ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 24, commi 2, 4,
5,   6,  7  e  8,  del  decreto  legislativo  17 gennaio  2003,  n. 5
(Definizione  dei  procedimenti in materia di diritto societario e di
intermediazione   finanziaria,   nonche'   in   materia   bancaria  e
creditizia,  in  attuazione  dell'articolo 12  della  legge 3 ottobre
2001,  n. 366),  promosso  dal  Tribunale di Tivoli, nel procedimento
civile  vertente  tra  A.  M.  G.  e il Centro di Sanita' s.r.l., con
ordinanza   del  23 giugno 2004,  iscritta  al  n. 536  del  registro
ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 45, 1ª serie speciale, dell'anno 2005.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 10 gennaio 2007 il giudice
relatore Francesco Amirante.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Nel corso di un giudizio di impugnazione, previa sospensione
in  via  cautelare,  di  due  delibere  assembleari di una societa' a
responsabilita'  limitata  proposto  da  alcuni soci di minoranza, il
Tribunale  di Tivoli, con ordinanza del 23 giugno 2004, ha sollevato,
in  riferimento  agli  artt. 76 e 77 della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 24,  commi 2, 4, 5, 6, 7 e 8,
del  decreto  legislativo  17 gennaio  2003,  n. 5  (Definizione  dei
procedimenti  in  materia  di diritto societario e di intermediazione
finanziaria,  nonche' in materia bancaria e creditizia, in attuazione
dell'articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366).
    Espone  il  Tribunale che il giudice designato per la trattazione
dell'istanza   cautelare   di   sospensione,  dopo  aver  sentito  in
contraddittorio  l'amministratore  unico ed i componenti del collegio
sindacale,  ha  respinto  l'istanza  medesima, ritenendo operativa la
clausola  compromissoria  prevista  dal nuovo statuto della societa',
secondo  la  quale  e'  attribuito  agli  arbitri  anche il potere di
decidere   sull'impugnazione   delle   delibere   assembleari  e,  di
conseguenza,   di   esercitare   il   relativo  potere  cautelare  di
sospensione.  Il  giudice  ha quindi invitato le parti a precisare le
conclusioni,  rimettendo  la causa al collegio affinche' fosse decisa
con il rito abbreviato.
    Il   Tribunale   remittente,  in  sede  collegiale,  dichiara  di
condividere  la  valutazione  del giudice designato circa l'effettiva
possibilita' di decidere la controversia col rito abbreviato, poiche'
l'istanza   di   sospensione  delle  delibere  assembleari  e'  stata
presentata   dopo   la  notifica  dell'atto  di  citazione  ma  prima
dell'emissione   del  decreto  di  fissazione  dell'udienza  previsto
dall'art. 12 del d.lgs. n. 5 del 2003; cio' sia per l'esistenza della
menzionata  clausola  compromissoria,  sia  per la natura documentale
della causa che non necessita di altra attivita' istruttoria.
    Per  dare conto della rilevanza della questione, il giudice a quo
precisa,  inoltre,  che  la  clausola compromissoria, contenuta nello
statuto  della  societa' convenuta, deve ritenersi pienamente valida,
in quanto l'art. 35 del d.lgs. n. 5 del 2003 toglie ogni dubbio circa
l'effettiva  possibilita'  di affidare al giudizio arbitrale anche le
controversie relative all'invalidita' delle delibere assembleari; gli
stessi attori, d'altra parte, successivamente alla notifica dell'atto
di  citazione  e  della  menzionata  istanza  di  sospensione,  hanno
provveduto  a  notificare atto di accesso agli arbitri, con richiesta
di  nomina degli stessi e formulazione dei relativi quesiti. Da tanto
consegue,  secondo  il  remittente,  che  la  causa  e' matura per la
decisione  e  che  puo'  essere  decisa,  appunto,  col rito previsto
dall'art. 24 del d.lgs. n. 5 del 2003.
    Cio'  posto,  il  Tribunale di Tivoli osserva che la questione di
legittimita'  costituzionale  appare non manifestamente infondata, in
quanto  il  nuovo istituto del giudizio abbreviato di cui all'art. 24
del  d.lgs. n. 5 del 2003 non puo' considerarsi compreso nella delega
contenuta  nell'art. 12,  comma 2,  lettera d), della legge 3 ottobre
2001,  n. 366. Tale disposizione, infatti, prevede la creazione di un
«giudizio  sommario non cautelare, improntato a particolare celerita'
ma  con  il  rispetto  del principio del contraddittorio, che conduca
alla  emanazione  di  un  provvedimento  esecutivo  anche se privo di
efficacia  di  giudicato»;  e questa delega non puo' che riferirsi al
procedimento  sommario di cognizione regolato dall'art. 19 del d.lgs.
n. 5  del  2003,  il  quale si conclude, appunto, con un'ordinanza di
condanna  di  per  se' inidonea a passare in giudicato. L'istituto di
cui al censurato art. 24, invece, si configura pacificamente, secondo
il  giudice  a  quo, come un giudizio a cognizione piena, destinato a
concludersi     con     una    sentenza,    pronunciata    a    norma
dell'art. 281-sexies del codice di procedura civile, idonea a passare
in giudicato e a determinare «una stabilita' di effetti incompatibile
con un procedimento sommario».
    Una  volta  escluso, percio', che l'art. 12, comma 2, lettera d),
della  legge n. 366 del 2001 possa costituire la norma di delegazione
idonea  a  regolare  il  rito  abbreviato,  detta  delega, secondo il
Tribunale di Tivoli, non potrebbe che rinvenirsi nella lettera a) del
medesimo  art. 12,  comma 2,  che  pero'  si  limita  a prevedere «la
concentrazione   del   procedimento   e   la  riduzione  dei  termini
processuali».  Siffatta  norma,  tuttavia,  in considerazione del suo
contenuto generale, finalizzato alla sola indicazione degli obiettivi
da  raggiungere,  non  pare  al  remittente  improntata  a principi e
criteri  direttivi  «sufficientemente  determinati  per  giustificare
l'introduzione nel settore civile di un istituto rivoluzionario quale
il  giudizio  abbreviato,  diffuso solo in epoca recente nel giudizio
amministrativo». Non si giustificherebbe, infatti, «la trasformazione
di  un procedimento cautelare in un giudizio a cognizione piena anche
se  con  forme e tempi ristretti rispetto a quelli ordinari», poiche'
la  delega  non  contiene  neppure  la  previsione  di  quello che e'
ritenuto  il  presupposto fondamentale del giudizio abbreviato, ossia
«la   connessione   con   una   domanda  cautelare  presentata  prima
dell'emanazione del decreto di fissazione di udienza».
    Ne conseguirebbe, in tal modo, il totale arbitrio del legislatore
delegato    nella   regolazione   dell'istituto   che,   cosi'   come
disciplinato,   sarebbe  in  contrasto  con  gli  invocati  parametri
costituzionali.
    2.  -  E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata.
    Rileva,  innanzitutto,  l'Avvocatura che e' improprio il richiamo
all'art. 77 Cost., in quanto la censura del Tribunale deduce il vizio
di  eccesso di delega, sicche' non puo' prospettarsi alcun profilo di
assenza di delega.
    Quanto  al  merito  della  censura,  l'interveniente  osserva che
l'art. 24  del d.lgs. n. 5 del 2003 non introduce affatto una novita'
nel nostro sistema processuale: se per «procedimenti semplificati» si
intendono,  infatti,  i  procedimenti  «definibili  allo  stato degli
atti»,  e'  chiaro che il sistema gia' conosce situazioni nelle quali
e'  possibile  decidere con efficacia di giudicato i procedimenti che
non  necessitano  di  alcuna  istruttoria,  come  prevede il rito del
lavoro  e come prevedeva, dopo la riforma del 1950, l'art. 187, primo
comma, del codice di procedura civile.
    L'effettiva   novita'   del   rito  risiederebbe,  invece,  nella
possibilita'  per il giudice di definire il giudizio allo stato degli
atti  anche  in  caso di effettiva deduzione di mezzi di prova; cio',
peraltro, troverebbe una sua ragionevole spiegazione nella necessita'
che  il  giudice motivi tale opzione decisoria, la quale si inserisce
in  un  rito  di «estrema specializzazione», applicato a controversie
per  lo  piu'  di  natura  documentale. Al giudice, del resto, non e'
consentito  sindacare  l'opportunita' delle scelte legislative, tanto
piu'  che l'art. 12, comma 2, lettera a), della legge n. 366 del 2001
autorizzava  il  legislatore  ad introdurre strumenti per l'ulteriore
concentrazione  del  processo  societario, con relativa riduzione dei
termini processuali.
    L'Avvocatura dello Stato, poi, si sofferma ad analizzare la norma
di  delega di cui al menzionato art. 12, osservando che essa contiene
tutti   gli   elementi  richiesti  dall'art. 76  della  Costituzione.
Mediante  ampi  richiami  alla giurisprudenza di questa Corte circa i
rapporti  tra  le  leggi  di  delegazione  e i poteri del legislatore
delegato,  l'Avvocatura  nota  che  rientra  «nella  fisiologia delle
relazioni  tra  principi  e  criteri  direttivi  e  norma delegata la
circostanza  che  i  primi non prevedano la concreta disciplina della
materia».  Allo  stesso  modo,  questa  Corte  ha riconosciuto che la
delimitazione  dell'area  della  delega puo' validamente avvenire col
ricorso   a   concetti  come  «clausole  generali»,  «ridefinizione»,
«riordino»  e  «razionalizzazione»,  sicche'  l'art. 12  sopra citato
appare  contenere,  alla  luce  di siffatta ricostruzione, principi e
criteri  direttivi  piu' che sufficienti per giustificare un istituto
come quello del giudizio abbreviato.

                       Considerato in diritto

    1.- Nel corso di un giudizio di impugnazione - previa sospensione
in  via  cautelare  -  di  due delibere assembleari di una societa' a
responsabilita'  limitata,  il  Tribunale  di  Tivoli in composizione
collegiale  ha  sollevato,  in  riferimento  agli artt. 76 e 77 della
Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 24,
commi 2,  4,  5,  6,  7 e 8, del decreto legislativo 17 gennaio 2003,
n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e
di   intermediazione  finanziaria,  nonche'  in  materia  bancaria  e
creditizia,  in  attuazione  dell'articolo 12  della  legge 3 ottobre
2001, n. 366).
    Il   Tribunale   riferisce   che  il  giudice  designato  per  la
trattazione  dell'istanza cautelare di sospensione, dopo aver sentito
in contraddittorio l'amministratore unico e i componenti del collegio
sindacale, sul rilievo che l'esistenza della clausola compromissoria,
contenuta  nello  statuto della societa', affidava agli arbitri anche
il provvedimento cautelare, ha respinto la relativa istanza e rimesso
la  causa  al collegio in applicazione dei commi 4 e 5 del menzionato
art. 24,  ritenendola  matura per la decisione sia per l'esistenza di
siffatta clausola, sia per il suo carattere documentale.
    Il  collegio  condivideva  l'opinione  del  giudice  designato  a
provvedere    sulla   cautela   riguardo   all'applicabilita'   delle
disposizioni relative al giudizio abbreviato.
    Sulla  base  di tali premesse in punto di rilevanza, il Tribunale
ha  sollevato la questione suindicata, osservando che le disposizioni
del  decreto  delegato  aventi  ad oggetto il giudizio abbreviato non
sono sorrette da adeguata delega.
    Riguardo  alla  non  manifesta infondatezza, il Tribunale rileva,
infatti, che la delega di cui all'art. 12, comma 2, lettera d), della
legge n. 366 del 2001 contrariamente a quanto esposto nella relazione
del Governo che accompagna il decreto delegato, non puo' riferirsi al
giudizio  abbreviato,  perche'  in  siffatta  disposizione si prevede
l'introduzione  di  un  giudizio  a  cognizione sommaria definito con
provvedimento  inidoneo  ad  acquistare  autorita' di cosa giudicata,
caratteristiche  estranee  al  giudizio abbreviato e proprie, invece,
del procedimento sommario di cognizione disciplinato dall'art. 19 del
d.lgs. n. 5 del 2003.
    Ad avviso del remittente, neppure la disposizione contenuta nella
lettera a)  dello  stesso  comma  puo' sorreggere le disposizioni del
decreto  delegato  applicabili  nel  giudizio  a  quo, in quanto essa
prevede la concentrazione delle udienze e l'abbreviazione dei termini
e  non la configurazione di un nuovo tipo di giudizio, qual e' quello
disciplinato  dalle disposizioni censurate, definito «abbreviato» dal
legislatore.
    2.  -  In  via  preliminare, si osserva che il remittente pone la
questione  di  legittimita' costituzionale soltanto con riguardo alle
indicate disposizioni del decreto legislativo n. 5 del 2003. Infatti,
le  espressioni  contenute  nella prima parte dell'ordinanza - con le
quali  si  afferma  che  non  si  ravvisa  «una delega rispondente ai
requisiti  costituzionali  nell'art. 12,  comma 2,  lettera d)  della
legge  delega  3 ottobre  2001,  n. 366,  richiamato  sul punto nella
relazione  governativa,  ne'  nell'art. 12, comma 2, lettera a) della
stessa  legge,  costituente  l'unica  altra  disposizione della legge
delega  invocabile  ai  fini  della copertura del decreto legislativo
delegato  in  materia di giudizio abbreviato» - vanno intese non come
una censura autonoma di illegittimita' delle disposizioni della legge
di  delega,  perche' inidonee per assoluta genericita' a giustificare
qualsiasi  norma  delegata,  quanto piuttosto come rilievo della loro
non attinenza al giudizio abbreviato.
    Ancora preliminarmente, si rileva che la relazione del Governo al
decreto  legislativo,  con  la quale s'individua nella lettera d) del
comma 2  dell'art. 12  della  legge  n. 366  del  2001  la  norma  di
conferimento  della  delega esercitata per introdurre le disposizioni
sul  giudizio  abbreviato, non puo' valere ad escludere che un'idonea
delega  possa  essere  rinvenuta  in  altre disposizioni del medesimo
articolo,  dal  momento  che  questo  viene richiamato per intero nel
preambolo del decreto legislativo.
    3. - La questione, cosi' precisata, non e' fondata.
    Secondo  i  principi  piu'  volte  affermati  da questa Corte, il
sindacato  di  costituzionalita' sulla delega legislativa postula che
il  giudizio di conformita' della norma delegata alla norma delegante
si  esplichi  attraverso  il  confronto  tra due processi ermeneutici
paralleli:  l'uno  relativo  alle  norme che determinano l'oggetto, i
principi  e  i criteri direttivi indicati dalla delega, tenendo conto
del  complesso  di  norme  in  cui  si  collocano  e  delle ragioni e
finalita'  poste  a  fondamento  della  legge di delegazione; l'altro
relativo  alle  norme  introdotte  dal  legislatore  delegato (v., ex
plurimis e tra le piu' recenti, sentenze n. 125 e n. 199 del 2003).
    Cio'  premesso, si rileva anzitutto che le disposizioni impugnate
hanno  un  duplice oggetto. Da un lato, esse contengono la disciplina
del   procedimento   cautelare   in  corso  di  causa,  autonomamente
considerato  (art. 24,  commi 2  e 8); dall'altro regolano i rapporti
tra   il   procedimento   cautelare   ed  il  giudizio  di  merito  e
l'accelerazione  di  questo  ad iniziativa del giudice della cautela,
introducendo cosi' il giudizio abbreviato.
    Tali  disposizioni  sono censurate dal remittente per la parte in
cui     riguardano    siffatto    giudizio,    perche'    introducono
nell'ordinamento  un  nuovo  tipo  di procedimento non previsto nelle
disposizioni  della legge di delega, ma non anche in quanto prevedono
e regolano il procedimento cautelare in corso di causa.
    Compiute   tali   precisazioni,   si   osserva  che  il  giudizio
abbreviato,  cosi'  come  configurato  e  definito dalle disposizioni
censurate, presenta tre caratteristiche fondamentali. Esso presuppone
l'esistenza  di  un'istanza cautelare in pendenza del procedimento di
merito  e  l'accelerazione di questo per iniziativa del giudice della
cautela,  non  avendo nessuna delle parti ancora presentato l'istanza
di  fissazione  dell'udienza;  e'  giudizio  a cognizione piena e non
sommaria;  si  conclude  con  una  sentenza,  provvedimento idoneo ad
acquistare  autorita'  di cosa giudicata. Siffatti rilievi inducono a
condividere  l'opinione  del  remittente,  conforme  a  quella  della
dottrina,  e  a  dissentire dalla relazione governativa, nel senso di
escludere che la delega possa rinvenirsi nella lettera d) del comma 2
dell'art. 12 della legge n. 366 del 2001, disposizione che prevede un
procedimento  a  cognizione  sommaria  destinato  a  concludersi  con
provvedimento  inidoneo a passare in giudicato, istituto poi regolato
dall'art. 19 del decreto delegato.
    Questo  rilievo  tuttavia  non  esaurisce  lo  scrutinio,  che va
condotto,  come  prospetta  lo  stesso remittente, anche in relazione
alla  lettera a)  dello  stesso  comma 2  dell'art. 12  citato.  Tale
disposizione   dev'essere   interpretata   nell'ambito  del  contesto
normativo  in cui s'inserisce e delle finalita' della delega. Come si
e'  detto,  questa  Corte  ha, infatti, affermato che il sindacato di
costituzionalita'   sulla  delega  legislativa  postula,  secondo  la
costante  giurisprudenza  sugli  artt. 76  e  77  Cost.,  un processo
interpretativo  relativo  all'oggetto,  ai  principi  ed  ai  criteri
direttivi  della  delega,  «tenendo conto del complessivo contesto di
norme  in  cui  si  collocano  e  delle  ragioni  e finalita' poste a
fondamento  della legge di delegazione» (sentenze n. 163 e n. 425 del
2000, n. 125 del 2003 e, piu' di recente, n. 280 del 2004).
    Ora,  non v'e' dubbio che la delega abbia la principale finalita'
di  accelerare  i  tempi  della  giustizia  civile mediante norme che
«...siano   dirette   ad  assicurare  una  piu'  rapida  ed  efficace
definizione  di  procedimenti»  in  alcune  materie,  fra le quali il
diritto societario (art. 12, comma 1, alinea e lettera a, della legge
n. 366 del 2001).
    Il  remittente  sostiene  che,  per  il perseguimento dello scopo
indicato, la legge delega non prevedeva la configurazione di un nuovo
tipo  di  procedimento,  dando  cosi'  per accertato cio' che occorre
dimostrare,  e  cioe'  che  le  disposizioni censurate introducono un
nuovo tipo di procedimento.
    A  tale  proposito  e' opportuno premettere che, anche in tema di
questioni   di   legittimita'   costituzionale   concernenti  deleghe
legislative,  deve  essere privilegiata, tra quelle ipotizzabili, una
lettura  delle  norme  conforme  a  Costituzione (sentenza n. 292 del
2000).  Sulla  base  di tali considerazioni, si osserva anzitutto che
l'iniziativa  del  giudice  della  cautela,  consistente  nell'invito
rivolto  alle  parti  a  precisare  le conclusioni e nella rimessione
della  causa  al  collegio,  finalizzata  in via principale alla piu'
rapida  emissione  di  un  provvedimento  sul  merito,  presuppone la
pendenza  del  giudizio  di  merito; in secondo luogo, si rileva che,
qualora   l'opinione   del  giudice  designato  per  il  procedimento
cautelare sia condivisa dal collegio, questo si pronuncia, appunto, a
cognizione   piena,  emettendo  una  sentenza  idonea  ad  acquistare
l'autorita' della cosa giudicata.
    Siffatte  previsioni normative, unitamente al rilievo che in ogni
caso  possono  essere  adottati  provvedimenti  cautelari  idonei  ad
assicurare  gli  effetti  della  decisione  sul merito, consentono di
affermare  che esse non configurano un tipo autonomo di procedimento,
quanto piuttosto una modalita' di svolgimento del giudizio di merito,
diretta  alla  realizzazione  delle  finalita'  della  delega,  senza
trascurare  gli  scopi della cautela, in ottemperanza alla menzionata
prescrizione  del  comma 1  dell'art. 12 della legge n. 366 del 2001,
secondo  cui  le  norme emesse dal Governo in esecuzione della delega
avrebbero  dovuto  assicurare una piu' rapida ed efficace definizione
«di procedimenti».
    A  conforto  di  tale  opinione  si puo' rilevare, anzitutto, che
l'espressione  «giudizio  abbreviato»  ricorre soltanto nella rubrica
dell'articolo oggetto della censura e mai nel suo testo normativo; in
secondo  luogo, che la previsione di un'iniziativa dell'organo presso
il  quale  il  processo  si  trova - fondata sul rilievo che non sono
necessarie  ulteriori  attivita'  per  poter  giungere alla decisione
della  causa  e diretta, quindi, a non procrastinarla - e' tutt'altro
che   nuova   nell'ordinamento   e  si  annovera,  viceversa,  fra  i
tradizionali  poteri del giudice (quello, in particolare, di ritenere
la  causa  matura per la decisione), senza che detta iniziativa possa
essere ritenuta come sostanza di un «tipo» di procedimento. Il fatto,
poi,  che  il giudice possa avviare la causa alla decisione di merito
nell'ambito  di  un procedimento cautelare non e', di per se', indice
di  violazione  della  delega, in quanto l'obiettivo e' sempre quello
della maggiore rapidita' del procedimento, peraltro gia' pendente.
    Le  norme  delegate oggetto delle censure possono essere, quindi,
ritenute  conformi  al  criterio  direttivo  della concentrazione del
procedimento.
    In   considerazione  di  quanto  detto  sull'effettivo  contenuto
normativo  delle  disposizioni  censurate e alla luce degli enunciati
principi  in  tema di scrutinio di costituzionalita' sul procedimento
di  delega  legislativa,  si puo' affermare che, nel caso in esame, i
precetti  di  cui  agli  artt. 76  e  77 Cost non sono stati violati,
ancorche' in via generale sia auspicabile una maggiore specificazione
nella  determinazione  dei  principi e criteri direttivi da parte del
legislatore   delegante   affinche'   non   sia   alterato  l'assetto
costituzionale delle fonti.