IL TRIBUNALE Nella controversia previdenziale fra l'Istituto nazionale della previdenza sociale, appellante avverso la sentenza del pretore di Lamezia Terme in data 19 giugno 1991, e il sig. Aloe Salvatore, ha pronunciato e pubblicato all'udienza del 18 giugno 1992 la seguente ordinanza. RILEVATO IN FATTO che l'Aloe, titolare di pensione diretta a carico dell'I.N.P.S. e di pensione di reversibilita' a carico dello stesso Istituto, con decorrenza dal 1½ agosto 1983, ha avuto corrisposta tale seconda pensione a calcolo, anziche' mediante integrazione al trattamento minimo, per il periodo successivo al 30 settembre 1983; che l'assicurato, dopo avere esperito inutilmente i mezzi di impugnazione in sede amministrativa, proponeva domanda al pretore di Lamezia Terme con ricorso depositato il 21 gennaio 1991 per ottenere la condanna dell'I.N.P.S. al ripristino del trattamento vigente al 30 settembre 1983 ai sensi dell'art. 6 della legge 11 novembre 1983, n. 638, e alla corresponsione dei relativi ratei, con rivalutazione, interessi legali e spese di procedimento; che il pretore accoglieva la domanda con sentenza del 19 giugno 1991; che avverso tale decisione proponeva appello l'I.N.P.S., deducendo, fra l'altro, che il primo giudice aveva male interpretato il citato art. 6 della legge n. 638/1983 riconoscendo la c.d. cristallizzazione alla pensione concorrente, nel mentre essa era "da riferire ai soli casi di cessazione dal diritto all'integrazione al minimo per superamento dei limiti di reddito e non poteva quindi estendersi ai casi di cessazione conseguenti al principio di unicita' dell'integrazione enunciato dal terzo comma dello art. 6"; che il procuratore dell'Aloe controdeduceva alle argomentazioni avversarie, richiamando il precedente conforme indirizzo della suprema Corte e chiedendo la conferma della sentenza impugnata; che nelle more del giudizio e' intervenuto l'art. 4, primo comma, del d.l. 2 gennaio 1992, n. 14, e successivamente l'art. 4 del d.l. 20 marzo 1992, n. 237, e infine l'art. 4 del d.-l. 20 maggio 1992, n. 293 (quest'ultimo presentato a seguito della decadenza dei primi due e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 21 maggio 1992, n. 117), non ancora convertito in legge, recante "norme di interpretazione autentica" e il cui testo e' il seguente: primo comma: "l'art. 6, quinto, sesto e settimo comma, del d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, si interpreta nel senso che nel caso di concorso di due o piu' pensioni integrate al trattamento minimo liq- uidate con decorrenza anteriore alla data di entrata in vigore del predetto decreto, l'importo del trattamento minimo vigente a tale data e' conservato su una sola delle pensioni come individuata con i criteri previsti al comma 3 dello stesso articolo"; che il difensore dell'appellato, con nota depositata in udienza, ha prospettato il contrasto di detta norma interpretativa con gli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione; che la parte appellante ha chiesto la declaratoria di manifesta infondatezza della questione; RILEVATO IN DIRITTO 1) che alla data odierna e' tuttora pendente il termine per la conversione del suddetto decreto legge ed e' quindi applicabile alla presente controversia il citato art. 4, primo comma, in forza del quale questo giudizio dovrebbe decidere in senso favorevole all'I.N.P.S. la controversia, disattendendo la unanime diversa interpretazione della suprema Corte, sostanzialmente condivisa dalla stessa Corte costituzionale (sentenza n. 418/1991 e ordinanza n. 21/1992), sicche', risultando la suddetta norma di interpretazione autentica chiaramente strumentale rispetto alla decisione, la questione di costituzionalita' e' senza dubbio rilevante nel presente giudizio; 2) che, essendo il decreto legge un atto avente forza di legge autonomo sino alla sua conversione, e' ammissibile sollevare con riferimento alla sue disposizioni questione di legittimita' costituzionale (artt. 77 e 134 della Costituzione); 3) che tale questione non si presenta manifestamente infondata in rapporto agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, per come prospettato dal difensore e gia' autorevolmente sostenuto dalla Corte di cassazione (ordinanza n. 142 dell'11 febbraio 1992, anche se con riguardo all'art. 4 del precedente d.l. n. 14/1992, di eguale contenuto); e infatti: a) secondo aspettative fondate sulla logica, sulla esperienza giuridica e su un'ammissibile disamina del contenuto sostanziale delle singole disposizioni di interpretazione autentica intervenute dopo una pronuncia interpretativa della Corte costituzionale, e' presumibile che questa si pronunci per la illegittimita' costituzionale del combinato disposto della norma di interpretazione autentica e della disposizione interpretata (ved. ordin. Cass. citata); b) il trattamento minimo pensionistico non ha natura assistenziale, per come sembrerebbe ritenersi nella relazione al decreto legge in argomento, ma natura squisitamente ed esclusivamente previdenziale, sicche' deve censurarsi sotto il profilo del principio di uguaglianza di una determinata categoria di cittadini (nella spe- cie i lavoratori), apparendo "sprovvista di ragiovevole giustificazione la negazione - risultante dal combinato disposto investito dell'incidente di costituzionalita' della 'cristallizzazione' degli importi gia' maturati del trattamento minimo, per le pensioni non piu' integrabili, e la riduzione che ne consegue - del trattamento pensionistico complessivo, al di sotto del livello che - secondo il regime vigente nel periodo della sua maturazione - era stato ritenuto appena sufficiente per garantire ai lavoratori mezzi adeguati alle loro esigenze" (ordin. Cass. cit.); c) il combinato disposto dell'art. 4, primo comma, del d.l. n. 293 del 20 maggio 1992 citato e dell'art. 6, settimo comma, del d.l. n. 463/1983, convertito in legge n. 638/1983 comporta la integrazione al trattamento minimo soltanto per una delle pensioni concorrenti (da individuare sulla base di criteri ivi determinati) a decorrere dal 1½ ottobre 1983, lasciando impregiudicate le situazioni pregresse. In tal modo, nel mentre il diritto dei lavoratori ad avere assicurati i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidita' e vecchiaia e disoccupazione involontaria veniva assicurato dal cumulo di piu' integrazioni nell'ipotesi di due o piu' pensioni e l'importo che ne derivava rappresentava il minimo indispensabile per garantire ad essi "mezzi adeguati alle loro esigenze di vita" (Corte costituzionale n. 173/1986), col sistema ipotizzato dal legislatore interpretativamente - e quindi con efficacia retroattiva - viene leso appunto quel diritto alla previdenza (art. 38, secondo comma, della Costituzione), mediante la negazione della "cristallizzazione" dell'importo della integrazione al minimo della pensione cumulata;