IL PRETORE Pronunzia la seguente ordinanza nelle controversie previdenziali riunite recanti i n. 3462 r.c.l. anno 1991 e n. 14 r.c.l. anno 1992, la prima delle quali promossa da Felice Mecchi, nella sua qualita' di erede legittimo di Maria Teresa Gaspari, deceduta in data 8 giugno 1986, rappresentato e difeso dall'avv. A.S. Perozzi, nei confronti dell'I.N.P.S., rappresentato e difeso dall'avv. A. Iandolo e nei confronti del Ministero dell'interno, rappresentato e difeso dell'avvocatura distrettuale dello Stato; la seconda promossa da Narciso Brunetti, rappresentato e difeso dall'avv. G. Giuliari, nei confronti dell'I.N.P.S., rappresentato e difeso dall'avv. Mazzacurati. Chiedevano i ricorrenti, con separati ricorsi depositati rispettivamente il 4 novembre 1991 ed il 3 gennaio 1992, fosse accertato il loro diritto (per il primo iure successionis da Maria Teresa Gaspari e per il secondo iure proprio) a percepire la pensione sociale e/o la pensione di inabilita', con condanna dell'I.N.P.S. e/o del Ministero dell'interno al relativo pagamento con tutti i ratei non riscossi oltre agli interessi legali, assumendo l'avvenuto riconoscimento sin dal 1985 dello stato di invalidi civili al 100% deliberato dal Comitato provinciale di assistenza e beneficenza pubblica - C.P.A.B.P., con provvedimenti del 22 aprile 1986 e 26 novembre 1986, che aveva poi provveduto alla trasmissione all'I.N.P.S. reputatane la competenza per la corresponsione delle somme dovute agli invalidi civili ultra sessantacinquenni, senza che quest'ultimo Istituto provvedesse in merito. Nel giudizio promosso dal solo Felice Mecchi si costituiva il Ministero convenuto eccependo la carenza di legittimazione passiva a partecipare alla lite, reputato l'I.N.P.S. l'unico legittimo contraddittore, posto che il Comitato provinciale di assistenza e beneficenza pubblica della provincia di Verona, con decisione n. 521 del 20 gennaio 1988, aveva stabilito di riconoscere a Maria Teresa Gaspari (deceduta in data 8 giugno 1986) il diritto alla pensione di inabilita' ed aveva trasferito all'I.N.P.S., per competenza, l'erogazione in conformita' alla normativa di legge in materia. In entrambi i giudizi si costituiva l'I.N.P.S. chiedendo il rigetto delle domande reputate prive di fondamento in quanto, in forza del d.l. 8 febbraio 1988, n. 25 (convertito con modificazione nella legge 21 marzo 1988, n. 93). L'Istituto era autorizzato dal legislatore a corrispondere le sole prestazioni gia' liquidate alla data dell'8 febbraio 1988 e non ad effettuare nuove liquidazioni in favore delle categorie beneficiarie. Richiamava, da ultimo, a completezza l'I.N.P.S. il disposto del terzo comma dell'art. 13 della legge 30 dicembre 1991, n. 412, di interpretazione autentica dell'art. 1, secondo comma, della citata legge n. 93/1988, a norma la quale dispone che la salvaguardia degli effetti giuridici, derivati dagli atti e dai provvedimenti adottati durante il periodo di vigenza del d.l. 9 dicembre 1987, n. 495, e' delimitata a quelli adottati dal "competente ente erogatore delle prestazioni". Entrambi i ricorrenti eccepivano a tal riguardo, per converso, l'illegittimita' costituzionale di detta ultima disposizione normativa, motivando Felice Mecchi, in particolare, con riferimento agli artt. 3, 38, 101 e 102 della Costituzione, attesa la mancanza di ogni presupposto necessario per l'essere la stessa qualificata quale norma di interpretazione autentica, valutata anche la confusione ingenerante tra potere legislativo e giudiziario (cfr. memoria depositata il 12 agosto 1992). A sua volta Narcisio Brunetti motivata l'eccezione con riferimento agli artt. 3, 38 ed altri della Costituzione attesa la palese violazione del dettato costituzionale operato privandosi il cittadino, per effetto di tale norma interpretativa, di un diritto soggettivo perfetto gia' costituitosi ed acquisito o facendolo dipendere " .. dal mero arbitrio di un terzo o, peggio, dal mancato o ritardato adempimento di un obbligo da parte di terzi .." (cfr. memoria depositata in data 11 agosto 1992). Osservato che la somma di cui all'art. 13, terzo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, inverso, nell'interpretare l'art. 1, secondo comma, della legge 21 marzo 1988, n. 93, non si limita a chiarirne il significato intrinseco, fermo il tenore testuale, ma vi incide innovativamente, laddove delimita la salvaguardia degli effetti giuridici, derivanti dagli atti e dai provvedimenti adottati durante la vigenza del d.l. n. 495/1987, solamente a quelli "adottati dal competente ente erogatore delle prestazioni" assunto questo che trae fondamento dall'esame della complessa vicenda legislativa prodromica e dall'evoluzione giurisprudenziale intervenuta. Originariamente, invero, il d.l. 8 febbraio 1988, n. 25 (parzialmente convertito con legge 21 marzo 1988, n. 93) disponeva all'art. 1 che: "L'I.N.P.S. e' autorizzato a corrispondere le prestazioni gia' liquidate in favore dei mutilati, invalidi civili e sordomuti anche se riconosciuti tali dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di eta'", norma la quale prevedeva espressamente, altresi', che il diritto dovesse essere riconosciuto anche per le prestazioni conseguenti alle delibere dei Comitati provinciali di assistenza e beneficenza pubblici, con obbligo da parte dell'I.N.P.S. di liquidazione, qualora le delibere stesse fossero pervenute all'istituto alla data di entrata in vigore del decreto e ricorresse il requisito reddituale. Tale seconda parte della disposizione normativa venne, tuttavia, soppressa al momento della conversione, prevedendosi nondimeno all'art. 2 della citata legge n. 93/1988 che: "Restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodotti ed i rapporti giuridici sorti sulla base del d.l. 9 dicembre 1987, n. 495", il quale, a sua volta (decaduto in precedenza per mancata conversione) interpretava autenticamente la legge n. 854/1973, al fine di risolvere i contrasti applicativi insorti, cosi' espressamente disponendo: "gli artt. 10 e 11 della legge 18 dicembre 1973, n. 854, devono intendersi nel senso che i sordomuti e i mutilati civili, anche se siano stati ricosciuti tali a seguito di istanze presentate alle apposite commissioni sanitarie dopo il compimento dei sessantacinque anni di eta', sono ammessi al godimento della pensione sociale a ciarico del fondo di cui all'art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 193, in base ai limiti di reddito stabiliti per l'erogazione delle prestazioni economiche da parte del Ministero dell'interno alle rispettive categorie di appartenenza". Va ricordato, altresi', che l'interpretato art. 11 della legge n. 854/1973 disponeva che "In sostituzione della pensione o dell'assegno di cui agli artt. 12 e 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118, i mutilati ed invalidi civili sono ammessi, dal primo giorno del mese successivo al compimento dell'eta' di sessantacinque anni, su comunicazione del Ministero dell'interno all'Istituto nazionale della previdenza sociale, da effettuarsi sei mesi prima del cennato termine, al godimento della pensione sociale a carico del fondo di cui all'art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153". A completezza, successivamente, l'intera materia e' stata nuovamente ridisciplinata con il d.l. 23 novembre 1988, n. 509. Da parte della giurisprudenza in conseguenza si affermo' che, anteriormente al 30 dicembre 1991, il diritto al trattamento pensionistico de quo doveva riconoscersi a tutti i soggetti ultrasessantacinquenni in possesso del requisito reddituale e delle condizioni personali legislativamente previste, che alla data di emanazione del citato d.l. n. 495/1987, fossero stati riconosciuti inabili dal Comitato provinciali di assistenza e beneficienza pubblica, anche se la pensione non fosse in seguito poi stata ancora liquidata, posto che l'I.N.P.S. era solamente delegato al pagamento della prestazione, senza alcuna potesta' di autonomo accertamento del diritto (cfr. in argomento pretura Verona 26 ottobre 1990, n. 1277; tribunale Verona 17 maggio 1991, n. 673; pretura Livorno 22 agosto 1990, n. 247; pretura Parma 19 marzo 1990; pretura Pisa 10 aprile 1990; Cass. 8 novembre 1991, n. 11914 e Cass. 17 giugno 1992, n. 7421) e la stessa Corte costituzionale evidenzio' coma la liquidazione della pensione sociale sostitutiva inerisse alla fase meramente esecutiva del rapporto (Corte costituzionale n. 112/1989). La Corte costituzionale medesima peraltro (investita dall'esame di diversa fattispecie), dopo aver evidenziato come, a cagione dell'intrinseca provvisorieta' e perdita di efficacia ab origine della normativa di cui al d.l. n. 495/1987 per la sua mancata conversione, la stessa non potesse fungere da parametro in riferimento al principio di eguaglianza, al contempo aveva rilevato che proprio la regola posta nel detto decreto-legge decaduto appariva " .. antitetica sia rispetto a quella risultante dalla legislazione anteriore (confermata nel d.l. n. 509/1988) sia rispetto a quella posta dall'art. 1 della stessa legge n. 93/1988, che si e' limitato ad autorizzare l'erogazione delle prestazioni gia' liquidate agli ultrasessantacinquenni. La disposizione impugnata si pone percio' come derogatoria rispetto alla regola generale .." (cfr. Corte costituzionale n. 286/1990). Tale (pur lunga) ricognizione legislativa e giurisprudenziale effettuata, consente di poter affermare che l'art. 13, terzo comma della legge n. 412/1991, che sedicentemente interpreta autenticamente l'art. 1, secondo comma, della legge n. 93/1988, in effetti incida profondamente sulla stessa, restringendone il suo ambito ai soli provvedimenti emanati dall'I.N.P.S. nel periodo di efficacia del d.l. n. 495/1987 e non anche a quelli di autorita' ed enti diversi, cosi' vanificando il (sopra evidenziato) carattere derogatorio della regola generale, di fatto, cioe' innovandola nella sostanza tanto da elidere quella parte percettiva su cui si fondava l'estensione della sanatoria. Ove si consideri che la qualificazione di legge interpretativa spetta: " .. a quelle leggi o a quelle disposizioni che riferendosi e saldandosi con altre disposizioni (quelle interpretate), intervengono esclusivamente sul significato normativo di queste ultime (senza, percio', intaccarne o integrarne il dato testuale), chiarendone o esplicitandone il senso (ove considerato oscuro) ovvero escludendone o emendandone uno dei sensi ritenuti possibili, al fine, in ogni caso, di imporre all'interprete un determinato significato normativo della disposizione interpretata .." (cosi' Corte costituzionale 3 marzo 1988, n. 233 e cfr., altresi', Corte costituzionale 4 aprile 1990, n. 155), non puo' dubitarsi che tale disposizione normativa sia in contrasto con il disposto dell'art. 3 della Costituzione, ponendosi al di fuori dell'ambito dell'interpretazione autentica, per essere stata (oltre i limiti) modificata la disciplina precedente ed esservi stata attribuita efficacia retroattiva, con violazione delle fonti legislative su cui e' basato lo Stato di diritto, la cui disciplina deve essere rigorosamente osservata a garanzia dell'intera comunita' nazionale e per la credibilita' dell'ordinamento democratico statuale (conforme, ibidem). A completezza, non puo' non celarsi poi come il detto art. 13, terzo comma, della legge n. 412/1991, in concreto finisca con l'incidere profondamente tra le posizioni di cittadini, ugualmente bisognosi e nelle medesime condizioni di reddito e stato fisico, distinguendone le posizioni, paradossalmente, solo a seconda della maggiore o minore, pregressa, celerita' nella definizione amministrativa da parte dell'I.N.P.S. Ritenuta, in conseguenza, non manifestamente infondata e rilevante a fini del decidere la sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13, terzo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, per violazione degli artt. 3 e 38 della Costituzione, il giudizio va sospeso fino alla decisione della Corte costituzionale, cui gli atti vanno immediatamente rimessi