IL TRIBUNALE

    Ha  emesso  la  seguente ordinanza ex art. 23 legge 11 marzo 1953
n. 87.
    Il  24  febbraio  2007 Corradino Michele fu tratto in arresto per
violazione   dell'art. 73   d.P.R.  n. 309/1990  perche'  trovato  in
possesso  di  149,607 grammi di sostanza contenente eroina (gr. 32,61
di  principio  attivo).  L'arresto  fu  convalidato e il Corradino fu
sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere.
    Con  atto  depositato il 15 marzo 2007 il p.m. chiese il giudizio
immediato, la richiesta fu accolta dal g.i.p. e l'odierno imputato fu
citato  a  comparire di fronte al Tribunale di Genova in composizione
monocratica per il giudizio immediato.
    Il  16  aprile  2007,  a  mezzo  del  difensore munito di procura
speciale,  Michele  Corradino chiese che il procedimento a suo carico
fosse definito dal g.i.p. nelle forme del giudizio abbreviato.
    Il giudizio abbreviato fu fissato con decreto lo stesso giorno 16
aprile  per l'udienza del 9 maggio, quando si e' svolto alla presenza
dell'imputato, che e' tuttora detenuto per questa e per altra causa.
    Ad avviso di questo giudice, le emergenze degli atti conducono ad
un'affermazione di penale responsabilita' del Corradino, che deteneva
un  quantitativo  non  certo modico di sostanza stupefacente, l'aveva
occultata nella biancheria e, quando fu bloccato a Genova dalla p.g.,
stava scendendo da un taxi proveniente da Milano. La circostanza che,
come  dichiarato  dal  tassista,  Corradino gli avesse versato 260,00
euro  in  contanti per essere condotto da Milano a Genova consente di
escludere  che  la  sostanza  sequestrata  potesse  costituire  (come
l'imputato  ha  sostenuto  nel  corso  dell'udienza di convalida) una
scorta acquistata per uso personale. Ed infatti, quand'anche si fosse
trattato  di  un  acquisto a prezzo particolarmente vantaggioso, ogni
vantaggio economico sarebbe stato annullato dal costo del viaggio, un
costo  che  solo la previsione di consistenti guadagni, consentiva di
affrontare.  La quantita' complessiva della sostanza sequestrata (con
la  quale  avrebbero  potuto  essere confezionate parecchie dosi), ne
conferma la destinazione all'uso di terzi.
    Il   p.m.  ha  contestato  all'imputato  la  recidiva  reiterata,
specifica  ed  infraquinquennale di cui all'art. 99 comma 4 c.p. Tale
circostanza  aggravante soggettiva e' certamente sussistente giacche'
Corradino Michele ha riportato numerosissime condanne per gravi reati
contro  il  patrimonio e contro la persona a partire dal 1997 (quando
ancora  era  minorenne)  e  fino  al  2004  (l'ultima  condanna,  per
violazione dell'art. 385 c.p., risale al 23 settembre 2004).
    Per  determinare  l'entita'  della pena da infliggere a Corradino
Michele  questo  giudice  deve  dunque applicare l'art. 99 c.p., che,
come  noto,  e'  stato  modificato dall'art. 4 della legge 5 dicembre
2005 n. 251 (c.d. ex Cirielli).
    Per  effetto  della  nuova  normativa,  il giudice, pur rimanendo
libero  di  valutare  se operare o meno l'aumento di pena conseguente
alla  recidiva, e' vincolato nel quantum dell'aumento. Trattandosi di
recidiva  reiterata,  specifica  ed  infraquinquennale,  l'aumento e'
determinato  per  legge  nella  misura  fissa di 2/3 della pena base,
salvo  il  limite previsto dall'art. 99 ultimo comma in base al quale
l'aumento  di  pena  conseguente  all'applicazione della recidiva non
puo'  in  nessun caso superare «il cumulo delle pene risultante dalle
condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto».
    Nel  caso  di specie, all'imputato non possono essere concesse le
attenuanti   generiche   giacche'   egli   non   ha  tenuto  un  buon
comportamento  processuale  ed  ha  gia'  riportato numerose condanne
(anche  per  reati  assai  gravi  come  la rapina, l'estorsione ed il
sequestro di persona). Il fatto inoltre non e' di scarsa entita' e si
tratta  dell'ultimo  di una serie di delitti, tutti determinati dalla
condizione  di  tossicodipendenza,  commessi  con abitualita' e senza
soluzione di continuo dal 1986 ad oggi.
    La  quantita'  della  sostanza  detenuta  e  le  modalita'  della
detenzione  escludono  altresi'  l'applicabilita'  della  circostanza
attenuante speciale di cui all'art. 73, comma 5 d.P.R. n. 309/1990.
    Questo  giudice,  dunque,  puo'  solo scegliere se operare o meno
l'aumento  per la recidiva, ma, qualora ritenga di dovervi procedere,
deve  obbligatoriamente  determinarlo nella misura di due terzi della
pena inflitta per il reato.
    Quand'anche  si  ritenesse  di determinare la pena base in misura
pari  al  minimo  edittale  previsto  dall'art. 73,  comma  1, d.P.R.
n. 309/1990  (una  scelta  che,  nel  caso  di  specie,  non  sarebbe
facilmente giustificabile alla luce dei parametri di cui all'art. 133
c.p.),  l'aumento  derivante dall'applicazione della recidiva sarebbe
dunque   necessariamente  di  anni  quattro  di  reclusione  ed  Euro
17.333,33  di multa (l'art. 73 comma 1 del d.P.R. n. 309/1990 prevede
infatti  una  pena  minima  pari  ad  anni  6  di  reclusione ed Euro
26.000,00 di multa).
    Nel  caso  che  ci  occupa, inoltre, poiche' il cumulo delle pene
risultanti  dalle  precedenti  condanne  e'  assai elevato, l'entita'
dell'aumento  non  e'  temperata neppure dalla disposizione contenuta
nell'art. 99 ultimo comma c.p.
    Ad avviso di questo giudice la normativa, la cui applicazione nel
presente  procedimento  produce  gli  effetti sopra esposti, presenta
profili  di  irragionevolezza  e  contraddittorieta' tali da porla in
contrasto  con  i  principi  sanciti  dagli articoli 3, 25 e 27 della
Costituzione.
    Come  noto,  nel  codice  penale vigente la recidiva e' concepita
come una circostanza aggravante inerente la persona del colpevole. Si
tratta  dunque  di  una  circostanza  soggettiva  che non riguarda il
reato,  ma  il  reo,  la  cui  capacita'  a delinquere viene valutata
maggiore  per  il  fatto  che  questi  risulta  aver  gia'  riportato
precedenti condanne.
    Il  legislatore  consente  (o,  in  casi  particolari, impone) al
giudice  di  infliggere  al  recidivo una pena maggiore di quella che
avrebbe  inflitto  a  un  delinquente  primario  perche' ritiene che,
commettendo  un  nuovo  reato,  egli abbia dimostrato una persistente
volonta'  delittuosa e reputa che la ricaduta nel delitto autorizzi a
temere attivita' criminose ulteriori.
    La  recidiva  svolge dunque, da un lato, una funzione retributiva
(chi  abbia gia' riportato condanne puo' essere meritevole di maggior
pena   perche'   la  sua  ricaduta  evidenzia  maggiore  capacita'  a
delinquere);   dall'altro,   una   funzione  preventiva  (poiche'  le
precedenti  condanne  sono  risultate  inefficaci nel dissuaderlo dal
delinquere,  al  condannato puo' essere inflitta una pena piu' grave,
come tale dotata di maggiore efficacia deterrente).
    La  legge  n. 251/2005,  nel  modificare  l'art. 99  c.p., non ha
inciso  sulla  collocazione  sistematica  della  recidiva,  non ne ha
mutato  la  funzione  e  non  ha  neppure eliminato - salvo che per i
delitti   previsti  dall'art. 407,  comma 2,  lett. a)  c.p.p.  -  la
facoltativita' dell'aumento di pena.
    Il  giudice  non  e'  stato  dunque privato della possibilita' di
valutare  se  la ricaduta nel reato sia espressione di insensibilita'
etica ed attitudine a delinquere (e giustifichi percio' una punizione
piu'  severa)  o  se si tratti invece di una ricaduta occasionale che
non  merita  aumento  di  pena (ad esempio perche' la commissione del
nuovo   delitto   e'   stata  determinata  da  motivi  contingenti  o
eccezionali,   ovvero  perche'  si  tratta  di  un  reato  del  tutto
eterogeneo  rispetto  a quelli precedentemente commessi, o ancora per
il lungo intervallo di tempo intercorso con i precedenti reati).
    Tuttavia  quando  (come  nel  caso  dell'odierno imputato) non vi
siano   elementi   che   giustifichino   la   scelta   di   escludere
l'operativita'  della  recidiva,  la  determinazione  del conseguente
aumento  di  pena  non viene piu' demandata alla discrezionalita' del
giudice  e  al suo prudente apprezzamento, ma e' effettuata invece ex
ante  dal  legislatore in una misura fissa che puo' essere modificata
solo  variando la pena base, ma che il giudice non puo' adeguare alla
maggiore o minor rilevanza concreta della circostanza.
    Cio' avviene nella quasi totalita' dei casi ed in particolare:
        nella recidiva semplice (art. 99, comma 1, c.p.) per la quale
e' previsto un aumento della pena base nella misura di un terzo;
        quando  concorrano  piu'  circostanze tra quelle previste dal
comma  2 dell'art. 99 (ad esempio la recidiva sia oltre che specifica
anche infraquinquennale) nel qual caso l'aumento della pena base deve
essere operato in misura pari alla meta' (art. 99, comma 3, c.p.);
        nella  recidiva reiterata (art. 99, comma 4, prima parte) per
la quale e' previsto un aumento pari alla meta' della pena base;
        nella   recidiva   reiterata   che   sia  anche  specifica  o
infraquinquennale  o  riguardi  un  delitto  commesso  durante o dopo
l'esecuzione  della pena ovvero nel tempo in cui il condannato si sia
sottratto volontariamente all'esecuzione della stessa (art. 99, comma
4,  seconda  parte), nel qual caso la pena base deve essere aumentata
in misura pari a due terzi.
    L'unico  caso  in cui il legislatore non ha determinato in misura
fissa  l'entita' dell'aumento che puo' essere operato per la recidiva
e' quello di cui all'art. 99, comma 2, c.p.
    Nei  casi  previsti da questa disposizione (cioe' quando il nuovo
delitto  sia  della  stessa indole di quello oggetto della precedente
condanna,  oppure  quando  il  nuovo  delitto  sia stato commesso nei
cinque  anni  dalla  condanna  precedente,  o  ancora quando il nuovo
delitto  sia  stato  commesso  durante o dopo l'esecuzione della pena
ovvero  durante  il  tempo in cui il condannato si e' volontariamente
sottratto  all'esecuzione  della  stessa)  il  legislatore ha infatti
stabilito che la pena possa essere aumentata «fino alla meta».
    Le  motivazioni  di  questa  scelta sfuggono ad ogni parametro di
ragionevolezza  come  appare evidente se si considera che nei casi di
recidiva «aggravata» previsti dall'art. 99, comma 2, c.p. puo' essere
operato  un  aumento  di  pena  minore  rispetto  a  quello  previsto
dall'art. 99,  comma 1, c.p. nei casi di recidiva semplice. Nel primo
caso,  infatti,  per effetto della recidiva, la pena base puo' essere
aumentata  «fino  alla  meta»; nel secondo caso (che e' certamente di
minor  gravita'  giacche'  si  tratta  di  recidiva  «semplice» e non
«aggravata»)  l'aumento  della pena e' determinato nella misura fissa
«di un terzo» della pena base.
    Secondo   il   legislatore,   dunque,  il  recidivo  specifico  o
infraquinquennale  potrebbe  avere un aumento di pena minore rispetto
al recidivo semplice. Sarebbe possibile infatti applicare al recidivo
aggravato  un aumento di pena anche di un solo giorno di reclusione o
arresto   («fino  alla  meta»),  a  fronte  di  un  aumento  di  pena
necessariamente  pari  ad  un  terzo  della pena base per il recidivo
semplice.
    Per   superare   tale  palese  contraddizione  non  puo'  neppure
sostenersi  in  via interpretativa che nei casi di recidiva aggravata
l'aumento  della  pena  non  possa  essere inferiore ad un terzo (non
possa  cioe'  essere  inferiore  all'aumento previsto per la recidiva
semplice  e  vada  quindi da un terzo fino alla meta). Si tratterebbe
infatti,   da   un  lato,  di  un'interpretazione  in  malam  partem,
dall'altro  di  un'interpretazione  preclusa dall'espressa previsione
del  comma  5 dell'art. 99 in base al quale, soltanto con riferimento
ai  delitti  di cui all'art. 407, comma 2, lett. a) c.p.p., l'aumento
della  pena  per la recidiva aggravata (oltre ad essere obbligatorio)
«non  puo'  essere inferiore ad un terzo della pena da infliggere per
il nuovo delitto».
    E'  tuttavia  l'intero  trattamento sanzionatorio della recidiva,
come  previsto  dal  novellato  testo dell'art. 99 c.p., a presentare
gravi profili di irragionevolezza.
    Esemplificando: quando la persona da condannare ha gia' riportato
una  condanna  per  reato  della stessa indole (si tratta cioe' di un
recidivo  specifico)  l'eventuale aumento della pena conseguente alla
recidiva  puo'  essere  discrezionalmente  determinato dal giudice in
misura variabile da un giorno di reclusione (o un euro di multa) fino
alla  meta'  della  pena base inflitta per il reato. Quando invece la
persona  da  condannare  ha  gia'  riportato, oltre ad una precedente
condanna  per  reato  della stessa indole, anche una o piu' ulteriori
condanne  per  delitti  non  colposi  (si tratta cioe' di un recidivo
reiterato  e  specifico  ex art. 99, comma 4), se pure tali ulteriori
condanne  riguardano episodi non gravi, del tutto eterogenei rispetto
a  quello  per  cui  si  procede  e,  magari,  risalenti  nel  tempo,
l'eventuale aumento della pena base deve essere pari a due terzi (con
l'unico  temperamento  costituito  dal  limite previsto dall'art. 99,
ultimo  comma,  in  base  al quale l'aumento per la recidiva non puo'
comunque  superare  il  cumulo  delle  pene risultante dalle condanne
precedenti).
    Ed  ancora:  chi abbia commesso un delitto non colposo nei cinque
anni  dalla precedente condanna potra' vedersi aumentata la pena base
«fino  alla  meta»  e il giudice potra' determinare l'aumento tenendo
conto   della   gravita'   del  precedente  delitto  e  valutando  la
personalita'   dell'imputato  anche  alla  luce  della  ricaduta  nel
crimine.  Chi  invece, essendo gia' stato condannato due o piu' volte
per  delitti  non colposi commetta, molti anni dopo, un nuovo delitto
non  colposo,  essendo recidivo reiterato, potrebbe vedersi aumentare
la  pena  «della  meta» senza che il giudice abbia la possibilita' di
graduare  tale  aumento  tenendo  conto del tempo trascorso dai fatti
precedenti,  della  gravita'  del  nuovo delitto, della omogeneita' o
eterogeneita'   dello  stesso  rispetto  ai  delitti  precedentemente
commessi.
    Una   tale   differenza   di  trattamento  sanzionatorio  non  e'
giustificabile,   e  non  puo'  essere  superata  per  effetto  della
facoltativita' della circostanza giacche' il giudice puo' decidere di
operare  o  non  operare l'aumento per la recidiva, ma non puo' certo
arbitrariamente  decidere di qualificare come mera recidiva specifica
una  recidiva che, oltre che specifica, sia anche reiterata, ne' puo'
equiparare  il  recidivo  reiterato  ad un recidivo specifico o ad un
recidivo infraquinquennale.
    L'attuale  formulazione  normativa  determina  dunque trattamenti
sanzionatori assai diversificati in relazione a condizioni soggettive
che,  in  concreto, possono non essere dissimili e consente che dalla
recidiva  aggravata  di cui all'art. 99, comma 2, c.p. possa derivare
un  aumento  di  pena  inferiore  rispetto a quello stabilito per una
circostanza  di  minor  gravita'  qual'e' la recidiva semplice di cui
all'art. 99, comma 1, c.p.
    Il vigente testo dell'art. 99 c.p. si pone cosi' in contrasto con
il  principio  di  ragionevolezza  quale  particolare  accezione  del
principio   di   uguaglianza   di   cui  all'art. 3  Cost.  La  Corte
costituzionale, infatti, ha piu' volte affermato che incide sul piano
della  «ragionevolezza  costituzionalmente  rilevante»  ogni  opzione
normativa  che  si  appalesi  in  concreto come un uso distorto della
razionalita'  dando  luogo a disparita' di trattamento irrazionali ed
ingiustificate  (cfr. tra le altre la sent. n. 313 del 1995, la sent.
n. 25  del  1994  la  sent. n. 78 del 2005) e tali sono quelle che, a
mero titolo esemplificativo, sono state sopra indicate.
    Sono  ancora  una volta i principi costituzionali (ed in specie i
principi  contenuti  negli  artt. 25  e  27  )  a  suggerire  la  via
attraverso  la quale l'irragionevole disparita' di trattamento di cui
si e' detto puo' essere eliminata.
    Il  Giudice  delle  leggi, infatti, ha ripetutamente sottolineato
che  «lo strumento piu' idoneo al conseguimento delle finalita' della
pena,  e  piu'  congruo  rispetto  al principio di uguaglianza, e' la
mobilita'  della  pena, cioe' la predeterminazione della medesima tra
un   massimo   e   un   minimo»   e   che   in   linea  di  principio
«l'individualizzazione»   della   pena   in   modo   da  tener  conto
dell'effettiva  entita'  e delle specifiche esigenze dei singoli casi
«si   pone   come   naturale   attuazione  e  sviluppo  dei  principi
costituzionali  tanto  di  ordine generale (principio di uguaglianza)
quanto attinenti direttamente alla materia penale» (Corte cost. sent.
n. 50 del 2 aprile 1980).
    Nella   sentenza   appena   citata  la  Corte  costituzionale  ha
efficacemente  affermato  che  il  principio  di legalita' delle pene
sancito  dall'art. 25  comma secondo della Costituzione «da' forma ad
un   sistema   in  cui  l'attuazione  di  una  riparatrice  giustizia
distributiva  esige la differenziazione piu' che l'uniformita», e che
«l'adeguamento  delle risposte punitive ai casi concreti contribuisce
a  rendere  quanto  piu'  "personale" la responsabilita' penale nella
prospettiva segnata dall'art. 27 primo comma della Costituzione».
    L'attuazione   dei   principi   costituzionali   riguardanti   il
trattamento sanzionatorio conseguente alla commissione di un reato ed
in  particolare  del  principio  di  uguaglianza  di fronte alla pena
implica  dunque  che  questa  sia  proporzionata alle responsabilita'
personali  ed  alle esigenze di risposta che ne conseguono. Cio' pone
un  limite  alla  potesta'  punitiva  statale  che deve articolare il
sistema   sanzionatorio   in   modo   da  consentire  un  adeguamento
individualizzato  e proporzionale delle pene inflitte con le sentenze
di  condanna.  Come  sottolineato  dalla  stessa Corte costituzionale
nella  sentenza  n. 50/1980  «appropriati  ambiti  e  criteri  per la
discrezionalita'  del  giudice» costituiscono lo strumento attraverso
il quale tale esigenza viene normalmente realizzata sicche', in linea
di principio, previsioni sanzionatorie rigide non appaiono in armonia
con il «volto costituzionale» del sistema penale.
    Ponendosi  in  questa  prospettiva  appare evidente che, anche in
materia  di  circostanze  aggravanti,  nel caso in cui il legislatore
ingiustificatamente  differenzi  situazioni  analoghe  prevedendo per
alcune  circostanze  aumenti  di  pena  rigidi  e per altre, anche di
maggior  gravita',  aumenti  di  pena  graduabili, il contrasto debba
risolversi  in  favore  della  seconda opzione che meglio consente un
adeguamento  individualizzato e proporzionale delle pene inflitte con
la  sentenza di condanna e, conseguentemente, meglio si armonizza con
i principi sanciti dagli artt. 25 e 27 della Costituzione.
    Il vigente testo dell'art. 99 c.p. (del quale questo giudice deve
fare  applicazione  al  fine  di  determinare  la  pena da infliggere
all'imputato)  appare dunque in contrasto con gli articoli 3, 25 e 27
della  Costituzione  nella  parte  in cui non prevede che, in tutti i
casi di recidiva, la pena possa essere aumentata non «della» ma «fino
alla» misura di volta in volta indicata dal legislatore.