IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa promossa dall'Istituto nazionale della previdenza sociale nei confronti di Simioni Carlo ed avente ad oggetto appello avverso la sentenza del pretore di Belluno in data 10-28 settembre 1991; Uditi all'odierna udienza i procuratori delle parti che hanno dis- cusso la causa; OSSERVA IN FATTO Con sentenza 10-28 settembre 1991 il pretore di Belluno ha dichiarato che Simioni Carlo ha diritto alla percezione dell'assegno ordinario di invalidita' a decorrere dal 1½ gennaio 1985 ed ha condannato l'I.N.P.S. a corrispondere al predetto Simioni la rivalutazione monetaria sui ratei arretrati (calcolata secondo indici Istat ex art. 150 delle disposizioni attuative del c.p.c.) con decorrenza dal 1½ dicembre 1987 al saldo effettivo, nonche' gli interessi al tasso legale sulla somma rivalutata. Rivalutazione ed interessi sulla somma rivalutata sono stati riconosciuti dal pretore in ossequio alla sentenza n. 156 del 12 aprile 1981 della Corte costituzionale che ha dichiarato parzialmente illegittimo l'art. 442 del c.p.c., per violazione degli artt. 3 e 38 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che il giudice quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti relativi a prestazioni di previdenza sociale, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal titolare per la diminuzione del valore del suo credito, applicando l'indice dei prezzi calcolato dall'Istat per la scala mo- bile nel settore dell'industria e condannando al pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno in cui si sono verificate le condizioni legali di responsabilita' dell'istituto o ente debitore per il ritardo nell'adempimento. La sentenza del pretore, non notificata, e' stata appellata dall'I.N.P.S. con ricorso depositato il 16 settembre 1992 e ritualmente notificato alla controparte. Quale unico motivo di appello, l'istituto adduce il contrasto della statuizione pretorile con il sopravvenuto art. 16, sesto comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, che dispone che "gli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria sono tenuti a corrispondere gli interessi legali, sulle prestazioni dovute, a decorrere dalla data di scadenza del termine previsto per l'adozione del provvedimento sulla domanda") e che "l'importo dovuto a titolo di interessi e' portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subito dal titolare della prestazione per la diminuzione del valore del suo credito": disposizione, questa, che sancisce dunque il principio che la rivalutazione monetaria non deve essere riconosciuta in aggiunta agli interessi legali, ma deve andare eventualmente a coprire la parte di danno non risarcita da questi ultimi. Si e' costituito tempestivamente Simioni Carlo, il quale ha eccepito la novita' della domanda, in quanto tale preclusa in appello ex art. 437, cpv., del c.p.c.; ha altresi' chiesto la reiezione dell'appello per incostituzionalita' della norma invocata a proprio vantaggio dall'appellante istituto; ha eccepito, in ogni caso, la insussistenza di interesse ad agire in capo all'appellante dovendosi ritenere applicabile analogicamente al caso di specie l'art. 52 della legge 9 marzo 1989, n. 88; ha inoltre depositato memoria con note difensive in data 1½ dicembre 1992 sostenendo l'irretroattivita' dell'art. 16, sesto comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, che risulterebbe percio' inapplicabile a rapporti sorti anteriormente alla sua entrata in vigore. Ha a sua volta proposto appello incidentale con riguardo al tempo di insorgenza del diritto, alla decorrenza di rivalutazione ed interessi e alle spese di causa. All'odierna udienza i procuratori della parti hanno discusso la causa riportandosi alle gia' rassegnate conclusioni. Cio' premesso in linea di fatto OSSERVA IN DIRITTO che deve in questa sede sollevarsi questione di legittimita' costituzionale con riguardo all'art. 16, sesto comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, per violazione degli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, avendo tale norma reintrodotto, a giudizio di questo tribunale, l'inammissibile disparita' di trattamento fra crediti di lavoro e crediti previdenziali che la Corte costituzionale, con sentenza 8-12 aprile 1991, aveva inteso eliminare dall'ordinamento con declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 442 del c.p.c. nel senso indicato nelle sopra esposte osservazioni in fatto. Occorre intanto evidenziare che la questione assume senz'altro rilevanza nel giudizio in corso, in primo luogo perche' l'appello proposto dall'I.N.P.S. non puo' ritenersi inammissibile domanda nuova, essendo le stesso fondato sul richiamo a jus superveniens senza dubbio applicabile a rapporto non ancora definito, quale quello oggetto del presente giudizio, per non essere passata in cosa giudicata la sentenza del primo giudice; in secondo luogo perche', per lo stesso motivo appena esposto, la norma de qua risulta immediatamente applicabile al rapporto dedotto in controversia, non tanto perche' retroattiva o interpretativa, bensi' perche' il rapporto stesso sia con riguardo al motivo d'appello proposto dall'I.N.P.S., sia con riguardo ai motivi dell'appello incidentale proposto dal Simioni, non risulta, appunto, ancora definito ed e' dunque soggetto alle norme, anche sopravvenute, che in un senso o nell'altro concorrano alla sua regolamentazione; in terzo luogo perche' non appare applicabile alla fattispecie il disposto di cui all'art. 52, secondo comma, della legge 9 marzo 1989, n. 88, norma che reca eccezione al generale principio di cui all'art. 2033 del c.c. e percio' soggetta al principio di cui all'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale del codice civile. Cio' premesso, dunque, la questione non appare manifestamente infondata. La Corte costituzionale, con la ricordata sentenza 8-12 aprile 1991, ha rilevato come i crediti di lavoro ed i crediti previdenziali debbano essere tra loro assimilati, almeno ai fini dell'automatica rivalutazione ex art. 429 del c.p.c. e della corresponsione degli interessi legali, secondo l'opinione prevalsa, sulla somma rivalutata, osservando come le prestazioni previdenziali si avvicinino ai crediti di retribuzione sotto l'aspetto funzionale, avendo essi "la funzione di surrogare o integrare un reddito di lavoro cessato o ridotto a causa di uno degli eventi considerati dall'art. 38, secondo comma, della Costituzione" (sentenza della Corte costituzionale 8-12 aprile 1991), si' che "si rende applicabile anche alle prestazioni previdenziali l'art. 36, primo comma, quale parametro delle 'esigenze di vita' del lavoratore ..; e poiche' l'art. 429, terzo comma, del cod. proc. civ. e' un modo di attuazione dell'art. 36 .., appare fondata la valutazione .. che nella mancata previsione di una regola analoga per i crediti previdenziali ravvisa una violazione non solo dell'art. 3 della Costituzione, ma altresi' dell'art. 38" (sentenza Corte costituzionale 8/12 aprile 1991). Sussiste dunque, secondo la Corte costituzionale, sostanziale assimilazione fra crediti di lavoro e crediti previdenziali, essendo gli stessi intesi a soddisfare esigenze tra di loro identiche (salva soltanto, per i crediti previdenziali, una diversa decorrenza di rivalutazione ed interessi in relazione alle esigenze organizzative e di gestione degli enti pubblici previdenziali). Ma, come s'e' premesso, l'art. 16, sesto comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, pare avere reintrodotto una ingiustificata discriminazione fra i due tipi di credito, la' dove ha previsto che "gli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria sono tenuti a corrispondere interessi legali, sulle prestazioni dovute, a decorrere dalla data di scadenza del termine previsto per l'adozione del provvedimento sulla domanda", con la precisazione, pero', che "l'importo dovuto a titolo di interessi e' portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subito dal titolare della prestazione per la diminuzione del valore del suo credito". Mutatis mutandis, la disposizione prevede nella sostanza che la rivalutazione del credito venga ad operare, sulla somma capitale base, solo per la parte eccedente il tasso legale degli interessi, laddove di contro e' pacifico che per i crediti di lavoro gli interessi legali devono essere conteggiati sul capitale rivalutato: evidente appare, dunque, una irragionevole disparita' di trattamento, disparita' che la Corte costituzionale, con la ricordata sentenza, aveva inteso eliminare dal sistema. Come premesso, dunque, non puo' non essere sollevata questione di legittimita' costituzionale della norma in questione, che appare in chiaro contrasto, per i motivi tutti sopra esposti, con gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione.