IL TRIBUNALE Pronuncia ordinanza in relazione al rifiuto degli imputati di reato connesso di rispondere alle domande loro proposte dalle parti in relazione ed ai sensi degli artt. 210 e 513, secondo comma del c.p.p. Visti tali articoli, il tribunale osserva che la lettura piu' ragionevole e chiara del disposto di cui all'art. 513, secondo comma del c.p.p. in relazione al primo comma dello stesso articolo sia nel senso che non sia possibile disporre la lettura dei verbali contenenti le dichiarazioni delle persone indicate nell'art. 210 del c.p.p. anche se resa al p.m. o al giudice, se non nel caso espressamente previsto in tale secondo comma dell'art. 513 del c.p.p. Nepure ritiene il tribunale che possa soccorrere la norma dell'art. 238, terzo comma, del c.p.p., riferito ad atti che non sono ripetibili, in quanto tali non sono quelli che sono divenuti irripetibili ma non rientrano nell'ipotesi che consente la lettura degli stessi ex art. 512 del c.p.p. perche' apparivano prevedibili i fatti e le circostanze che potevano determinare l'impossibiita' di ripetizione. Non appare infine consentito, alla luce del chiaro tenore letterale dell'art. 513 del c.p.p., un recupero del primo comma di esso per la parte in cui non viene dettata una disciplina specifica da parte del secondo comma, atteso che il primo, a differenza del secondo comma, disciplina posizione diversa. Cio' premesso, in ordine all'interpretazione di tali norme, pare al tribunale che la norma di cui all'art. 513, secondo comma, non sfugga ad una censura di legittimita' costituzionale nella parte in cui non consente la lettura delle dichirazioni precedentemente rese, a differenza di quanto avverrebbe se la posizione del dichiarante non fosse stata separata; cio' anche nel caso in cui detta persona si presenti al dibattimento e si avvalga della facolta' di non rispondere. In effetti possono farsi due ipotesi per cui la condizione precludente la lettura si determina e cioe' che cio' sia avvenuto per una libera scelta della strategia processuale da parte del pubblico ministero o per un evento del tutto sottratto alla possibilita' di dissenso del p.m. Per il primo caso si richiamano le ipotesi di definizione con giudizio abbreviato di proscioglimento del coimputato, di applicazione della pena richiesta dall'imputato, l'ipotesi di separazione prevista dall'art. 18 del c.p.p., o il giudice non abbia ritenuto necessario la riunione per l'accertamento dei fatti; per il secondo caso si richiamano le ipotesi di accordo per la separazione e di mancato utilizzo dello strumento dell'incidente probatorio, pur ricorrendo i presupposti di legge. Nel primo caso ritiene il tribunale che il profilo di incostituzionalita' sia quello dell'art. 3 della Costituzione, atteso che non appare conforme a criteri di ragionevolezza e coerenza intrinseca del sistema prevedere una disciplina difforme dalla utilizzabilita' delle medesime dichiarazioni a seconda dello sviluppo del procedimento anche indipendentemente dal potere di intervento della parte che ha interesse ad avvalersi delle dichiarazioni come prova. E' vero che il sistema del codice privilegia la formazione della prova al dibattimento, ma prevede a tale principio notevoli eccezioni. Ed e' altresi' vero che introdurre una sorta di divieto legale di mezzi di prova non e' giustificato da una impossibilita' assoluta di contraddittorio, che nella specie permarrebbe tra versione resa precedentemente dal dichiarante e versione anche attuale dell'imputato. In sostanza in siffatti casi il giudice potra' valutare anche la forma della dichiarazione, il fatto che non sia stata ripetuta al dibattimento, il fatto che il dichiarante si sia sottratto alla possibilita' del controesame; ma il divieto legale costituisce qualcosa di non previsto dal legislatore delegante, non congruo rispetto al fine del processo di tendere comunque all'accertamento dei fatti ed in tali ipotesi l'irragionevolezza della disparita' di trattamento e' manifesta. Tale profilo di incostituzionalita' appare valido anche nel caso in cui la separazione sia dipesa da mera scelta del p.m. Infatti, l'utilizzazione dello stesso mezzo di prova deve trovare una disciplina astratta che possa essere valida per tutte le possibili ipotesi. In questo esempio non si vede per quale motivo debba prodursi una situazione deteriore nel caso in cui sia stata prescelta la strada di far assumere la prova al dibattimento, salvaguardano cosi' indirettamente anche esigenze diverse compromesse dall'utilizzo dello strumento dell'incidente probatorio. Nel secondo dei casi prospettati si evidenzia inoltre il contrasto con l'art. 101, secondo comma, della Costituzione, atteso che la strategia processuale del p.m., determinando le condizioni del divieto legale di una prova, vulnera il principio di sottoposizione del giudice esclusivamente alla legge. Appare infine evidente la rilevanza della questione dipendendo la definizione del presente processo dalla possibilita' di dar lettura e quindi di utilizzare come prova, secondo le regole dell'art. 192, comma terzo, del c.p.p., dichiarazioni rese a carico dell'imputato dal Marani e dalla Pigozzi.