IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale contro Tasin Ezio e Chemelli Valentino, imputati, il primo nella qualita' di sindaco del comune di Vezzano e committente e il secondo come esecutore materiale dei lavori, dei reati di cui agli artt. 20, lett. c), della legge n. 47/1985 e 1 e 1-sexies della legge n. 431/1985. Svolgimento del processo L'imputazione concerne la realizzazione di lavori di allargamento e di trasformazione della pista forestale di malga Ciago in assenza di concessione edilizia e senza avere ottenuto previamente le necessarie autorizzazioni paesaggistiche. La qualificazione della prima imputazione sotto la lett. c) dell'art. 20 della legge n. 47/1985, nonche' la seconda imputazione, derivano dalla realizzazione dell'opera, secondo le prospettazioni dell'accusa, nell'ambito del parco naturale Adamello-Brenta, o comunque ad una altitudine superiore a metri 1600 sm. La perizia, disposta dal pretore del dibattimento su richiesta del pubblico ministero, escludeva le suddette circostanze, facendo cadere la seconda imputazione e imponendo di sussumere la prima sotto la lett. b) della medesima legge n. 47/1985. La difesa degli imputati negava in fatto che si fosse trattato di opere diverse dalla semplice manutenzione ordinaria; in diritto, reclamava l'applicazione degli artt. 77 e 80 della legge della provincia autonoma di Trento 5 settembre 1991, n. 22, che hanno esonerato dall'obbligo di concessione le attivita' incriminate. Ritenendo in fatto che l'attivita' realizzata abbia comportato trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, il pretore solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale della normativa provinciale sopra citata. L'art. 20, lett. b) della legge 28 febbraio 1985, n. 47, prevede "l'arresto fino a due anni e l'ammenda da lire 10 milioni a lire 100 milioni nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformita' o in assenza di concessione o di prosecuzione degli stessi nonostante l'ordine di sospensione". L'art. 1 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, stabilisce che "ogni attivita' comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale ( ..) e' subordinata a concessione da parte del sindaco". Corre l'obbligo di chiarire i rapporti fra il reato edilizio e legislazione urbanistica. La norma di cui all'art. 20 della legge n. 47/1985 e' da considerare norma penale in bianco; una norma cioe' che attende integrazione da un'altra norma, nella fattispecie di pari livello, che e' costituita dall'art. 1 della legge n. 10/1977, e che completa la descrizione del tipo di illecito. In altri termini, la fattispecie penale nasce astrattamente come tipo di illecito con Ia normativa della legislazione urbanistica che impone l'ottenimento della concessione per ogni attivita' comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio. Il combinato disposto degli artt. 77 e 80 della legge provinciale 5 settembre 1991, n. 22, ha introdotto invece una classe di attivita', sicuramente comportanti trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale, il cui compimento non e' subordinato a concessione. La norma incide quindi direttamente sul reato di cui all'art. 20, lett. b) della legge n. 47/1985, dando una nuova definizione della fattispecie penale; rendendo con questo non punibili condotte che lo sarebbero alla luce della legge statale. Il principio di tassativita' della legge penale, nell'ipotesi in cui si ritenesse la deliberazione degli organi competenti del comune un equipollente della concessione, non consentirebbe comunque di equiparare, ai fini sanzionatori, l'assenza di concessione edilizia alla assenza della deliberazione degli organi competenti. Circa la rilevanza della questione nel giudizio a quo. L'art. 77 della legge della provincia autonoma di Trento 5 settembre 1991, n. 22, stabilisce che "nessuna attivita' comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, ad eccezione degli interventi di manutenzione ordinaria, delle opere interne di cui all'art. 85 e degli interventi pubblici di cui agli artt. 78, 79, 80 e 81, puo' essere iniziata e proseguita se il sindaco non abbia rilasciato, nel rispetto degli strumenti di pianificazione territoriale, l'autorizzazione o la concessione secondo le norme della presente legge". Il successivo art. 80 dispone poi che "le opere pubbliche dei comuni o loro consorzi sono deliberate dagli organi competenti in conformita' alle previsioni degli strumenti di pianificazione e alle altre norme in vigore". Le norme suddette, che pacificamente escludono la necessita' della concessione edilizia per quanto attiene alle opere pubbliche dei comuni o loro consorzi, sono entrate in vigore successivamente ai fatti contestati, all'epoca dei quali l'obbligo del rilascio della concessione sussisteva ai sensi dell'art. 1 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, applicabile anche nel territorio provinciale per effetto dell'art. 105 dello statuto di autonomia. Del citato jus superveniens, che configura una vera e propria abolitio criminis, va tuttavia fatta applicazione nel presente giudizio ai sensi dell'art. 2 del c.p.: "nessuno puo' essere punito per un fatto che, secondo la legge posteriore, non costituisce piu' reato". Qualora si ritenga la legittimita' della citata normativa provinciale, si imporrebbe una sentenza assolutoria perche' il fatto non e' piu' previsto dalla legge come reato; la questione di legittimita' costituzionale e' quindi rilevante nel presente giudizio. Circa la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale. Va negata la legittimita' costituzionale di un tale intervento. La problematica riguarda i rapporti fra legge penale incriminatrice e legge regionale (o delle due province autonome): dovendosi accertare quali siano le possibilita' di normazione conferite alle leggi regionali in relazione alle leggi statali incriminatrici o decriminalizzanti. E' fuori discussione, alla luce di una trentennale giurisprudenza della Corte costituzionale, il monopolio penale del legislatore statale. Il fondamento di tale assunto e' stato di recente individuato dalla stessa corte nell'art. 25, secondo comma della Costituzione, del quale e' stata messa in luce la matrice illuministica; il monopolio della competenza penale e' attribuito non alla legge in quanto atto-fonte, ma all'organo-Parlamento. Ancor oggi, si legge nella sentenza n. 487 del 23 ottobre 1989, "la dottrina ricorda che il monopolio penale del legislatore statale e' fondato sul suo essere rappresentativo della societa' tutta, 'unita per contratto sociale'" (Corte costituzionale, sentenza n. 487 del 23 ottobre 1989). Che una qualche interferenza della legislazione regionale sulla legge penale statale sia peraltro ineliminabile, risulta per l'essere il sistema delle fonti un sistema complesso, nell'ambito del quale al criterio gerarchico si affianca il criterio della separazione delle competenze; coesistendo nel nostro ordinamento fonti interne e fonti internazionali; e, nell'ambito delle fonti interne, fonti statali, regionali e delle due province autonome. La norma penale non e' autosufficiente: nella sua struttura entrano sia elementi descrittivi, che fanno riferimento ad elementi della vita reale, sia elementi normativi, che possono essere compresi solo sul presupposto logico di altre norme giuridiche. E non puo' non risentire, in qualche misura, degli effetti di un sistema cosi' profondamente complesso: un sistema in cui lo Stato non ha piu' il monopolio della produzione legislativa, e che vede da un lato un ordinamento statale aperto alla comunita' internazionale, e da un altro la presenza di regioni e province autonome, dotate di potesta' legislative attribuite da norme di livello costituzionale. In questo quadro, una assoluta uniformita' di applicazione della legge penale non rappresenta che una chimera. La stessa Corte costituzionale ha preso atto dell'esistenza e dell'inevitabilita' di tali interazioni normative: e' il caso della colpa per inosservanza di leggi regionali cautelari; o del concorso, in alcune ipotesi di delitti contro la pubblica amministrazione, delle leggi regionali nel definire gli elementi costitutivi delle fattispecie tipiche incrimi- nate (es. "dovere", "atto d'ufficio" ecc.). Le regioni hanno poi in linea di fatto ampio spazio in materia penale allorche' dalle leggi statali si subordinino effetti incriminatori o decriminalizzanti ad atti amministrativi o legislativi regionali (Corte costituzionale, sentenza n. 487 del 23 ottobre 1989). E', ad esempio, il caso dell'art. 8 della legge n. 47/1985, che affida alle regioni il compito di stabilire quali siano le variazioni essenziali al progetto approvato; contribuendo a definire quindi la fattispecie penale di cui all'art. 20, lett. b), della stessa legge. Ben al di fuori delle fattispecie esaminate, che si pongono su una linea di incerto confine, si colloca invece la normativa provinciale in esame. L'intervento sulla fattispecie incriminatrice e' preciso e penetrante. Producendo il risultato, chiaro e netto, di sottrarre sic et simpliciter all'incriminazione fatti punibili ai sensi della legge statale, si pone in palese contrasto con principi piu' volte affermati dalla Corte costituzionale. A partire dalla sentenza n. 58/1959, la Corte ha chiarito che "la preclusione non sussiste soltanto nel senso ( ..) che le regioni non possono ne' creare nuove figure di reati, ne' richiamare, per violazione di norme regionali, sanzioni penali gia' comminate da leggi dello Stato"; ma opera anche quando l'intervento regionale e' "inteso a rendere lecita un'attivita' ( ..), che dalla legge statale e' considerata illecita e passibile di sanzione penale". Il principio e' ribadito anche dalla sentenza n. 179/1986, con la quale e' stata dichiarata incostituzionale la legge della regione siciliana in materia urbanistica perche', prevedendo diverse condizioni di sanatoria, svincolate da limiti di tempo e dal pagamento della oblazione, interferisce nella materia penale: "le scelte sanzionatorie della legge n. 47, considerate con particolare riguardo ai disposti del capo quarto, fanno parte di un sistema entro il quale non si possono introdurre arbitrarie distinzioni, senza sconvolgerne la complessiva logica". Il caso in esame non e' dissimile da quello esaminato nella piu' volte citata sentenza n. 487/1989, in relazione alla legge della regione Sicilia, che aveva introdotto, ai fini della sanatoria delle opere abusive, una nozione di ultimazione dell'edificio diversa e piu' lata di quella stabilita dalla legge statale. L'estinzione dei reati avveniva nel territorio della regione a condizioni piu' favorevoli di quelle stabilite per la generalita' dei cittadini. La conclusione del ragionamento della corte e' chiara: "avendo il legislatore statale il monopolio delle vicende costitutive della punibilita' ed avendo gia', in concreto, esercitato la sua potesta' incriminatrice, non e' legittimo che una legge regionale abroghi norme statali incriminatrici". Va riportato, da ultimo, il caso esaminato nella sentenza 27 giugno 1989, n. 370, in cui e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale della legge della regione Friuli-Venezia Giulia, che escludeva dall'obbligo di autorizzazione, penalmente sanzionato, l'ammasso temporaneo di rifiuti tossici e nocivi effettuato dalle imprese nel corso dei rispettivi cicli produttivi all'interno degli stabilimenti di produzione, quando sia contenuto nei limiti quantitativi fissati dall'apposito regolamento: "la fonte del potere punitivo risiede solo nella legislazione statale e ( ..) le regioni non dispongono della possibilita' di comminare, rimuovere o variare con proprie leggi e pene previste in data materia; non possono cioe' interferire negativamente con le norme penali, disciplinando e considerando, quindi, lecita un'attivita' penalmente sanzionata dall'ordinamento nazionale". La normativa provinciale in questione presenta un secondo profilo di illegittimita' costituzionale. La competenza legislativa esclusiva, che l'art. 8 n. 5 dello statuto attribuisce alla provincia autonoma, si deve svolgere, oltre che in armonia con la Costituzione e nel rispetto dei principi dell'ordinamento giuridico, anche nel rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico sociali della Repubblica. La natura di legge di riforma economico sociale, ha rilevato la Corte costituzionale nella sentenza 25 luglio 1984, n. 219, deve ricercarsi non tanto in espresse enunciazioni contenute nella legge, ma "nell'oggetto della normativa, nella sua motivazione politico-sociale, nel suo scopo, nel suo contenuto, nella modificazione che essa apporta ai rapporti sociali". La qualifica di legge di riforma economico sociale puo' essere attribuita, in quanto apportante modificazioni alla struttura di istituti giuridici di portata generale, alla legge n. 10/1977 (Norme per l'edificabilita' dei suoli), la quale non solo sostituisce il termine "licenza" con quello di "concessione", ma attribuisce alla stessa carattere oneroso; e, ed e' quello che piu' importa, sottopone ad essa non piu' solamente le nuove costruzioni e in genere le opere edili, ma anche altre attivita' incidenti sul territorio, che ne comportino trasformazione. Non si puo' negare quindi che, nell'ambito di una legge che e' senz'altro legge di riforma economico sociale, una norma fondamentale sia costituita dallo stesso art. 1, il quale recita: "ogni attivita' comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale ( ..) e' subordinata a concessione da parte del sindaco". La normativa provinciale richiamata quindi, introducendo una tipologia di attivita' di trasformazione del territorio che non richiedono concessione, viola un preciso limite di legittimita' che lo statuto pone alla potesta' legislativa provinciale.