IL COMMISSARIO REGIONALE
    Letti gli atti di causa;
                            RILEVA IN FATTO
    Con sentenza non definitiva in data 22-28 aprile 1989, n.  14,  di
 rep.  questo commissario, provvedendo sulla presente causa demaniale,
 dichiarava la  natura  demaniale  civica  universale  di  alcuni  dei
 terreni  ceduti  dal  comune  di  Avezzano al consorzio per il nucleo
 industriale di quelle citta'  ubicati  in  localita',  Parco  e,  per
 effetto,  dichiarata la nullita' assoluta ed insanabile degli atti di
 disposizione degli stessi beni, ne ordinava la  reintegra  al  comune
 anzidetto  con la condanna degli abusivi occupatori al loro immediato
 rilascio, liberi di cose e di persone.
    I  terreni  medesimi,  elencati  nella  suddetta  decisione,   nel
 frattempo  sdemanializzati  previa  autorizzazione regionale ai sensi
 dell'art. 12 legge n. 1766/1927, venivano alienati  alla  Soc.  Texas
 Instruments  che  vi  ha  eretto  un complesso industriale. Il prezzo
 ricavato dalla vendita di oltre un  miliardo  e'  stato  investito  a
 norma dell'art. 24 della legge citata.
    Con  ordinanza  in data 22 aprile 1989 la causa veniva rimessa sul
 ruolo per la prosecuzione dell'istruttoria diretta  ad  accertare  la
 natura  demaniale o allodiale dei rimanenti terreni ceduti dal comune
 allo stesso consorzio-depositata la relazione peritale, in esito alla
 quale risultava che anche tali fondi avevano la stessa qualita  soli,
 veniva  dalle  parti fatta riserva di esibire la deliberazione con la
 quale il consiglio comunale intendeva richiedere l'autorizzazione per
 il mutamento di destinazione dei beni stessi.  Senonche'  all'udienza
 fissata  per  la  discussione,  il  procuratore del comune depositava
 deliberazione della giunta comunale n. 276 dell'11 aprile 1991 con la
 quale si chiedeva, invece, la sclassificazione, a norma dell'art.  10
 legge  regionale  n.  25/1988, degli appezzamenti ceduti al consorzio
 del nucleo industriale e cio' in contrasto con quanto  in  precedenza
 fatto per i fondi rustici sdemanializzati e poscia alienati alla
 Soc. Texas.
    In tale stato la causa veniva riservata a sentenza.
                             D I R I T T O
    Il  commissario  ritiene di dover sollevare d'ufficio la questione
 di legittimita' costituzionale dell'invocato  art.  10  presentandosi
 essa  rilevante in rapporto alla decisione della presente causa e non
 manifestamente infondata.
    La questione e' rilevante perche' la decisione di questo  giudizio
 e'  subordinata  all'esito  della  risoluzione che la regione Abruzzo
 adottera' sulla deliberazione della  giunta  municipale  di  Avezzano
 menzionata  in  narrativa diretta ad ottenere la sclassificazione dei
 terreni che secondo la perizia espletata dovrebbero essere dichiarati
 di natura demaniale civica universale, nel  senso  che  se  l'istanza
 dovesse  essere accolta, il giudicante sarebbe costretto a dichiarare
 cessata la materia del contendere o ad emettere declaratoria  di  non
 luogo a procedere.
    La  questione,  poi,  non  e'  manifestamente  infondata specie in
 relazione agli artt. 117, 118 e 42 della Costituzione.
    Infatti in virtu' dell'art. 66 del d.P.R. 24 luglio 1977, n.  616,
 furono  trasferite alle regioni solo le funzioni amministrative rela-
 tive alla liquidazione degli  usi  civici,  allo  scioglimento  delle
 promiscuita',  alla  verifica  delle occupazioni ed alla destinazione
 delle terre di uso civico e di quelle provenienti  da  affrancazioni,
 nonche'  le  competenze  attribuite  al  Ministero dell'agricoltura e
 delle foreste, ed altri organi periferici diversi dallo stato  ed  al
 commissario  per  la  liquidazione  degli  usi  civici dalla legge 16
 giugno 1927, n. 1766, dal regolamento  di  esecuzione  approvato  con
 regio  decreto 26 febbraio 1928, n. 332, e dalla legge 16 marzo 1921,
 n. 377, ad eccezione delle legittimazioni effettuate con decreto  del
 Presidente  della  Repubblica  d'intesa  con  le  regioni interessate
 rimaste di competenza del commissario.
    Il Consiglio di Stato, sez. II con  il  suo  noto  parere  dell'11
 febbraio  1981 ebbe a ben specificare le funzioni amministrative gia'
 esercitate dal commissario e trasferite alle regioni per effetto  del
 richiamato decreto presidenziale.
    Ora  non  sembra  che  la  regione Abruzzo con la legge n. 25/1988
 abbia rispettato i limiti della  delega  stabilita  da  quest'ultimo,
 essendosi attribuiti poteri quali quelli previsti dall'art. 10 stessa
 legge   che   non   sono  certamente  di  natura  amministrativa,  ma
 legislativa.
    Cosi' facendo, ha certamente violato gli artt.  117  e  118  della
 Costituzione.
    Il  primo  di  essi  stabilisce che la regione puo' emanare per le
 materie elencate nello stesso articolo, compresa l'agricoltura, norme
 legislative, ma nei limiti dei principi fondamentali stabiliti  dalle
 leggi  dello Stato, sempreche' le norme stesse non siano in contrasto
 con l'interesse nazionale e con quelle di altre Regioni.
    Ora l'art. 10 della legge  regionale  n.  25/1988,  prevedendo  la
 facolta'  della regione Abruzzo di sclassificare terreni demaniali di
 uso  civico,  vulnera  i  principi  fondamentali  posti  dalla  legge
 nazionale  16  giugno  1927,  n.  1766,  dell'imprescrittibilita' dei
 diritti   di   uso    civico    nonche'    dell'inusucapibilita'    e
 dell'indisponibilita'   delle   terre   collettive   sulle  quali  la
 popolazione esercita siffatti diritti, terre sottoposte, pertanto, al
 vincolo della immutabilita' della loro destinazione.
    La norma del suddetto art. 10 e' in  aperto  contrasto  con  tutti
 tali  principi  perche'  stabilisce  che  la  regione puo' sopprimere
 diritti perpetui di  godimento  di  contenuto  reale,  quali  sono  i
 diritti  di uso civico spettanti alla collettivita', proprietaria dei
 terreni sui quali casi sono esercitati,  con  la  conseguenza  che  i
 millenari diritti di usi civici sono stati degradati al rango di meri
 interessi  legittimi  che  possono  essere sacrificati ogni qualvolta
 piaccia all'ente Regione decretarne la fine.
    E' evidente la violazione dei principi di  imprescrittibilita'  ed
 inalienabilita' che presidiano l'istituto degli usi civici e ne hanno
 consentito la sopravvivenza nel corso di millenni.
    L'art.  118  e'  stato  vulnerato perche' alle regioni spettano le
 funzioni amministrative per le materie elencate nel  precedente  art.
 117  e  non  di certo funzioni di sclassificazione di terre demaniali
 civiche di cui al ripetuto art. 10.
    Inoltre  la  sclassificazione  comporta,  oltre all'estinzione dei
 diritti di usi civici, anche la trasformazione delle terre collettive
 che  sono  di  proprieta'  delle  popolazioni  titolari  dei  diritti
 anzidetti,  in  beni  patrimoniali, come tali sottratti alla rigorosa
 disciplina sancita dalla legge n. 1766/1927 e relativo regolamento di
 esecuzione - cosicche' - i diritti  proprietari  della  collettivita'
 vengono   praticamente   espropriati  senza  che  alla  medesima  sia
 corrisposto alcun compenso a  titolo  di  indennizzo  mentre  perfino
 l'esproprio di terre private viene compensato con il pagamento di una
 congrua  indennita',  come  ha  stabilito  di recente la stessa Corte
 costituzionale.
    Si profila a questo punto la grave violazione dell'art.  42  della
 Costituzione  il  quale,  dopo  aver  al primo comma stabilito che la
 proprieta' e' pubblica o privata, sancisce al terzo comma che solo la
 proprieta' privata puo' essere nei casi previsti dalla legge e  salvo
 indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale.
    Non  v'e'  dubbio  che  i  beni  di  uso  civico, detti anche beni
 universitari  o  collettivi,  siano  di  dominio  pubblico,   siccome
 appartenenti  alla  popolazione  del  luogo che vi esercita i diritti
 civici perpetui di godimento, cfr Cass. 5 gennaio  1950,  n.  51;  16
 luglio  1958,  n. 2593; 23 luglio 1967, n. 654 e 11 febbraio 1974, n.
 387, per cui la loro disciplina legale e' equiparata al regime  della
 demanialita',  come  ha  affermato  il  supremo collegio con numerose
 sentenze (cfr tra le tante Cass. 18 ottobre 1987, n. 2553), donde  le
 richiamate peculiarita' dell'inespropriabilita', imprescrittibilita',
 inalienabilita',    inusucapibilita'    ed    indisponibilita'    che
 contraddistinguono i beni demaniali pubblici.
    Anzi la  tutela  dei  beni  civici  raggiunge  maggior  intensita'
 rispetto  ai  beni  demaniali  in  senso  stretto, perche' mentre per
 questi ultimi e' prevista in  casi  eccezionali  la  sclassificazione
 tacita del suolo, per i beni civici tale sclassificazione e' esclusa,
 anzi  vietata,  come  ha  deciso  la Corte suprema con la sentenza 12
 dicembre 1953, n. 3690.
    Il problema se i beni collettivi di uso civico  possano  essere  o
 meno espropriati e' stato risolto negativamente dalla corte d'appello
 di Roma sezione speciale usi civici con la sentenza in data 18 maggio
 1967.
    Infatti  le terre di uso civico sono inalienabili ed indisponibili
 e gli usi civici sono imprescrittibili.
    Cio' e' una  conseguenza  della  natura  pubblicistica  di  questi
 diritti la quale consente se non proprio un'identificazione perlomeno
 un'assimilazione  del regime di casi al regime di quelli demaniali in
 senso tecnico.
    Inoltre la legge fondamentale sulle  espropriazioni  per  pubblica
 utilita'  del 25 giugno 1865, n. 2259, si riferisce ai beni posseduti
 iure privatorum e tale principio ha ricevuto autorevole conferma  nel
 richiamato art. 42 della Costituzione che - com'e' pacifico - prevede
 l'espropriazione   per   pubblico  interesse  solo  della  proprieta'
 privata.
    La legge n. 1766/1927 stabilisce con l'art. 12 che i  beni  civici
 previamente  assegnati  alla  cat.  "a" di cui al precedente art. 11,
 possono  essere  sdemializzati  e,  quindi  alienati  o   mutati   di
 destinazione  dietro autorizzazione rilasciata di volta in volta, ora
 dalla regione.
    L'autorizzazione   regionale   si   sostanza  in  vero  e  proprio
 provvedimento di sdemanializzazione del bene,  emesso  in  base  alla
 legge  suddetta, per cui solo dopo di essa il bene diviene oggetto di
 commercio a tutti gli effetti.
    La stessa Corte costituzionale ha confermato indirettamente questi
 principi, avendo con la sentenza 25 maggio 1957, n. 67, stabilito che
 non sono espropriabili i terreni pervenuti ad un comune a seguito  di
 scorporo  dei  beni di uso civico in quanto questi non possono essere
 considerati privati e con la sentenza 30 dicembre 1981, n. 78, che la
 natura dei beni civici non consente la  loro  espropriazione  perche'
 non sono di natura privata, per cui anche considerando l'orientamento
 del  Consiglio  di  Stato  sentenza  Sex. IV 22 gennaio 1964, n. 10 e
 parere 7 gennaio 1965, n. 1177, si deve ritenere che  tali  beni  non
 possano  essere  espropriati  e  che  alla  loro  utilizzazione possa
 provvedersi a norma dell'art. 12 della legge n. 1766/1927 ossia  dopo
 la  prescritta  autorizzazione  di  volta  in  volta rilasciata dalla
 regione competente per  territorio,  facultizzata  ad  effettuare  la
 comparazione   tra  l'utilita'  del  bene  demaniale  civico  per  la
 comunita' e l'indennizzo che puo' ritrarsi dalla  sua  alienazione  o
 dal  mutamento  di  destinazione, al fine di evitare che la comunita'
 resti privata dal suo demanio, senza corrispettivo alcuno.
    Ne'  puo'  attribuirsi  valore  alcuno  alle   dichiarazioni   del
 rappresentante  della  regione  Abruzzo  che  appaiono a pag. 4 della
 sentenza della Corte costituzionale n. 31/1990, secondo  cui  non  ci
 sarebbe  violazione  dell'art.  47,  terzo  comma, della Costituzione
 perche' "la sclassificazione di terre di uso civico non ha  niente  a
 che   vedere   con  l'espropriazione  e,  d'altra  parte,  una  volta
 sclassificati  tali  beni  possono  essere  alienati  solo  a  titolo
 oneroso,   con   destinazione   del   ricavato   a   indennizzare  la
 collettivita' proprietaria".
    Tutto cio', invero, non sta scritto nel richiamato art. 10  ne  da
 esso   si   desume,  onde  costituisce  una  opinione  personale  del
 deducente. Se quanto sopra corrispondesse alla ratio della norma  non
 si comprenderebbe il motivo della contraddittorieta' di comportamento
 del  comune  di  Avezzano,  che  in situazioni identiche, ha dapprima
 fatto ricorso alla procedura tradizionale di cui  all'art.  12  della
 legge  n. 1766/1927 e, indi, ha invocato l'art. 10 legge regionale n.
 25/1988, nonostante questa ultima  fosse  gia'  in  vigore  all'epoca
 della sdemanalizzazione.
    Comunque  va rilevato che tale norma e' espressamente in contrasto
 con l'art. 1, ultimo comma, stessa legge  nel  quale  si  enuncia  la
 salvaguardia,  da  parte  della  regione,  dei  diritti  "originari e
 imprescrittibili" delle popolazioni abruzzesi  sulle  terre  civiche,
 dal  momento  che  tali diritti, con la sclassificazione delle stesse
 terre, verrebbero a scomparire. Se poi, il termine "sclassificazione"
 dovesse intendersi quale "sdemanializzazione" allora non si capirebbe
 la sua pratica utilita'.
    Ribadito, quindi, il principio dell'inespropriabilita' dei beni di
 uso civico siccome gravati da vincolo di destinazione al godimento da
 parte della collettivita' dei naturali del  luogo,  di  talche'  essi
 sono  anche  qualificati come beni a destinazione vincolata, e che la
 condizione  di  espropriabilita'   puo'   essere   determinata   solo
 eliminando  quel  vincolo,  si rileva che in ogni caso, anche a voler
 accedere   alla   possibilita'   dell'esproprio,   la   collettivita'
 proprietaria  avrebbe  sempre  diritto,  cosi'  come  avviene  per la
 proprieta'  privata,  al  pagamento  del  giusto  indennizzo, sicche'
 l'incostituzionalita'  della  norma  dovrebbe   permanere   comunque,
 considerato  che  l'interesse  pubblico  sotteso  alle  proprieta' di
 godimento e' prevalente su ogni  altro  e  addirittura  ha  oggi  una
 rilevanza  costituzionale  in quella norma di riserva di proprieta' a
 comunita' di lavoratori (art. 44 della Costituzione).
    La Corte costituzionale, cui fu gia' sottoposta  la  questione  di
 sospetta  incostituzionalita' della norma in discorso con sentenza n.
 31/1990 dichiaro' inammissibile la medesima, sul  rilievo  che  nella
 specie mancava il presupposto di applicabilita' dell'art. 10, poiche'
 il  terreno  in  questione  era  stato gia' sdemanializzato ed, indi,
 alienato dal Comune.
    Nel caso in esame, invece, i terreni per i quali e' causa non sono
 stati  oggetto  di  provvedimenti  di  sdemanializzazione,  donde  la
 diversita'  delle  due  fattispecie.  Si  reputa, pertanto, opportuno
 riproporre la questione, data l'evidente sua rilevanza  ai  fini  del
 presente   giudizio  che,  pertanto  resta  sospeso,  fino  all'esito
 dell'incidente di costituzionalita'. Conseguentemente restano sospese
 anche l'esecutorieta' della  menzionata  deliberazione  della  giunta
 municipale  di  Avezzano  n.  276  dell'11 aprile 1991 ed all'uopo la
 presente ordinanza deve essere comunicata, per ogni provvedimento, al
 presidente del comitato regionale di controllo, sezione di L'Aquila.