LA CORTE DI CASSAZIONE
   Ha   pronunciato   la   seguente  ordinanza  sul  ricorso  proposto
 dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni  sul
 lavoro   -   I.N.A.I.L.,   in   persona   del  legale  rappresentante
 pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via IV Novembre, 144,
 presso  la  sede dell'istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati
 L. Mancini, A. Catania e G. De  Ferra'  giusta  proc.  spec.  per  31
 agosto  1989  dott. Manlio Lucci coadiut. temp. notaio Carlo Federico
 Tuccari di Roma del 31 agosto 1989, rep. n. 13768, ricorrente, contro
 Tempesti  Renzo,  intimato,  per  l'annullamento  della  sentenza del
 tribunale di Firenze del  3  ottobre  1988-8  ottobre  1988  r.g.  n.
 129/87;
    Udita  la  relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
 12 ottobre 1990 dal cons. dott. Miani Canevari;
    Udito l'avv. De Ferra';
    Udito  il  pubblico  ministero  nella persona del sost. proc. gen.
 dott. Antonio Martone che ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
                           RITENUTO IN FATTO
    con  sentenza  del  5-21  febbraio  1987  il  pretore  di  Firenze
 condannava  l'I.N.A.I.L.  a  corrispondere  a   Tempesti   Renzo   le
 prestazioni  di legge per malattia professionale (epatopatia cronica)
 nella misura del  20%,  con  gli  interessi  legali  e  rivalutazione
 monetaria sulla base degli indici Istat.
    Su  appello  proposto  dall'I.N.A.I.L. il tribunale di Firenze con
 sentenza dell'8  ottobre  1988  confermava  la  decisione  impugnata,
 affermando, quanto alla statuizione di condanna agli interessi e alla
 rivalutazione,  che  dopo  la  sentenza  n.  408/1988   della   Corte
 costituzionale    erano    venute    meno   le   ragioni   preclusive
 dell'automatica   rivalutazione   dei   crediti    per    prestazioni
 previdenziali,  ai  quali  doveva  quindi  applicarsi  la  disciplina
 dell'art. 429, terzo comma, del cod. proc. civ.
    L'I.N.A.I.L.  ha  proposto ricorso per cassazione deducendo i vizi
 di violazione e falsa applicazione di detta norma, in relazione  agli
 artt.  442  del cod. proc. civ. e 150 delle disp. att. del cod. proc.
 civ., 12 e 14 delle disp. prel. del cod. civ., 1224  del  cod.  civ.,
 nonche'  di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa
 un punto decisivo della controversia.
                           OSSERVA IN DIRITTO
    1.  -  L'istituto  ricorrente censura la sentenza impugnata che ha
 ritenuto il credito previdenziale fatto valere nella specie  relativo
 a  prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e
 le malattie professionali - assoggettato  alla  disciplina  dell'art.
 429,  terzo  comma,  del  cod.  proc. civ. anziche' al diverso regime
 dell'art. 1224, secondo comma, del cod. civ.
    In   relazione   a   tale   doglianza,   appare  rilevante  e  non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 dell'art.  442  del  cod.  proc.  civ., nei sensi e nei limiti di cui
 appresso.
    Secondo  l'orientamento giurisprudenziale consolidato, riaffermato
 recentemente anche dalle sezioni unite di questa Corte  (sentenza  n.
 5299  del  1›  dicembre 1989), ai crediti di natura previdenziale non
 sono estensibili  le  disposizioni  di  diritto  sostanziale  dettate
 dall'art.  429,  terzo  comma,  del  cod. proc. civ. per i crediti di
 lavoro - sia per quanto riguarda la  rivalutazione  automatica  della
 somma  dovuta,  sia  per  quanto  riguarda  gli interessi legali - in
 quanto  tale  norma  sostanziale  non  puo'  ritenersi  compresa  nel
 richiamo  dell'art.  442  del cod. proc. civ., limitato alle norme di
 natura processuale relative alle controversie individuali di  lavoro;
 per  detti  crediti,  il  danno da svalutazione monetaria e' regolato
 dalla disciplina dell'art. 1224, secondo comma, del cod. civ.
    La questione di cui sopra e' dunque rilevante per il suo carattere
 di pregiudizialita' nel presente giudizio, in cui l'applicazione  dei
 suddetti  principi  del  diritto  vivente comporterebbe la cassazione
 della sentenza impugnata.
    2.  -  Nel  merito,  la  questione  si presenta non manifestamente
 infondata, con riferimento  innanzitutto  all'art.  3,  primo  comma,
 della  Cost.,  che  non puo' non sembrare violato da una normativa la
 quale isola dagli  altri  crediti  pecuniari  (soggetti  al  generale
 principio  nominalistico)  i  crediti di lavoro, attribuendo loro una
 particolare protezione - in deroga al  diritto  comune  -  contro  il
 fenomeno   della   svalutazione  monetaria  verificatasi  nelle  more
 dell'adempimento, ma escludendo da tale tutela situazioni  soggettive
 non  dissimili,  insorgenti nelle ipotesi in cui le somme spettanti a
 titolo di prestazione previdenziale sono per loro natura  normalmente
 destinate  alle  comuni esigenze di vita (ed in quanto tali sensibili
 al  danno  conseguente  alla  svalutazione  monetaria).  All'uopo  va
 precisato quanto segue.
    3.1. - Con sentenza 7 aprile 1988, n. 408, la Corte costituzionale
 ha ritenuto infondata la questione di legittimita' costituzionale del
 combinato disposto degli artt. 1224 del cod. civ. e 429, terzo comma,
 del  cod.  proc.  civ.,  sollevata  sotto  il  profilo  del   diverso
 trattamento  assicurato  da  queste  norme  ai crediti di lavoro e ai
 crediti previdenziali in punto di onere  della  prova  del  danno  da
 svalutazione   monetaria,  rilevando  che  secondo  l'interpretazione
 giurisprudenziale piu' recente, assunta  come  "diritto  vivente"  la
 norma  generale  dell'art.  1224  del cod. civ. garantisce al modesto
 creditore previdenziale una tutela per tale  aspetto  assimilabile  a
 quella  che  il  jus  singulare  dell'art.  429  del  cod. proc. civ.
 assicura al credito di lavoro.
    E'  stato  cosi'  peraltro  riconosciuto  in modo esplicito che la
 prospettata   disparita'   di    trattamento,    se    effettivamente
 riscontrabile,   difficilmente  potrebbe  risultare  giustificata  in
 relazione agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dato che - nonostante
 le diversita' fra le due categorie di crediti, che la stessa sentenza
 ricorda - le esigenze di difeza del potere di acquisto  del  "modesto
 creditore  previdenziale"  che deve utilizzare le somme spettanti per
 soddisfare le comuni necessita' di vita, sono le stesse cui si  fonda
 la  ratio  della  tutela  posta  dall'art. 429, terzo comma, del cod.
 proc. civ. per il titolare di crediti di lavoro.
    3.2.  -  Questa  Corte  con ordinanza n. 74 del 7 febbraio 1990 ha
 sollevato la questione di costituzionalita' della normativa in  esame
 sotto  il  diverso  profilo della disparita' di trattamento delle due
 categorie di creditori per quanto attiene alla quantificazione  della
 prestazione  dovuta  per  il risarcimento del danno determinato dalla
 svalutazione  monetaria.  E'  stato  infatti  riaffermato,  superando
 precedenti  contrasti,  l'indirizzo  consolidato della giurisprudenza
 (v. Cass. sez. un. n. 5299/1989 cit.)  che  esclude  per  il  ritardo
 nell'adempimento   dei   crediti   previdenziali   la   cumulabilita'
 dell'importo spettante ex art. 1224, secondo comma, del cod. civ. per
 il   risarcimento   del   maggior  danno  da  svalutazione  monetaria
 (liquidato in base agli indici istat  di  variazione  dei  prezzi  al
 consumo)  con  gli interessi moratori dovuti ai sensi del primo comma
 dello stesso articolo, i quali, se  gia'  attribuiti  o  corrisposti,
 devono  essere  detratti  dal  risarcimento  cosi'  quantificato.  la
 classificazione del creditore tra  i  "modesti  consumatori"  ha  del
 resto  una  rilevanza esclusivamente probatoria, dal momento che tale
 categoria non si differenzia dalle altre  per  una  diversita'  della
 disciplina giuridica dell'inadempimento.
    La   tutela   fornita   dall'ordinamento   per  queste  situazioni
 soggettive risulta allora sensibilmente meno  vantaggiosa  di  quella
 attribuita dalla norma singolare per i crediti di lavoro, posto che -
 come e' stato notato - con un tasso  di  inflazione  intorno  al  5%,
 colui  che presumibilmente impiega il denaro per la soddisfazione dei
 bisogni familiari  e  personali,  consumando  cosi'  il  suo  reddito
 previdenziale   senza   risparmio   possibile  in  investimenti  (non
 diversamente da chi trae dal lavoro i  suoi  mezzi  di  sussistenza),
 nulla  potrebbe  pretendere oltre l'importo degli interessi legali, a
 meno che non fornisca una problematica prova di  un  diverso  impiego
 del denaro. Eppure il modesto creditore previdenziale si trova in una
 condizione sostanzialmente identica a quella del titolare di  crediti
 di  lavoro  per  quanto  riguarda  l'esigenza di tutela del potere di
 acquisto  restando   cio'   nondimeno   escluso   dalla   particolare
 salvaguardia  apprestata  dalla  norma  sostanziale dell'art. 429 del
 cod. proc.  civ.  attraverso  un  sistema  in  cui,  non  solo  viene
 commisurata  ai nuovi valori della moneta l'entita' della prestazione
 dovuta, ma con l'attribuzione degli  interessi  viene  compensato  il
 pregiudizio subito per la mancata disponibilita' fin dal giorno della
 maturazione del diritto della somma espressa in tali valori.
    Un ulteriore aspetto di illegittimita' costituzionale si prospetta
 con riferimento al principio di cui all'art. 38, secondo comma, della
 Costituzione,  in  quanto  il  mancato  riconoscimento della suddetta
 forma di tutela incide sulla garanzia del  trattamento  previdenziale
 fissato  dal  legislatore  al  livello  ritenuto idoneo ad assicurare
 all'interessato mezzi adeguati di vita.
    4.   -   Con  ordinanza  n.  350  del  20  luglio  1990  la  Corte
 costituzioale ha pero' ritenuto inammissibile la questione  sollevata
 da  questa  Corte  con il provvedimento sopra citato, rilevando da un
 lato che l'inapplicabilita' ai crediti previdenziali di  un  criterio
 di  rivalutazione  automatica analogo a quello previsto per i crediti
 di lavoro dipendente dalla disposizione dell'art. 442 del cod.  proc.
 civ.;  dall'altro,  che  il  dispositivo dell'ordinanza di rimessione
 propone una indiscrimata estensione dell'art. 429 del cod. proc. civ.
 a  tutti  i  crediti  previdenziali,  mentre  la  motivazione ha come
 termine costante di riferimento  la  figura  del  "modesto  creditore
 previdenziale".
    Tenuto  conto  di  tali rilievi, la questione deve essere pertanto
 proposta relativamente all'art. 442 del cod. proc. civ., nella  parte
 in  cui,  non  includendo  nel  rinvio da esso operato anche la norma
 dell'art. 429, terzo comma, del cod. proc. civ., non assicura - nelle
 ipotesi   in   cui  le  somme  per  prestazioni  previdenziali  siano
 destinande essenzialmente  alle  comuni  esigenze  di  vita  -  oltre
 l'adeguamento  dell'entita'  della  prestazione  alle  variazioni del
 valore della moneta anche un ristoro del pregiudizio  subito  per  la
 mancata  disponibilita'  della  somma  dovuta  fin  dal  giorno della
 maturazione del diritto.