ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 37, lettera n),
 della legge regionale della Lombardia 31 luglio 1978,  n.  47  (Norme
 per la protezione e la tutela della fauna e disciplina dell'esercizio
 venatorio), come integrato dall'art. 28 della legge  regionale  della
 Lombardia  16 agosto 1988, n. 41, promosso con ordinanza emessa il 24
 novembre 1989 dal T.A.R. per  la  Lombardia  -  Sezione  staccata  di
 Brescia  nel  ricorso  proposto  da Lonati Sergio contro il Comune di
 Ghedi, iscritta al n. 413 del registro ordinanze  1990  e  pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica nn. 26 e 37, prima serie
 speciale, dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di costituzione di Lonati Sergio, nonche' l'atto di
 intervento della Regione Lombardia;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  13  novembre  1990  il Giudice
 relatore Enzo Cheli;
    Uditi  gli  avvocati  Claudio  Chiola  per Lonati Sergio e Gustavo
 Romanelli per la Regione Lombardia;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso  di  un  giudizio  promosso da Lonati Sergio nei
 confronti del Comune di Ghedi per l'annullamento di due provvedimenti
 assessorili   in   data   19   ottobre   1988,  l'uno  di  revoca  di
 autorizzazione per l'attivita' di tiro al volo su  specie  animali  e
 l'altro  di  denegato  rinnovo  di  tale autorizzazione, il Tribunale
 amministrativo regionale della Lombardia,  sezione  di  Brescia,  con
 ordinanza  emessa  il  24  novembre  1989,  ha sollevato questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 37,  lettera  n),  della  legge
 regionale  della  Lombardia  31  luglio  1978,  n.  47  (Norme per la
 protezione e  la  tutela  della  fauna  e  disciplina  dell'esercizio
 venatorio),  come  modificato  dall'art.  28 della legge regionale 16
 agosto 1988, n. 41, per violazione dell'art. 117 della  Costituzione.
    Il  Tribunale  remittente rileva che la norma impugnata, ancorche'
 inserita in un contesto normativo tendenzialmente  circoscritto  alla
 disciplina  della caccia, stabilisce un divieto di carattere generale
 per l'attivita' di tiro a volo su ogni specie di animali vivi  -  ivi
 compresi  quelli  di  allevamento - senza distinguere se si tratti di
 attivita' direttamente connessa all'esercizio della caccia oppure  di
 autonoma  attivita'  sportiva.  Ad  avviso  dello stesso Tribunale la
 Regione Lombardia,  nel  porre  un  siffatto  divieto  generalizzato,
 avrebbe  ecceduto  dai limiti posti dall'art. 117 della Costituzione,
 in  quanto  nella  materia  della  caccia,  spettante  alla  potesta'
 legislativa regionale, sarebbero ricomprese le sole attivita' dirette
 all'abbattimento o alla cattura della selvaggina  nei  tempi  e  modi
 previsti dalla legge, nonche' le attivita' direttamente connesse alla
 pratica venatoria. L'ambito delle attribuzioni legislative  regionali
 non  potrebbe,  invece, giungere a ricomprendere anche il tiro a volo
 sportivo che, non essendo ne' finalizzato ne' connesso  alla  pratica
 venatoria,  costituirebbe sul piano oggettivo una attivita' del tutto
 autonoma dalla caccia, tanto nella forma del tiro al piattello che in
 quella  del  tiro  su volatili. La regolamentazione di tale attivita'
 dovrebbe, pertanto, ritenersi attinente  non  alla  disciplina  della
 caccia,  bensi'  alla  tutela  dell'ordine pubblico e della sicurezza
 pubblica, riservata in via esclusiva alla legislazione statale.
    2.  -  E'  intervenuta  nel  giudizio la parte privata ricorrente,
 aderendo alle conclusioni  formulate  nell'ordinanza  di  rimessione.
 L'atto  di  costituzione  rileva,  in particolare, che il legislatore
 statale,  con  la  legge-quadro  27  dicembre  1977,  n.  968,  sulla
 protezione  della  fauna  e  l'esercizio della caccia, ha escluso dal
 divieto di tiro a volo i volatili di allevamento  (art.  20,  lettera
 q),  che  non  costituiscono "fauna selvatica", risultando gli stessi
 estranei alla sfera di protezione disposta da tale legge. Ne' il tiro
 a  volo  su  animali  di  allevamento potrebbe considerarsi attivita'
 strumentale della caccia dato il carattere  autonomo  della  relativa
 disciplina sportiva.
    3.  -  Si e' costituita in giudizio la Regione Lombardia eccependo
 la infondatezza della questione.
    La  Regione  ricorda  come  gia'  nella disciplina precedente alla
 legge-quadro  n.  968  del  1977  la  nozione  di  caccia  venisse  a
 ricomprendere   ogni   atto  diretto  alla  uccisione  o  cattura  di
 selvaggina,  comunque  compiuto,  ad  eccezione  dei  casi  di  forza
 maggiore  o  caso  fortuito  (art.  1  R.D.  5 giugno 1939, n. 1016).
 Risultava, pertanto, esclusa  la  possibilita'  di  ritagliare  dalla
 materia  venatoria  una  attivita' diretta alla uccisione di animali,
 quale il tiro a volo con  animali  vivi,  qualificandola  come  sport
 anziche'  come caccia. Distinzione questa tanto piu' improponibile in
 quanto  l'intera  attivita'   venatoria,   venuta   meno   ogni   sua
 giustificazione  per finalita' di sostentamento, non puo' avere ormai
 altra qualificazione se non quella del carattere sportivo.
    Piu'  recentemente, la gia' citata legge-quadro n. 968 del 1977 ha
 stabilito che la fauna selvatica costituisce patrimonio indisponibile
 dello Stato (art. 1) e ha ricompreso nel suo ambito tutti i mammiferi
 ed uccelli "dei quali esistono  popolazioni  viventi,  stabilmente  o
 temporaneamente,  in  stato  di  naturale  liberta',  nel  territorio
 nazionale" (art. 2). Ove pertanto  esistano  di  una  specie  animale
 popolazioni  viventi  anche  temporaneamente  in  stato  di  naturale
 liberta'  nel  territorio  italiano,  l'intera  specie   sarebbe   da
 considerarsi  tutelata  dalla  legge,  anche  per quanto concerne gli
 esemplari  che  si  siano  riprodotti  in   cattivita'   o   mediante
 allevamento.
    Il  principio  contenuto  nell'art. 20, lettera q), della legge n.
 968 del 1977 - che fa divieto di "usare volatili, esclusi  quelli  di
 allevamento,  nelle  esercitazioni, nelle gare e nelle manifestazioni
 sportive di  tiro  a  volo"  -  dovrebbe,  pertanto,  necessariamente
 interpretarsi  nel  senso che l'esclusione non concerne quelle specie
 animali che vivono sul territorio nazionale  anche  e  sopratutto  in
 stato di naturale liberta'. In ogni caso, il principio si esprime nel
 divieto assoluto dell'uso di animali selvatici nel tiro  a  volo:  da
 tale  divieto  non potrebbe, d'altro canto, farsi discendere, secondo
 la  Regione,  anche  un  opposto   principio,   vincolante   per   la
 legislazione  regionale,  di  liberta' di utilizzazione per il tiro a
 volo di uccelli d'allevamento. La legge regionale avrebbe,  pertanto,
 legittimamente  esteso  in modo generale il divieto di tiro a volo su
 animali vivi gia' contenuto, sia  pure  con  una  limitazione,  nella
 legge statale.
    4. - In prossimita' dell'udienza, la parte ricorrente nel giudizio
 a quo ha presentato una memoria, insistendo per l'accoglimento  della
 questione.
    In  tale  memoria si ribadisce che la legge impugnata estenderebbe
 illegittimamente  alla  fauna  di  allevamento  una  tutela  che   la
 legge-quadro  sulla caccia limita alla sola fauna selvatica, restando
 estranea alla stessa legge-quadro la  finalita'  di  generale  tutela
 degli  animali da maltrattamenti, perseguita dalla legge penale (art.
 727 c.p.). La legge regionale impugnata avrebbe, pertanto, violato  i
 principi  della  legislazione  statale  per  sconfinare in un diverso
 ambito  normativo,  proprio  dello  Stato,  che  attiene   all'ordine
 pubblico ed alla polizia di sicurezza.
                         Considerato in diritto
    1.  - La Regione Lombardia, con la legge regionale 16 agosto 1988,
 n. 41 - recante modifiche e  integrazioni  alla  legge  regionale  31
 luglio  1978,  n. 47, in tema di protezione e tutela della fauna e di
 disciplina dell'esercizio venatorio - ha statuito, all'art. 8,  terzo
 comma,  lettera n), il divieto di "usare specie animali per il tiro a
 volo".  Cosi'  disponendo,  la  Regione  ha  esteso   la   sfera   di
 applicazione  del  divieto in precedenza stabilito, sempre in tema di
 tiro a volo,  dall'art.  37,  primo  comma  lettera  n)  della  legge
 regionale  n.  47  del  1978,  dove  l'attivita' vietata non veniva a
 ricomprendere - sulla  scorta  della  disciplina  gia'  adottata  dal
 legislatore  nazionale  con  l'art.  20  lettera  q),  della legge 27
 dicembre 1977, n. 968 - l'impiego nel tiro a  volo  dei  volatili  di
 allevamento.
    Ad avviso del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia -
 Sezione di Brescia - l'estensione del divieto anche  ai  volatili  di
 allevamento  verrebbe  a confliggere con l'art. 117 Cost. dal momento
 che il tiro a volo su tale  categoria  di  animali  sarebbe  tale  da
 realizzare   un'attivita'  sportiva  del  tutto  autonoma  sul  piano
 oggettivo  ed  estranea  alla  materia  della  caccia  di  competenza
 regionale.  La  disciplina  del  tiro  a  volo  sportivo risulterebbe
 altresi' sottratta al legislatore regionale in quanto suscettibile di
 involgere  profili  attinenti  all'ordine  pubblico ed alla sicurezza
 pubblica,  riservati  alla  valutazione  esclusiva  del   legislatore
 statale.
    2. - La questione non e' fondata.
    La  soluzione  del  problema  di costituzionalita' prospettato dal
 giudice a  quo  impone  innanzitutto  un  richiamo  alla  nozione  di
 "caccia"   come  materia  inclusa  tra  quelle  spettanti,  ai  sensi
 dell'art. 117 Cost., alla competenza regionale. L'attivita' venatoria
 trova  attualmente  la  sua definizione nel titolo III della legge n.
 968 del 1977 (sostitutivo della disciplina in precedenza posta  negli
 artt.  1 e ss. del R.D. 5 giugno 1939, n. 1016), dove, all'art. 8, si
 qualifica   come   esercizio   di   caccia   "ogni    atto    diretto
 all'abbattimento o cattura di selvaggina mediante l'impiego dei mezzi
 di cui al successivo articolo 9 e degli  animali  a  cio'  destinati"
 (secondo  comma),  nonche'  "il  vagare  o il soffermarsi con i mezzi
 destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della selvaggina  o
 in  attesa della medesima per abbatterla o catturarla" (terzo comma).
    Ai  sensi di tale definizione l'esercizio dell'attivita' venatoria
 viene, pertanto, a caratterizzarsi  per  il  tipo  di  azioni  svolte
 (abbattimento  o  cattura  di  animali e attivita' preparatorie), per
 l'oggetto cui l'attivita' in questione risulta  diretta  (animali  da
 abbattere o catturare appartenenti alla fauna selvatica), nonche' per
 i mezzi destinati allo svolgimento della  stessa  attivita'  (armi  o
 animali  consentiti  dalla  legge  come  strumenti di caccia). A tali
 profili va aggiunta anche la finalita' sportiva, che rappresenta, per
 tradizione,  la  motivazione  preminente  e  naturale  dell'attivita'
 venatoria.
    Questi  elementi  ricorrono  tutti anche nell'esercizio del tiro a
 volo, quando  lo  stesso  si  venga  a  realizzare  in  atti  diretti
 all'abbattimento   di   selvaggina,   cioe'  di  specie  di  volatili
 appartenenti alla fauna selvatica. E questo  induce  a  ritenere  che
 l'art.  20, lettera q), della legge-quadro n. 968 del 1977, quando ha
 vietato il tiro a volo nei confronti di queste specie, non ha  inteso
 tanto  regolare  le  gare e le manifestazioni connesse a tale tipo di
 sport  (con  i  relativi  profili  di  ordine  pubblico  e  sicurezza
 pubblica),  quanto  un  aspetto particolare dell'attivita' venatoria,
 ponendo un divieto che risulta connesso alla caccia e che e'  diretto
 a vincolare, senza possibilita' di deroghe, la legislazione regionale
 attinente a tale materia.
    3. - Quanto precede non puo' condurre, d'altro canto, ad affermare
 - come ritiene l'ordinanza di rimessione - che l'esercizio del tiro a
 volo su volatili di allevamento rappresenti un'attivita' sportiva del
 tutto  estranea  all'esercizio  della  caccia  e,  in  quanto   tale,
 sottratta alla competenza regionale.
    A questo proposito va in primo luogo rilevato che anche i volatili
 di allevamento possono, in certi casi,  assumere  le  caratteristiche
 proprie  della  selvaggina,  ove  risultino  appartenenti  alla fauna
 selvatica protetta dalla legge-quadro n. 968 del  1977.  Tale  legge,
 all'art.  2, include, infatti, nella fauna selvatica, con riferimento
 alla  categoria  dei  volatili,  "gli  uccelli  dei  quali   esistono
 popolazioni  viventi,  stabilmente  o  temporaneamente,  in  stato di
 naturale liberta', nel territorio nazionale". Dal che la  conseguenza
 che anche i volatili nati od allevati (a seguito di cattura) in stato
 di cattivita' non per questo perdono la  loro  naturale  qualita'  di
 "fauna  selvatica",  ove  risultino  appartenenti a specie viventi in
 stato  di  naturale  liberta'  nel  territorio  nazionale:  il   loro
 abbattimento  mediante  il  tiro  a  volo  non  puo',  pertanto,  non
 integrare,   sotto   tutti   i   profili   richiamati,   un'attivita'
 qualificabile come venatoria in senso proprio.
    Ma   anche   nei   confronti   dei  volatili  di  allevamento  non
 appartenenti a specie riconducibili alla "fauna selvatica"  (come  il
 piccione  nelle  sottospecie  addomesticate)  la tesi della oggettiva
 diversita' (e della conseguente  separazione  delle  competenze)  tra
 attivita'  di  tiro  a  volo  ed  esercizio  della caccia non viene a
 trovare una  giustificazione  adeguata.  Il  tiro  a  volo  realizza,
 infatti,  anche  in  questo  caso  -  per le azioni adottate, i mezzi
 impiegati ed il fine perseguito - un'attivita' assimilabile, nei suoi
 maggiori  elementi  caratterizzanti,  a  quella  venatoria  in  senso
 proprio, cui  risulta  altresi'  solitamente  collegata  in  funzione
 propedeutica o strumentale.
    Il  fatto  che  tale  attivita'  venga  diretta,  in  certi  casi,
 all'abbattimento di volatili di  allevamento  non  appartenenti  alla
 fauna  selvatica  non  puo',  dunque,  ritenersi  preclusivo  ai fini
 dell'esercizio  della  competenza  regionale,  tanto  piu'   ove   si
 consideri  che  i contenuti della "caccia" (definita nell'art. 99 del
 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, con riferimento anche alla "protezione
 faunistica"  ed  alla  "polizia  venatoria e di difesa del patrimonio
 zootecnico"), si sono andati arricchendo, negli orientamenti  recenti
 della giurisprudenza costituzionale, con riferimento alla "protezione
 dell'ambiente  naturale  e  di  ogni  forma  di  vita,  a  cui  viene
 subordinata  qualsiasi  attivita'  sportiva" (cfr. sentenza n. 63 del
 1990, par. 6).
    Le   osservazioni  che  precedono  conducono,  di  conseguenza,  a
 respingere la questione di legittimita' della norma  impugnata  sotto
 il profilo del difetto di competenza regionale, anche in relazione al
 fatto che l'art. 20, lettera q), della legge-quadro sulla caccia, nel
 mentre  vieta  in  generale il tiro a volo nei confronti dei volatili
 non di  allevamento,  non  esclude  che  la  Regione  possa  adottare
 discipline  piu'  restrittive  anche  con  riferimento ai volatili di
 allevamento.
    Contro  tale  conclusione  non  puo',  infine, valere il richiamo,
 compiuto nell'ordinanza di rinvio, ai profili di ordine pubblico e di
 sicurezza  pubblica che vengono posti in gioco dall'attivita' di tiro
 a volo, quando questa si  svolga  nelle  forme  della  gara  o  della
 manifestazione  pubblica (cfr. art. 70 R.D. 18 giugno 1931, n. 773, e
 art. 727 codice penale), dal momento che  tali  profili  incidono  su
 oggetti   e   interessi   diversi  da  quelli  direttamente  inerenti
 all'esercizio  dell'attivita'  venatoria  e  restano  in  ogni   caso
 riservati alla competenza statale.