IL TRIBUNALE PER I MINORENNI Riunito in camera di consiglio; O S S E R V A L'8 marzo 1991 il p.m.m. chiedeva al g.i.p. oltre che la convalida dell'arresto di Di Benedetto Felice nato a Napoli il 18 maggio 197, anche l'applicazione a detto minore della misura della custodia cautelare in carcere: la quale richiesta fu formulata con espressa esclusione di alternativa, come previsto dall'art. 291, comma 1- bis, del c.p.p. (introdotto con il recente decreto-legge 14 gennaio 1991, n. 12). Il g.i.p., disattendendo tale richiesta, disponeva nei confronti del minore la misura della permanenza presso l'abitazione familiare. Il p.m.m. proponeva appello avverso l'ordinanza del g.i.p. Il collegio osserva: ricorrono i presupposti perche' si faccia luogo ad applicazione di una misura cautelare sussistendo gravi indizi di colpevolezza, essendo l'arresto avvenuto in flagranza e avendo l'indagato ammesso l'addebito; sussistendo inoltre il pericolo ch'egli commetta, se nessuna misura venga nei confronti del minore applicata, reati della stessa specie come deve desumersi dai numerosi precedenti giudiziari specifici. La misura, pero', applicata dal g.i.p. (permanenza in casa) bene tutela sia il minore che la collettivita' e pertanto la chiesta custodia cautelare deve ritenersi non conforme a legge in quanto non necessaria e potendo inoltre esplicare sul minore effetti pregiudizievoli. In sede di appello questo tribunale dichiara rilevante, e non manifestamente infondata per il provvedimento in corso concernente l'indagato Di Benedetto Felice, il dubbio che solleva d'ufficio di illegittimita' costituzionale degli artt. 291, comma 1- bis, e 391, terzo comma, del c.p.p. per violazione degli artt. 3, 31, 101, 76 e 24 della Costituzione. Ed invero l'art. 291, comma uno- bis, nel prevedere che il giudice puo' disporre misure meno gravi solo se il p.m.m. non ha espressamente richiesto di provvedere esclusivamente in ordine alle misure indicate, impedisce al giudice di valutare, autonomamente, quale misura e' idonea e proporzionale al caso di specie. Il giudice puo', in altri termini, o applicare l'unica ed esclusiva misura richiesta dal p.m.m. o non applicarne alcuna rimettendo il minore in liberta'. Cio' puo' essere pregiudizievole sia all'interesse del minore sia a quello della collettivita' in quanto la misura cautelare richiesta potrebbe rilevarsi troppo afflittiva per il minore, il quale peraltro potrebbe aver bisogno di sostegni e controlli che altre misure previste sarebbero idonee a fornire, e la eventuale rimessione in liberta' comprometterebbe gli interessi della collettivita' alla cui tutela le misure cautelari sono direttamente preordinate. Da cio' deriva il contrasto della norma in esame con l'art. 3/I della Costituzione in quanto costringe il giudice a trattare uniformemente situazioni diverse, nel senso che per non rimettere in liberta' minori, che appaiono comunque bisognevoli di sostegni da una parte e in grado di commettere ulteriori reati dall'altra ai sensi dell'art. 274 del c.p.p.), applica misure corrispondenti a situazioni diverse e non proporzionate ai casi in esame. La norma citata appare inoltre in contrasto sia con l'art. 3/II che con l'art. 31/II della Costituzione poiche', sia che il giudice rimetta in liberta' il minore sia che applichi una misura sproporzionata, non pone in essere i presupposti per favorire il pieno sviluppo della persona umana e anziche' proteggere la gioventu' puo' creare situazioni sostanzialmente pregiudizievoli e puo' privare il minore del vantaggio che l'applicazione di una misura cautelare appropriata gli arrecherebbe. La norma in esame contrasta anche con l'art. 24/II poiche' limita l'esercizio del diritto di difesa intaccando il principio del contraddittorio. Ed invero il difensore deve limitarsi a chiedere o la remissione in liberta' del suo assistito o riportarsi alle richieste del p.m.m. essendo inutile evidenziare l'opportunita' della applicazione di altre misure in relazione ai principi di proporzionalita' di cui all'art. 275 del c.p.p. e di residualita' propri del sistema processuale minorile. Anche l'art. 101 della costituzione appare nella sua sostanza violato in quanto l'art. 291, comma primo, costringe il giudice o ad applicare una misura non proporzionata o non applicarne alcuna, nonostante la accertata necessita', lo spinga inevitabilmente ad una motivazione parziale e sotto un profilo irragionevole obbligandolo a motivare un provvedimento diverso da quello che egli reputa idoneo al caso concreto. Anche l'art. 391/III, nella parte in cui consente al p.m.m. di non comparire alla udienza di convalida, puo' ritenersi in contrasto con la Costituzione agli artt. 76 e 24. Viola l'art. 76 per eccesso di delega. La legge delega del 16 febbraio 1987, n. 81, all'art. 2, primo comma, n. 2, e 3, aveva vincolato il Governo ad emanare un codice di procedura penale che prevedesse "adozione del metodo orale, partecipazione dell'accusa e della difesa su basi di parita' in ogni stato e grado del procedimento". La modifica introdotta dall'art. 391/III sembra contrastare con tale principio e criterio direttivo in quanto, presentando il p.m.m. richieste scritte in una udienza di convalida e di successiva erogazione di misura cautelare, non rispetta il principio della oralita'. Inoltre la richiesta scritta presentata in via esclusiva lede anche il principio di parita' tra difesa e accusa limitando, come gia' evidenziato precedentemente sotto altro profilo, l'esercizio del diritto di difesa. E' proprio per tale motivo che l'articolo in esame contrasta anche con l'art. 24 della Costituzione, soprattutto nel procedimento minorile. Invero in tale procedimento la eventuale misura da irrogare viene "costruita" proprio nella udienza di convalida nella quale devono essere presenti, e non solo formalmente, i genitori ed i servizi sociali e che deve costituire comunque un momento di approfondimento della personalita' e della vita del minore. Escludere la partecipazione del p.m.m. e cristallizzare le sue richieste ad un momento precedente tale approfondimento significa ledere il diritto del minore ad avere un provvedimento idoneo e corrispondente alla reale situazione ed alle esigenze emerse nel corso dell'udienza alle quali situazioni ed esigenze il difensore farebbe riferimento. Da quanto sopra detto ne consegue la sospensione del procedimento e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per quanto di competenza.