mare, siano affidate direttamente a societa' a  partecipazione  mista
pubblica e privata (comma 9); che  la  concessione  per  l'uso  delle
acque pubbliche e' rilasciata, di diritto,  in  favore  dei  soggetti
affidatari degli impianti. 
    Pertanto, tali disposizioni regionali verrebbero a prefigurare un
sistema di affidamento di impianti afferenti alle grandi  derivazioni
idroelettriche e non, invece, un sistema di affidamento tramite  gare
delle  concessioni  idroelettriche.  Cio'  si  porrebbe   in   aperto
contrasto con il regime di tali concessioni e dei relativi  impianti,
come prefigurato dall'art. 12 del  citato  d.lgs.  n.  79  del  1999,
nonche' dall'art. 25 del regio decreto  11  dicembre  1933,  n.  1775
(Testo unico delle disposizioni  di  legge  sulle  acque  e  impianti
elettrici). Tali norme statali  enuncerebbero  principi  fondamentali
della materia di competenza concorrente "energia",  sicche'  la  loro
violazione si tradurrebbe in violazione dell'art. 117,  comma  terzo,
Cost. 
    2.3. - Inoltre, l'art. 14, commi 7, 8, 9 e 10 della  legge  della
Regione Lombardia n. 19 del 2010 si porrebbe in contrasto con  l'art.
117, commi primo, secondo lettera e) e terzo Cost.; mentre l'art. 14,
comma 7, violerebbe anche l'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),
Cost. 
    Il  richiamo  effettuato  dall'art.  14,  comma  1,  della  legge
censurata al decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85  (Attribuzione
a comuni, province, citta' metropolitane  e  regioni  di  un  proprio
patrimonio, in attuazione dell'art. 19 della legge 5 maggio 2009,  n.
42),  sul  "federalismo  demaniale",  non  varrebbe  a   giustificare
l'intervento regionale sugli impianti in questione. 
    In ogni caso, nella parte in cui  la  censurata  normativa  della
Regione Lombardia prevede affidamenti diretti  (ovvero  senza  gara),
essa  verrebbe  a  porsi  in  contrasto  con  i   principi   generali
dell'ordinamento nazionale e  comunitario  in  tema  di  concorrenza,
violando, quindi, l'art. 117, primo comma, Cost. 
    Infine, si dovrebbe rilevare che le procedure di  affidamento  di
beni  e  servizi  rientrerebbero  nella  competenza   esclusiva   del
legislatore statale in materia di concorrenza. Come  affermato  dalla
Corte costituzionale (il richiamo e' alla gia' citata sentenza n. 401
del 2007), la tutela della concorrenza  avrebbe  natura  trasversale,
non presentando i caratteri  di  una  materia  di  estensione  certa,
bensi'  quelli  di  «una  funzione  esercitabile  sui  piu'   diversi
oggetti».   Nello   specifico   settore   degli    appalti,    pero',
l'interferenza con  competenze  regionali  si  atteggerebbe  in  modi
peculiari, in quanto non si realizzerebbe di regola un  intreccio  in
senso stretto con ambiti materiali di pertinenza regionale, bensi' la
prevalenza della disciplina statale su ogni altra fonte normativa. Ne
conseguirebbe che la  fase  della  procedura  di  evidenza  pubblica,
riconducibile  alla  tutela  della   concorrenza,   potrebbe   essere
interamente disciplinata dal legislatore statale. 
    Con le disposizioni censurate il legislatore  regionale,  andando
oltre la propria competenza, avrebbe violato l'art. 117, primo comma,
Cost., per i vincoli derivanti dall'ordinamento  comunitario,  l'art.
117, secondo comma, lettera e), Cost., in  materia  di  tutela  della
concorrenza, nonche' l'art. 117, terzo comma, Cost.,  in  materia  di
produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia. 
    Da  ultimo,  limitatamente  all'art.  14,  comma  7,   il   detto
legislatore regionale  avrebbe  violato  anche  l'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost., ai sensi del quale lo Stato ha legislazione
esclusiva in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema. 
    3. - La Regione Lombardia, in persona del Presidente della Giunta
regionale e legale rappresentante pro-tempore, si e'  costituita  con
memoria depositata il 6 aprile 2011, chiedendo  che  il  ricorso  sia
dichiarato inammissibile e, comunque, non fondato. 
    3.1. - In riferimento alla censura relativa all'art. 3, comma  2,
della legge regionale n. 19 del 2010, la resistente  ne  ha  eccepito
l'inammissibilita', perche' essa si limiterebbe ad indicare la  norma
oggetto di contestazione e il parametro costituzionale violato, senza
argomentare in alcun modo in ordine alla doglianza  mossa,  compiendo
un generico rinvio al titolo terzo del d.lgs. n. 165  del  2001,  che
poco o  nulla  stabilirebbe  circa  i  meccanismi  di  premialita'  e
valorizzazione del personale. 
    Nel merito, la censura non sarebbe  fondata,  perche'  il  citato
decreto legislativo consentirebbe l'intervento operato dalla Regione,
seppure con determinate limitazioni. Infatti, l'art. 2, comma  2,  di
detto decreto  prevede  che  eventuali  disposizioni  di  legge,  che
introducano discipline dei rapporti di lavoro la  cui  applicabilita'
sia limitata ai  dipendenti  delle  amministrazioni  pubbliche,  o  a
categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti  o
accordi collettivi, e, per la parte derogata, non sono  ulteriormente
applicabili. A tal proposito gioverebbe ricordare che la disposizione
in esame vedrebbe la sua legittimita' confermata dalla recente intesa
(4 febbraio 2011) tra il Governo  e  le  associazioni  sindacali  del
settore pubblico in tema di premialita'  e  valutazione,  laddove  si
prevede la possibilita' di ricorrere a risorse  aggiuntive  derivanti
da processi di ristrutturazione e razionalizzazione, purche' connesse
alla premialita' stessa. 
    La norma di cui  si  tratta,  peraltro,  lungi  dall'invadere  la
potesta'  legislativa  statale  in  materia  di  ordinamento  civile,
sarebbe stata emanata in base  alla  potesta'  legislativa  regionale
riconosciuta in materia, in parte dalla Costituzione e in  parte  dal
legislatore statale. Infatti, le posizioni organizzative in questione
andrebbero inserite nella  piu'  ampia  disciplina  della  dirigenza,
trattandosi di posizioni  assimilabili  alla  vice-dirigenza,  figura
prevista dall'art. 17-bis del d.lgs. n. 165 del 2001.  Il  successivo
art. 27 dispone che le Regioni a  statuto  ordinario,  nell'esercizio
della propria potesta', adeguano i  propri  ordinamenti  ai  principi
contenuti nel capo che disciplina la  dirigenza  (Capo  II),  tenendo
conto delle relative peculiarita'. Pertanto, si sarebbe  in  tema  di
organizzazione del  personale  regionale,  in  parte  demandato  alla
potesta' residuale della Regione,  ai  sensi  dell'art.  117,  quarto
comma, Cost., e in parte all'adeguamento degli ordinamenti  regionali
al decreto legislativo n. 165 del 2001  e  successive  modificazioni,
come previsto dall'art. 1, comma 3, dello stesso. 
    In subordine, andrebbe  considerato  che  la  valorizzazione  del
personale  potrebbe  essere  perseguita   non   soltanto   attraverso
incentivi economici, bensi' anche con altri benefici, come  l'accesso
a percorsi di alta formazione e di crescita professionale,  beneficio
peraltro escluso «da quelli che  sono  riconosciuti  a  valere  sulle
risorse disponibili per la contrattazione collettiva integrativa». 
    3.2. - Passando alle censure mosse all'art. 14, commi 3, 7, 8,  9
e 10, della  legge  regionale  n.  19  del  2010,  la  resistente  ne
eccepisce l'inammissibilita' e l'infondatezza. 
    In via preliminare, ritiene di dover «puntualizzare i riferimenti
normativi che vengono in discussione,  al  di  la'  di  quel  che  e'
menzionato  nel  ricorso  governativo,  nonche'  nell'estratto  della
deliberazione del Consiglio dei ministri». 
    A tal riguardo osserva che il censurato art. 14 contiene un  solo
comma con il quale, alla lettera  a),  dopo  l'art.  53  della  legge
regionale della Lombardia 12 dicembre 2003,  n.  26  (Disciplina  dei
servizi locali di interesse economico generale. Norme in  materia  di
gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo  del  sottosuolo  e  di
risorse idriche), introduce l'art. 53-bis, quest'ultimo  composto  da
12 commi di diverso  contenuto.  Tuttavia,  il  ricorso  indicherebbe
erroneamente come norme impugnate i commi dell'art.  14  della  legge
regionale n. 19 del 2010. 
    Anche se la Corte volesse prescindere da tale profilo, le censure
dedotte sarebbero,  comunque,  inammissibili,  in  quanto  del  tutto
generiche ed immotivate. Esse si limiterebbero ad indicare  la  norma
contestata ed il parametro costituzionale  violato,  senza  porre  in
evidenza la norma statale interposta violata  ne'  argomentandone  la
violazione, sovente ricorrendo ad enunciazioni  generiche  ed  infine
alludendo ad interpretazioni della  norma  censurata  talora  persino
estranee al suo tenore letterale. 
    Non sarebbe stato osservato, dunque, l'onere di  motivazione  cui
la parte ricorrente e' tenuta (e' richiamata la sentenza della  Corte
costituzionale n. 462 del 2005). 
    3.3. - Passando al merito, la difesa  regionale  procede  ad  una
ricostruzione  del  quadro  normativo  concernente  l'utilizzo  e  la
derivazione  delle  acque  pubbliche.  Osserva  che   oggetto   della
concessione prevista dalla  citata  normativa  e'  l'acqua  pubblica,
rientrante nel demanio idrico, ai  sensi  dell'art.  822  del  codice
civile. Richiama  il  contenuto  di  tale  disposizione,  nonche'  il
decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n.  152  (Norme  in   materia
ambientale) e, in particolare, l'art. 143. 
    Rileva che, con le riforme attuate alla fine degli anni  '90,  la
gestione amministrativa del demanio idrico e' stata  trasferita  alle
Regioni e agli enti locali, ferma restando la titolarita' dello Stato
sul detto demanio (e' richiamato  il  decreto  legislativo  31  marzo
1998,  n.  112,  recante  «Conferimento   di   funzioni   e   compiti
amministrativi dello Stato alle  regioni  ed  agli  enti  locali,  in
attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59».  Nell'ambito
della gestione del demanio idrico, alle Regioni e  agli  enti  locali
sono  trasferite  tutte  le  funzioni  amministrative  relative  alle
derivazioni di acque pubbliche, fatte salve le concessioni di  grandi
derivazioni per uso idroelettrico. Questa riserva allo Stato e' stata
poi superata  con  il  decreto  legislativo  16  marzo  1999,  n.  79
(Attuazione della direttiva 96/92/CE  recante  norme  comuni  per  il
mercato interno dell'energia elettrica). Pertanto, a partire  dal  1°
aprile  1999,  anche  il  rilascio  delle   concessioni   di   grandi
derivazioni idroelettriche e' divenuto di competenza regionale. 
    In questo contesto - prosegue la Regione - il decreto legislativo
28 maggio 2010,  n.  85  (Attribuzione  a  comuni,  province,  citta'
metropolitane e regioni  di  un  proprio  patrimonio,  in  attuazione
dell'articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42),  che  prevede  il
cosiddetto federalismo  demaniale,  ossia  l'attribuzione  agli  enti
locali e alle Regioni di  un  proprio  patrimonio,  completerebbe  il
disegno riformatore, finalizzato ad un completo affidamento agli enti
territoriali di  tutti  gli  aspetti  della  materia,  peraltro  dopo
l'emanazione dei decreti attuativi, non ancora intervenuti. 
    La  difesa  regionale,  quindi,  sottolinea  che  la   disciplina
relativa all'attribuzione delle  grandi  derivazioni  e  alla  durata
delle medesime e' contenuta nell'art. 12 del d.lgs. n. 79  del  1999,
che stabilisce due principi fondamentali: 1)  il  titolo  concessorio
deve essere attribuito mediante gara pubblica; 2) la  concessione  e'
temporanea (si fa riferimento ad un periodo di durata trentennale). 
    Sono, quindi, richiamati  gli  interventi  di  questa  Corte  (in
particolare, la sentenza 18 gennaio 2008, n. 1) e quelli  comunitari,
che hanno modificato il citato art. 12, nonche' la legge 23  dicembre
2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2006).  Dalla  menzionata
sentenza n. 1 del 2008  sono  desunti  i  seguenti  principi:  a)  il
divieto  di  proroghe  delle  concessioni  idroelettriche   (ritenuto
rilevante  per  le  affermazioni   circa   la   necessita'   di   non
procrastinare gli affidamenti delle concessioni mediante gare); b)  i
criteri per l'espletamento delle gare (rilevanti per le  affermazioni
in ordine alla competenza delle Regioni in materia  e  al  necessario
apporto delle stesse nella fissazione dei predetti criteri). 
    La difesa della resistente osserva ancora che,  a  seguito  della
sentenza indicata, il legislatore statale e'  nuovamente  intervenuto
sul citato art. 12, con il decreto-legge n. 78 del 2010,  convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010,  che  ha  dettato  il
nuovo testo della norma ed ha previsto  l'intesa  con  la  Conferenza
unificata  (art.  15,  comma   6-ter,   aggiunto   dalla   legge   di
conversione). 
    La novella del  2010  ha  introdotto,  altresi',  una  cosiddetta
"clausola di cedevolezza", stabilendo, con l'art.  6-quater,  che  le
disposizioni dell'art.  15,  comma  6-ter,  le  quali  per  l'appunto
modificano l'art. 12 del d.lgs. n. 79 del  1999,  si  applicano  fino
all'adozione di  diverse  disposizioni  legislative  da  parte  delle
Regioni, per quanto di loro competenza. 
    Ad avviso della Regione Lombardia, secondo  il  tenore  letterale
della citata norma, anche l'art. 12, comma 2, del d.lgs.  n.  79  del
1999  (e  successive  modificazioni),  laddove  stabilisce   che   il
Ministero debba determinare, d'intesa con la Conferenza unificata,  i
requisiti  per  la  gara,  e'  soggetto  alla  predetta  clausola  di
cedevolezza,  con  la  conseguenza  che  un  intervento   legislativo
regionale in materia verrebbe a superare l'applicazione  della  norma
menzionata. 
    4. - In questo quadro, la censura mossa  all'art.  14,  comma  3,
della legge regionale n. 19 del 2010 (in  realta'  riferita  all'art.
53-bis,  comma  3,  della  legge  regionale  n.  26  del  2003,  come
introdotto dal citato art. 14) non sarebbe  fondata  perche':  1)  la
tutela  della  concorrenza  e'  materia  trasversale,  che  non  puo'
azzerare ogni concorrente competenza legislativa  regionale;  2)  nel
caso di specie  la  normativa  regionale  verrebbe  perfettamente  ad
"incastonarsi" con quella statale, la quale ultima manterrebbe la sua
forza  per  quanto  attiene  a   tutti   gli   indirizzi   di   fondo
pro-concorrenziali; 3) nel  caso  in  esame  proprio  il  legislatore
statale, con apposita clausola di cedevolezza,  avrebbe  riconosciuto
la  competenza  legislativa  regionale;  4)   la   legge   regionale,
rafforzando la tutela della concorrenza, darebbe piena  attuazione  a
vincolanti  principi  del  diritto  comunitario,  i  quali,  in   sua
mancanza, rischierebbero di essere ulteriormente sacrificati. 
    4.1. - Passando ad  argomentare  le  ragioni  ora  riassunte,  la
Regione osserva che  la  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale
avrebbe  piu'  volte  affermato  che   la   materia   "tutela   della
concorrenza", di cui all'art. 117, comma secondo, lettera e),  Cost.,
data la sua natura trasversale e funzionale, non sarebbe  illimitata.
In particolare, si sarebbe riconosciuto (sentenza n.  430  del  2007)
che  la  materia  de  qua  non  sarebbe  di  «estensione  certa»   ma
presenterebbe i tratti di una funzione esercitabile sui piu'  diversi
oggetti, essendo configurabile come «trasversale»  (sentenza  n.  401
del 2007) e caratterizzata da una portata ampia (sentenza n.  80  del
2006). Ne conseguirebbe che la competenza statale esclusiva, a tutela
della concorrenza, mai  potrebbe  escludere  del  tutto  la  potesta'
legislativa  regionale,  ma  sarebbe  «intrinsecamente  contenuta   e
limitata». La stessa  sentenza  n.  1  del  2008  confermerebbe  tali
assunti, in quanto, pur collegando la definizione dei criteri per  lo
svolgimento delle  gare  relative  alle  concessioni  di  derivazioni
idroelettriche alla competenza statale in  materia  di  tutela  della
concorrenza,  avrebbe   riconosciuto   anche   come   necessario   il
coinvolgimento delle Regioni nella definizione dei predetti  criteri,
e cio'  in  forza  della  coesistente  competenza  concorrente  delle
Regioni medesime in tema di energia e di gestione del territorio. 
    Andrebbe sottolineato, poi, che  nel  caso  di  specie  la  norma
generale andrebbe a porsi «in perfetta linea  con  i  principi  della
legge statale, la quale, perlomeno in via  di  principio  (non  anche
purtroppo nell'attuazione pratica)  afferma  la  temporaneita'  della
concessione e la necessita' che vengano effettuate le gare  pubbliche
per il rilascio delle concessioni medesime (art. 12, comma 1,  d.lgs.
n. 79 del 1999)». Infine, lo stesso legislatore statale - l'argomento
sarebbe dirimente  -  avrebbe  considerato  la  previsione  contenuta
nell'art.  12,  comma  2,  come  cedevole,  consentendo   dunque   al
legislatore regionale non soltanto  di  intervenire  in  materia,  ma
anche di rendere inapplicabile la  stessa  norma  statale  una  volta
sostituita da una propria normativa regionale. 
    4.2. - La questione  risulterebbe  infondata  anche  sotto  altro
profilo. 
    La Corte costituzionale, nel delimitare  la  materia  trasversale
della  concorrenza,  avrebbe  ritenuto  costituzionalmente  legittime
norme regionali emanate nell'esercizio di una competenza  concorrente
o residuale  della  Regione,  qualora  esse  siano  piu'  rigorose  o
efficaci rispetto alle norme statali interposte proprio in materia di
tutela della concorrenza (sono citate le sentenze n. 307 del 2009, n.
431 e n. 430 del 2007). 
    Nel caso di specie, la norma regionale censurata prevede  che  la
Regione intervenga a determinare i requisiti concernenti la procedura
di gara per l'affidamento delle concessioni, «in  assenza»  e  «nelle
more»  dell'intervento  dello  Stato,  sicche'  la  legge  regionale,
attribuendo alla Regione stessa la competenza ad adottare i  predetti
requisiti  se  lo  Stato  rimane  inerte,  non  farebbe   altro   che
intervenire in favore della concorrenza, per consentire che  le  gare
finalmente si svolgano. Cio' sarebbe certamente  consentito  in  base
alla giurisprudenza richiamata. 
    Con la stessa  sentenza  n.  1  del  2008  questa  Corte  avrebbe
sottolineato  come   il   procrastinare   le   gare   pubbliche   non
consentirebbe di attuare i principi comunitari  e  sarebbe  contrario
alla tutela della concorrenza. 
    Ne' gioverebbe addurre che la  prevista  competenza  statale  per
l'adozione dell'atto amministrativo generale previsto  dall'art.  12,
comma 2, del d.lgs. n. 79 del 1999 sia vincolante e insostituibile da
parte regionale. 
    In primo luogo, andrebbe ribadito  che  la  legge  regionale  non
esclude la competenza amministrativa statale, bensi'  la  sostituisce
in caso di inerzia. In secondo luogo, il legislatore statale gia' dal
1998-1999  avrebbe  stabilito  in  capo  alle  Regioni  una  generale
competenza   di    gestione    amministrativa    delle    concessioni
idroelettriche e del  demanio  idrico,  sicche'  in  virtu'  di  tale
competenza proprio la Regione e non lo Stato sarebbe  legittimata  ad
emanare l'atto amministrativo generale con il quale si definiscono  i
predetti requisiti. 
    In realta' la legge regionale starebbe attuando principi generali
consolidati e pacifici del diritto comunitario proprio in materia  di
tutela della concorrenza, oltre tutto recepiti dal  diritto  interno.
Essa, infatti, garantirebbe il duplice risultato che lo  stesso  art.
12 citato sembrava voler conseguire, cioe'  affidare  le  concessioni
mediante gara ed assicurare l'effettiva  temporaneita'  della  durata
dei rapporti concessori. 
    La legge regionale in questione risulterebbe conforme alle  norme
e ai principi del diritto comunitario, in quanto avrebbe  come  unico
effetto quello  di  far  cessare  un'inerzia  statale  certamente  in
contrasto con quel diritto. Sotto questo aspetto, la censura potrebbe
apparire perfino inammissibile per carenza d'interesse,  ben  potendo
il Governo emanare finalmente il provvedimento previsto dall'art. 12,
comma 2, e cosi' rendere inapplicabile la  legge  regionale,  che  si
attiva soltanto in caso d'inerzia  e  nelle  more  dell'adozione  del
provvedimento ministeriale. 
    5. - Del pari non fondate,  ad  avviso  della  difesa  regionale,
sarebbero le censure mosse all'art.  14  della  legge  della  Regione
Lombardia n. 19 del 2010 (recte: art. 53-bis della legge regionale n.
26 del 2003), commi 7, 8, 9 e 10. 
    Il ricorrente si sarebbe limitato ad eccepire che le disposizioni
impugnate prefigurano un sistema di affidamento d'impianti  afferenti
alle grandi derivazioni idroelettriche e non, invece, un  sistema  di
affidamento delle  concessioni  mediante  gara.  Il  che  sarebbe  in
contrasto con il regime delle  concessioni  idroelettriche  stabilito
dall'art. 12 del d.lgs. n. 79 del 1999, nonche' dall'art. 25  del  T.
U. n. 1775 del 1933, costituenti principi fondamentali della  materia
"energia", di  competenza  legislativa  concorrente,  con  violazione
dell'art. 117, terzo comma, Cost. 
    Ferma l'eccezione d'inammissibilita' per  il  carattere  generico
della doglianza, la  Regione  afferma  che  se  «il  Governo  intende
sostenere (cio' che, in verita', non risulta con assoluta  chiarezza)
che nel caso di specie sia stato violato il principio per il quale le
concessioni idroelettriche siano affidate  mediante  gara  e  che  si
voglia dar luogo a qualche forma di affidamento diretto, e' di  tutta
evidenza che detta violazione non sussiste». 
    La  normativa  regionale  intenderebbe   prevedere   proprio   la
celebrazione di gare pubbliche per affidamento delle  concessioni  in
questione, in perfetta coerenza con quanto  richiedono  l'ordinamento
comunitario e quello nazionale. La lettura del dettato normativo  (da
leggere nella sua interezza) dimostrerebbe che non  soltanto  non  si
deroga affatto agli obblighi di tenere il confronto  competitivo,  ma
anzi si sblocca una situazione che finora lo ha  impedito.  Il  ruolo
delle «societa' patrimoniali di  scopo  con  partecipazione  pubblica
totalitaria incedibile» consisterebbe soltanto  nell'essere  titolari
della mera proprieta' pubblica degli impianti e delle pertinenze  del
demanio idrico che, divenendo oggetto  della  concessione,  sarebbero
anch'essi affidati al concessionario per la gestione. Non vi  sarebbe
stata, dunque, violazione dei principi  fondamentali  della  materia,
come stabiliti sia dall'art.  12  del  d.lgs.  n.  79  del  1999  sia
dall'art. 25 del T. U. n. 1775  del  1933.  Al  contrario,  le  norme
regionali  si  muoverebbero   nell'ambito   dei   predetti   principi
fondamentali, costituendone attuazione. 
    La difesa regionale richiama quindi il  contenuto  del  comma  7,
sottolinea che l'affidatario e' individuato con procedura di gara  ad
evidenza pubblica (commi 2 e 8) e puo' essere anche  una  societa'  a
partecipazione  mista  pubblico-privata,  a  condizione   che   siano
soddisfatti  i   requisiti   prescritti   dalle   vigenti   direttive
comunitarie e norme nazionali  (comma  8).  E'  richiamata,  poi,  la
disciplina prevista, in deroga ai commi 2 e 8, per il caso in cui  le
concessioni di derivazione ricadano in un territorio montano per piu'
della meta' della sua superficie; in tal caso  l'affidatario  e'  una
societa' mista pubblico-privata, partecipata dalla Provincia, purche'
il  socio  privato  sia  scelto  mediante  procedure  competitive  ad
evidenza  pubblica  (comma  9).  La  Regione,  quindi,  rilascia   la
concessione al soggetto affidatario selezionato mediante gara  (comma
10). Pertanto non vi sarebbe un sistema di affidamento  di  impianti,
come  sostiene  la  Presidenza  del  Consiglio,  ma  un  sistema   di
affidamento delle  concessioni  mediante  gara,  sicche'  la  Regione
attuerebbe il disposto del citato art. 12,  riprendendo  peraltro  un
modello gia' presente nell'ordinamento statale (art. 23-bis del  d.l.
n. 112 del 2008 per la gestione  dei  servizi  pubblici  locali,  che
prevede o la gara o  la  societa'  a  partecipazione  mista,  con  la
selezione del socio secondo procedure competitive). 
    Tale modello sarebbe coerente con  i  principi  fondamentali  del
detto ordinamento, il quale ben conoscerebbe sia la possibilita'  che
beni pubblici siano intestati a societa' in mano  pubblica,  sia  che
esso scelga la possibilita' di conservare la proprieta' di tali  beni
attraverso il conferimento di essi in una societa'  pubblica.  Questo
non sarebbe un caso di affidamento diretto senza gara,  perche'  essa
sarebbe  nel  frattempo  espletata  per   la   scelta   del   gestore
dell'attivita' economica, il quale avra',  nell'ambito  del  rapporto
concessorio, anche il diritto di utilizzare tali beni (e' richiamato,
in proposito, l'art. 113 del T. U. enti locali). 
    Infine, proprio lo Stato avrebbe dato alla  previsione  dell'art.
12 citato, una configurazione  cedevole,  confermando  implicitamente
che  il  legislatore  regionale,  fermi  restando  i  principi  della
materia,  puo'  disciplinare  la  stessa  secondo  moduli  propri   e
differenti. La scelta del legislatore  regionale,  a  favore  di  una
modalita' che rispetta il principio dell'affidamento  mediante  gara,
nonche' il principio  del  coinvolgimento  degli  enti  locali  nella
proprieta' degli impianti di derivazione, sarebbe dunque corretta. 
    Pertanto, le censure mosse dalla difesa  statale  circa  presunte
violazioni dell'art. 117, comma terzo, Cost., non sarebbero fondate. 
    6. - Prive di fondamento sarebbero anche le censure  mosse  sotto
altro profilo alle stesse disposizioni sopra citate (art.  14,  commi
7, 8, 9, 10), in  riferimento  all'art.  117,  commi  primo,  secondo
lettere e) ed s), nonche' all'art.3 Cost. 
    In primo luogo l'affermazione - secondo cui il d.lgs. n.  85  del
2010 non varrebbe a giustificare l'intervento  regionale,  in  quanto
gli  impianti   in   esso   richiamati   non   rientrerebbero   nella
disponibilita' della Regione  -  sarebbe  inconferente  ed  inesatta.
Inconferente, essendo stato dimostrato che il disegno del legislatore
regionale sarebbe  imperniato  sulla  accelerazione  e  gestione  dei
procedimenti di gara diretti ad affidare le concessioni per un  tempo
determinato;  inesatta,   in   quanto   gli   impianti   in   oggetto
rientrerebbero, come detto, nel demanio idrico cosi' come individuato
nelle fonti e nel diritto vivente. 
    Piuttosto, andrebbe considerato che la norma regionale (comma 7),
laddove  richiama  il  decreto  relativo  al  federalismo  demaniale,
andrebbe interpretato nel senso che gli effetti  di  questo  potranno
prodursi soltanto a seguito dell'emanazione  dei  decreti  attuativi,
sicche' solo dopo tale emanazione sara' possibile il conferimento dei
beni nelle societa' di scopo. 
    Quanto all'asserita violazione dell'art. 117, primo comma, Cost.,
non vi sarebbe nella normativa regionale alcun  affidamento  diretto,
tale non essendo l'affidamento della  concessione  a  societa'  mista
pubblico-privata, il cui socio e' pero' scelto  con  procedimento  di
gara ad evidenza pubblica, con gara a doppio oggetto e con riserva al
privato di una quota del capitale sociale che va dal  40  al  60  per
cento (comma 9) e che, nella configurazione della societa',  riprende
il comma 8 dell'art. 12 d.lgs. n. 79 del 1999. 
    Ad  avviso  della  Regione,  i  principi  posti  a  tutela  della
concorrenza sarebbero ugualmente rispettati nel caso di affidamento a
societa' mista quando il socio privato sia selezionato  con  i  detti
criteri. Cio' sia per l'ordinamento  comunitario  (e'  richiamata  la
comunicazione della  Commissione  sul  partenariato  pubblico-privato
2008/C91/02), sia  per  l'ordinamento  nazionale  (e'  richiamato  il
citato art. 23-bis). In  tali  casi  non  si  verificherebbe  affatto
un'esenzione  dal  principio  dell'obbligatorieta'  della  gara,   ma
soltanto un mutamento dell'oggetto di questa, la quale in  ogni  caso
dovrebbe essere esperita, anche se non  piu'  per  trovare  il  terzo
concessionario e/o gestore del servizio, bensi'  il  partner  privato
della societa' (e' richiamata la sentenza  del  Consiglio  di  Stato,
sezione V, del 15 ottobre 2010, n. 7533). 
    Le  impugnate  disposizioni  regionali,  quindi,  non   sarebbero
invasive  della  materia  relativa  alla  tutela  della  concorrenza,
appartenente  alla  competenza  esclusiva  dello   Stato,   ma   anzi
presupporrebbero altrettante norme (e scelte  finalistiche)  compiute
dalle  leggi  statali,  alle  quali  darebbero  corretto  e  armonico
svolgimento. 
    Da  ultimo,  la  Regione  respinge  la  censura   sollevata   dal
ricorrente in  riferimento  all'asserita  violazione  dell'art.  117,
comma secondo, lettera s), sollevata con riguardo  al  solo  comma  7
dell'art. 14 citato, eccependone l'inammissibilita'  per  difetto  di
motivazione e l'infondatezza. 
    7. - In prossimita' dell'udienza di discussione entrambe le parti
hanno depositato memorie, con le quali hanno ulteriormente illustrato
gli argomenti addotti a sostegno delle rispettive tesi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con il ricorso  indicato
in epigrafe, ha promosso questioni di legittimita' costituzionale  di
alcune disposizioni della legge della Regione Lombardia  23  dicembre
2010, n.  19  (Disposizioni  per  l'attuazione  della  programmazione
economico-finanziaria regionale, ai sensi dell'articolo  9-ter  della
legge regionale 31 marzo 1978, n. 34 - Norme  sulle  procedure  della
programmazione, sul bilancio e sulla  contabilita'  della  Regione  -
Collegato 2011). 
    In particolare, sono stati impugnati gli artt. 3, comma 2, e  14,
commi 3, 7, 8, 9 e 10, della citata legge regionale. 
    2. - L'art. 3, comma 2, lettera a),  nel  sostituire  l'art.  25,
comma 6, della legge regionale 7 luglio  2008,  n.  20  (Testo  unico
delle leggi regionali in  materia  di  organizzazione  e  personale),
cosi' dispone: «L'organico complessivo della dirigenza  della  Giunta
regionale, contenuto  nel  limite  di  340  unita'  a  partire  dalla
legislatura  2000-2005,  progressivamente  ridotto  nel  corso  delle
legislature successive, e' contenuto, dal 1° gennaio 2011, nel limite
di 240 unita'. Per assicurare il rispetto del  parametro  qualitativo
di  virtuosita',  determinato  dal  rapporto  tra   personale   delle
categorie e personale di qualifica dirigenziale, la Giunta  regionale
procede ad effettuare interventi di  razionalizzazione  organizzativa
volti alla  riduzione  dell'organico  della  dirigenza.  Le  economie
risultanti dalla riduzione dell'organico complessivo della  dirigenza
possono  essere  destinate  alla   valorizzazione   delle   posizioni
organizzative, in aggiunta  alle  risorse  annualmente  stanziate  ai
sensi  dell'articolo  31  del  CCNL  del   personale   del   comparto
Regioni-Autonomie locali del 22 gennaio  2004.  La  Giunta  regionale
provvede a quantificare i risparmi e a determinare  i  criteri  e  le
modalita' di utilizzo». 
    Come emerge dal ricorso, la norma  e'  censurata  dal  ricorrente
limitatamente al terzo periodo  ed  in  quest'ambito  deve  ritenersi
circoscritta l'impugnazione (art. 27 della legge 11  marzo  1953,  n.
87), in quanto le restanti disposizioni non si  pongono  in  rapporto
consequenziale con quella impugnata. 
    Ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato, tale disposizione
concerne materia riservata alla contrattazione collettiva, sicche' la
disposizione stessa contrasta con le norme contenute nel Titolo terzo
(dall'art. 40 all'art. 50) del decreto legislativo 30 marzo 2001,  n.
165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
pubbliche amministrazioni), che indicano le procedure da  seguire  in
sede di contrattazione collettiva,  nonche'  l'obbligo  del  rispetto
della normativa contrattuale. 
    Cosi'  disponendo,  dunque,  il  legislatore  regionale   avrebbe
superato la propria competenza, invadendo la  competenza  legislativa
esclusiva dello Stato in materia  di  ordinamento  civile,  affermata
dall'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione. 
    2.1. - La difesa della  Regione  ha  eccepito  l'inammissibilita'
della censura, «in quanto si limita ad indicare la norma  oggetto  di
contestazione  ed   il   parametro   costituzionale   violato»,   non
argomentando in nessun modo la censura stessa,  facendo  un  generico
rinvio al Titolo III del d.lgs. n. 165 del 2001, che «poco  o  niente
prevede in merito ai meccanismi di premialita' e  valorizzazione  del
personale  che  negli  ultimi  anni   hanno   trovato   una   fervida
legislazione e che, ormai, informa tutta la  riforma  della  Pubblica
Amministrazione». 
    L'eccezione non e' fondata. 
    La Presidenza del Consiglio  dei  ministri,  sia  pure  in  forma
sintetica, ha indicato  le  ragioni  per  le  quali  la  disposizione
impugnata viola il parametro costituzionale evocato.  Essa,  infatti,
ha chiarito che la norma regionale in esame, intervenendo in  materia
riservata alla contrattazione collettiva, si e'  posta  in  contrasto
con le norme contenute nel Titolo III del d.lgs. n. 165 del  2001  e,
precisamente, con gli articoli da 40 a 50 che disciplinano appunto la
contrattazione collettiva e la  rappresentativita'  sindacale,  cosi'
invadendo  la  competenza  esclusiva  dello  Stato  in   materia   di
ordinamento civile, ai sensi dell'art. 117,  secondo  comma,  lettera
l), Cost. 
    In tal guisa le ragioni della censura sono state sufficientemente
individuate, il che esclude la dedotta inammissibilita'. 
    2.2. - Nel merito la questione e' fondata. 
    La norma impugnata cosi' dispone nel terzo periodo: «Le  economie
risultanti dalla riduzione dell'organico complessivo della  dirigenza
possono  essere  destinate  alla   valorizzazione   delle   posizioni
organizzative, in aggiunta  alle  risorse  annualmente  stanziate  ai
sensi  dell'articolo  31  del  CCNL  del   personale   del   comparto
Regioni-Autonomie  locali  del  22  gennaio  2004».   Essa,   dunque,
disciplina un aspetto del trattamento economico dei dipendenti  della
Regione,  il  cui  rapporto  d'impiego  e'  stato  privatizzato   (ex
plurimis: sentenza n.  77  del  2011,  punto  3  del  Considerato  in
diritto), sicche' rientra nella materia dell'ordinamento civile, come
si desume, del resto, dall'art. 45, comma 1, del citato d.lgs. n. 165
del 2001, con conseguente violazione dell'art.  117,  comma  secondo,
lettera l), Cost. 
    Il richiamo della difesa  regionale  all'art.  2,  comma  2,  del
decreto  legislativo   ora   menzionato,   secondo   cui   «eventuali
disposizioni  di  legge,  regolamento  o  statuto,  che   introducano
discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilita' sia  limitata
ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di  essi
possono essere derogate da successivi contratti o accordi  collettivi
e, per la parte derogata non  sono  ulteriormente  applicabili,  solo
qualora  cio'  sia  espressamente  previsto  dalla  legge»,  non   e'
pertinente. Infatti,  tale  disposizione,  prevedendo  che  eventuali
norme speciali per i dipendenti delle  amministrazioni  pubbliche,  o
per  categorie  di  essi,  possono  essere  derogate  da   successivi
contratti o accordi collettivi, ribadisce il primato  di  tale  fonte
appartenente a pieno titolo all'ordinamento civile, come alla  stessa
materia riconduce proprio il disposto del citato  art.  2,  comma  2,
prima parte, del detto decreto legislativo, alla stregua del quale «I
rapporti di lavoro dei  dipendenti  delle  amministrazioni  pubbliche
sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro
V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro  subordinato
nell'impresa». 
    Ne' puo' condividersi l'argomento secondo cui la norma  impugnata
rientrerebbe nell'organizzazione del personale  regionale,  in  parte
demandato alla potesta' residuale della Regione, ai  sensi  dell'art.
117,  quarto  comma,  Cost.,  ed  in  parte   all'adeguamento   degli
ordinamenti regionali al d.lgs. n. 165 del 2001.  Si  deve  replicare
che, come il testuale tenore  della  disposizione  censurata  rivela,
essa attiene proprio al trattamento economico  dei  dipendenti  della
Regione, prevedendo in sostanza l'erogazione di incentivi,  e  dunque
riguarda   un   profilo    rientrante    comunque    nella    materia
dell'ordinamento civile. 
    Pertanto, deve essere dichiarata l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 3, comma  2,  terzo  periodo,  della  legge  della  Regione
Lombardia n. 19 del 2010, che ha sostituito l'art. 25, comma 6, della
legge della Regione Lombardia n. 20 del  2008,  nella  parte  in  cui
cosi' dispone: «Le economie risultanti dalla riduzione  dell'organico
complessivo   della   dirigenza   possono   essere   destinate   alla
valorizzazione  delle  posizioni  organizzative,  in  aggiunta   alle
risorse annualmente stanziate ai sensi dell'articolo 31 del CCNL  del
personale del comparto Regioni-Autonomie locali del 22 gennaio 2004». 
    3. - Il ricorrente censura poi l'art. 14, comma  3,  della  legge
della Regione Lombardia n. 19 del 2010, per violazione dell'art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost. 
    La norma, recante la rubrica «Modifica alla  legge  regionale  n.
26/2003, concernente disposizioni in materia di grandi derivazioni ad
uso  idroelettrico»,  provvede  appunto  a  modificare  detta   legge
regionale 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi  locali  di
interesse economico  generale.  Norme  in  materia  di  gestione  dei
rifiuti,  di  energia,  di  utilizzo  del  sottosuolo  e  di  risorse
idriche). 
    In particolare, dopo l'art. 53, inserisce l'articolo  53-bis,  il
cui comma 3 (trascritto in  ricorso)  e'  del  seguente  tenore:  «La
Regione, in assenza e nelle more  dell'individuazione  dei  requisiti
organizzativi  e  finanziari  minimi  e  dei  parametri  di   aumento
dell'energia prodotta  e  della  potenza  installata  concernenti  le
procedure di gara, di cui all'art. 12, comma 2, del  D.lgs.  79/1999,
provvede  a  determinare  i  suddetti  requisiti  e  parametri  entro
diciotto mesi dalla data di entrata in vigore del presente articolo». 
    Ad avviso della difesa dello  Stato,  il  legislatore  regionale,
cosi' disponendo, avrebbe superato i limiti della propria competenza,
invadendo quella esclusiva dello Stato in  materia  di  tutela  della
concorrenza, di cui all'art. 117, secondo comma,  lettera  e),  Cost.
Infatti, la previsione regionale avrebbe ad oggetto le  procedure  di
gara  e  non  la  produzione,  il  trasporto   e   la   distribuzione
dell'energia.  Essa  detterebbe  soltanto  misure   incidenti   sulle
procedure di scelta del concessionario (e' diffusamente richiamata la
sentenza n. 1 del 2008 di questa  Corte).  La  difesa  statale,  poi,
ricorda che,  proprio  sulla  base  delle  indicazioni  della  citata
sentenza, il legislatore statale ha modificato l'art.  12,  comma  2,
del decreto legislativo  16  marzo  1999,  n.  79  (Attuazione  della
direttiva 96/92/CE  recante  norme  comuni  per  il  mercato  interno
dell'energia elettrica), sul quale si tornera' di qui a poco. 
    3.1. - La difesa della Regione Lombardia  ha  eccepito  l'erronea
identificazione della norma impugnata e il carattere  generico  delle
censure   mosse   dal    ricorrente,    che    ne    determinerebbero
l'inammissibilita', anche con riferimento alle altre disposizioni che
saranno in prosieguo  esaminate.  Tali  eccezioni,  pero',  non  sono
fondate. 
    Quanto alla prima di esse, e' vero  che  l'art.  14  della  legge
della Regione Lombardia n. 19 del 2010 modifica la legge regionale n.
26 del 2003, introducendo, dopo l'art. 53,  l'art.  53-bis,  nel  cui
testo e' inserito il comma 3, riportato nel punto  3  che  precede  e
censurato dalla difesa erariale. Tuttavia, a parte il rilievo che  la
nuova disposizione e' stata comunque introdotta dal citato  art.  14,
sicche' il  riferimento  ad  esso  non  puo'  definirsi  erroneo,  e'
decisivo il rilievo che la norma impugnata e'  stata  trascritta  nel
ricorso introduttivo, sicche' nessun dubbio puo' nutrirsi  sulla  sua
identificazione. 
    Quanto alla seconda eccezione, le doglianze  del  ricorrente  non
sono  affatto  generiche,  perche'  individuano  ed  illustrano,  con
richiami anche alla giurisprudenza di questa Corte, le ragioni  delle
censure (violazione  della  competenza  legislativa  esclusiva  dello
Stato, con riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.)
e la normativa statale ritenuta rilevante. 
    3.2. - Nel merito, la questione e' fondata. 
    Si deve premettere che, come  questa  Corte  ha  gia'  affermato,
l'intera  disciplina  delle  procedure  ad   evidenza   pubblica   e'
riconducibile alla  tutela  della  concorrenza,  con  la  conseguente
titolarita' della potesta' legislativa, in via esclusiva, allo  Stato
(art. 117, secondo comma,  lettera  e,  Cost.).  In  particolare,  la
disciplina  delle  procedure  di  gara,  la  regolamentazione   della
qualificazione  e  selezione  dei  concorrenti,  delle  procedure  di
affidamento e dei criteri di aggiudicazione mirano a garantire che le
medesime si svolgano nel rispetto delle regole concorrenziali  e  dei
principi comunitari della  libera  circolazione  delle  merci,  della
libera prestazione  dei  servizi,  della  liberta'  di  stabilimento,
nonche' dei principi  costituzionali  di  trasparenza  e  parita'  di
trattamento. La gara  pubblica,  dunque,  costituisce  uno  strumento
indispensabile per tutelare e promuovere la concorrenza (sentenze  n.
401 del 2007 e n. 1 del 2008). 
    Tuttavia, con quest'ultima pronunzia  la  Corte  rilevo'  che  il
decreto con il quale il  Ministero  delle  attivita'  produttive,  di
concerto  con  il  Ministero  dell'ambiente  e   della   tutela   del
territorio, sentito il gestore della rete di trasmissione  nazionale,
determinava con proprio provvedimento  i  requisiti  organizzativi  e
finanziari minimi, i parametri di  aumento  dell'energia  prodotta  e
della potenza installata concernenti la procedura  di  gara,  era  un
atto che, da un lato,  era  riconducibile  alla  indicata  competenza
statale  in  materia  di   tutela   della   concorrenza,   dall'altro
interferiva su aspetti organizzativi, programmatori e  gestori  della
materia,  di  competenza  concorrente,  relativa   alla   produzione,
trasporto e distribuzione nazionale  dell'energia  (art.  117,  terzo
comma, Cost.). In ordine a tale potere, idoneo  a  coinvolgere  anche
aspetti di gestione del territorio, andava riconosciuta la necessita'
di assicurare un potere specifico degli organi dello Stato,  chiamati
ad assicurare la concorrenza nel settore  economico  di  riferimento,
nonche' interessi unitari alla produzione e gestione di  una  risorsa
strategica come l'energia idroelettrica, ma, al  contempo,  anche  la
necessita' di un  coinvolgimento,  sul  piano  amministrativo,  delle
Regioni (sentenza n. 383 del 2005).  Ne  segui'  la  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 483, della legge  23
dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge  finanziaria  2006),  nella
parte in cui  non  prevedeva  un  coinvolgimento  delle  Regioni  nel
procedimento finalizzato all'adozione del  decreto  ministeriale  ivi
previsto. 
    Il legislatore statale intervenne, quindi, con l'art.  15,  comma
6-ter, lettera c), del decreto-legge 31 maggio 2010,  n.  78  (Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita'
economica), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,
della legge n. 122 del 2010, che, nel sostituire il comma 2 dell'art.
12 del d.lgs. n. 79 del 1999,  cosi'  dispose:  «Il  Ministero  dello
sviluppo economico, di concerto  con  il  Ministero  dell'ambiente  e
della tutela  del  territorio  e  del  mare,  previa  intesa  con  la
Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281, determina, con proprio provvedimento ed entro il
termine di sei mesi dalla data di entrata in  vigore  della  presente
disposizione,  i  requisiti  organizzativi  e  finanziari  minimi,  i
parametri e i termini concernenti la procedura di gara in conformita'
a quanto previsto al comma 1, tenendo conto dell'interesse strategico
degli impianti alimentati da fonti rinnovabili e del contributo degli
impianti idroelettrici alla copertura della domanda e dei  picchi  di
consumo». 
    Orbene, come emerge dalla lettura coordinata  della  disposizione
ora  trascritta  e  della  norma  regionale  censurata,  e'   agevole
constatare  che   quest'ultima   demanda   alla   Regione   Lombardia
l'individuazione dei requisiti organizzativi e  finanziari  minimi  e
dei  parametri  di  aumento  dell'energia  prodotta,  concernenti  le
procedure di gara, individuazione che invece la citata norma  statale
(intervenuta,  peraltro,  prima  di  quella  regionale)  affida   per
l'appunto allo Stato. Ne deriva che la disposizione regionale  incide
direttamente sulla disciplina delle procedure  ad  evidenza  pubblica
che, come  sopra  si  e'  detto,  spetta  nella  sua  interezza  alla
competenza  esclusiva  dello  Stato  medesimo,  onde  la   denunziata
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. sussiste. 
    Non giova addurre che la  tutela  della  concorrenza  e'  materia
trasversale che,  come  tale,  non  puo'  azzerare  ogni  concorrente
competenza legislativa regionale. Questa Corte ha  chiarito,  proprio
con la sentenza n. 1 del 2008 (punto 7.3 del Considerato in diritto),
che il provvedimento previsto dall'art. 12, comma 2,  del  d.lgs.  16
marzo  1999,  n.  79,   interferisce   «su   aspetti   organizzativi,
programmatori e gestori della  materia,  di  competenza  concorrente,
della produzione, trasporto e  distribuzione  nazionale  dell'energia
(art. 117, terzo comma, della  Costituzione»),  affermando  anche  la
necessita' di un coinvolgimento - sul piano  amministrativo  -  delle
Regioni.   Pero'   ha   anche   aggiunto   che   «va   rimessa   alla
discrezionalita' del legislatore la  predisposizione  di  regole  che
comportino il coinvolgimento regionale nell'adozione del  decreto  in
questione». Il che, come si e' detto, e' avvenuto con  la  previsione
dell'intesa in sede di  Conferenza  unificata,  in  base  al  dettato
attuale dell'art. 12, comma 2, del d.lgs. n. 79 del 1999. 
    Non e' esatto che «nel nostro caso la normativa  regionale  viene
perfettamente ad incastonarsi con quella  statale,  la  quale  ultima
mantiene la sua forza per quanto attiene a  tutti  gli  indirizzi  di
fondo pro-concorrenziali». In realta', lungi dallo "incastonarsi", la
norma censurata attribuisce alla Regione una potesta' legislativa che
non le compete, postulando una  sorta  di  potere  sostitutivo  della
Regione stessa allo Stato («in assenza e nelle more»  dell'intervento
di  questo),   che   non   trova   alcun   ancoraggio   nel   dettato
costituzionale. 
    Neppure la tesi secondo cui sarebbe stato proprio il  legislatore
statale, «con apposita clausola di  cedevolezza»,  a  riconoscere  la
competenza legislativa regionale puo' essere condivisa. 
    Invero, l'art. 15, comma 6-quater,  del  d.l.  n.  78  del  2010,
convertito, con modificazioni, dalla legge n.  122  del  2010,  nella
parte rimasta dopo la  declaratoria  d'illegittimita'  costituzionale
adottata con sentenza  n.  205  del  2011,  nello  stabilire  che  le
disposizioni dei commi 6, 6-bis e  6-ter  del  medesimo  art.  15  si
applicano fino all'adozione di diverse  disposizioni  legislative  da
parte delle Regioni, aggiunge che cio' puo' avvenire «per  quanto  di
loro competenza». La norma, dunque, stabilisce, o  meglio  ribadisce,
che l'esercizio della  detta  potesta'  legislativa  da  parte  delle
Regioni deve rimanere nell'ambito della competenza loro propria, onde
resta esclusa ogni intrusione nella competenza esclusiva dello Stato. 
    E' esatto, poi, che la giurisprudenza di questa Corte ha  ammesso
la   possibilita'   di   un   intervento   pro-concorrenziale   della
legislazione regionale (ex plurimis: sentenze n. 150 del  2011  e  n.
307  del  2009).  Ma,  nel  caso  di  specie,  manca  ogni  dato  per
qualificare tale intervento pro-concorrenziale, perche' la Regione si
attribuisce la potesta' di individuare i requisiti e i  parametri  di
cui alla norma censurata  (gia'  demandati  dalla  norma  statale  al
Ministero dello sviluppo economico,  di  concerto  con  il  Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa
con la Conferenza  unificata),  ma  nulla  dice  in  ordine  al  loro
contenuto. Ne' la qualificazione suddetta  puo'  essere  riconosciuta
per il solo fatto che la Regione sarebbe intervenuta in favore  della
concorrenza,  ponendo  rimedio  all'inerzia  dello   Stato,   perche'
comunque una  situazione  di  fatto  non  potrebbe  giustificare  una
alterazione  del  riparto  delle   competenze   legislative   sancito
dall'art. 117 Cost. 
    Sulla  base  delle  considerazioni  che  precedono,  deve  essere
dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 14  della  legge
della  Regione  Lombardia  n.  19  del  2010,  nella  parte  in  cui,
modificando la legge della stessa Regione Lombardia 12 dicembre 2003,
n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale.
Norme in materia di gestione rifiuti, di  energia,  di  utilizzo  del
sottosuolo  e  di  risorse  idriche),  dopo  l'art.  53  di  essa  ha
introdotto l'art. 53-bis, recante disposizioni in materia  di  grandi
derivazioni ad uso idroelettrico, il cui comma 3 cosi'  dispone:  «La
Regione, in assenza e nelle more  dell'individuazione  dei  requisiti
organizzativi  e  finanziari  minimi  e  dei  parametri  di   aumento
dell'energia prodotta e  della  potenza  installata,  concernenti  le
procedure di gara, di  cui  all'articolo  12,  comma  2,  del  D.lgs.
79/1999, provvede a determinare  i  suddetti  requisiti  e  parametri
entro diciotto mesi dalla data di  entrata  in  vigore  del  presente
articolo». 
    4. - La Presidenza del Consiglio dei ministri censura l'art.  14,
commi 7, 8, 9 e 10, della legge regionale lombarda n.  19  del  2010,
per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., nonche' ancora  per
violazione dell'art. 117, commi primo, secondo, lettera e),  e  terzo
Cost.; infine, ritiene che l'art. 14,  comma  7,  della  detta  legge
regionale si  ponga  in  violazione  dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera s), Cost. 
    Ad  avviso  della  difesa   statale,   la   normativa   impugnata
configurerebbe  «un  sistema  di  impianti  afferenti   alle   grandi
derivazioni idroelettriche e non, invece, un sistema di  affidamento,
tramite gara, delle concessioni idroelettriche». 
    Cio' si porrebbe in aperto  contrasto  con  il  regime  di  dette
concessioni e degli  impianti  ad  esse  inerenti,  come  prefigurato
dall'art. 12 del d.lgs. n. 79 del  1999,  nonche'  dall'art.  25  del
regio  decreto  11  dicembre  1933,  n.  1775  (Testo   unico   delle
disposizioni di  legge  sulle  acque  e  impianti  elettrici),  norme
statali  costituenti   principi   fondamentali   nella   materia   di
legislazione  concorrente  relativa  alla  produzione,  trasporto   e
distribuzione   nazionale    dell'energia,    la    cui    violazione
contrasterebbe con  l'art.  117,  terzo  comma,  Cost.  Il  richiamo,
effettuato dall'art. 14, comma 1, della legge della Regione Lombardia
n. 19  del  2010  al  decreto  legislativo  28  maggio  2010,  n.  85
(Attribuzione a comuni, province, citta' metropolitane e  regioni  di
un proprio patrimonio, in attuazione dell'articolo 19 della  legge  5
maggio  2009,  n.  42)  non  varrebbe  a  giustificare   l'intervento
regionale  sugli  impianti  di  cui   sopra,   poiche'   questi   non
rientrerebbero  nella  disponibilita'  della  Regione,  non   essendo
ricompresi nel  novero  dei  beni  pubblici  della  Regione  medesima
indicati nel citato decreto legislativo. In ogni caso -  prosegue  la
difesa statale - la normativa censurata, nella parte in  cui  prevede
affidamenti diretti (ovvero senza gara), si porrebbe in contrasto con
i principi generali dell'ordinamento nazionale e comunitario in  tema
di concorrenza e, quindi,  costituirebbe  violazione  dell'art.  117,
primo comma, Cost. 
    Infine, andrebbe osservato che la disciplina delle  procedure  di
affidamento di beni e servizi rientrerebbe nella competenza esclusiva
del  legislatore  statale  in  materia  di  concorrenza  (e'   ancora
richiamata la sentenza n. 401 del 2007). Con la  normativa  censurata
il legislatore statale  avrebbe  violato  l'art.  117,  primo  comma,
Cost., per i vincoli derivanti dall'ordinamento  comunitario,  l'art.
117, secondo comma, lettera e), Cost., in  materia  di  tutela  della
concorrenza, nonche' l'art. 117, terzo comma, Cost.,  in  materia  di
produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia. 
    4. 1. - Le questioni sono fondate. 
    Le disposizioni censurate (art. 14, commi  7,  8,  9,  10,  della
legge della Regione Lombardia n. 19 del 2010), introdotte con  l'art.
53-bis della legge regionale  n.  26  del  2003,  sono  del  seguente
tenore: 
    «7. La Regione, ai sensi del D. Lgs. 85/2010, allo scadere  delle
concessioni acquisisce le opere e gli impianti di cui all'articolo 25
del R.D. 1775/1933 afferenti l'utilizzazione  delle  acque  pubbliche
demaniali delle grandi derivazioni idroelettriche  e  li  conferisce,
entro  sei  mesi  dall'acquisizione,   in   proprieta'   a   societa'
patrimoniali di scopo, con  partecipazione  totalitaria  di  capitale
pubblico incedibile, cui partecipano senza oneri gli  enti  locali  o
anche loro forme  di  aggregazione  sovra  comunale  interessati  per
territorio.  La  misura  della  partecipazione  degli   enti   locali
interessati sara' determinata previa  intesa  tra  gli  stessi  e  la
Regione e comunque non dovra' essere inferiore al 30  per  cento;  la
restante quota  di  partecipazione  e'  detenuta  dalla  Regione.  Le
societa'  patrimoniali  metteranno  a   disposizione   del   soggetto
affidatario, individuato sia con la procedura di cui ai commi 2  e  8
sia con quella di cui al comma 9, le infrastrutture  e  gli  impianti
afferenti alla derivazione.  Il  soggetto  affidatario  esercira'  le
infrastrutture e gli impianti afferenti alla derivazione nel rispetto
di condizioni e a  fronte  di  un  corrispettivo,  da  versarsi  alle
societa'  patrimoniali,  stabiliti   dalla   Giunta   regionale.   Il
corrispettivo sara' in parte fisso e  determinato  sulla  base  della
potenza nominale media annua e  soggetto  all'adeguamento  legato  al
tasso  annuo  d'inflazione  programmato,  e  in  parte  variabile   e
commisurato all'effettiva produzione realizzata e valorizzata in base
alla collocazione dell'energia sul mercato elettrico e  nel  rispetto
del  normale  rendimento  di  mercato  dei   cespiti   affidati;   il
corrispettivo dovra' essere  in  parte  destinato  ad  interventi  di
tutela ambientale  nei  territori  interessati.  Su  richiesta  delle
province  interessate   dovra'   essere   costituita   una   societa'
patrimoniale di scopo per ciascuna provincia, a  condizione  che  sul
territorio della stessa, a far  data  dall'entrata  in  vigore  della
presente norma,  siano  ricompresi  impianti  di  grande  derivazione
idroelettrica che  complessivamente  raggiungano  almeno  100  MW  di
potenza attiva nominale installata. 
    8.  La  Regione,  allo  scadere  delle  concessioni  in   essere,
garantendo la neutralita' rispetto al mercato, affida, anche  per  il
tramite delle societa' di cui al  comma  7,  l'esercizio  industriale
delle  infrastrutture  e  degli  impianti   afferenti   alle   grandi
derivazioni idroelettriche mediante procedure competitive ad evidenza
pubblica, ovvero  direttamente  a  societa'  a  partecipazione  mista
pubblica e privata, a condizioni che siano  soddisfatti  i  requisiti
prescritti dalle vigenti direttive comunitarie e norme nazionali. 
    9. In deroga a quanto disposto dai commi 2  e  8,  in  attuazione
dell'articolo 44, comma  secondo,  della  Costituzione,  al  fine  di
garantire misure di compensazione  territoriale,  le  concessioni  di
grande derivazione d'acqua, per uso idroelettrico, ricadenti in tutto
o in parte nei territori delle province montane individuate  mediante
i criteri di cui all'articolo 1, comma 153, della legge  27  dicembre
2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2007), o  delle  province
che indipendentemente dal possesso dei criteri previsti dalla  stessa
legge, abbiano il 50 per cento del territorio ad una quota  superiore
a 500 metri  sul  livello  del  mare  sono  affidate  direttamente  a
societa' a partecipazione mista pubblica e privata partecipate  dalla
provincia interessata, a condizione che: a) la  selezione  del  socio
privato venga effettuata mediante procedure competitive  ad  evidenza
pubblica; b) la gara per la selezione del socio privato, svolta dalla
provincia competente, abbia per  oggetto  la  qualita'  del  socio  e
l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla  gestione
industriale; c) la partecipazione del  socio  privato  alla  societa'
mista sia compresa tra il 40 per cento e il 60 per cento del capitale
sociale. 
    Il ricorso all'affidamento di cui al presente  comma  avviene  su
richiesta della Provincia competente che deve pervenire alla  Regione
entro centottanta giorni dall'adozione della deliberazione di  Giunta
regionale di avvio delle procedure di affidamento di cui ai commi 2 e
8. 
    10. La Regione provvede al rilascio della concessione  per  l'uso
delle  acque  pubbliche  in  favore  dei  soggetti  affidatari   come
individuati con le procedure di cui al presente articolo». 
    Cio' posto, prima di procedere allo scrutinio della normativa ora
trascritta, si deve osservare che il d.lgs. n. 79 del 1999,  all'art.
12, comma 2,  nel  testo  attuale  sopra  riportato  (punto  3.2  del
Considerato in diritto), affida ad organi statali, previa intesa  con
la   Conferenza   unificata,   la   determinazione   dei    requisiti
organizzativi  e  finanziari  minimi,  i  parametri   e   i   termini
concernenti la procedura di gara, «in conformita' a  quanto  previsto
al comma 1»; e detta norma, come modificata dalla lettera  a),  comma
6, dell'art. 15 del d.l. n. 78 del 2010, nel  testo  integrato  dalla
relativa  legge  di  conversione,   dispone   che   l'amministrazione
competente, cinque anni prima dello scadere  di  una  concessione  di
grande derivazione d'acqua per uso  idroelettrico  e  nei  termini  e
nelle circostanze dalla norma medesima stabiliti, «indice una gara ad
evidenza  pubblica,  nel  rispetto  della  normativa  vigente  e  dei
principi  fondamentali  di  tutela  della  concorrenza,  liberta'  di
stabilimento, trasparenza e non discriminazione, per l'attribuzione a
titolo  oneroso  della  concessione  per   un   periodo   di   durata
trentennale,   avendo   particolare   riguardo   ad   un'offerta   di
miglioramento e risanamento  ambientale  del  bacino  idrografico  di
pertinenza e dell'energia prodotta o della potenza installata nonche'
di idonee misure di compensazione territoriale». 
    La legislazione statale, dunque,  e'  chiara  nel  richiedere  le
procedure di gara ad evidenza pubblica, la cui disciplina, come  gia'
si  e'  notato,  e'  riconducibile  per  intero  alla  tutela   della
concorrenza, con conseguente titolarita' della potesta'  legislativa,
in via esclusiva, allo Stato (ex multis: sentenza n.  401  del  2007,
gia'  citata).  La  normativa  regionale  censurata  viola,  nel  suo
complesso, la detta competenza legislativa esclusiva. 
    Come risulta dal dettato del comma 7, la Regione Lombardia,  allo
scadere  delle  concessioni,  acquisisce  le  opere  e  gli  impianti
afferenti alle grandi derivazioni idroelettriche e  li  conferisce  a
societa' patrimoniali di scopo,  con  partecipazione  totalitaria  di
capitale pubblico incedibile. Tali societa' patrimoniali metteranno a
disposizione  del  soggetto  affidatario,  individuato  sia  con   la
procedura di cui ai commi 2 e 8 sia con quelle di cui al comma 9,  le
infrastrutture e gli impianti afferenti alla derivazione. 
    Orbene, gia' l'incipit del comma 7 diverge dall'art. 12, comma  1
(testo  vigente),  del  d.lgs.  n.  79  del  1999,   perche'   mentre
quest'ultimo affida  alla  «amministrazione  competente»  l'indizione
delle gare  ad  evidenza  pubblica,  la  norma  regionale  demanda  a
societa' patrimoniali di scopo, all'uopo costituite (il cui ruolo non
e'  ben  precisato)  la  «messa   a   disposizione»   del   «soggetto
affidatario», «individuato sia con la procedura di cui ai commi  2  e
8, sia con quella di cui al comma 9»  delle  infrastrutture  e  degli
impianti relativi alla derivazione. 
    Tuttavia,   a   parte   questo   pur   rilevante   profilo,    e'
l'individuazione del soggetto  affidatario  che  si  pone  in  palese
contrasto con la normativa statale. Infatti, il  comma  7  stabilisce
che a tale individuazione si fara' luogo sia con le procedure di  cui
ai commi 2 e 8, sia con quella di cui al comma 9.  Pero',  mentre  in
effetti il comma 2 prevede l'indizione di gare ad evidenza  pubblica,
con esplicito rinvio all'art. 12, comma 1, del d.lgs. n. 79 del 1999,
il comma 8 dispone che l'esercizio industriale delle infrastrutture e
degli impianti afferenti alle grandi derivazioni  idroelettriche  sia
affidato «mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, ovvero
direttamente a societa' a partecipazione mista pubblica e privata,  a
condizione che siano soddisfatti i requisiti prescritti dalle vigenti
direttive comunitarie e norme nazionali». Il comma  9,  poi,  dispone
che, in deroga a quanto previsto nei commi 2 e 8, le  concessioni  di
grande derivazione d'acqua per uso idroelettrico ricadenti in tutto o
in parte nelle province montane individuate dal  comma  stesso,  sono
affidate direttamente a societa' a partecipazione  mista  pubblica  e
privata partecipate dalle  Province  interessate,  a  condizione  che
siano soddisfatti i requisiti dalla norma medesima  previsti  per  la
selezione  del  socio  privato  (da  effettuare  mediante   procedure
competitive ad evidenza pubblica), per le  modalita'  della  relativa
gara e per la misura della partecipazione del socio privato. 
    In questo quadro, risulta  evidente  che  l'affidamento  mediante
gare ad evidenza pubblica e' rimesso alla mera  discrezionalita'  del
soggetto affidante, cui e' demandata la scelta tra le dette procedure
di gara (comma 2) e l'affidamento diretto, di cui  al  comma  7,  che
richiama anche i commi 8 e 9, e, per l'appunto, al comma 8, sia  pure
a condizione che  siano  soddisfatti  i  requisiti  prescritti  dalle
vigenti direttive  comunitarie  e  norme  nazionali;  queste  ultime,
tuttavia,  come  si  e'  visto,  nel  settore  de   quo   prescrivono
l'indizione di gare ad evidenza pubblica, senza alternative, e,  come
questa Corte ha gia' chiarito, al legislatore italiano non e' vietato
adottare una disciplina che preveda  regole  concorrenziali  -  quali
sono quelle in tema di gara ad evidenza pubblica  -  di  applicazione
piu' ampia rispetto  a  quella  richiesta  dal  diritto  comunitario:
sentenza n. 325 del 2010, punto 6.1 del Considerato  in  diritto.  Il
comma 9, infine, stabilisce che l'affidamento diretto sia addirittura
l'unica forma, con i requisiti sopra indicati. 
    L'assenza di criteri di scelta tra l'una o l'altra  modalita'  di
affidamento ne conferma il carattere meramente discrezionale.  Ma  si
tratta, per l'appunto, di una  conferma,  perche'  per  il  resto  la
violazione della normativa statale, e  della  competenza  legislativa
esclusiva dello Stato nel contesto della quale la detta normativa  va
inquadrata ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e),  Cost.,
e' palese. 
    4.2. - Alla luce dei dati ora richiamati,  desunti  dal  testuale
tenore della normativa censurata, la tesi della difesa della Regione,
secondo  cui  sarebbe  previsto  un  sistema  di  affidamento   delle
concessioni mediante gara, non  e'  esatta.  Questo  sistema  risulta
essere una semplice opzione del soggetto affidante,  il  quale  pero'
puo'  decidere  anche  per  l'affidamento  diretto   a   societa'   a
partecipazione mista pubblica e privata (comma 8 e, per il rinvio  al
medesimo operato, anche il comma 7), mentre in forza del comma 9 tale
modalita' e' disciplinata come esclusiva, onde  e'  evidente  che  il
disposto dell'art. 12, commi 1 e 2, della legge n.  79  del  1999,  e
successive modificazioni, non e' attuato. 
    Ne' giova il richiamo della difesa regionale all'art. 23-bis  del
decreto legge 25 giugno 2008, n. 112  (Disposizioni  urgenti  per  lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la   competitivita',   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 6  agosto  2008,  n.  133,
perche' detta  norma,  a  parte  l'abrogazione  referendaria  subita,
riguarda il settore dei servizi pubblici  locali  e  non  il  mercato
interno dell'energia elettrica.  E  per  la  stessa  ragione  non  e'
pertinente il richiamo alle normative introdotte in altri  e  diversi
settori dell'ordinamento. 
    Quanto al decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85 (Attribuzione
a comuni, province, citta' metropolitane  e  regioni  di  un  proprio
patrimonio, in attuazione dell'articolo 19 della legge 5 maggio 2009,
n.  42),  si  deve  osservare  che  l'art.  5  di  esso  esclude  dal
trasferimento agli enti territoriali una nutrita serie di beni  e  di
infrastrutture, tra cui «le reti di interesse statale,  ivi  comprese
quelle stradali ed energetiche». Si tratta di una formula  abbastanza
elastica, sicche' e' necessario attendere i decreti attuativi per una
piu' precisa identificazione dei beni e delle infrastrutture  oggetto
di trasferimento. A  parte  cio',  la  citata  normativa  non  appare
rilevante in questa sede, nella quale non si discute della proprieta'
dei beni e degli impianti, bensi' della disciplina delle procedure di
affidamento delle concessioni. 
    Conclusivamente, alla stregua delle considerazioni che precedono,
deve essere dichiarata la illegittimita' costituzionale dell'art.  14
della legge della Regione Lombardia n. 19 del 2010,  nella  parte  in
cui, modificando la legge della stessa Regione Lombardia  n.  26  del
2003, dopo l'art. 53 di essa ha inserito l'art. 53-bis, e in questo i
censurati commi 7, 8, 9, 10 (norma, questa, di esecuzione  dei  commi
precedenti). Lo stretto intreccio esistente tra le dette disposizioni
ne impone la totale caducazione. 
    Ogni altro profilo resta assorbito.