IL TRIBUNALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza;
    Esaminati gli atti;
                             O S S E R V A
    Con  ricorso  a  questo  tribunale,  sezione  specializzata per le
 controversie agrarie, depositato il 19 dicembre 1985, Mennuni Paolo -
 sull'assunto  che i mezzadri Chiaraluce Umberto e Chiaraluce Alfredo,
 a partire  dall'annata  agraria  1983-84,  si  erano  unilateralmente
 appropriati della quota domenicale dei prodotti del fondo oggetto del
 contratto di mezzadria, sul presupposto di un loro assunto diritto ad
 ottenere  la  convesione  del  rapporto  in affitto - chiedeva che la
 sezione dichiarasse che  i  medesimi  non  avevano  diritto  a  detta
 conversione  (avendo  egli  sempre conferito un adeguato apporto alla
 conduzione dell'impresa mezzadrile),  con  conseguente  condanna  dei
 convenuti  in  solito  al  rilascio del fondo, previa declaratoria di
 risoluzione del rapporto di mezzadria  per  inadempimento;  in  linea
 gradata, chiedeva che la sezione dichiarasse validamente esercitato -
 da parte sua - il diritto di ripresa (con condanna,  anche  qui,  dei
 convenuti al rilascio del fondo).
    Contestatasi  la lite, i convenuti eccepivano l'infondatezza delle
 domande  proposte  dal  ricorrente,  di  cui  chiedevano  il  rigetto
 spiegando  -  a  loro  volta  -  domanda  riconvenzionale volta a che
 venisse dichiarata la validita' dell'esercitata conversione,  nonche'
 -  per  l'ipotesi  di accoglimento della domanda subordinata proposta
 del  Mennuni  -  la  condanna  di  questi  al  pagamento  di   alcune
 indennita'.
    All'esito  dell'espletata  istruttoria, la sezione agraria ad/'ta,
 con sentenza  non  definitiva  in  data  11  giugno-13  luglio  1987,
 dichiarava  la  scadenza  dei convenuti dalle domande riconvenzionali
 proposte, nonche' la propria incompetenza  (per  materia)  in  ordine
 alla  domanda del Mennuni relativa al richiesto accertamento negativo
 dell'intervenuta conversione; con separata ordinanza,  disponeva  poi
 la sospensione del processo relativamente alle altre domande proposte
 dal ricorrente.
    Il  Mennuni  riassumeva  la  causa  relativa  alla declaratoria di
 mancata conversione in affitto del rapporto di mezzadria  dinanzi  al
 pretore  di  Genzano di Lucania (in funzione di giudice del lavoro) e
 questi - con sentenza in data 10-20 dicembre  1988  -  accoglieva  la
 domanda,  dichiarando  che  ai  Chiaraluce non competeva il diritto a
 tale conversione.
    Avverso  tale  senrtenza  i Chiaraluce proponevano appello, adendo
 questo tribunale - quale magistratura del lavoro  -  per  la  riforma
 della  medesima  ed il rigetto della domanda originariamente proposta
 dal Mennuni.
    Nelle  more del giudizio e' intervenuta la legge 14 febbraio 1990,
 n. 29 (modifiche ed integrazioni alla legge 3 maggio  1982,  n.  203,
 relativa   alla   conversione   in   affitto   dei  contratti  agrari
 associativi), che ha previsto  -  tra  l'altro  (art.  2)  -  che  la
 conversione del contratto di mezzadria in affitto non ha luogo, oltre
 che nei casi di cui alle lettere a) e b) dell'art. 29 della legge  n.
 203/1982,  anche  quando  "da  almeno  due  anni  prima della data di
 entrata in vigore  della  predetta  legge...  il  concedente  dia  un
 adeguato   apporto   alla   condizione  dell'impresa  secondo  quanto
 stabilito  dal  successivo  art.  4";  disposizione  che,  ai   sensi
 dell'art.  10  della  stessa  legge,  trova  applicazione  anche alla
 controversia portata all'esame di questo collegio.
    Cio' premesso, si osserva che la Corte costituzionale, con la nota
 decisione  n.   138/1984,   ebbe   tra   l'altro   -   a   dichiarare
 l'illegittimita'  costituzionale,  in  riferimento agli artt. 41 e 44
 della Costituzione, dell'art. 25 della legge 3 maggio 1982,  n.  203,
 nella parte in cui prevedeva che, nel caso in cui il concedente fosse
 imprenditore agricolo a titolo principale,  o,  comunque,  avesse  un
 adeguato   apporto   alla  condizione  dell'impresa,  la  conversione
 richiesta dal mezzadro avesse luogo senza il consenso del  concedente
 stesso.
    Pur  condividendo,  in  linea di principio, la ratio dell'istituto
 della conversione automatica introdotto  dal  legislatore,  la  Corte
 rilevava che - non essendo il fenomeno dell'assenteismo assolutamente
 generalizzato - non poteva ritenersi rispondente  all'imprescindibile
 requisito dell'utilita' sociale, voluto dall'art. 41 ed esplicato per
 la  proprieta'  fondiaria  dell'art.  44  della   Costituzione,   una
 conversione  indiscriminatamente  disposta anche per i casi in cui il
 concedente  avesse  adempiuto  i  suoi  oneri,  ed  in  cui,  quindi,
 funzionando  il  rapporto  normalmente,  risultasse ingiustificata la
 trasformazione forzosa disposta dal legislatore.
    Orbene, il richiedere - come fa il legislatore del 1990 condizioni
 come quelle previste dai punti a), b), c), e d)  dell'art.   4  della
 legge  n.  29/1990  per ritenere concretizzato l'adeguato apporto del
 concedente alla "condirezione" dell'impresa sembra a questo  collegio
 urtare  contro  i  medesimi  principi costituzionali richiamati nella
 suddetta decisione della Corte costituzionale, avendo tali condizioni
 poco  o nulla a che fare con la condirezione dell'impresa mezzadrile,
 e non potendosi ritenere che l'eventuale inadempienza - da parte  del
 concedente  -  ad  alcuni degli obblighi derivatigli dal contratto di
 mezzadria faccia venir meno il suo adeguato apporto a tale condizione
 (cfi: Cass., sez. un., 11 ottobre 1988, n. 5477).
    La normativa in vigore, in definitiva, determina un trattamento di
 sfavore per i  concedenti  del  rapporto  mezzadrile  che  non  trova
 giustificazione,   ed   anzi   cozza,   con   i  richiamati  principi
 costitutionali.
    In   particolare,   imporre   al  concedente  (congiuntamente)  di
 "assicurare produzioni lorde  vendibili  e  retribuzione  del  lavoro
 almeno  pari  a  quelle  medie delle imprese agricole della zona", di
 provvedere  alla  "adeguata  e  dignitosa  abitabilita'  della   casa
 colonica"  ed alla "rispondenza degli altri fabbricati aziendali", di
 "conferire... scorte vive e morte nella stessa  quantita'  di  quelle
 conferite    dal   concessionario",   di   tenere   regolarmente   la
 contabilita',  costituiscono  obblighi  che  possono  incidere  sulla
 (regolare)  esecuzione  del rapporto, manche rilevano poco o nulla in
 ordine   all'accertamento   dell'adeguato   apporto   richiesto    al
 concedente.
    Per  quanto  riguarda  la  lett. a) della norma in esame (art. 4),
 mentre la Consulta richiede un comportamento, la disposizione  sembra
 richiedere  un  risultato economico, il che sposta di molto i termini
 della questione; mentre sembra piu' corretto il  primo  atteggiamento
 (giacche'  si tratta di verificare se il concedente, comportandosi da
 imprenditore -  anziche'  limitarsi  a  percepire  redditi  derivanti
 dall'altrui  gestione,  della  quale,  senza  cooperarsi, si limiti a
 subire  i  rischi  -  meriti  la  tutela  apprestata   all'iniziativa
 economica  dell'art.  41  della Costituizione), non deve dimenticarsi
 che nei contratti associativi i  risultati  non  dipendono  dal  solo
 comportamento  del  concedente,  potendo  incidere su di essi fattori
 naturali (che, per essere circostritti,  non  vengono  in  conto  nel
 raffronto con la situazione media della zona) e, ancor piu', l'azione
 e la qualita' personali del concessionario (portatore,  tra  l'altro,
 di  un  interesse diametralmente opposto a quello della controparte),
 concessionario che, se incapace o inattivo, puo'  facilmente  rendere
 vano ogni impegno gestionale della controparte.
    Per  quanto attiene alle condizioni di cui ai punti b) e d), detto
 che sembra irragionevole che si siano  presi  a  parametro  fatti  di
 modesta  rilevanza  (si'  da impedire anche ad un conducente comunque
 "attivo",  quale  individuato  dalla  Corte  costituzionale  con   la
 sentenza n. 138 del 1984, di potersi opporre alla conversione), ancor
 piu' dubbia appare la costituzionalita', in particolare, di quel quid
 pluris  rispetto alla corretta osservanza degli obblighi contrattuali
 che il legislatore ha previsto perche' il  concedente  possa  opporsi
 alla   conversione.  Sotto  questo  profilo  problematica  appare  la
 legittimita' della previsione di cui alla lett. d), la  quale  sembra
 richiedere  qualcosa  di  piu'  della  regolare  tenuta  del libretto
 colonico da parte  del  concedente  nel  rapporto  di  mezzadria,  ma
 soprattutto la previsione sub c): entrambe le condizioni, infatti, ed
 in particolare quella sulle scorte, risultano formulate  in  modo  da
 permettere  che  la  conversione  si attui anche in ipotesi in cui il
 rapporto associativo funziona non solo "normalmente" (per  riprendere
 ancora  le parole della Corte costituzionale), ma addirittura in modo
 ottimale ed esemplare.
    In   definitiva,   l'aver  attribuito  a  ciascuna  delle  quattro
 condizioni forza tale  che  una  mancata  rispondenza  da  parte  del
 concedente  anche  ad una sola di esse determina irrimediabilmente la
 impossibilita' di  opporsi  con  successo  alla  conversione,  sembra
 viziare  di costituzionalita' la norma (esemplificando: come potrebbe
 consentirsi che debba sottostare alla  conversione  un  concedente  a
 mezzadria il quale, oltre ad aver ottemperato alla condizione sub a),
 abbia fornito il fondo di una bellissima casa colonica e di razionali
 fabbricati  aziendali, abbia conferito tutte o quasi le scorte, abbia
 regolarmente tenuto il libretto colonico, ma non abbia mai provveduto
 ad  una  regolare tenuta dei libri delle entrate e delle spese ovvero
 non abbia elaborato un bilancio annuale? oppure che, ferme  le  altre
 condizioni,  pur  avendo  tenuto una regolare contabilita', non abbia
 conferito - in aderenza  alle  clausole  contrattuali  -  esattamente
 tante  scorte  quanto il concessionario, ma l'un per cento in meno?).
 Oltre agli  artt.  41  e  44  della  Costituzione,  il  parametro  di
 costituzionalita'   in   queste   ipotesi   potrebbe   allargarsi  al
 fondamentale art. 3 della  medesima  per  irrazionale  disparita'  di
 trattamento.
    Per  altro  verso,  l'imporre  al  concedente  -  per  di piu', "a
 posteriori" - l'onere di documentare (art. 5 della legge n.  29/1990)
 la  regolare  tenuta  della contabilita' (e cio', a partire da almeno
 due anni prima della  data  di  entrata  in  vigore  della  legge  n.
 203/1982),  quando  -  per  quanto  attiene il libretto colonico - la
 legge (artt. 2161 e 2162 del  cod.  civ.)  non  prevede  obblighi  di
 conservazione ed anzi impone brevi termini di decadenza per impugnare
 le risultanza, appare irragionevole e lesivo del  diritto  di  difesa
 del concedente medesimo.
    Poiche'  la  controversia  all'esame  di  questo collegio non puo'
 essere  decisa  indipendentemente  dalla  questione  di  legittimita'
 costituzionale  del  combinato  disposto  degli  artt. 2, 4 e 5 della
 legge 14 febbraio 1990, n. 29, in riferimento agli artt. 3, 24, 41  e
 44  della  costituzione,  e  tale questione non appare manifestamente
 infondata;