IL PRETORE Sciogliendo la riserva; Esaminati gli atti di causa; O S S E R V A Va premesso: a) che la signora Teresa Serattini Volpe, quale locatrice di un immobile sito in Bologna, via San Vitale n. 54, in virtu' di contratto in data 10 gennaio 1985, ha convenuto in giudizio la signora Ottani Attilia, in qualita' di conduttrice, al fine di sentire convalidata l'intimata licenza per finita locazione per la data del 9 gennaio 1993; b) che la convenuta si e' costituita ritualmente opponendosi alla domanda, contestando la data di scadenza del contratto (da individuarsi nel 31 dicembre 1992) ed in ogni caso ha avanzato offerta formale - ai sensi dell'art. 11, secondo comma, della legge n. 359/1992 - di un nuovo canone (maggiorato del trenta per cento rispetto a quello precedente), chiedendo, in caso di mancato rinnovo del contratto, la applicazione dell'art. 11, comma 2- bis, della legge sopracitata, che prevede la proroga del contratto di locazione per due anni, salva l'applicazione dell'ulteriore termine per l'esecuzione ai sensi dell'art. 56 della legge n. 392/1978; c) che la difesa intimante ha accettato la data di scadenza indicata dalla convenuta (31 dicembre 1992) ma ha contestato a sua volta la applicabilita' della proroga del contratto a sensi dell'art. 11 della legge n. 359/1992, chiedendo la emissione dell'ordinanza di rilascio ai sensi dell'art. 665 del c.p.c.; d) che in particolare la locatrice ha precisato: 1) di non avere interesse a concordare la determinazione di un nuovo canone, avendo dato disdetta in quanto desidera riottenere la mera disponibilita' dell'immobile locato per la necessita' di destinare l'immobile ad abitazione propria (a tal fine ha depositato certificato di stato di famiglia e copia di parte della dichiarazione di successione dalla quale risulta che la locatrice e' attualmente ospitata dai figli); 2) che la proroga biennale introdotta nell'art. 11 legge n. 359/1/992 non opera automaticamente al mancato rinnovo di un contratto in corso ma presuppone viceversa la esistenza di una trattativa; 3) che la diversa interpretazione - secondo cui la proroga biennale opera automaticamente anche se non vi sia stata un'effettiva trattativa sull'importo del canone - porterebbe ad una palese incostituzionalita' della norma sopracitata per violazione degli articoli 3, 41 e 42 della Costituzione. Osserva innanzitutto il giudicante che l'art. 11 comma 2- bis della legge n. 359/1992 e' norma di carattere transitorio, rivolta esclusivamente a disciplinare i rapporti di locazione ad uso abitativo in corso alla data di entrata in vigore della legge (14 agosto 1992) in relazione alla prima scadenza successiva all'entrata in vigore della legge n. 359/1992 (ove "prima" va intesa nel senso di "prossima"). La disposizione deve essere letta alla luce di quelle che la precedono, ed in particolare del secondo comma, che introduce, per i contratti di locazione aventi ad oggetto immobili adibiti ad uso abitativo, la possibilita' di concludere patti in deroga alla disciplina della legge n. 392/1978 condizionatamente all'esistenza di due condizioni: 1) la rinunzia da parte del locatore alla facolta' di disdettare i contratti alla prima scadenza (e dunque la previsione di una durata di almeno otto anni del rapporto); 2) l'assistenza delle parti ad opera di una delle organizzazioni della proprieta' edilizia e dei conduttori maggiormente rappresentative a livello nazionale. Conviene anticipare che la finalita' evidente dell'art. 11, comma 2- bis, e' quella di incoraggiare il rinnovo dei contratti in scadenza dopo il 14 agosto 1992, cosi' da facilitare il passaggio dal regime vincolistico a quello a canone sostanzialmente libero introdotto dalla nuova disciplina. Si comprende cosi' la scelta del legislatore il quale, anche allo scopo di assicurare gradualita' agli effetti di una riforma cosi' rilevante, ha previsto una proroga del contratto "di diritto" per due anni "nei casi in cui, alla scadenza del contratto successiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le parti non concordino sulla determinazione del canone". Interrogativo complesso e' se la norma citata abbia introdotto una proroga legale automatica della durata del contratto in corso o se invece la proroga sia subordinata alla esistenza di una infruttuosa trattativa tra locatore e conduttore. La prima soluzione appare sicuramente piu' rispettosa della lettera e della finalita' della disposizione. Occorre innanzitutto osservare che la locuzione "le parti non concordino sulla determinazione del canone" va intesa, in assenza di indicazioni contrarie, non solo come causa ma anche come effetto del mancato accordo delle parti. La legge non accenna, infatti, all'esigenza di una verifica circa l'esistenza di una trattativa per il rinnovo, ne' tantomeno vincola l'interprete a ricostruire le ragioni del mancato accordo (operazione che risultarebbe in alcuni casi oltremodo difficoltosa, complessa e suscettibile di parzialita'). La norma si limita piuttosto ad indicare quella che normalmente e' la causa ed e' comunque l'effetto tipico del mancato accordo, evento di cui il giudice non puo' che prendere atto. In altre parole: la mancata determinazione del canone e' conseguenza inevitabile del mancato accordo delle parti in sede di rinnovo del contratto scaduto. Una interpretazione contraria, oltre che contraddire la lettera, tradirebbe evidentemente anche la finalita' della disposizione citata. Ritenere che solo il locatore che tratta ma non conclude subisca la proroga - e quello che invece tace o dichiarara apoditticamente di non volere trattare con il conduttore non patisca alcuna conseguenza - significa dare alla norma effetto concreto esattamente opposto a quello auspicato dal legislatore (incentivare la conclusione di patti in deroga) ed attentare al principio di solidarieta' economica e sociale consacrato nell'art. 2 della Costituzione. Deve pertanto concludersi che l'art. 11, comma 2- bis, introduce una proroga legale automatica e generalizzata, che e' subordinata alla mera esistenza del requisito negativo della mancata rinnovazione del rapporto di locazione, qualunque sia il motivo che abbia indotto le parti a non concludere il patto in deroga. L'esistenza di una volonta' negativa da parte del locatore e' evidenziata anche dalla mera notifica della disdetta o della intimazione di licenza per sfratto o per finita locazione (per una data successiva al 14 agosto 1992). Trattandosi di diritti disponibili, sara' sicuramente possibile che il conduttore (o il procuratore munito di procura speciale) rinunci alla proroga. In assenza di rinuncia, l'esistenza delle condizioni di legge per l'applicazione della proroga, che opera di diritto, puo' essere rilevata anche d'ufficio (al contrario v. artt. 2938 e 2969 del c.c.); anche in assenza di opposizione, ben potra' allora il giudice negare la convalida, per essere applicabile il comma 2-bis. Da quanto finora affermato emerge indubbiamente che l'art. 11, comma 2-bis, e' norma che incide sfavorevolmente sul diritto di proprieta', imponendo di fatto una protrazione per due anni di tutti i contratti di locazione aventi ad oggetto un immobile ad uso abitativo, nel caso di mancata rinnovazione del rapporto. Non puo' peraltro ritenersi che il legislatore abbia con cio' solo violato il disposto degli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione, per le ragioni che si va sinteticamente ad esporre. La manifesta infondatezza della eccezione di incostituzionalita' della nuova disciplina in rapporto all'art. 41 della Costituzione emerge nitidamente dalla considerazione, svolta in tutte le sentenze della Corte costituzionale che hanno affrontato il problema (sentenze nn. 252/1983, 89/1984 e 108/1986), ordinanza n. 87/1985 secondo cui la semplice attivita' di concessione in godimento di un bene non puo' essere considerata di per se' attivita' produttiva, rilevando piuttosto come espressione del diritto di proprieta' sull'immobile, sicche' la norma di riferimento a livello costituzionale e' solo l'art. 42 (appare allora ultroneo ricordare che l'art. 41 della Costituzione legittima una compressione dell'iniziativa economica privata nei limiti dell'utilita' sociale). Manifestamente infondata appare altresi' l'eccezione di incostituzionalita' svolta con riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui si lamenta che, unicamente per motivi temporali, i contratti stipulati in pari epoca fra locatori e conduttori di qualsiasi condizione economica subiscono o meno un re- gime vincolistico a seconda che vengano in scadenza prima o dopo la data di entrata in vigore della legge n. 359/1992. Ed infatti, come ripetutamente affermato dalla Corte costituzionale nel corso di numerose sentenze in materia pensionistica (sentenze nn. 2682 e 301 del 1986, e 1032/1988, ordinanza n. 419/1990), rientra nella discrezionalita' del legislatore fissare la data di entrata in vigore di una legge, "essendo connaturale alla generalita' delle leggi la demarcazione temporale (art. 73, ultimo comma della Costituzione)". Nella fattispecie in esame l'entrata in vigore dell'art. 11, comma 2- bis, e' stata rapportata a quella della legge di conversione del decreto; tale disposizione appare coerente a quanto disposto nel secondo comma, ove si precisa che la possibilita' di patti in deroga riguarda unicamente i contratti stipulati o rinnovati "successivamente alla data in vigore del presente decreto". Piu' delicata si presenta la valutazione dei rilievi svolti dalla difesa intimante in ordine alla violazione dell'art. 42 della Costituzione. E' noto che la Corte costituzionale ha piu' volte, tanto prima che dopo l'approvazione della legge n. 392/1978, affrontato il tema della costituzionalita' del sistema vincolistico e del regime di proproga legale, ritenuti compatibili al disposto dell'art. 42 a condizione che fossero qualificabili come straordinari e temporanei (v. sentenza n. 108/1986, che ha sancito la illegittimita' costituzionale di alcuni articoli della legge n. 118/1985). In particolare il giudice delle leggi, nella nota sentenza n. 89 del 5 aprile 1984, aveva dichiarato infondate le eccezioni di costituzionalita' dell'art. 15- bis della legge 25 marzo 1982, n. 94 (cosidetta "proroga Nicolazzi"), in riferimento agli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione, solo in quanto: a) la proroga biennale - disposta per i contratti ad uso non abitativo - poteva considerarsi "misura del tutto eccezionale, dovuta ad esigenze di mera natura temporanea ed inerente quindi ad una situazione assolutamente irripetibile" (la scadenza di migliaia di contratti aventi ad oggetto immobili ad uso diverso senza che fosse stata predisposta per "non turbare l'equilibrio del mercato, il che avrebbe potuto determinare pericolose conseguenze sul livello dei prezzi e quindi sul fenomeno inflattivo e, in genere, sull'economia nazionale"); b) la normativa prendeva in considerazione le esigenze del locatore, cui venivano concessi notevoli aumenti del canone ed il recupero, a partire dal secondo anno, della svalutazione monetaria nel frattempo maturata. Considerazioni anologhe possono essere svolte a proposito dell'art. 11, comma 2-bis, della legge n. 359/1992, che in via eccezionale introduce una proroga del contratto al fine di fronteggiare una situazione particolarissima. Non vi e' bisogno di sottolineare le possibili implicazioni della scelta liberista operata nella legge n. 359/1992, a fronte di un mercato ancora caratterizzato da una forte sproporzione tra domanda ed offerta come quello locatizio. Una crescita incontrollata dei prezzi degli alloggi in locazione provocherebbe un'aumento del tasso di inflazione, cosi' vanificando l'intera manovra di risanamento della finanza pubblica operata con la legge. Un fenomeno di questo tipo avrebbe gravissime ripercussioni sul diritto all'abitazione dei conduttori economicamente piu' deboli, incapaci di offrire al locatore il canone liberalizzato e dunque esposti al rischio di emarginazione sociale. L'art. 11, comma 2-bis, e' norma funzionale, tra l'altro, al decollo di una riforma che realizza sicuramente un sostanziale accrescimento della tutela della parte locatrice, la quale vede riconosciuta la possibilita' di concludere contratti con canone superiore a quello fissato ai sensi degli artt. 12 e seguenti della legge n. 392/1978. Quanto finora affermato induce a ritenere che la previsione di una proroga biennale dei contratti di locazioni non appare, di per se', in contrasto con la garanzia costituzionale della proprieta' privata, in quanto realizza un limite rivolto ad assicurarne la funzione sociale (art. 42 della Costituzione). La relativa eccezione difensiva va pertanto dichiarata manifestamente infondata. Non manifestamente infondata appare viceversa l'eccezione di oncostituzionalita' dell'art. 11, comma 2-bis, in relazione all'art. 24 (primo comma) e 42 (secondo comma) della costituzione, nella parte in cui prevede un diritto di recesso del locatore alla scadenza naturale del contratto (ovvero nel corso della proroga legale) nel caso in cui egli abbia la necessita', verificatasi dopo la costituzione del rapporto locatizio, di destinare l'immobile ad uso abitativo proprio. E' proprio questo il caso della intimante, che e' ospitata dai figli e che rivendica il diritto di andare ad abitare presso l'immobile di sua proprieta' (appare evidente, anche alla luce della premessa, la rilevanza della eccezione nella presente controversia, atteso che l'unica ragione di opposizione della intimata e' fondata sull'applicabilita' al rapporto della proroga biennale). A riguardo conviene precisare che il giudice delle leggi aveva da tempo indicato lo strumento del recesso per necessita' come misura atta in concreto a realizzare, a fronte di una proroga legale del rapporto, una composizione tra gli interessi delle parti in senso conforme alla costituzione (v. sentenza n. 22/1980). Tali indicazioni, recepite nella stesura dell'art. 11, secondo comma (seconda parte), sono state viceversa neglette nella formulazione del comma sucessivo, che pure introduce, come si e' visto, una proroga di diritto in caso di mancato rinnovo del contratto. La necessita' del locatore, idonea ad evitare il protrarsi del "patto in deroga" alla scadenza del primo quadriennio, non rileva viceversa minimamente nello impedire l'operativita' della proroga biennale prevista nell'art. 11, comma 2-bis; cio' si traduce in una ingiustificata compressione del diritto di proprieta' sull'immobile concesso in locazione. Problema strettamente connesso a quello ora esaminato, anche se logicamente e giuridicamente da esso autonomo, e' costituito dalla assenza di una procedura atta a disciplinare l'esercizio del recesso da parte del locatore. Anche qualora si riconoscesse la illegittimita' della norma nella parte in cui non consente al locatore di recedere dal rapporto alla scadenza naturale, rimarrebbe da chiarire come quest'ultimo potrebbe in concreto fare valere il suo diritto. Non pare possibile, de iure condito, applicare alla fattispecie del recesso del locatore la disciplina prevista nell'art. 30 della legge n. 392/1978, che riguarda - in virtu' del richiamo operato nell'ultima parte del secondo comma - la procedura che il locatore deve seguire nelle ipotesi in cui, alla scadenza del primo quadrienio, si presenti una delle situazioni descritte negli artt. 29 e 59 della legge n. 359/1992. Se e' vero che il richiamo all'art. 30, operato nella seconda parte del secondo comma, puo' avere senso solo se si intende il predicato "resta fermo" come equivalente alla espressione "si applicano", e' d'altro canto innegabile che tale procedura sia prevista solo per i contratti stipulati o rinnovati dopo il 14 agosto, e dunque non per quelli disciplinati dal comma 2- bis. D'altronde, se la disciplina prevista nell'art. 30 della legge n. 392/1978 prevede, in virtu' del richiamo alla "comunicazione di cui al terzo comma dell'art. 29 ..", un preavviso di almeno dodici mesi prima della scadenza (l'art. 59 della legge n. 392/1978 lo indicava in sei mesi), in relazione alla nuova fattispecie sembra evidente la necessita' di una disciplina differente, che consenta al locatore un tempestivo esercizio del diritto di recesso alla scadenza del rapporto o nella fase di operativita' della proroga. In ogni caso, la assenza di una procedura per il rilascio dell'immobile alla scadenza naturale del rapporto e nel corso della proroga biennale impedisce che il locatore possa far valere in giudizio il suo diritto al recesso; tale considerazione induce a sollevare d'ufficio l'eccezione di incostituzionalita' dell'art. 11 comma 2- bis per violazione dell'art. 24, primo comma della Costituzione.