IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1531/89 proposto da Elisa Forte rappresentata e difesa dall'avv. B. Santamaria ed elettivamente domiciliata presso la segreteria del t.a.r. in Milano, via del Conservatorio, 13, contro il provveditore agli studi di Milano, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall'avvocatura distrettuale dello Stato ed elettivamente domiciliato presso la stessa in Milano, via Freguglia, 1, per l'annullamento del diniego di proroga di trattenimento in servizio ex art. 15, del d.P.R. n. 477/1973; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione intimata; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese; Visti gli atti tutti della causa; Udito, alla pubblica udienza del 28 giugno 1990 il relatore dott. Claudio Rovis; Uditi, altresi', l'avv. Santamaria per la ricorrente e l'avv. dello Stato Greco per la resistente amministrazione; Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue; F A T T O L'odierna ricorrente, insegnante di ruolo di scuola materna, era, alla data del 1 ottobre 1974, in servizio quale supplente temporaneo presso la scuola materna statale di Limbiate. Dovendo esser collocata a riposo per raggiunti i limiti d'eta' e non avendo, l'interessata, conseguito il diritto alla pensione (per non aver maturato l'anzianita' minima richiesta), proponeva istanza di proroga ai sensi dell'art. 15 della legge n. 477/1973. L'amministrazione, pero', respingeva tale domanda sull'assunto che la ricorrente, alla data del 1 ottobre 1974, non prestava servizio con incarico a tempo indeterminato, contestualmente richiamando la decisione 21 maggio 1988, n. 1772, della Corte dei conti. Veniva conseguentemente invitata a presentare con urgenza la documentazione ai fini del suo collocamento a riposo. Tale decisione veniva impugnata dall'interessata, la quale citando la sentenza 25 gennaio 1988, n. 3, del C.G.A. ed il parere 27 luglio 1988, n. 778, della seconda sezione, del C.d.S., rappresentava un intervento giurisprudenziale teso - a sua detta - a valutare qualsiasi tipo di servizio in atto al 1 ottobre 1974, ai fini del conseguimento del beneficio previsto dall'art. 15 della legge n. 477/73. Replicava l'amministrazione, costituitasi in giudizio, che la citata norma non era applicabile al personale in servizio a tempo determinato (alla data del 1 ottobre 1974), ma soltanto a quello in servizio di ruolo o, comunque, non di ruolo a tempo indeterminato: soltanto nei confronti di tali ultime categorie, infatti veniva costituita una posizione assicurativo-previdenziale presso il Ministero del tesoro, mentre il personale precario a tempo determinato era assoggettato ad iscrizione presso l'I.N.P.S. Conseguentemente, poiche' l'art. 15, della legge n. 477/1973 era preordinato a salvaguardare la aspettative del personale scolastico che - destinato ad essere collocato a riposo al compimento del settantesimo anno, in base alla pregressa normativa - altrimenti avrebbe visto pregiudicato il diritto alla pensione (per effetto dell'abbassamento del limite di eta' pensionabile), tale norma non poteva riguardare il personale che, non avendo in corso di maturazione il diritto a pensione, non era interessato dalla novazione normativa. Cosi' precisate le rispettive posizioni, la causa passava in decisione all'udienza del 28 giugno 1990. D I R I T T O L'art. 15 della legge 30 luglio 1973, n. 477, dispone il collocamento a riposo per sopraggiunti limiti d'eta' del personale docente con decorrenza dal 1 ottobre successivo alla data del compimento dei sessantacinque anni di eta', decorrenza anticipata successivamente al 10 settembre all'art. 13 della legge 4 agosto 1977, n. 517. Tuttavia, per il personale in servizio al 1 ottobre 1974, e che per effetto della suddetta disposizione avrebbe dovuto essere collocato a riposo per raggiunti limiti di eta' senza aver raggiunto il numero di anni di servizio richiesti per il massimo della pensione, ovvero per lo stesso conseguimento della pensione, i successivi secondo e terzo comma del medesimo art. 15 consentono, in via transitoria, di rimanere in servizio a richiesta fino al raggiungimento del limite massimo della pensione, e comunque non oltre il compimento dei settanta anni: in caso di mancato conseguimento del diritto alla pensione minima il servizio e' invece prorogato, a domanda, fino al settantesimo anno di eta'. Nel caso di specie la ricorrente non era "in servizio" alla data del 1 ottobre 1974, non potendosi considerare tale il servizio precario, a tempo determinato, svolto all'epoca dall'interessata (passata in ruolo soltanto nell'a.s. 1984-85); il secondo comma del citato art. 15, infatti, consente espressamente la proroga al solo personale ". . . in servizio al 1 ottobre 1974 che. . . debba essere collocato a riposo" per aver raggiunto il (ridotto) limite d'eta'. E cioe' al personale scolastico titolare di un rapporto d'impiego a tempo indeterminato, in quanto solo in tal caso sussiste per l'amministrazione l'obbligo di "collocare a riposo" il dipendente. Nell'ipotesi di sussistenza di un rapporto di servizio a tempo determinato, infatti, il rapporto stesso si esaurisce automaticamente alla scadenza del termine prefisssato, senza necessita' di ulteriori adempimenti da ambo le parti. Il dettato legislativo, dunque, si indirizza - nella sua chiara formulazione - nei confronti di coloro che alla data del 1 ottobre 1974 erano legati all'amministrazione della p.i. da un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sia esso di ruolo o precario. Inconferenti, a tal proposito, appaiono i richiami della ricorrente alla sentenza n. 3/88 del C.G.A. ed al parere n. 778/88 del C.d.S. (II sez.). Essi, infatti, lungi dal sottintendere il diritto alla proroga anche nei confronti del personale collegato con l'amministrazione attraverso un rapporto a termine, hanno affermato che - individuata la ratio della norma nell'esigenza di consentire al personale in servizio a tempo indeterminato alla data del 1 ottobre 1974 di permanere fino al raggiungimento del massimo della pensione - la proroga in servizio non puo' essere consentita ogni qual volta l'interessato, a seguito della congiunzione dei vari servizi anche precedentemente svolti, utili ai fini pensionistici, venga a percepire il massimo della pensione. In altre parole, i citati precedenti affermano che, posto che l'art. 15 della legge n. 477/1973 facoltizza il trattenimento in servizio oltre il compimento del sessantacinquesimo anno d'eta' al fine di consentire il conseguimento del massimo della pensione, il beneficio non puo' essere riconosciuto - in quanto contrasterebbe con la ratio della norma - a colui che al momento del raggiungimento del limite d'eta' abbia gia' maturato il diritto al massimo della pensione in virtu' di servizi pensionabili prestati precedentemente al 1 ottobre 1974 e congiunti a quello principale. Onde il ricorso, per le suesposte considerazioni dovrebbe rigettarsi per carenza del requisito legale della sussistenza di un rapporto di servizio continuativo in essere alla data del 1 ottobre 1974. Tuttavia, prima di adottare una pronuncia in tal senso, il collegio ritiene necessario di dover verificare la conformita' ai precetti costituzionali dell'art. 15, terzo comma, della legge n. 477/1/973, nella parte in cui non prevede il mantenimento in servizio fino al settantesimo anno dei docenti e dei non docenti ultrasessantacinquenni i quali, assunti dopo il 1 ottobre 1974, non abbiano maturato l'anzianita' minima richiesta dalla legge per ottenere il trattamento di quiescenza. Con il primo comma dell'art. 15 della legge n. 477/1973 il legislatore ha uniformato la disciplina relativa al collocamento a riposo per limiti d'eta' del personale scolastico, eliminando i regimi differenziati esistenti all'epoca tra le varie categorie di docenti. Prima della nuova normativa, infatti, i docenti delle scuole secondarie erano collocati a riposo, a prescindere dalla loro anzianita' di servizio, al termine dell'anno scolastico in cui compivano il settantesimo anno d'eta'. Per gli insegnanti elementari, invece, il collocamento a riposo era previsto al 30 settembre successivo al compimento del sessantacinquesimo anno, mentre per il personale non docente esso avveniva al compimento del sessantacinquesimo anno. Allorche' il limite d'eta' per il collocamento a riposo e' stato unificato per tutto il personale scolastico a sessantacinque anni, il legislatore, al fine di non pregiudicare la posizione di coloro che contavano di permanere in servizio fino al compimento del settantesimo anno di eta', ha introdotto particolari disposizioni (secondo e terzo comma dell'art. 15) in forza delle quali e' stato consentito a tutti i docenti (ma anche ai non docenti) in servizio al 1 ottobre 1974 di continuare a svolgere la loro attivita' lavorativa fino al conseguimento dell'anzianita' utile al massimo della pensione (e comunque non oltre il settantesimo anno di eta'), ovvero fino al settantesimo anno qualora al compimento del sessantacinquesimo non fosse stata maturata la pensione minima. A ben vedere, tenuto conto della pregressa normativa, tale particolare regime di favore avrebbe dovuto essere previsto soltanto per i docenti delle scuole secondarie di ogni ordine e grado, con esclusione, quindi, del personale non docente e degli insegnanti della scuola materna e primaria per i quali il collocamento a riposo al compimento del sessantacinquesimo anno non costituiva un aliquid novi. L'analisi del citato terzo comma, pertanto, conduce ad individuare in tale disposizione una duplice natura: di norma transitoria preordinata a tutelare legittime aspettative dei docenti della scuola secondaria che, in servizio, facevano affidamento - sulla base della normazione vigente - essere collocati a riposo al compimento del settantesimo anno di eta', da una parte; e, dall'altra, di norma volta a garantire il diritto al trattamento minimo di quiescenza nei confronti di tutti i dipendenti della scuola statale che, assunti in ruolo, non avrebbero potuto effettuare il servizio minimo richiesto dalla legislazione pensionistica, ove fossero stati mantenuti in servizio fino al sessantacinquesimo anno. L'evidenziata duplice natura del precetto derogatorio - di tutela delle legittime aspettative degli insegnanti secondari da un lato, e di garanzia del conseguimento di un pur minimo trattamento pensionistico rispondente ad una sentita esigenza di equita' sociale, dall'altro - appare tuttavia, quanto alla seconda, fortemente contraddetta dalla disposizione che limita il beneficio al personale in servizio al 1 ottobre 1974. Ad avviso del collegio l'esclusione dal mantenimento in servizio oltre il sessantacinquesimo anno dei docenti e dei non docenti assunti dopo il 1 ottobre 1974 (giustificabile ove l'art. 15, terzo comma, avesse, assunto soltanto natura di norma transitoria, riferita unicamente ai docenti delle scuole secondarie) appare irrazionale e discriminatoria, dal momento che la disposizione in esame e' appunto volta a garantire non soltanto la tutela delle legittime aspettative dei docenti secondari, ma anche, in generale, il diritto alla pensione minima delle altre categorie del personale scolastico (non docenti, docenti della scuola materna e primaria), che - atteso che la previgente normativa disponeva il loro collocamento a riposo al sessantacinquesimo anno di eta' - non potevano vantare alcuna aspettativa alla permanenza in servizio: donde l'irragionevolezza di collegare il diritto a maturare il periodo di servizio richiesto per il coseguimento della pensione minima alla circostanza, meramente occasionale, della sussistenza del rapporto di servizio ad una certa data 1 ottobre 1974), il che introduce un'ingiustificabile disparita' di trattamento tra i dipendenti pubblici chiamati a esplicare identiche funzioni, in palese violazione dell'art. 3 della Costituzione. La diversa disciplina dell'eta' di collocamento a riposo del personale scolastico, collegata alla circostanza dell'essere o meno in servizio alla data del 1 ottobre 1974, non appare frutto di un ragionevole uso della discrezionalita' legislativa, poiche' l'esigenza di raggiungere un numero di anni di lavoro sufficiente per ottenere il minimo della pensione e' un interesse di tutti i lavoratori, a prescindere dall'epoca della loro assunzione: consentirlo agli uni ma negarlo agli altri costituisce un'illegittima discriminazione. Ma la censurata norma appare irrazionale anche alla luce dell'articolo 38, secondo comma, della Costituzione. Va rilevato, a tal proposito, che la Corte costituzionale, con sentenza n. 238/1988 ha evidenziato che l'esigenza di mantenere eccezionalmente in servizio un impiegato per un numero di anni sufficiente a fargli ottenere il minimo della pensione va ricondotta, in via generale, ad un interesse tutelato dalla Costituzione come diritto del lavoratore in quanto tale, nei cui confronti appare perfino indifferente la circostanza che il dipendente sia titolare di un rapporto di lavoro pubblico o privato. Con la medesima sentenza la Corte costituzionale ha chiarito che "non si puo' rinvenire nella legislazione statale un principio consistente nel divieto assoluto di mantenere in servizio i dipendenti che abbiano raggiunto il limite massimo dell'eta' lavorativa fissato per la categoria interessata. Al contrario, il principio oggi vigente permette che l'anzidetto limite possa essere eccezionalmente derogato a fini assicurativi o previdenziali". Cio' in quanto l'ordinamento deve tendere a "conferire il massimo di effettivita' alla garanzia del diritto sociale alla pensione, sotto forma del diritto ad una giusta retribuzione differita, rinosciuto dall'art. 38, secondo comma, della Costituzione". L'art. 15, terzo comma, della legge n. 477/1973 si pone in contrasto con la predetta disposizione costituzionale, non consentendo il conseguimento del diritto alla pensione minima da parte di quei lavoratori che, entrati in ruolo successivamente al 1 ottobre 1974, ad eta' avanzata, non riuscirebbero a completare il periodo di servizio necessario per ottenere, in base alla vigente normativa, il trattamento minimo di quiescenza, e cio' soltanto per pochi anni, se non addirittura per qualche mese e o per alcuni giorni. Tale disposizione, peraltro, contrasta anche sotto un ulteriore profilo con i precetti contenuti negli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione: nel senso che il dipendente, assunto successivamente al 1 ottobre 1974 e che non abbia, al compimento del sessantacinquesimo anno, raggiunto il minimo della pensione, viene escluso dal godimento di quello stesso trattamento previdenziale a cui egli ha contribuito e che la Costituzione riconosce come un diritto inerente allo status di lavoratore (e che pur la legge n. 477/1973 riconosce, tramite la permanenza in attivita', ai dipendenti in servizio al 1 ottobre 1974), contestualmente venendo altresi' "espropriato" dei contributi versati senza ottenere alcun indennizzo e senza alcuna plausibile ragione. In base alle considerazioni che precedono, il sospetto di incostituzionalita' dell'art. 15, terzo comma, della legge n. 477/73, nella parte in cui sono esclusi dalla possibilita' di rimanere in servizio oltre il sessantacinquesimo anno di eta' i dipendenti scolastici assunti a tempo indeterminato successivamente al 1 ottobre 1974, appare non manifestamente infondato. Circa la rilevanza ai fini della decisione della questione prospettata, va evidenziato che la sorte del ricorso e' indissolubilmente legata all'esito del giudizio di costituzionalita' del citato art. 15, terzo comma, della legge n. 477/1973, dal momento che la domanda della ricorrente puo' essere accolta solo in quanto risulti fondata la sollevata questione di legittimita' costituzionale.