IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso n. 350/1991
 proposto da Pallone Mario rappresentato e difeso dagli  avv.  Antonio
 Pallone  e  Aurelio  Mauro,  con  domicilio  eletto  nello  studio di
 quest'ultimo  in   Catanzaro,   via   Alessandro   Turce,   31,   per
 l'annullamento  della delibera n. 30 del 29 ottobre 1990 con la quale
 l'unita' sanitaria locale n. 18 di Catanzaro ha  rigettato  l'istanza
 prodotta  dal  ricorrente  per  il  mantenimento in servizio oltre il
 sessantacinquesimo anno di eta', allo scopo di raggiungere i quaranta
 anni di servizio ai fini pensionistici; nonche'  della  comunicazione
 da  parte  della  prefata u.s.l. (prot. 441/r.a. del 28 gennaio 1991)
 circa i contenuti di detta delibera;
    Visto il ricorso con i relativi allegati, nonche' gli  atti  tutti
 della causa;
    Vista  l'istanza di sospensione della esecuzione del provvedimento
 impugnato;
    Udito il relatore dott. Paolo Passoni e uditi altresi' gli avv. A.
 Pallone  ed  A. Mauro per il ricorrente, alla camera di consiglio del
 21 marzo 1991;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    Con il gravame in questione il ricorrente espone di essere  medico
 di  ruolo  in  servizio  presso  l'u.s.l.  n.  18  di  Catanzaro, con
 svolgimento di funzioni apicali di dirigente sanitario.  Con  istanza
 del 3 settembre 1990 il dott. Pallone ha chiesto alla amministrazione
 sanitaria  di  appartenenza  il  mantenimento  in  servizio  fino  al
 settantesimo anno di eta', al fine di  raggiungere  i  quaranta  anni
 lavorativi  per  i  connessi  benefici  pensionistici.  Quanto sopra,
 evitando  cosi'  il  collocamento  a   riposo   al   compimento   del
 sessantacinquesimo  anno  di  eta',  e  cioe' alla data del 16 maggio
 1991.
    L'unita' sanitaria locale n. 18 di  Catanzaro,  con  deliberazione
 del  29  ottobre  1990,  ha  rigettato  la  sopracitata istanza nella
 duplice considerazione che l'art. 53 del d.P.R. n.  761/1979  prevede
 per   i   sanitari   il  collocamento  a  riposo  al  compimento  del
 sessantacinquesimoanno di eta', e che allo stato manca  una  espressa
 previsione  di  legge  che  statuisca l'equiparazione della dirigenza
 medica alla dirigenza statale (beneficiata in  soggetta  materia  con
 l'art.  1,  comma  quarto-quinquies, della legge 28 febbraio 1990, n.
 37).
    A sostegno del gravame vengono dedotte le seguenti censure:
    1. - Violazione dell'art. 1, comma quarto-quinquies,  della  legge
 28  febbraio 1990, n. 37, in connessione con l'art. 47 della legge 23
 dicembre 1978, n. 833, e con l'art. 83 del  d.P.R.  n.  761/1979;  in
 buona  sostanza, il ricorrente ritiene che ai sensi dell'ultima norma
 citata (in base alla quale al personale  sanitario  si  applicano  le
 disposizioni  del testo unico 3/57 sul personale civile dello Stato e
 successive modificazioni ed integrazioni), i benefici  attribuiti  ex
 legge n. 37/1990 ai dirigenti dello Stato devono intendersi ope legis
 estensibili  anche  alla  dirigenza sanitaria, al contrario di quanto
 ritenuto dall'u.s.l. 18 di Catanzaro.
    2. - In via subordinata, illegittimita'  costituzionale  dell'art.
 53  del  d.P.R.  n. 761/1979 per violazione degli articoli 3, 38 e 97
 della Costituzione nella parte  in  cui  non  prevede,  similmente  a
 quanto  disposto  dall'art. 15 della legge n. 37/1990 per i dirigenti
 statali,  che  il  personale  medico  delle  u.s.l.  possa  fruire  -
 sussistendone i medesimi presupposti - del beneficio del mantenimento
 in servizio per raggiungere il massimo della pensione.
    Durante  la  pendenza  del  giudizio  in esame e' peraltro entrata
 invigore la legge 19 febbraio 1991, n. 50, che emana disposizioni sul
 collocamento a riposo del personale medico dipendente.
    Alla camera di consiglio del 21 marzo 1991 la parte ricorrente  ha
 insistito  sull'adozione  del  provvedimento cautelare di sospensione
 della delibera impugnata.
    Il tribunale con ordinanza collegiale n. 303 del 21 marzo 1991  ha
 disposto  la sospensione dell'efficacia dell'atto impugnato sino alla
 camera di consiglio successiva alla restituzione degli atti da  parte
 della   Corte   costituzionale,   una  volta  deciso  l'incidente  di
 costituzionalita' sollevato con la presente  ordinanza  relativamente
 agli articoli 1 e 3 della legge 19 febbraio 1991, n. 50.
                             D I R I T T O
    1.  -  Occorre  preliminarmente  rilevare  come  l'espansione alla
 dirigenza medica dei benefici  pensionistici  gia'  previsti  in  via
 esplicita   per   la   dirigenza  statale  e  scolastica,  non  possa
 argomentarsi a mezzo di mera interpretazione estensiva  dell'art.  1,
 comma  4-quinquies,  della  legge  n.  37/1990;  non  giova dunque al
 ricorrente invocare il rinvio al testo unico impiegati  civili  dello
 Stato  3/57  e successive modifiche, posto dall'art. 83 del d.P.R. n.
 761/1979 sullo stato giuridico del personale uu.ss.ll.;  quest'ultima
 norma  esclude  infatti  dalla  relatio  quanto  nel decreto medesimo
 espressamente disciplinato, cio' in quanto l'eta' di  collocamento  a
 riposo del personale u.s.l. trova puntuale regolamentazione nell'art.
 53  del  d.P.R.  n. 761/1979, denegando cosi' ogni rinvio dinamico in
 soggetta materia alla normazione vigente per i dirigenti civili dello
 Stato.
    Del resto la recente  legge  19  febbraio  1991,  n.  50,  recando
 espresse  disposizioni sul collocamento a riposo del personale medico
 dipendente, ha indirettamente confermato l'esclusione del medesimo da
 pregresse  normative  di  analogo  contenuto,  afferenti  a   diverse
 categorie di pubblici impiegati.
    Inoltre, la questione di costituzionalita' dell'art. 53 del d.P.R.
 n.  761/1979  subordinatamente  prospettata  dal  ricorrente potrebbe
 ritenersi superata almeno per la dirigenza medica dalla citata  legge
 n. 50/1991, al cui interno deve ora intendersi trasposto ogni rilievo
 di  ingiusto  trattamento  nei confronti degli altri dirigenti medici
 esclusi dai benefici riservati ai soli primari di ruolo.
    2.  -  Il  collegio  considera  pertanto  che  la  citata  novella
 legislativa  n.  50/1991  rappresenta un elemento determinante che si
 innesta  nella  pendente  vicenda  contenziosa,  condizionandone   il
 relativo esito.
    Il primo comma dell'art. 1 statuisce che "I primari ospedalieri di
 ruolo  che  non  abbiano  raggiunto  il  numero  di  anni di servizio
 effettivo necessario per conseguire il massimo della pensione possono
 chiedere di essere trattenuti in servizio fino al  raggiungimento  di
 tale anzianita' e, comunque, non oltre il settantesimo anno di eta'",
 mentre  l'art. 3, primo comma, delimita l'applicabilita' dei benefici
 de quibus " .. ai primari ospedalieri di ruolo non collocati a riposo
 alla data di entrata in vigore della  presente  legge"  (20  febbraio
 1991).
    La  disposizione  non  consente  dunque  utilita' specifiche nella
 sfera  giuridica  del  ricorrente,  riferendosi   ai   soli   primari
 ospedalieri  di  ruolo, con esclusione pertanto degli altri medici di
 vertice e precipue dei dirigenti sanitari.
    Come sara' piu' ampiamente specificato  in  seguito,  il  collegio
 sospetta circa la conformita' alla Costituzione di detta norma, nella
 parte  in  cui  il  beneficio  del  massimo  pensionabile  a mezzo di
 mantenimento in  servizio  oltre  i  sessantacinque  e  non  oltre  i
 settanta  anni  di  eta'  viene  limitato - all'interno del personale
 medico apicale - ai soli primari di ruolo, fatte salve le particolari
 normative di favore per i sovraintendenti sanitari e per i  direttori
 sanitari  che  alla  data  di entrata in vigore della legge 10 maggio
 1964, n. 336, occupavano un posto di ruolo nelle funzioni  ivi  indi-
 cate  (e  non  e'  comunque questo il caso del ricorrente, art. 5 del
 d.-l. n. 402/1982).
    2.1.  -  Circa  l'effettiva  rilevanza  della  nuova normativa sul
 giudizio in corso, potrebbero sorgere dubbi ove si  considerasse  che
 l'atto  reiettivo  impugnato  dal ricorrente (ed a fortiori la stessa
 istanza di parte alla  quale  quest'ultimo  si  riferisce)  e'  stato
 redatto  sulla  base  del  contesto  normativo  allora  esistente, in
 assenza pertanto della legge di cui ora si  sospetta  la  conformita'
 costituzionale;  in  questo senso, il giudice amministrativo dovrebbe
 ponderare le proprie statuizioni indipendentemente da  normative  che
 risultassero  posteriori  sia all'istanza che al suo formale rigetto,
 ferma restando beninteso - quale che sia l'esito del gravame pendente
 - il potere dell'interessato di attivarsi nuovamente sulla base dello
 ius superveniens (impugnando ove del caso  l'ulteriore  provvedimento
 negativo che l'Amministrazione dovesse reiterare).
    La  legge  19  febbraio  1991,  n.  50, risulta infatti successiva
 all'adozione degli atti impugnati, pertanto non censurabili alla luce
 della sopravvenuta normativa, la quale - sempre secondo  la  tesi  in
 questione  -  non  potrebbe  comunque  rilevare nel giudizio in corso
 neanche   sotto   il   profilo   sintomatico    di    una    sospetta
 incostituzionalita'.
    2.2.  -  Il  collegio  esprime peraltro discordanza in ordine alla
 delineata lettura della vicenda processuale in esame, nella  precipua
 considerazione  che  la  giurisdizione  esclusiva di pubblico impiego
 radicatasi nel giudizio in esame impone  piu'  accurata  indagine  in
 ordine  al  tipo  di  sindacato devoluto al giudice amministrativo in
 soggetta materia; trattandosi infatti di un vaglio giudiziale  esteso
 al  rapporto  giuridico,  questo  tribunale  ritiene  che  la pretesa
 azionata dal ricorrente (asserito diritto al mantenimento in servizio
 oltre  i  sessantacinque  anni  di  eta')   non   trova   inesorabile
 definizione  una  volta  posti  in  essere  i provvedimenti reiettivi
 specificamente impugnati, i quali - seppure in ipotesi  legittimi  in
 relazione alla normativa vigente al momento della loro adozione - non
 risultano  sufficienti  ad  arrestare  ulteriori  accertamenti  sulla
 fondatezza della pretesa medesima,  anche  sulla  base  di  eventuali
 normative sopravvenute nelle more del giudizio.
    Ove  pertanto  -  in via meramente ipotetica e semplificativa - la
 nuova  legge  n.  50/1991  avesse  riconosciuto  il   beneficio   del
 mantenimento  in  servizio  oltre  i  sessantacinque  anni  anche  ai
 dirigenti sanitari (e non solo, come realmente  e'  avvenuto,  per  i
 primari  ospedalieri),  la  pretesa  del  ricorrente  avrebbe  potuto
 trovare idoneo riconoscimento nel giudizio  in  corso,  con  relativo
 obbligo in capo all'amministrazione sanitaria di rispettare l'opzione
 conservativa  del  rapporto  d'impiego  oltre  la  "normale"  data di
 collocamento a riposo.
    Cio' vale dunque ex se a postulare rilevanza nel giudizio in corso
 della questione di costituzionalita' della  legge  n.  50/1991  nella
 misura in cui beneficia solo una parte del personale medico apicale.
    Diversamente    opinando,    in    adesione   alle   formalistiche
 interpretazioni sopra  delineate,  il  ricorrente  vedrebbe  comunque
 affievolire  la  rilevanza  nel  giudizio in corso della questione di
 costituzionalita' in ordine all'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979, senza
 poter pero' fruire di un  conseguente  sindacato  giudiziale  di  non
 manifesta     infondatezza     sulla     nuova     legge    causativa
 dell'affievolimento medesimo; infatti, come accennato supra sub 1, da
 una parte la sopravvenuta legge n. 50/1991 ha sia  pure  parzialmente
 colmato  le  carenze  previsionali  del personale medico in ordine ai
 benefici   de   quibus,  dall'altra,  la  disparita'  di  trattamento
 lamentata  dal  ricorrente  riguarda  ora   non   piu'   l'esclusione
 dell'intera  categoria  del  personale medico dirigente rispetto alla
 dirigenza statale e scolastica,  bensi'  -  all'interno  della  prima
 categoria - l'esclusione del residuo personale sanitario con analoghe
 funzioni  dirigenziali  rispetto  a  personale  medico  con  funzioni
 primariali.
    3. - Cosi' esternata la rilevanza  nel  presente  giudizio  a  quo
 della   sollevata  questione  di  costituzionalita'  della  legge  n.
 50/1991, il  collegio  esprime  ora  le  motivazioni  sintomatiche  a
 sostegno della non manifesta infondatezza.
    Le  violazioni  sospettate  riguardano  gli  artt.  3, 38, secondo
 comma, e 97, primo comma, della Costituzione.
    3.1. - La  disparita'  di  trattamento  in  esame  afferisce  alla
 mancata  estensione  a  tutto  il  personale  medico  dirigente delle
 opzioni di proroga del servizio oltre i sessantacinque anni,  opzione
 riservata  - ai sensi dell'art. 1 della legge 19 febbraio 1991, n. 50
 - ai soli primari ospedalieri di ruolo.
    Sebbene il potere di deroga non  postuli  ex  necesse  sistematico
 contrasto  costituzionale  allorquando risulti preordinato a regolare
 specifiche e  peculiari  esigenze  di  settore,  dette  esigenze  non
 sembrano peraltro evidenziate o comunque aliunde argomentabili.
    Preesistenti  discriminazioni  applicative  connesse a benefici di
 tardivo collocamento a riposo all'interno  del  personale  medico  di
 vertice,   sono   state   infatti   ritenute  legittime  dal  giudice
 costituzionale solo ove la specifica ratio  che  le  governa  risulti
 finalisticamente   non   dilatabile  alle  categorie  escluse  (Corte
 costituzionale, sentenza n. 134/1986  in  riferimento  agli  artt.  6
 della legge n. 336/1964 e 5 della legge n. 402/1982).
    Nel  caso  di  specie,  al  contrario  della  precedente deroga di
 settore, da una parte la legge  n.  50/1991  sembra  aver  non  tanto
 disatteso,  quanto piu' in radice superato la regola generale ex art.
 53 del d.P.R. n. 761/1979 sul collocamento  a  riposo  del  personale
 medico  dirigente  al compimento del sessantacinquesimo anno di eta';
 dall'altra la denegata dilatazione dei citati benefici alle  similari
 categorie   escluse   sembra   non   solo  possibile  ma  logicamente
 necessaria, pena una sintomatica disparita' di trattamento ex art.  3
 della Costituzione.
    E'  infatti  da  evidenziare  come il primario ospedaliero risulti
 incardinato ex d.P.R. n. 761/1979  allegato  1,  nel  medesimo  ruolo
 (sanitario),  in  equiparati  profili  professionali e nella medesima
 posizione funzionale (di vertice)  del  dirigente,  sovrintendente  e
 direttore  sanitario,  dai  quali  se ne differenzia solamente per la
 specifica funzione di diagnosi e cura  rispetto  a  quella  igienico-
 organizzativa propria delle altre categorie apicali escluse.
    Si  vuole  pertanto  rilevare  che  l'estraneita'  dai benefici de
 quibus dei medici apicali con funzioni  igienico-organizzative  e  di
 contro  l'inclusione dei soli medici apicali con funzioni di diagnosi
 e cura, non evidenzia rassicurante ponderazione  del  legislatore  in
 ordine  alla  diversita'  di trattamento ormai radicatasi all'interno
 dello stesso personale  medico  di  vertice,  peraltro  tipizzato  da
 analoga  preparazione  di  base,  nonche'  da  similari  requisiti di
 vigoria ed impegno fisio-psichico, inidonei a giustificare differenti
 tempistiche  di   collocamento   a   riposo   (per   la   sostanziale
 equiparazione sia in termini di ammissione a concorsi, sia in termini
 di  attribuzioni  e  responsabilita'  di  tutto  il  personale medico
 dirigente, cfr. artt.  19,  20,  63,  quinto  comma,  del  d.P.R.  n.
 761/1979).
    3.2.  - Oltre alla prospettata violazione dell'art. 3, la presente
 questione di costituzionalita' investe anche gli  artt.  38,  secondo
 comma,  e 97, primo comma, della Carta. Il primo sotto il profilo del
 violato principio di un adeguato trattamento  previdenziale  di  fine
 rapporto  nei  confronti  di  tutti  i  lavoratori, ed a fortiori, di
 quelli compresi all'interno di analoghe mansioni.
    Trattasi di violazione  logicamente  collegata  alla  censura  per
 disparita'  di  trattamento  ex  art.  3,  alla  quale  si  fa rinvio
 soprattutto  in  relazione  al   delineato   aspetto   della   totale
 equiparazione giuridica di tutte le funzioni mediche apicali.
    3.3.  -  Quanto  all'art.  97  della Costituzione, primo comma, la
 problematica  in  esame  riguarda  l'incidenza  sul  buon   andamento
 amministrativo  di  eventuali  disparita' di tempi nel collocamento a
 riposo degli impiegati.
    Questo  tribunale  considera   al   riguardo   che   il   generale
 orientamento   normativo   mirato  ad  estendere  a  sempre  maggiori
 categorie di lavoratori il trattenimento in  servizio  per  finalita'
 pensionistiche postuli comunque un positivo vaglio del legislatore in
 ordine  all'efficienza  professionale  di  detti  impiegati durante i
 periodi lavorativi supplementari.
    Non potrebbe infatti ragionevolmente sostenersi che  le  normative
 de  quibus  possano  consentire proroghe in servizio di personale non
 ritenuto idoneo ad esprimere apprezzabili contributi professionali, e
 cio' anche alla luce del disposto limite  invalicabile  dei  settanta
 anni,   oltre   il   quale  il  legislatore  ritiene  inaffidabile  -
 indipendentemente da ogni premura di  carattere  previdenziale  -  la
 prosecuzione  del  rapporto di impiego; anzi, proprio i " .. riflessi
 positivi del generale miglioramento delle condizioni di vita e di sa-
 lute dei lavoratori sulla loro capacita' di lavoro", ricordati  dalla
 Corte   costituzionale   nelle   sentenze  numeri  461/89  e  444/90,
 evidenziano   una   piena   compatibilita'   tutoria   di    esigenze
 previdenziali  e  di  migliore  andamento  della  p.a.; del resto, lo
 specifico onere di attivazione a carico del lavoratore orientato alla
 permanenza in servizio oltre i sessantacinque anni, tende a  favorire
 una  ponderata autovalutazione sull'efficienza lavorativa, in un'eta'
 assolutamente peculiare in cui positivi  stimoli  al  lavoro  possono
 garantire  rendimenti  di  altissima  qualita', causalmente collegati
 alla notevole esperienza professionale maturata negli anni.
    In altre parole, se l'aspetto previdenziale risulta  senza  dubbio
 finalita'  prevalente nel consentire il tardivo collocamento a riposo
 del lavoratore (a cio' apertis verbis disposto), sussiste, seppure in
 via  indiretta  e  conseguenziale,  l'interesse  pubblico  a  che  la
 somministrazione  periodica  di somme di danaro all'impiegato avvenga
 per il maggior tempo possibile su base sinallagmatico-stipendiale, in
 cambio di energia lavorativa ancora utile e produttiva.
    Sotto  il  citato  profilo,  inibire  al  pubblico  impiegato   la
 prosecuzione  di  un  rapporto  attivo con la p.a. entro tempi e modi
 consentiti per  altri  lavoratori  in  similare  posizione,  potrebbe
 costituire  aperto  sintomo  violativo del precetto costituzionale di
 proficuo andamento dell'azione amministrativa.
    4.  -  In  via  conclusiva  si vuole evidenziare come la "lettura"
 della Carta debba ritenersi soggetta ad una relatio dinamica  con  il
 particolare   momento  storico-politico  in  considerazione,  che  si
 manifesta - nel  suo  aspetto  piu'  significativo  e  riassuntivo  -
 nell'orientamento del legislatore volta per volta prevalente.
    Nella  disciplina  in  argomento,  la  primigenia  regola generale
 statuiva il collocamento a riposo di tutti i  pubblici  impiegati  al
 compimento  del  sessantacinquesimo  anno  di  eta', mentre carattere
 derogatorio presentavano quelle disposizioni (peraltro confortate dai
 necessari presupposti di peculiarita') che da una parte prevedevano -
 indipendentemente da specifiche finalita' previdenziali - un  diverso
 limite  di  eta'  (volta per volta inferiore o superiore), dall'altra
 consentivano un trattenimento  in  servizio  mirato  ad  ottenere  il
 massimo della pensione.
    Mentre  i  generali limiti di eta' per singole categorie non hanno
 subito novazioni normative di rilievo, altrettanto non puo' dirsi per
 i limiti di eta' elevabili solo fino all'apice pensionabile. E' ormai
 diritto positivo consolidato quell'evoluzione legislativa  -  che  si
 manifesta appunto con la seconda modalita' di cui sopra - preordinata
 alla  piu'  compiuta  attuazione  dell'art.  38, secondo comma, della
 Costituzione, tanto da poter ormai  raccordarsi  ad  un  sopravvenuto
 principio  normale,  a deroga del quale sono ben possibili interventi
 normativi  diversamente  orientati,  ma  solo  per  cause  specifiche
 direttamente  argomentabili  dalla  ratio  legis,  pena la violazione
 primaria degli artt. 3 e 38, secondo comma, e quella per  cosi'  dire
 secondaria   e   conseguenziale   dall'art.  97,  primo  comma  della
 Costituzione.
    Nel caso di specie, alla tendenza generale a consentire  a  sempre
 piu' vaste categorie di pubblici impiegati l'opzione previdenziale in
 discorso, si e' peraltro cumulata - ai sensi della legge n. 50/1991 -
 una  previsione  ad  hoc  per  la  categoria  qui  in  esame  (medici
 dirigenti), all'interno della quale la parziale previsione  a  favore
 di  una sottocategoria (primari) sembra vieppiu' minata da insanabile
 incostituzionalita' relativamente alle sottocategorie escluse.
    Il collegio ritiene pertanto che ricorrono i presupposti normativi
 per la rimessione degli atti alla Corte costituzionale.