Ricorre la regione autonoma Valle d'Aosta, in persona dell'On.le Presidente della giunta regionale, dott. Flavio Lanivi, autorizzato con delibera della Giunta Regionale del 24 luglio 1992, n. 6780 rappresentato e difeso (in virtu' di procura autenticata dal notaio Bastrentadi Aosta del 29 luglio 1992, rep. n. 14348) dall'avv. prof. Gustavo Romanelli, e presso lo studio del medesimo elettivamente domiciliato in Roma, via Cosseria n. 5, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dell'on. Presidente del Consiglio pro-tempore, domiciliato per la carica in Roma, Palazzo Chigi, nonche' presso l'Avvocatura dello Stato, via dei Portoghesi n. 12, per la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 3 del decreto-legge 1º luglio 1992, n. 325 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale, parte I, n. 154, del 2 luglio 1992), recante "Differimento di termini previsti da disposizioni legislative ed altre disposizioni urgenti". PREMESSO IN FATTO Lo Statuto di autonomia speciale della regione Valle d'Aosta (legge costituzionale del 26 febbraio 1948, n. 4) attribuisce all'art. 2, comma 1, lett. g, la potesta' legislativa primaria in materia di urbanistica, nonche' di piani regolatori per zone di particolare importanza urbanistica. Inoltre, l'art. 4 del medesimo statuto dispone che la regione ha competenza amministrativa su tutte le materie su cui essa ha competenza legislativa, e dunque, anche, evidentemente, in ordine all'urbanistica ed all'approvazione dei piani regolatori. Su tali competenze e' venuto ad illegittimamente incidere l'art. 3 del decreto-legge 1º luglio 1992, n. 325, il quale ha disposto, sotto la rubrica "Termine per l'approvazione di strumenti urbanistici", senza prendere in alcuna considerazione la posizione della Regione ricorrente, e senza dunque prevedere un'eccezione rispetto ad essa, che "Il termine massimo di centottanta giorni previsto dall'art. 9, secondo comma, del decreto-legge 10 novembre 1978, n. 702, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 gennaio 1979, n. 3, deve considerarsi perentorio, e la sua decorrenza comporta la tacita approvazione dello strumento adottato, con l'esame delle osservazioni da parte del consiglio comunale". La disposizione di cui al secondo comma dell'art. 9 del d.-l. n. 702/1978, anch'essa inserita in un ambito di previsioni del tutto eterogenee (il d.-l. n. 702/1978 reca "Disposizioni in materia di finanza locale"), indicava in centottanta giorni il termine massimo da fissarsi con propri atti normativi delle stesse regioni per l'approvazione degli strumenti urbanistici, in base al comma 1 del medesimo art. 9, lett. b (il terzo comma dell'art. 9 in questione precisa al terzo comma che "Il termine massimo di cui al precedente comma, lett. b, non puo' essere superiore a 180 giorni per il piano regolatore generale e tale termine deve essere adeguatamente ridotto per gli altri atti urbanistici che, secondo le norme regionali, sono assoggettabili alla formale approvazione della regione"). Si aggiunge che l'art. 3 oggi impugnato e' la reiterazione di precedente analoga disposizione, contenuta nell'art. 3 del d.-l. 30 aprile 1992, n. 274 (decaduto per sua mancata conversione in legge), avverso la quale la regione Valle d'Aosta aveva gia' proposto ricorso dinanzi a codesta ecc.ma Corte, ricorso ivi iscritto al n. 49/92. IN DIRITTO 1. - L'art. 3 del decreto-legge statale 1º luglio 1992, n. 325, non si limita ad introdurre modifiche marginali all'art. 9 del d.-l. n. 702/1978, ma ne altera profondamente le linee fondamentali. Infatti, come si e' avuto modo di esporre nella narrativa in fatto, la decorrenza del termine previsto dalla ricordata normativa statale, da meramente ordinatoria, diviene perentorio e, per di piu', viene arbitrariamente introdotta ex novo un'ipotesi di silenzio-assenso. Cio' comporta, evidentemente, anche una considerevole compressione della sfera di autonomia della Regione nell'esercizio delle proprie potesta' amministrative, dato che fa di un semplice fatto giuridico quale l'inattivita' (v. al riguardo Virga, Diritto amministrativo, II, Milano, 1992, 47), un elemento idoneo a sostituire con piena efficacia l'esercizio del potere discrezionale della Regione. Occorre osservare che, se anche per quanto concerne gli atti di diritto pubblico, e' riconoscibile una distinzione fra termini perentori e termini ordinatori, questa distinzione va per tali atti ricostruita in ordine agli effetti che l'inutile decorso del tempo venga o meno a produrre: un termine e' da considerare perentorio allorche' il suo inutile decorso determina la decadenza del diritto o potere che si "sarebbe dovuto esercitare prima", mentre e' da considerare ordinatorio allorche' il diritto o potere non si perde (v. per tutti Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova, 1975, 252). L'art. 9 del d.-l. n. 702/1978 opportunamente non prevedeva alcuna decadenza delle Regioni rispetto alle competenze in materia urbanistica (lasciando alle singole leggi regionali il compito di determinare gli eventuali effetti dell'inutile decorso del termine), perche' una previsione di tal fatta avrebbe appunto comportato l'illegittima compressione della sfera di autonomia regionale. Il medesimo limite non e' stato invece avvertito da legislatore statale allorche' ha emanato il decreto che si impugna con il presente ricorso: infatti, il decreto impugnato non soltanto ha ritenuto di poter affermare la perentorieta' del termine in questione, ma ha persino attribuito al suo inutile decorso l'efficacia di tacita approvazione. Come e' noto, di regola, al silenzio della p.a. non possono essere attribuite valenze particolari: soltanto una legge puo' attribuirgli, per ipotesi specifiche, il significato di un atto concludente, come l'approvazione ed il rifiuto (cfr. per tutti Virga, Diritto amministrativo, II, cit., 47). Corollario logico necessario del principio dianzi ricordato e' che in materia specifica in cui sussista la competenza primaria della Regione, quale e' l'urbanistica per la Valle d'Aosta, soltanto la Regione ha il potere di emanare norme che attribuiscono alla sua inattivita' il significato di silenzio-tipizzato. La norma statale impugnata usurpa evidentemente tale potere regionale, perche', come si e' visto, introduce appunto un'ipotesi di silenzio-assenso. 2. - E' da aggiungere per mero scrupolo di difesa che, rispetto alla norma impugnata, stante il suo contenuto specifico, non puo' essere utilmente invocato alcuno dei limiti, tassativamente indicati, che lo Statuto di autonomia speciale, all'art. 2, pone alle attribuzioni normative primarie della Valle. Tali limiti, come e' noto, risiedono nella necessita' di armonia della norma regionale con la Costituzione della Repubblica e con i principi dell'ordinamento dello Stato, nel rispetto degli obblighi internazionali, nonche' delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica. Puo' incidentalmente aggiungersi che ben difficilmente potrebbe immaginarsi, tenuto conto anche della forma di decreto-legge con la quale essa viene ad essere introdotta nel corpus normativo, che la norma impugnata possa essere ritenuta manifestazione di alcuno dei teste' richiamati limiti della potesta' normativa regionale. Si puo' ancora aggiungere che alla Regione Valle d'Aosta, in quanto regione ad autonomia speciale, non e' applicabile nemmeno il piu' ampio limite dei "principi fondamentali delle leggi dello Stato", previsto per le regioni a statuto ordinario dall'art. 117 Cost. (per tale inapplicabilita', v. Martines, Diritto costituzionale, Milano, 1986, 796; C. Cost., 3 marzo 1982, n. 50; C. Cost., 26 luglio 1979, n. 86): comunque, per forma e contenuto, puo' in ogni caso escludersi altresi' che la norma impugnata contempli un principio fondamentale di tal fatta. Deve infine puntualizzarsi che l'eventuale esclusione dell'illegittimita'costituzionale della norma impugnata, all'assunto della sua inapplicabilita'alla Regione Valle d'Aosta, postula comunque l'attivita' interpretativa di codesta ecc.ma Corte.