ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nei giudizi riuniti di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  16
 della  legge  4  marzo 1877, n. 3706 (legge sulla pesca), e degli artt.
 26, 27 e 33 del r.d. 8 ottobre 1931, n. 1604 (testo unico  delle  leggi
 sulla pesca), promossi con le seguenti ordinanze:
     1)  ordinanza  emessa  il  4 marzo 1971 dal tribunale di Milano nel
 procedimento civile vertente tra Comerio Alfredo e  Torno  Giuseppe  ed
 altri,  iscritta  al  n.  378  del registro ordinanze 1971 e pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 297 del 24 novembre 1971;
     2)  ordinanza  emessa  il  14  novembre   1972   dal   pretore   di
 Montefiascone  nel procedimento penale a carico di Marinacci Cariddi ed
 altri, iscritta al n. 63 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 18 aprile 1973.
     Visto  l'atto  d'intervento  del  Presidente  del   Consiglio   dei
 ministri;
     udito  nell'udienza pubblica del 3 ottobre 1973 il Giudice relatore
 Guido Astuti;
     udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio  Azzariti,
 per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     Nel  corso di un procedimento civile vertente tra Alfredo Comerio e
 Felice e Giuseppe  Torno,  avente  ad  oggetto  lo  scioglimento  della
 comunione  di  alcuni  diritti  esclusivi  di pesca su di un tratto del
 fiume  Ticino,  il  tribunale  di  Milano  ha,  di  ufficio,  sollevato
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 16 della legge 4
 marzo 1877, n.  3706, e dell'art. 26 del t.u. 8 ottobre 1931, n.  1604,
 in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
     Ha osservato il tribunale che i diritti esclusivi di pesca nascenti
 da  antichi  privilegi  ,  da possesso immemorabile e da usucapione, in
 quanto cadono su beni del demanio pubblico quali i fiumi, i laghi ed  i
 torrenti,   destinati  a  soddisfare  immediatamente  i  bisogni  della
 collettivita'  e  ad  essere  utilizzati  indistintamente  da  tutti  i
 cittadini,  riservando  la  possibilita'  di  pescare solo ad alcuni di
 essi, violerebbero  il  principio  di  uguaglianza.  Cio'  sia  per  la
 disparita'  di  trattamento che il riconoscimento dei diritti esclusivi
 di pesca introdurrebbe tra i cittadini e sia  per  la  mancanza  di  un
 ragionevole  fondamento della disciplina.  In particolare, sotto questo
 ultimo aspetto, i  diritti  esclusivi  di  pesca  non  potrebbero  piu'
 trovare  giustificazione,  considerato  l'intervenuto  mutamento  delle
 condizioni e delle strutture economiche della societa',  ne'  sarebbero
 legittimati  da  una  finalita' di ripopolamento, non esistendo in tale
 senso alcun vincolo per il titolare, che, inoltre, non derivando i suoi
 diritti da concessione amministrativa, non e'  soggetto  a  revoca,  ma
 solo  a  decadenza  nelle  ipotesi  di non uso e di violazioni generali
 delle leggi sulla pesca.
     Non  vi  e'  stata  Costituzione  delle  parti  private  mentre  e'
 intervenuto,   a   mezzo   dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il
 Presidente del Consiglio dei ministri, che ha escluso la illegittimita'
 costituzionale della  normativa  impugnata.    Premesso  che  ai  sensi
 dell'art.  823 del codice civile anche i beni demaniali possono formare
 oggetto di diritti  a  favore  dei  terzi,  ha  osservato  l'Avvocatura
 generale  dello Stato che laddove i diritti esclusivi di pesca derivano
 da concessione amministrativa, questa puo' essere rilasciata soltanto a
 coloro che intendano intraprendere l'allevamento dei pesci e  di  altri
 animali  acquatici,  e'  sempre  subordinata  alle condizioni richieste
 dall'interesse  generale  ed  a  quelle   necessarie   per   assicurare
 l'effettivo  e costante esercizio della pesca, ed e' sempre revocabile.
 Laddove poi, i  diritti  esclusivi  di  pesca  sono  basati  su  titoli
 anteriori,  riconosciuti  dalla  vigente  legislazione  italiana, vi e'
 egualmente una rigida subordinazione  all'interesse  pubblico,  sino  a
 giungere  all'obbligo  del  ripopolamento ittico. Nell'uno e nell'altro
 caso,  pertanto,  l'esistenza  dei  diritti  esclusivi  di   pesca   si
 giustificherebbe  con  il perseguimento di finalita' anche di interesse
 generale, da parte dei privati che ne sono titolari.
     Identica questione di legittimita' costituzionale e' stata proposta
 in un  procedimento  penale  a  carico  di  Cariddi  Marinacci,  Andrea
 Prugnoli,  Guglielmo Natali, Gino Natali, Benito Natali, Pierino Rocchi
 e Biagio Pesei, imputati di  aver  esercitato  la  pesca  nel  lago  di
 Bolsena   in   acque  soggette  a  diritti  esclusivi  di  pesca  senza
 autorizzazione del concessionario, dal  pretore  di  Montefiascone,  il
 quale, accogliendo un'eccezione sollevata dal difensore degli imputati,
 ha impugnato, per contrasto con gli artt. 3 e 4 della Costituzione, gli
 artt. 26, 27 e 33 del r.d. 8 ottobre 1931, n. 1604.
     Non  vi  e'  stata Costituzione delle parti private, ne' intervento
 del Presidente del Consiglio dei ministri.
                         Considerato in diritto:
     1. - Con  l'ordinanza  del  tribunale  di  Milano  viene  sollevata
 d'ufficio  la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 16
 della legge 4 marzo 1877, n.  3706, e dell'art. 26 del r.d.  8  ottobre
 1931,  n.  1604,  in  riferimento  all'art.  3  della Costituzione; con
 l'ordinanza del pretore di Montefiascone viene sollevata  la  questione
 di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  26, 27 e 33 del r.d.  8
 ottobre  1931,  n.  1604,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  4  della
 Costituzione. Poiche' entrambe le ordinanze di rimessione propongono la
 stessa  questione,  ossia la costituzionalita' del vigente regime degli
 antichi diritti esclusivi  di  pesca  nelle  acque  pubbliche  interne,
 oggetto  di  riconoscimento,  i giudizi possono essere riuniti e decisi
 con unica sentenza.
     2.  -  Si  osserva che le acque pubbliche, beni demaniali destinati
 alla soddisfazione dei  bisogni  della  collettivita',  debbono  essere
 aperte   all'uso   di   tutti   i   cittadini,  con  le  autorizzazioni
 eventualmente necessarie; che i diritti esclusivi di pesca hanno  nella
 maggior  parte  dei  casi  origine da privilegi feudali, ormai privi di
 ragionevole  giustificazione,  e  perpetuano  ingiuste  disparita'   di
 trattamento   tra   i  cittadini,  in  contrasto  con  l'art.  3  della
 Costituzione,  che  garantisce  a  tutti  pari  dignita'   sociale   ed
 eguaglianza davanti alla legge.
     La  questione  non  e'  fondata.  I  beni  appartenenti al pubblico
 demanio sono nel nostro ordinamento oggetto di diverse forme di uso: vi
 sono usi normali, comuni o speciali, e usi eccezionali,  caratterizzati
 dalla   parziale   sottrazione  di  beni  demaniali  all'uso  generale,
 collettivo o individuale, e dalla correlativa attribuzione  di  diritti
 di  godimento  esclusivo a determinati soggetti, espressamente prevista
 anche dall'art. 823 del codice civile. Per quanto concerne  il  demanio
 idrico,  accanto  agli usi comuni o civici, alcuni dei quali soggetti a
 regime  di  autorizzazioni   o   licenze   amministrative,   v'e'   una
 molteplicita'  di  utilizzazioni  a fini civili, agricoli, industriali,
 che non sono aperte alla  generalita'  dei  cittadini,  ma  limitate  a
 speciali  categorie di utenti, in regime di concessione amministrativa;
 cosi', le derivazioni di acqua pubblica,  per  uso  di  forza  motrice,
 potabile,   irriguo,   industriale   sono  oggi  consentite  (salvo  il
 riconoscimento dei diritti  d'uso  anteriormente  acquistati),  solo  a
 coloro  che  ne  ottengano  regolare  concessione,  la  quale  comporta
 l'attribuzione  di  un  diritto  personale  ed  esclusivo,  di   natura
 patrimoniale.
     Per  la  pesca  nelle acque interne, e' previsto un duplice regime,
 caratterizzato dalla liberta' di esercizio, variamente  condizionata  e
 limitata,  per  i pescatori di mestiere e dilettanti, nella generalita'
 delle acque pubbliche,  ad  eccezione  di  quelle  soggette  a  diritti
 esclusivi  di  pesca, e riservate o concesse a scopo di ripopolamento e
 piscicoltura; e  dalla  riserva  dell'esercizio,  con  interdizione  ai
 terzi,  nelle  acque  sulle  quali  siano stati riconosciuti o concessi
 diritti esclusivi a soggetti privati,  a  cooperative,  a  consorzi,  o
 altri  enti  pubblici.  Lo  Stato  moderno, nell'istituire un regime di
 concessioni  amministrative  temporanee,  ha   tuttavia   ritenuto   di
 riconoscere  i  preesistenti diritti esclusivi di pesca, legittimamente
 acquistati secondo il diritto anteriore, sotto determinate  condizioni,
 tanto  nelle  acque  del  demanio  marittimo  e  lagunare  e  nel  mare
 territoriale, quanto nei laghi, fiumi, torrenti, canali, e in genere in
 ogni acqua pertinente al demanio idrico interno. Questo riconoscimento,
 implicito nella normativa dell'art. 16 della legge  4  marzo  1877,  n.
 3706,   e'   stato  oggetto  di  precisa  disciplina  nella  successiva
 legislazione dello Stato unitario: con r.d. 15 maggio 1884, n. 2503, fu
 regolata la procedura di riconoscimento, determinando i limiti  tra  la
 competenza  amministrativa  e  la giudiziaria; con la legge sulla pesca
 del 24 marzo 1921, n. 312, largamente recepita nel t.u.  approvato  con
 r.d.  8  ottobre  1931,  n.  1604,  fu  fatto  obbligo  di  chiedere il
 riconoscimento entro brevi termini, sotto comminatoria di estinzione di
 questi diritti. In ordine alle acque interne,  l'art.  26  del  vigente
 t.u.  conferma  l'estinzione  di  tutti  i  diritti  esclusivi di pesca
 risalenti a data anteriore all'entrata in vigore della legge del  1877,
 che  non siano stati effettivamente esercitati nel trentennio anteriore
 al 24 marzo 1921, nonche' dei diritti il cui  possesso  non  sia  stato
 riconosciuto  a  mente del r.d. 15 maggio 1884, n.  2503, o per i quali
 gli aventi  diritto  non  abbiano  presentato  documentata  domanda  di
 riconoscimento  entro  il  31  dicembre  1921;  e  prevede  altresi' la
 revisione  dei  decreti  di  riconoscimento,  conferendo  facolta'   al
 Ministro  per  l'agricoltura  di  provvedere  con decreto,   sentito il
 Consiglio di Stato, alla revoca e declaratoria  di  estinzione,  ovvero
 alla  conferma,  determinando  l'oggetto specifico di ogni diritto e il
 suo modo di esercizio, in conformita'  ai  titoli  di  acquisto  ed  al
 possesso  goduto  nel  trentennio anteriore all'entrata in vigore della
 legge 24 marzo 1921, n. 312.
     Non occorre sottolineare il parallelismo tra  questa  disciplina  e
 quella  analoga  dettata  per  le derivazioni ed utilizzazioni di acqua
 pubblica, che il legislatore moderno  ha  del  pari  sottoposto  ad  un
 generale  regime  di  concessioni,  ammettendo  tuttavia, entro termini
 perentori, il riconoscimento dei diritti d'uso preesistenti, acquistati
 in base a titolo legittimo ovvero a possesso trentennale anteriore alla
 legge 10 agosto 1884, n. 2644 (art. 2 del t.u.  approvato con  r.d.  11
 dicembre 1933, n. 1775).
     3. - E' evidente che la esistenza di diritti esclusivi di pesca non
 comporta   alcuna   disparita'   di  trattamento  nei  confronti  della
 generalita'  dei  cittadini,  in  rapporto  al  jus  proibenti   e   al
 correlativo  divieto  di  esercizio della pesca entro limitate zone dei
 pubblici corsi o specchi d'acqua dolce, divieto che sussiste  in  egual
 misura  tanto  nel caso di riconoscimento di antichi diritti, quanto in
 quello di concessione amministrativa, la cui piena legittimita' non  e'
 contestata  da  alcuno.  Occorre  altresi' non dimenticare che oltre ai
 diritti esclusivi vi sono anche, su certe acque, diritti  d'uso  civico
 di  pesca,  riservati  ai soli abitanti di un comune o di una frazione,
 con analogo regime di esclusione di tutti gli altri soggetti, privati o
 pubblici.
     Non si puo' nemmeno  asserire  che  l'istituto  del  riconoscimento
 integri  di  per se' una violazione del principio di eguaglianza, quasi
 strumento di conservazione di residui privilegi feudali,  incompatibili
 con   l'odierna   Costituzione  dello  Stato,  e  privi  di  obbiettiva
 giustificazione.  E',  in  primo  luogo,  inesatto,  sotto  il  profilo
 storico-giuridico,  attribuire  genericamente  a questi antichi diritti
 origine feudale.  L'art. 2 del r.d. 15 maggio 1884, n. 2503, dichiarava
 che, agli effetti del riconoscimento "si presume legittimo il  possesso
 tanto  nel caso che siasi acquistato con atto traslativo di proprieta',
 o per sovrana concessione, quanto nel caso  che  siasi  continuato  per
 tempo  utile  a compiere la prescrizione", salvo il definitivo giudizio
 dell'autorita'  giudiziaria  sulla   validita'   dell'acquisto,   della
 concessione  o della prescrizione. A prescindere dai diritti acquistati
 in base ad atti di disposizione privata, ovvero in base ad  usucapione,
 nei  limiti  in  cui  gli  ordinamenti anteriori ne avessero ammesso la
 validita' anche rispetto ad acque  pertinenti  al  pubblico  demanio  o
 patrimonio,  o  ad  acque  gia'  considerate  private e successivamente
 dichiarate pubbliche, si deve ricordare che i  diritti  acquistati  per
 concessione  sovrana,  o  posseduti  ab immemorabili con la conseguente
 presunzione di esistenza di  pubblico  titolo  legittimo,  non  possono
 essere  qualificati  come  "privilegi  feudali", anche quando l'atto di
 concessione abbia la forma della investitura feudale, poiche', come  e'
 noto,  questa  fu largamente usata anche per costituire rapporti aventi
 oggetto  e  contenuto  analogo  a  quello  delle  odierne   concessioni
 amministrative.
     Non  occorre  affrontare qui una indagine sul regime dei diritti di
 pesca nelle acque pubbliche secondo le legislazioni dei  diversi  Stati
 preunitari:  bastera' ricordare che essi furono generalmente conservati
 - sempreche' ne fosse  riconosciuto  legittimo  l'acquisto  secondo  la
 legislazione del tempo -, anche nel periodo successivo all'applicazione
 delle  leggi abolitive della feudalita'. Di fronte a questa complessa e
 varia realta'  storico-giuridica,  lo  Stato  nazionale  unitario,  pur
 dichiarando estinti i diritti esclusivi di pesca non piu' in esercizio,
 ha  tuttavia  ritenuto di consentirne, entro termini perentori ormai da
 lungo tempo scaduti, il riconoscimento, con le stesse leggi nelle quali
 si riservava e regolava la facolta' di costituirne dei nuovi,  mediante
 atti di concessione. Questi diritti hanno carattere di perpetuita' e di
 esclusivita';  senza approfondirne qui la natura giuridica, discussa in
 dottrina,  bastera'  ricordare  che  la  nostra  giurisprudenza  li  ha
 costantemente   qualificati  come  diritti  reali,  e  che  la  vigente
 legislazione definisce i loro titolari  come  "proprietari  di  diritti
 esclusivi  di pesca", talche' certamente trattasi di diritti soggettivi
 perfetti, di carattere patrimoniale.
     4. - Nell'ordinanza del tribunale di Milano si osserva  che  questi
 diritti  non  sono  soggetti  a revoca, a differenza dalle concessioni,
 potendo lo Stato ricorrere solo all'esproprio per restituire  le  acque
 al  libero  godimento  della  collettivita',  e  che  inoltre  essi non
 rispondono nemmeno ad  esigenze  di  conservazione  ed  incremento  del
 patrimonio ittico, in quanto "se e' vero che in alcuni casi il titolare
 si  occupa  del  ripopolamento, cio' egli fa spontaneamente senza alcun
 obbligo o vincolo, e i diritti  non  sono  soggetti  a  revoca  qualora
 invece  non vi provveda, potendosi solo dichiarare la decadenza da essi
 nelle ipotesi di non uso o di violazioni  generali  delle  leggi  sulla
 pesca".
     La  circostanza  che  i  diritti  riconosciuti non siano soggetti a
 revoca  e'  conseguente  alla  natura  dell'atto   di   riconoscimento,
 concernente  diritti  preesistenti  legittimamente  acquisiti, e quindi
 diversi da quelli attribuiti temporaneamente  dallo  Stato  in  base  a
 rapporto  di  concessione:  ma  questa differenza di regime non integra
 certo violazione del principio di  eguaglianza  o  di  altro  principio
 costituzionale. E', d'altra parte, inesatto asserire che i titolari dei
 diritti esclusivi di pesca in base a riconoscimento abbiano facolta' di
 esercizio  indiscriminato  senza  obblighi ne' sanzioni. Parallelamente
 alle  disposizioni  per  favorire  l'industria  della  pesca  e   della
 acquicoltura,  emanate  con d.m. 12 ottobre 1926, in rapporto al regime
 delle nuove concessioni per tratti di corsi o bacini  pubblici  d'acqua
 dolce,  privi  o  poveri  di pesci d'importanza economica, il r.d.l. 27
 febbraio 1936, "Razionale esercizio  dei  diritti  esclusivi  di  pesca
 nelle  acque  interne",  ritenuta  la necessita' urgente ed assoluta di
 sottoporre a maggiori controlli l'esercizio di questi diritti, stabili'
 che il razionale esercizio della pesca, e la esecuzione delle opere  di
 miglioramento  delle  acque  dal  punto  di vista ittico, richieste dal
 Ministero dell'agricoltura, "costituiscono un obbligo per i proprietari
 di diritti esclusivi di pesca" (art.  1), e disciplino' puntualmente la
 presentazione dei programmi  di  pesca  e,  ove  necessario,  di  opere
 ittiogeniche  dirette  ad aumentare la pescosita', nonche' l'esecuzione
 delle opere approvate, disponendo altresi' che ai  titolari  di  questi
 diritti  per  zone  facenti  parte  di maggiori superfici acquee, sulle
 quali la pesca e' esercitata in forma pubblica, possa essere imposto il
 concorso nelle spese per opere ittiogeniche e di vigilanza compiute dai
 consorzi  per  la  tutela  della  pesca  nelle  acque  stesse, in quote
 proporzionali all'ampiezza delle zone soggette a diritti esclusivi.  Il
 Ministero  dell'agricoltura  ha  facolta'  di ispezioni ed accertamenti
 circa l'esercizio della pesca nelle zone di diritto esclusivo (art. 6),
 e i titolari di questi diritti, soggetti alla  osservanza  delle  norme
 speciali  come  di  quelle  generali regolanti la polizia delle acque e
 della pesca, anche rispetto agli  interessi  dei  terzi  e  agli  altri
 interessi  pubblici,  in  base alla espressa disposizione dell'art. 28,
 primo comma, del vigente testo unico, "decadono dal  loro  diritto  per
 non  uso,  o  per  cattivo  uso, in relazione ai fini delle leggi sulla
 pesca, durante tre anni consecutivi, o per abituale inosservanza  delle
 disposizioni legislative o regolamentari attinenti alla pesca".
     Anche    sotto    questo   profilo,   la   dedotta   questione   di
 costituzionalita' appare dunque  infondata.  Certamente  si  tratta  di
 situazioni  giuridiche  risalenti  al  passato,  in  larga  misura gia'
 estinte, o in via di estinzione; ma  non  si  puo',  solo  per  questo,
 ritenere  che  esse  siano  prive  di  presupposti obbiettivi, idonei a
 giustificarne razionalmente la conservazione. Nel vigente  ordinamento,
 oltre alla facolta' dell'amministrazione di procedere alla revisione ed
 eventuale  revoca dei provvedimenti di riconoscimento, e di controllare
 l'effettivo esercizio dei  diritti  di  pesca,  imponendo  obblighi  di
 conservazione  e  miglioramento  della  fauna ittica, sotto sanzione di
 decadenza per non uso o cattivo  uso,  e'  anche  prevista  l'eventuale
 espropriazione  di  questi  diritti  per  causa  di  pubblica utilita',
 secondo l'espressa norma dell'art. 29 del vigente testo  unico,  quando
 essi  non  siano esercitati in rapporto alla loro potenzialita', ovvero
 il loro esercizio sia riconosciuto contrario ad esigenze  di  interesse
 generale.    La Sardegna, con la legge regionale 2 marzo 1956, n. 39, e
 il Friuli-Venezia Giulia, con la legge regionale 12 maggio 1971, n. 19,
 hanno  dichiarato  estinti  i  diritti  esclusivi  di  pesca,  mediante
 indennizzo. Ma, allo stato, non sussiste motivo per una declaratoria di
 incostituzionalita'  delle norme della legislazione statale concernenti
 il riconoscimento dei diritti esclusivi  di  pesca,  e  le  conseguenti
 sanzioni  a carico di chi peschi nelle acque soggette a questi diritti,
 senza il consenso del proprietario, possessore o concessionario.
     5. - Nell'ordinanza del pretore di Montefiascone  la  questione  e'
 sollevata   anche   con  riferimento  all'art.  4  della  Costituzione,
 osservando che, oltre alla pari dignita' sociale di tutti  i  cittadini
 sancita  dall'art.  3,  il  riconoscimento  del  diritto al lavoro e la
 promozione  delle  condizioni  che  rendano  effettivo  questo  diritto
 "sembrano  palesemente  contrastare  con  situazioni di privilegio come
 quelle costituite dal caso di specie".
     A prescindere dalla eguale  dignita'  sociale  dei  cittadini,  che
 ovviamente  non  viene qui in considerazione, si deve rilevare che, pur
 costituendo tuttora la pesca non soltanto un  esercizio  di  diporto  o
 svago  per dilettanti, ma anche l'attivita' professionale dei pescatori
 di mestiere,  non  si  puo'  tuttavia  solo  per  questo  ritenere  che
 l'esistenza  di  diritti  esclusivi,  limitati  a zone circoscritte dei
 corsi  o  bacini  d'acqua  pubblica,  possa  costituire,  di   massima,
 effettivo  limite  od  ostacolo  all'esercizio della pesca da parte dei
 terzi, anche pescatori di mestiere, i quali hanno ogni possibilita'  di
 svolgere  liberamente  la  loro attivita' sulla generalita' delle acque
 pubbliche  aperte  all'uso  comune  o  civico  della pesca. Qualora, in
 determinate circostanze,  la  presenza  di  diritti  esclusivi  dovesse
 praticamente  impedire  ai  pescatori  di mestiere lo svolgimento della
 loro attivita', potrebbe prospettarsi  la  esigenza  di  provvedimenti,
 legislativi  o  amministrativi,  di  abolizione o di espropriazione, in
 vista dell'interesse generale di questa categoria professionale: ma  e'
 ovvio  che  trattasi  di  problemi particolari, la cui soluzione potra'
 essere oggetto di valutazioni discrezionali di politica  legislativa  o
 di azione amministrativa, non gia' di una decisione di questa Corte, in
 rapporto alla denunziata illegittimita' costituzionale che, in linea di
 principio e con riguardo alla generalita' delle situazioni, sicuramente
 non   sussiste,   secondo  l'interpretazione  che  i  principi  sanciti
 dall'art. 4 della Costituzione hanno finora costantemente avuto.  Anche
 sotto quest'ultimo profilo la questione deve ritenersi infondata.