LA CORTE DI APPELLO
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nelle cause civili riunite nn.
 247 e 476 del 1991 r.g. promosse  da:  Nessi  Cesare,  Nessi  Franco,
 Nessi  Anna  Maria,  Nessi  Adriano, Quaglia Rina ved. Nessi e Canuto
 Carlo, eredi tutti del sig. Nessi Alfredo, elettivamente  domiciliati
 in  Torino,  corso Vinzaglio, 4, presso l'avv. Giorgio Mortarino, che
 li rappresenta e difende come da procura in atti, attori,  contro  il
 comune  di Trorino, in persona del sindaco pro-termpore,rappresentato
 e difeso dall'avv. Antonietta  Caldo,  avvocatura  comunale,  palazzo
 civico, Torino, convenuto.
    Ritenuto che nelle cause riunite in esame si profila una questione
 di  legittimita' costituzionale, in quanto la pretesa attrice risulta
 fondata sulla legge 8 agosto 1992, n. 359, che  appare  in  contrasto
 con gli artt. 24, 3 e 42, terzo comma, della Costituzione.
    Osservato  che  detta  questione  appare  rilevante  ai fini della
 decisione in quanto, a norma  dell'art.  5-bis,  sesto  comma,  della
 legge  8  agosto  1992,  n.  359,  i  nuovi criteri di determinazione
 dell'indennita' di esproprio vanno  applicate  alla  presente  causa,
 pervenuta  alla  fase  di  deposito  della  consulenza  tecnica, che,
 seguendo i  criteri  precedentemente  vigenti,  cosi'  conclude:  "Il
 valore del terreno alla data dell'esproprio, 6 aprile 1982, calcolato
 ex lege n. 2359/1865, e' di L. 152.250.000".
    Rilevato  che  la  questione  non  puo'  ritenersi  manifestamente
 infondata,  non  apparendo  incontrovertibile  secondo  gli   attuali
 orientamenti della dottrina e della giurisprudenza.
    Invero  sotto  il  primo  profilo,  cioe'  per  quanto concerne la
 violazione dei principi codificati nell'art. 24  della  Costituzione,
 la  legge  8  agosto 1992, n. 359, ostacola l'accertamento giudiziale
 dell'indennita' di esproprio, atteso che  l'ultimo  inciso  dell'art.
 5-bis,primo  comma, recita testualmente: "L'importo cosi' determinato
 e' ridotto del 40%". La legge penalizza cioe'  in  maniera  rilevante
 l'espropriato  che  non  perviene  alla  cessione volontaria del bene
 espropriato ed aziona invece in via giudiziale il  suo  diritto  alla
 liquidazione delle indennita'.
    Sotto  il secondo profilo concernente la violazione dell'art. 42 e
 dell'art. 3 della Costituzione, si deve intanto  osservare  in  fatto
 che,  nel  caso  di  specie, il calcolo, effettuato secondo i criteri
 fissati nella citata legge n. 359 dell'8 agosto 1992, porta,  con  la
 riduzione  del  40%, alla liquidazione di L. 45.756.008, pari a circa
 il 30% del valore venale.
    Orbene, secondo  l'indirizzo  piu'  volte  affermato  dalla  Corte
 costituzionale, l'indennizzo assicurato all'espropriato dall'art. 42,
 terzo  comma, della Costituzione, deve rappresentare un serio ristoro
 (anche se non necessariamente l'integrale riparazione per la  perdita
 subita) e non puo' essere fissato in una misura irrisoria o meramente
 simbolica.
    E'  percio'  indispensabile fare riferimento al valore del bene in
 relazione  alle  sue  caratteristiche  essenziali  e  alle  legittime
 potenzialita' di utilizzazione economica.
    Le  aree edificabili, poste in zone gia' interessate allo sviluppo
 edilizio, debbono essere valutate con riferimento a  questa  qualita'
 (che  inerisce al bene e lo valorizza anche nel regime della legge n.
 10/1977); pertanto le norme di legge che adottano, come criterio  per
 la determinazione dell'indennita' il valore agricolo medio, anche per
 i  terreni edificabili, contrastano con l'art. 42 della Costituzione,
 e anche con l'art. 3, in quanto l'adozione di un criterio  presuntivo
 conduce  ad  indennizzare  diversamente terreni di uguale valore, e a
 dare la stessa indennita' a  terreni  di  valore  diverso  (v.  Corte
 costituzionale, 30 gennaio 1980, n. 5, in cons. st., 1980, 1, 55).
    Come  e'  noto, dopo questa sentenza intervenne la legge 29 luglio
 1980, n. 385, secondo cui "fino all'entrata  in  vigore  di  apposita
 legge  sostitutiva  delle  norme  dichiarate  illegittime dalla Corte
 costituzionale con sentenza n.  5  del  1980  .."  l'indennita'  deve
 essere   determinata   sulla  base  del  valore  agricolo  medio,  da
 moltiplicare, nelle  varie  ipotesi  previste  dalla  legge,  per  un
 coefficiente da 2 a 5 e da 4 e 5.
    Ma  anche per questa legge e' intervenuta la Corte costituzionale,
 con    sentenza    19    luglio    1983,    n.    223,    rilevandone
 l'incostituzionalita',  perche'  ha restaurato per un anno gli stessi
 criteri   di   commisurazione   dell'indennita'    gia'    dichiarati
 costituzionalmente  illegittimi,  ed ha previsto un conguaglio di cui
 non sono definite le caratteristiche essenziali.
    Cio' premesso, si deve osservare che la  Corte  costituzionale  ha
 comunque   sempre  sostenuto  che,  se  non  e'  ammissibile  che  la
 Costituzione abbia  inteso  ancorare  la  misura  dell'indennizzo  al
 criterio   della   effettiva   corrispondenza   al   valore   venale,
 l'indennizzo - che non puo' significare, secondo l'esatta etimologia,
 integrale risarcimento -  deve  invece  consistere  nel  massimo  del
 contributo  e  della riparazione che la pubblica amministrazione puo'
 garantire all'interesse privato nell'ambito degli scopi di  interesse
 generale.
    Su  queste  basi,  la Corte, dopo aver ripetutamente affermato che
 l'indennizzo non poteva  essere  simbolico,  irrisorio  o  apparente,
 assumendo  che  un  indennizzo di tal fatta doveva essere considerato
 inesistente,  e  quindi  illegittimo,  ha  sostenuto  che  esso  deve
 comunque  rappresentare  un  serio  ristoro del pregiudizio economico
 risultante dalla espropriazione.
    Non  possono   percio'   essere   considerati   costituzionalmente
 legittimi  i  criteri,  fissati  nella nuova legge, sopra citata, che
 comportano il ristoro di appena un 30% del valore venale, atteso che,
 cosi' legiferando  il  legislatore  ha,  per  cosi'  dire,  ribaltato
 l'entita'   dell'indennizzo,   concedendo  al  privato  proprio  quel
 contributo, che in realta' rappresenta la decurtazione dell'interesse
 privato al fine di chiamare il privato  cittadino  a  contribuire  al
 raggiungimento degli scopi di interesse generale.