Sentenza
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 37, comma 1, del
decreto  legislativo  28  agosto  2000,  n. 274  (Disposizioni  sulla
competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della
legge  24  novembre  1999,  n. 468), promossi con due ordinanze del 5
aprile 2006 dal Tribunale di Teramo, nei procedimenti penali a carico
di  A.  C.,  iscritte  ai nn. 420 e 422 del registro ordinanze 2006 e
pubblicate  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, 1ª serie
speciale, dell'anno 2006;
   Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di consiglio del 19 novembre 2008 il giudice
relatore Giuseppe Tesauro.
                          Ritenuto in fatto
   1. - Il Tribunale di Teramo, con due ordinanze di identico tenore,
emesse  il  5 aprile 2006 nell'ambito di distinti procedimenti penali
pendenti  a  carico  del  medesimo imputato per reati di ingiuria, ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e 76 della Costituzione,
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 37, comma 1, del
decreto  legislativo  28  agosto  2000,  n. 274  (Disposizioni  sulla
competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della
legge  24  novembre  1999, n. 468), nella parte in cui stabilisce che
l'imputato  «puo'  proporre  appello  anche  contro  le  sentenze che
applicano  la  pena  pecuniaria  se  impugna  il  capo  relativo alla
condanna, anche generica, al risarcimento del danno».
   1.1.  -  Il  giudice  a  quo  riferisce  di aver ricevuto gli atti
relativi  ai detti procedimenti dalla Corte di cassazione, la quale -
investita,  ai  sensi  dell'art.  37,  comma 1, del d.lgs. n. 274 del
2000, dei ricorsi proposti dall'imputato avverso due sentenze con cui
il  Giudice  di  pace  di  Teramo  lo  aveva  condannato  ad una pena
pecuniaria  ed al risarcimento del danno in favore della parte civile
- ha qualificato entrambi i gravami come appelli, pure in mancanza di
ogni  contestazione in ordine ai capi riguardanti l'azione civile, in
virtu'  dell'effetto  estensivo  dell'impugnazione contro la condanna
penale  previsto  dall'art.  574,  comma  4,  del codice di procedura
penale.
   Il  rimettente,  competente  per  i  giudizi d'appello, si ritiene
vincolato  dalle  pronunce  della  Corte  di  cassazione e, tuttavia,
dubita  della  legittimita' costituzionale della norma che conferisce
all'imputato  il  potere di appellare le sentenze del giudice di pace
che  applicano  la  pena pecuniaria, anche se solo in presenza di una
pronuncia sul danno.
   A  suo  parere, infatti, l'art. 37, comma 1, del d.lgs. n. 274 del
2000  violerebbe  innanzitutto l'art. 76 Cost., in relazione all'art.
17,  comma  1,  lettera  n),  della  legge  24  novembre 1999, n. 468
(Modifiche  alla  legge 21 novembre 1991, n. 374, recante istituzione
del  giudice  di  pace.  Delega  al  Governo in materia di competenza
penale  del  giudice  di  pace e modifica dell'art. 593 del codice di
procedura penale), in quanto la delega contenuta in tale ultima norma
espressamente  sottrae  le  sentenze  «che  applicano  la  sola  pena
pecuniaria»  alla  previsione della appellabilita' delle sentenze del
giudice di pace.
   A proposito della delega legislativa, il giudice a quo richiama la
giurisprudenza  della Corte costituzionale sulla possibilita', per il
legislatore  delegato, di emanare norme che rappresentino un coerente
sviluppo  delle  scelte  espresse  dal  legislatore delegante e sulla
necessita' di tenere conto, ai fini del giudizio di conformita' della
norma  delegata  alla  norma  delegante,  delle  finalita'  sottese a
quest'ultima   (vengono   citate   la  sentenza  n. 308  del  2002  e
l'ordinanza n. 228 del 2005).
   Nella specie, la scelta del legislatore delegato per l'ampliamento
del  regime  di  appellabilita'  delle  sentenze del giudice di pace,
siccome  operata con riguardo all'evenienza di una qualsiasi condanna
al  risarcimento del danno, anche generica o «per quantificazioni del
tutto  irrisorie  o  comunque  modeste»,  non sarebbe sorretta da una
valida  ragione e, dunque, non risulterebbe coerente con le finalita'
di  massima  semplificazione  e  deflattive  perseguite dalla delega,
quali  desumibili  dai  lavori preparatori relativi alla legge n. 468
del 1999.
   La  censurata disciplina, invero, avrebbe «travalicato gli intenti
che l'hanno ispirata», riconducibili, secondo quanto il giudice a quo
evince  dall'esame  della  relazione allo schema di decreto delegato,
alla preoccupazione «di possibili liquidazioni del danno da parte del
giudice  di  pace  oltre  i propri limiti di competenza per valore in
sede civile».
   Inoltre,  l'art.  37,  comma  1,  del  d.  lgs.  n. 274  del  2000
contrasterebbe  con  l'art.  3  Cost., determinando un'ingiustificata
disparita'   di   trattamento   «rispetto  alle  condanne  alla  pena
dell'ammenda irrogate dal giudice ordinario e non appellabili ex art.
593,  comma  3,  cod.  proc.  pen.  anche in presenza di una condanna
risarcitoria di qualunque natura ed entita'».
   La  questione  di  costituzionalita' sarebbe rilevante, in quanto,
ove  accolta,  ciascuno  dei ricorsi proposti dall'imputato «dovrebbe
essere nuovamente trasmesso alla Corte di cassazione».
   2.  -  In  entrambi  i  giudizi  e'  intervenuto il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  chiedendo  che  la  questione sia dichiarata
infondata.
   A  parere della difesa erariale, il denunciato vizio di eccesso di
delega  andrebbe  escluso  alla  luce  delle argomentazioni enunciate
nella relazione al d.lgs. n. 274 del 2000, per le quali «lo specifico
criterio  di  delega,  che  fa riferimento alla non appellabilita' da
parte  dell'imputato  delle  sentenze  che  applicano  la  sola  pena
pecuniaria,  puo'  ben  essere  letto  nel  senso  di  sottrarre alla
garanzia del secondo grado di merito le pronunce che rechino condanna
alla  sola  pena  pecuniaria,  e  non  anche  quelle  nelle quali sia
statuita   una   ulteriore  condanna  (sia  pur  relativa  all'azione
civile)».
                       Considerato in diritto
   1.  -  Il  Tribunale di Teramo, con due distinte ordinanze, dubita
della  legittimita' costituzionale dell'art. 37, comma 1, del decreto
legislativo  28  agosto  2000,  n. 274 (Disposizioni sulla competenza
penale  del  giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24
novembre  1999,  n. 468),  nella  parte in cui prevede che l'imputato
«puo' proporre appello anche contro le sentenze che applicano la pena
pecuniaria se impugna il capo relativo alla condanna, anche generica,
al risarcimento del danno».
   Ad avviso del giudice a quo, la disposizione censurata non sarebbe
conforme  all'art.  76 della Costituzione, poiche' avrebbe violato il
criterio di delega contenuto nell'art. 17, comma 1, lettera n), della
legge  24  novembre  1999,  n. 468  (Modifiche alla legge 21 novembre
1991,  n. 374,  recante  istituzione  del  giudice di pace. Delega al
Governo  in  materia  di  competenza  penale  del  giudice  di pace e
modifica  dell'art.  593  del  codice  di procedura penale), il quale
prevede  l'inappellabilita'  delle  sentenze  del giudice di pace che
applicano la sola pena pecuniaria.
   Essa,   inoltre,   sarebbe   in   contrasto  con  l'art.  3  della
Costituzione,  poiche'  avrebbe  ingiustificatamente differenziato il
regime  di  impugnazione  delle  sentenze  del  giudice  di  pace che
applicano  la  pena  pecuniaria rispetto a quello stabilito dall'art.
593,  comma  3,  del  codice  di  procedura penale per le sentenze di
condanna  alla  sola  pena  dell'ammenda  pronunciate  dal tribunale,
comunque inappellabili.
   2. - I giudizi, avendo ad oggetto la medesima norma, denunciata in
riferimento  agli  stessi  parametri  e con argomentazioni identiche,
vanno riuniti per essere definiti con unica pronuncia.
   3. - La questione non e' fondata.
   3.1.  -  Quanto alla censura mossa in relazione all'art. 76 Cost.,
va rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la delega
legislativa   non   esclude  ogni  discrezionalita'  del  legislatore
delegato (sentenza n. 98 del 2008; ordinanze n. 213 del 2005 e n. 490
del 2000).
   Infatti,  la  determinazione  dei principi e criteri direttivi non
osta  all'emanazione  di norme che rappresentino un coerente sviluppo
e,  se  del  caso,  anche  un completamento delle scelte espresse dal
legislatore   delegante,   essendo   escluso   che  le  funzioni  del
legislatore delegato siano limitate ad una mera scansione linguistica
delle  previsioni  contenute  nella  delega.  Ai fini del giudizio di
conformita' della norma delegata alla norma delegante, detti principi
e  criteri  direttivi  devono  essere  interpretati sia tenendo conto
delle  finalita'  ispiratrici  della  delega,  sia  verificando,  nel
silenzio  del  legislatore  delegante  sullo  specifico  tema, che le
scelte  operate  dal  legislatore delegato non siano in contrasto con
gli  indirizzi generali della stessa legge delega (sentenze n. 98 del
2008, n. 341 del 2007, n. 174 del 2005, n. 308 del 2002).
   In  tale  prospettiva  deve essere considerato l'art. 17, comma 1,
della   legge   n. 468  del  1999,  che  ha  delegato  il  Governo  a
disciplinare  il procedimento penale davanti al giudice di pace, «con
le  massime  semplificazioni  rese  necessarie dalla competenza dello
stesso  giudice»,  prevedendo,  in  particolare,  alla lettera n), la
«appellabilita'  delle  sentenze  emesse  dal  giudice  di  pace,  ad
eccezione di quelle che applicano la sola pena pecuniaria e di quelle
di   proscioglimento  relative  a  reati  puniti  con  la  sola  pena
pecuniaria».
   Dall'esame  del  testo  della  norma  emerge  che  il  legislatore
delegante  ha  inteso attribuire una portata generale alla previsione
dell'appellabilita'  delle sentenze del giudice di pace, configurando
come eccezioni, dunque di stretta interpretazione, le ipotesi di loro
inappellabilita'.
   In un simile contesto, l'espressione «quelle che applicano la sola
pena  pecuniaria»,  utilizzata  dal  legislatore  delegante  ai  fini
dell'individuazione  di  una  delle  tassative ipotesi sottratte alla
regola della proponibilita' dell'appello, e' riferibile alle sentenze
che rechino esclusivamente condanna alla pena pecuniaria, e non anche
alle  sentenze  in  cui  a  questa  condanna  si accompagni quella al
risarcimento del danno.
   Una  tale  opzione  ermeneutica e' coerente con la ratio dell'art.
17,  comma  1,  lettera  n),  della  legge  n. 468  del  1999, la cui
formulazione    denuncia   il   contemperamento   di   due   esigenze
contrapposte:  quella  di  garantire  comunque  un  secondo  grado di
giudizio  avverso  le  sentenze  del  giudice  di  pace  e  quella di
soddisfare,  mediante  limitazioni  oggettive  del diritto di appello
delle  parti,  il  canone della semplificazione dell'iter processuale
che,  in  base  ai lavori preparatori, si riverbera «anche sul regime
delle impugnazioni, sotto pena di trasferire sui tribunali competenti
per  l'appello una massa di reati sanzionati con pene di modestissima
entita'»   (Atti   Senato,   XIII  legislatura,  stampati  n. 3160  e
n. 1247-ter A).
   Anche  la  disposizione  denunciata  si  muove in questa logica di
bilanciamento  tra  esigenze  opposte,  poiche', come si evince dalla
relazione ministeriale al decreto legislativo, essa ha tratto origine
dalla preoccupazione, espressa dalla Commissione giustizia del Senato
in  sede  di parere allo schema di decreto e recepita dal legislatore
delegato,  in  ordine  al  grado  di afflittivita' delle pronunce sul
danno,    possibili   «per   somme   anche   notevolmente   superiori
all'ordinario  limite  di  competenza  per valore del giudice di pace
civile».
   D'altra parte, l'individuazione della condanna al risarcimento del
danno  quale  elemento discriminante del regime di impugnazione delle
sentenze  in  questione  e'  coerente con il complessivo impianto del
rito  penale del giudice di pace delineato dalla legge di delegazione
e, in sua attuazione, dal decreto delegato, nel quale e' previsto che
le  condotte  riparatorie  post delictum determinino l'estinzione del
reato  (art.  17,  comma  1, lettera h), della legge n. 468 del 1999;
art.  35  del  d.lgs.  n. 274  del 2000), ove «idonee a soddisfare le
esigenze  di  riprovazione  […] e di prevenzione», assolvendo,
per certi versi, ad una funzione sostitutiva della pena.
   La  scelta  operata  dal legislatore delegato, dunque, non solo e'
consentita  dalla  formulazione  letterale  del  principio  direttivo
recato  dall'art.  17,  comma  1,  lettera n), della legge n. 468 del
1999,  ma  risulta altresi' rispettosa degli indirizzi generali della
delega in materia di procedimento penale davanti al giudice di pace.
   3.2.  - Neppure e' ravvisabile la dedotta violazione del principio
di  eguaglianza,  per  il diverso trattamento che sarebbe riservato a
fattispecie   identiche   o  similari,  avuto  riguardo  alla  regola
dell'inappellabilita'  sancita  dall'art.  593,  comma  3, cod. proc.
pen.,  come sostituito dall'art. 13 della legge 26 marzo 2001, n. 128
(Interventi  legislativi  in  materia  di  tutela della sicurezza dei
cittadini),  per  le  sentenze  di  condanna  alla  pena dell'ammenda
pronunciate dal tribunale.
   Invero,   il  procedimento  penale  davanti  al  giudice  di  pace
configura  un modello di giustizia non comparabile con quello davanti
al  tribunale,  in  ragione dei caratteri peculiari che esso presenta
(ordinanze n. 28 del 2007, n. 415 e n. 228 del 2005). In particolare,
il d.lgs. n. 274 del 2000 devolve alla competenza del giudice di pace
reati espressivi di conflitti a carattere interpersonale, rispetto ai
quali,  come  gia'  rilevato,  in  correlazione  con  la fondamentale
finalita'  conciliativa,  e'  contemplata  l'estinzione conseguente a
condotte   riparatorie   ed   e'   definito   un   autonomo  apparato
sanzionatorio, in cui la previsione edittale concerne invariabilmente
la   pena  pecuniaria,  in  alternativa  alla  quale  possono  essere
discrezionalmente  irrogate,  in  taluni  casi,  pene «paradetentive»
(sentenza n. 2 del 2008).
   A   tali   peculiarita'   corrisponde  non  irragionevolmente  una
asimmetria nel regime di impugnazione delle sentenze, asimmetria che,
d'altra parte, permarrebbe in caso di accoglimento della questione di
costituzionalita',  dato  che  l'intervento  caducatorio invocato dal
rimettente determinerebbe l'esclusione del secondo giudizio di merito
per  tutte  le  sentenze  del  giudice  di pace che applicano la pena
pecuniaria,  e  non  solo  per  le  sentenze  che  applicano  la pena
dell'ammenda, laddove l'inappellabilita' sancita dall'art. 593, comma
3, cod. proc. pen. riguarda unicamente queste ultime.