Causa n. 6196/2012 R.G.A.C. promossa da Caramazza Giuseppe  (avv.
Sergio Galleano),  nei  confronti  di  Poste  Italiane  s.p.a.  (avv.
Gianfranco Dell'Aglio),  avente  ad  oggetto:  nullita'  del  termine
apposto a contratto di lavoro subordinato e conversione dello  stesso
in contratto a tempo indeterminato. 
    Il giudice  del  lavoro  designato,  dott.  Michele  Forziati,  a
scioglimento della riserva assunta all'udienza del 9 ottobre 2012; 
    Letti gli atti di causa, esaminati i documenti prodotti  e  viste
le richieste ed eccezioni delle parti; 
    Premesso: 
        che, con atto di ricorso  depositato  in  Cancelleria  il  29
febbraio 2012, il ricorrente in epigrafe ha agito in questa sede  per
sentir accertare la nullita' del termine finale di durata apposto  al
contratto di lavoro stipulato ai sensi dell'art. 2, comma 1-bis,  del
d.lgs. n. 368 del 2001, cosi' come modificato dalla legge 23 dicembre
2005, n. 266, ed intercorso con Poste Italiane s.p.a. dal  1°  aprile
2009 al 30 giugno 2009 (con inquadramento al livello E e mansioni  di
addetto allo smistamento con  figura  professionale  di  addetto  CRP
junior), la conversione del rapporto di lavoro a tempo  indeterminato
fin dalla data di stipulazione del  contratto  e  la  condanna  della
societa' resistente alla sua riammissione in servizio ed al pagamento
(anche a titolo risarcitorio) delle retribuzioni  a  far  data  dalla
data della messa in mora, oltre agli accessori di legge; 
        che Poste Italiane s.p.a.,  costituitasi  tempestivamente  in
giudizio con memoria difensiva del 1° giugno 2012, dopo aver eccepito
in via preliminare la decadenza dall'azione di nullita'  del  termine
per mancata impugnazione del contratto nel termine previsto dall'art.
32 della legge n. 183/2010, ha contestato nel  merito  la  fondatezza
delle avverse pretese chiedendone il rigetto; 
        che all'udienza del 12 giugno 2012, ritenuta la causa  matura
per la decisione allo stato degli atti, e'  stata  fissata  l'udienza
del 9 ottobre 2012 per la discussione anche sui «dubbi in merito alla
legittimita' costituzionale della norma dell'art. 32, comma 4,  lett.
b), legge n. 183/2010 - nella parte in cui prevede l'applicazione del
termine di decadenza di cui  al  riformato  art.  6  della  legge  n.
604/1966 anche ai contratti a termine «gia' conclusi»  alla  data  di
entrata in vigore della medesima legge -  in  relazione  al  disposto
dell'art. 3 della Costituzione»; 
    Rilevato: 
        che, a norma dell'art. 32, comma 4, della  legge  4  novembre
2010, n. 183, «Le disposizioni di  cui  all'art.  6  della  legge  15
luglio 1966, n.  604,  come  modificato  dal  comma  1  del  presente
articolo»  -  in  forza  del  quale  «il  licenziamento  deve  essere
impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni  dalla  ricezione
della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione,
anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove  non  contestuale  (...).
L'impugnazione e' inefficace se non e' seguita, entro  il  successivo
termine di duecentosettanta giorni, dal deposito  del  ricorso  nella
cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro  o  dalla
comunicazione  alla  controparte  della  richiesta  di  tentativo  di
conciliazione o arbitrato (...)» «si applicano  anche:  (...)  b)  ai
contratti di lavoro a termine, stipulati  anche  in  applicazione  di
disposizioni di legge previgenti al decreto legislativo  6  settembre
2001, n. 368, e gia' conclusi alla data di entrata  in  vigore  della
presente legge, con decorrenza dalla  medesima  data  di  entrata  in
vigore della presente legge» (ovverosia dal 24 novembre 2010); 
        che, nel caso di specie, nonostante il  contratto  intercorso
tra le parti fosse pacificamente  cessato  in  data  30  giugno  2009
(ovverosia ben prima dell'entrata in vigore  della  norma  da  ultimo
citata), parte  ricorrente  ha  per  la  prima  volta  contestato  la
legittimita' dell'apposizione del termine di durata allo  stesso  con
lettera spedita in data 9  novembre  2011,  ovverosia  ben  oltre  la
scadenza del termine decadenziale introdotto dalla norma in esame; 
    Considerato: 
        che, a norma del comma 1-bis del citato art. 32 -  introdotto
dall'art.  1,  comma  2,  della  legge  26  febbraio  2011,  n.   10,
intervenuta a convertire con modificazioni il d.l. 29 dicembre  2010,
n. 225 (ed in particolare, per quanto in questa sede  occupa,  l'art.
2, comma 54, di tale decreto) - «In sede di  prima  applicazione,  le
disposizioni di cui all'art. 6, primo comma, della  legge  15  luglio
1966, n. 604, come modificato dal  comma  1  del  presente  articolo,
relative  al  termine  di  sessanta  giorni  per  l'impugnazione  del
licenziamento, acquistano  efficacia  a  decorrere  dal  31  dicembre
2011»; 
        che tuttavia tale  differimento  dell'efficacia  del  termine
decadenziale per l'impugnativa dei licenziamenti -  da  ritenersi  in
realta' applicabile (nonostante il tenore letterale della norma e  le
autorevoli opinioni in senso contrario espresse anche in dottrina)  a
tutte le ipotesi contrattuali indicate nell'art. 32  della  legge  n.
183/2010, in considerazione sia degli espressi richiami contenuti nei
successivi commi 3 e 4 della medesima legge al riformato art. 6 della
legge n.  604/1966,  sia  della  chiara  ratio  della  norma  stessa,
introdotta al solo fine di evitare che, a  seguito  dell'introduzione
di un termine decadenziale mai previsto fino ad ora, un  gran  numero
di  soggetti  intenzionati  a  contestare   la   legittimita'   della
cessazione dei rapporti contrattuali o delle altre tipologie di  atti
datoriali ivi menzionati incorressero in una decadenza inconsapevole,
e non certo per introdurre, nel  solo  anno  2011,  una  inspiegabile
sospensione  del  termine  per   l'impugnazione   dei   licenziamenti
esistente  fin  dal  lontano  1966  (e  dunque  da  tutti  ampiamente
conosciuto e conoscibile) - e' stato previsto quando ormai il termine
stesso, decorrente dal 24 novembre 2010 e della durata di 60  giorni,
era irrimediabilmente scaduto, con conseguente intangibilita' di ogni
fattispecie decadenziale medio  tempore  verificatasi  (in  generale,
sulla  improrogabilita'  dei  termini   successivamente   alla   loro
scadenza, si vedano Cass. civ., sez. lav. 17 novembre 2010, n.  23227
e Cass. civ., II sez. civ., 6 maggio 2003, n. 6895; dell'esistenza di
tale principio generale, quale espressione dei superiori principi  di
certezza  del  diritto  e  di  tutela  dell'affidamento  delle  parti
contrattuali, e' stato per altro sempre  ben  consapevole  lo  stesso
legislatore, che  ogni  qual  volta  ha  introdotto  disposizioni  di
sospensione o proroga dei termini di prescrizione o decadenza, lo  ha
fatto prima della scadenza dei termini stessi e mai dopo;  si  pensi,
tra gli  altri,  all'art.  4  del  d.l.  4  novembre  2002,  n.  245,
convertito in legge 27 dicembre 2002, n. 286,  che  aveva  sospeso  i
termini in scadenza nel periodo di  vigenza  delle  dichiarazioni  di
emergenza conseguenti alle calamita' naturali nelle  regioni  Molise,
Sicilia e Puglia, nonche'  all'art.  31,  comma  6,  della  legge  n.
448/1998 e all'art. 30,  comma  10,  della  legge  n.  488/1999,  che
avevano senza  soluzione  di  continuita'  prorogato  il  termine  di
decadenza per la notifica  dell'avviso  di  liquidazione  dell'I.C.I.
degli anni 1993, 1994 e 1995); 
    Ritenuto: 
        che  dunque  -   che   si   aderisca   o   meno   all'opzione
interpretativa  da  ultimo  sinteticamente  prospettata   in   merito
all'applicabilita' a tutte le ipotesi indicate nel citato art. 32 del
differimento dell'efficacia del termine decadenziale di  impugnazione
introdotto dalla legge 26 febbraio 2011, n.  10,  nonche'  in  merito
alla non applicabilita' dello stesso a tutte le decadenze a tale data
gia' maturate - non vi sia ragione  di  dubitare  che,  nel  caso  di
specie, essendo il  contratto  a  termine  intercorso  tra  le  parti
cessato  in  data  30  giugno  2009  ed   avendo   parte   ricorrente
formalizzato la propria impugnazione con lettera del 9 novembre 2011,
la stessa sia incorsa nella decadenza prevista dalla norma  in  esame
ed in questa sede eccepita da parte convenuta; 
        che  tuttavia  la  previsione  dell'applicazione  del  citato
termine decadenziale di impugnazione ai soli contratti  di  lavoro  a
tempo determinato «gia' conclusi» (rectius: cessati o  scaduti)  alla
data di entrata in vigore della legge n.  183/2010,  e  non  anche  a
tutte le altre ipotesi previste dall'art. 32,  commi  3  e  4,  della
medesima legge e gia' verificatesi  a  quella  stessa  data,  sia  in
contrasto con i principi di parita' di trattamento  e  ragionevolezza
sanciti dall'art. 3 della Costituzione; 
    Considerato: 
        che infatti, quanto al principio di  ragionevolezza,  se  non
v'e  dubbio  che  il  legislatore  ben  possa,  nell'esercizio  della
discrezionalita' che gli e' propria, disciplinare in maniera  diversa
fattispecie diverse - quali sono senza dubbio, ai fini che in  questa
sede occupano, quelle: 1)  della  scadenza  del  termine  apposto  al
contratto di lavoro (citata per ben 4 volte nell'art.  32  in  esame,
nella formulazione  precedente  le  modifiche  da  ultimo  introdotte
dall'art. 1,  comma  12,  della  legge  28  giugno  2012,  n.  92  ed
applicabile ratione temporis al caso di specie, ed in particolare  al
comma 3, lett. a) e d), ed al comma 4, lett. a) e b), 2) del «recesso
del   committente   nei   rapporti   collaborazione   coordinata    e
continuativa, anche nella modalita' a progetto» (comma 3,  lett.  b),
3) del trasferimento del lavoratore ex art. 2103 c.c. (comma 3, lett.
c), 4) della cessione del contratto  di  lavoro  ex  art.  2112  c.c.
(comma 4, lett. c), nonche' 5) di «ogni altro caso in  cui,  compresa
l'ipotesi prevista dall'art. 27 del decreto legislativo 10  settembre
2003, n. 276, si  chieda  la  costituzione  o  l'accertamento  di  un
rapporto di lavoro in capo a un soggetto  diverso  dal  titolare  del
contratto» (comma 4, lett. d) -, non v'e' parimenti dubbio  che,  nel
caso in cui sia per lo stesso legislatore a disciplinare  in  maniera
identica fattispecie diverse in relazione ad un  determinato  aspetto
(quale e'  quello  che  in  questa  sede  interessa  del  termine  di
impugnazione), debba necessariamente farlo in maniera intrinsecamente
coerente, e, per l'appunto, ragionevole ed uguale per tutte; 
        che dunque, nel caso  di  specie,  per  non  incorrere  nella
violazione del principio in  esame,  il  legislatore  avrebbe  potuto
alternativamente prevedere (a propria discrezione) o che per tutte le
ipotesi previste dall'art. 32, commi 3 e 4, il termine  di  decadenza
di 60 giorni si applicasse anche ai  rapporti  «gia'  conclusi»  (nel
caso dei contratti a termine, di collaborazione, di somministrazione)
o agli atti gia' compiuti (nel caso del trasferimento dei  lavoratori
e di cessione dei contratti di lavoro) alla data di entrata in vigore
della legge, ovvero che, sempre per tutte  le  medesime  ipotesi,  il
predetto termine si applicasse solo ai rapporti «non ancora conclusi»
(per usare la medesima dizione della lett. b) del  comma  4)  o  agli
atti non ancora compiuti a quella stessa data; 
    Ritenuto: 
        che inoltre, prevedendo che solo per i contratti di lavoro  a
tempo determinato il  termine  di  decadenza  si  applichi  anche  ai
rapporti «gia' conclusi» alla data di entrata in vigore della  legge,
il  legislatore  abbia  introdotto   una   evidente   disparita'   di
trattamento tra i lavoratori intenzionati a  contestare  in  giudizio
l'apposizione del termine a tali contratti (costretti  ad  impugnarli
nel termine di 60 giorni a far data dal 24 novembre  2010)  e  quelli
intenzionati a promuovere analoga iniziativa giudiziaria in relazione
alle diverse ipotesi contemplate dallo stesso art. 32, commi 3  e  4,
«gia' concluse» o comunque verificatesi alla medesima data  (i  quali
potranno continuare ad agire in giudizio senza dover rispettare alcun
termine decadenziale); 
        che tale disparita' di trattamento sia inoltre evidente anche
dal punto di  vista  datoriale,  non  essendovi  alcuna  ragione  per
tutelare in maniera differente, all'interno di  una  medesima  norma,
l'interesse dei datori di lavoro che abbiano  stipulato  contratti  a
tempo determinato di conoscere in tempi rapidi e certi  se  e  quanti
dei  propri  ex  dipendenti  avranno  intenzione  di  contestarne  in
giudizio la legittimita', rispetto all'analogo  interesse  di  quegli
imprenditori che abbiano invece stipulato contratti di collaborazione
coordinata  e  continuativa,  di  collaborazione  a  progetto  o   di
somministrazione, ovvero che abbiano disposto il trasferimento di  un
lavoratore da una unita' produttiva ad un'altra,  ovvero  ancora  che
abbiano ceduto un contratto di lavoro, di conoscere  con  altrettanta
rapidita' e certezza l'esistenza di analoghe intenzioni  impugnatorie
da parte dei propri ex collaboratori, dipendenti o ex dipendenti; 
        che   a   diversa   conclusione   non   possa   al   riguardo
condivisibilmente pervenirsi valorizzando la circostanza  (per  altro
meramente fattuale e  non  giuridica)  che,  ormai  da  anni,  alcune
importanti  realta'  imprenditoriali  italiane  (ed  in   particolare
l'odierna convenuta Poste Italiane s.p.a.) abbiano fatto e continuino
a fare massiccio ricorso all'assunzione di lavoratori con contratti a
tempo determinato, dando cosi'  vita  ad  un  «fenomeno  sociale»  di
portata tale da legittimare una sorta di intervento straordinario del
legislatore volto a far emergere, una volta per tutte, il contenzioso
latente relativo a tale tipologia contrattuale: al riguardo, premesso
che tutte le norme che introducono limiti all'accesso  del  cittadino
alla giustizia (quale e senza dubbio quella in esame,  che  non  solo
introduce  un  termine  di  decadenza  dalla  facolta'  di  agire  in
giudizio, ma ne prevede l'applicazione anche  alle  fattispecie  gia'
verificatesi al momento dell'entrata in  vigore  della  legge)  hanno
natura eccezionale, basti evidenziare - sempre sotto il profilo della
parita' di trattamento -  sia  l'invero  dubbia  legittimita'  di  un
intervento legislativo palesemente rivolto a favorire, in difetto  di
«motivi imperiosi di carattere generale», la posizione di uno dei due
contraenti, e nella specie della parte  datoriale  (in  termini  piu'
generali, sul divieto per il potere legislativo di influire su di una
determinata categoria di controversie, si  vedano  Cass.  civ.,  sez,
lav., ordinanza 4 settembre 2008, n. 22260, nonche Id.,  sentenza  16
gennaio 2008,  n.  677),  sia  l'assoluta  ingiustificabilita'  dello
stesso avuto riguardo alla posizione di tutti  quei  lavoratori  che,
invece, siano stati assunti con  contratti  a  tempo  determinato  da
piccoli o medi imprenditori  e  che,  pur  non  essendo  direttamente
coinvolti  nel  «fenomeno  sociale»  sopra  citato,  si  sono   visti
applicare anche alle fattispecie gia' verificatesi (a differenza  dei
lavoratori  «assunti»  con  le   altre   tipologie   contrattuali   o
destinatari degli altri provvedimenti  datoriali  indicati  nell'art.
32, commi 3 e 4) un termine decadenziale mai esistito prima; 
    Considerato: 
        che, dunque, alla luce  delle  suesposte  considerazioni,  la
norma dell'art. 32, comma 4, lett. b) della legge 4 novembre 2010, n.
183, prevedendo l'applicazione del termine di  decadenza  di  cui  al
riformato art. 6, comma 1, della legge n. 604/1966 anche ai contratti
di lavoro a tempo determinato «gia' conclusi alla data di entrata  in
vigore» della citata legge e «con decorrenza dalla medesima  data  di
entrata in vigore» della stessa, si ponga in contrasto con  l'art.  3
della Costituzione e con i principi di ragionevolezza  e  parita'  di
trattamento in esso sanciti; 
        che  le  suesposte  argomentazioni   facciano   apparire   la
questione  di  costituzionalita'  della  norma   sopra   citata   non
manifestamente infondata; 
        che tale  questione  sia  inoltre  rilevante  ai  fini  della
decisione, in quanto, come gia' evidenziato,  ove  si  applicasse  la
norma in esame al caso di specie  non  potrebbe  che  dichiararsi  la
decadenza di parte ricorrente dalla facolta' di agire in giudizio per
ottenere  l'accertamento  della  nullita'  del  termine  apposto   al
contratto di lavoro intercorso  con  la  societa'  convenuta  dal  1°
aprile 2009 al 30 giugno 2009; 
        che  infine,  nel  sollevare   la   presente   questione   di
legittimita' costituzionale, questo giudice del  lavoro  non  intenda
certo  investire  la  Corte  costituzionale  di  un   (inammissibile)
sindacato sull'esercizio della discrezionalita'  legislativa,  bensi'
della sola verifica circa la compatibilita' con  i  principi  di  cui
alla norma costituzionale sopra  citata  del  sopra  citato  disposto
normativo; 
        che il presente  giudizio  debba  essere  dunque  sospeso  in
attesa della decisione della Corte costituzionale sulla questione  di
costituzionalita' in questa sede sollevata;