ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 266 del codice
 di procedura penale, promosso con ordinanza emessa  l'8  aprile  1992
 dal  Pretore  di  Macerata  nel procedimento penale a carico di Viele
 Soccorsa, iscritta al n. 419 del registro ordinanze 1992 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  36,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1992;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 16 dicembre  1992  il  Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso  di  un  giudizio  penale,  instaurato a seguito
 dell'opposizione proposta dall'imputata  Viele  Soccorsa  avverso  il
 decreto  penale di condanna con il quale la si accusava, tra l'altro,
 del reato di molestia o disturbo alle persone commesso con  il  mezzo
 del  telefono,  a  fronte  della  richiesta del pubblico ministero di
 produrre in giudizio un tabulato recante l'indicazione  delle  ore  e
 dei giorni nei quali dall'utenza telefonica intestata all'imputata, o
 comunque  nella  disponibilita'  della stessa, erano state effettuate
 chiamate dirette ad altra utenza, intestata  alla  persona  offesa  e
 querelante,  la  difesa dell'imputata aveva dedotto l'irritualita' e,
 quindi,  l'inammissibilita'  di  tale  mezzo  di  prova,  in   quanto
 acquisito dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari
 senza le particolari garanzie assicurate dal codice di rito a cautela
 delle  intercettazioni  telefoniche.  Nell'esaminare la fondatezza di
 tale contestazione, il pretore di Macerata, tenuto a provvedere circa
 l'ammissibilita' delle prove  richieste  dalle  parti  per  l'udienza
 dibattimentale,  con  l'ordinanza  indicata  in  epigrafe ha ritenuto
 rilevante per la risoluzione di tale controversia preliminare  e  non
 manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 266 c.p.p. in riferimento all'art. 15 della Costituzione.
    Il giudice rimettente riconosce che la norma impugnata, cosi' come
 interpretata costantemente dalla giurisprudenza formatasi anche sotto
 il vigore del precedente codice di procedura penale,  definisce  come
 intercettazione  telefonica soltanto l'azione diretta a consentire la
 presa di cognizione del contenuto di una conversazione  intercorrente
 tra  altre  persone e, conseguentemente, esige solo per operazioni di
 tale genere le cautele assicurate dagli artt. 266 e seguenti  c.p.p.,
 negando  altresi' la applicabilita' delle stesse garanzie processuali
 per la esecuzione di  ogni  altra  operazione  tecnica  che  consenta
 l'acquisizione   di   informazioni   diverse   dal   contenuto  della
 conversazione. Ma, proprio in  virtu'  di  tale  interpretazione,  il
 giudice  a  quo ritiene che l'art. 266 c.p.p. sia in contrasto con il
 principio  di  inviolabilita'  e  segretezza  della   corrispondenza,
 sancito dall'art. 15 della Costituzione.
    E'   opinione  del  pretore  rimettente,  infatti,  che  la  norma
 costituzionale, nel tutelare l'inviolabilita' della liberta' e  della
 segretezza   d'ogni   forma   di   comunicazione,   consentendone  la
 limitazione solo per atto motivato dell'autorita' giudiziaria  e  nei
 casi  e  nei  modi stabiliti dalla legge, considera l'oggetto di tale
 tutela  nel  suo  contenuto  piu'  esteso,  come  un  aspetto   della
 fondamentale  condizione  di liberta' della persona. A suo avviso, si
 impone, pertanto, che, a norma dell'art. 15 della  Costituzione,  sia
 assicurato,  non  solo  che  estranei  non  vengano  a conoscenza del
 contenuto di una certa conversazione, ma anche che resti riservato il
 fatto stesso che  una  persona  abbia  voluto  comunicare  con  altra
 persona in una determinata occasione.
    E'  vero,  continua  il giudice a quo, che parte della dottrina ha
 negato  che  tale  interesse   al   segreto   abbia   una   copertura
 costituzionale.   Ma  questa  affermazione,  fatta  per  lo  piu'  in
 relazione alla corrispondenza epistolare o postale in genere (laddove
 il mezzo  esige  che  siano  noti  i  nomi  del  destinatario  e  del
 mittente), non puo' valere quando la comunicazione sia effettuata con
 il  telefono, cioe' con un mezzo la cui scelta come strumento tecnico
 di  conversazione  denota  la  volonta'  del  soggetto  di  mantenere
 riservata  l'identita'  delle  persone  tra  le  quali  intercorre la
 comunicazione.
    Se cosi' e', conclude il giudice  a  quo,  anche  le  informazioni
 esterne  alla  conversazione  (destinatario,  tempo, frequenza, ecc.)
 possono possedere  una  accentuata  valenza  divulgativa  di  notizie
 caratterizzanti  la  personalita' dell'autore, tale da essere oggetto
 di un diritto costituzionale della persona  a  mantenerle  riservate.
 Sicche'  deve  ritenersi  di  dubbia conformita' rispetto all'art. 15
 della Costituzione la norma contenuta  nell'art.  266  c.p.p.,  nella
 parte  in  cui  limita  alle  sole  operazioni di intercettazione del
 contenuto di conversazioni  telefoniche  le  garanzie  e  le  cautele
 stabilite nel capo quarto del titolo terzo del libro terzo (artt. 266
 - 271) del codice di procedura penale.
    2.  - Il Presidente del Consiglio dei Ministri si e' costituito in
 giudizio per chiedere che la questione di legittimita' costituzionale
 sollevata dal pretore di Macerata sia dichiarata non fondata.
    Dopo aver dato atto che anche da parte del giudice rimettente  non
 si   contesta   che   la  definizione  normativa  di  intercettazione
 telefonica,   intesa   univocamente   dalla    giurisprudenza    come
 registrazione  o  presa di conoscenza di una conversazione intercorsa
 tra altre persone, non  ricomprende  l'acquisizione  di  informazioni
 relative  al  fatto  storico  della  conversazione  telefonica e che,
 quindi, la relativa operazione tecnica non e', allo stato,  assistita
 dalle  garanzie  apprestate  dagli  artt.  266  e seguenti c.p.p., la
 difesa erariale afferma  che  nella  previsione  dell'art.  15  della
 Costituzione  non e' ricompresa anche la tutela circa la riservatezza
 della notizia dell'avvenuto collegamento tra due utenze telefoniche.
    A sostegno di questa convinzione, l'Avvocatura dello Stato ricorda
 la estrema facilita' con cui avvengono tali acquisizioni documentali,
 in relazione a fatti di cui l'ente gestore del servizio ha la normale
 disponibilita'  principalmente  per  ragioni  di  contabilita' e che,
 pertanto,  sono  ordinariamente  a  disposizione  dell'utente  quando
 questi   desidera  controllare  l'uso  del  proprio  apparecchio.  Si
 tratterebbe, dunque, di acquisizioni documentali che, ove rilevanti a
 fini probatori, sarebbero regolate dalle disposizioni degli artt. 187
 e seguenti c.p.p. e, particolarmente,  dall'art.  256,  primo  comma,
 c.p.p.,  che  consente all'autorita' giudiziaria di richiedere atti e
 documenti di cui i soggetti indicati negli artt.  200  e  201  c.p.p.
 (tra  i  quali  potrebbe  farsi  rientrare  anche  l'ente gestore del
 servizio pubblico di telefonia) abbiano la disponibilita' in  ragione
 del loro ufficio.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Nel  corso  di  un  giudizio penale instaurato a seguito di
 un'opposizione a un decreto di condanna per molestie o disturbo  alle
 persone  a  mezzo  del telefono, il pretore di Macerata, trovandosi a
 decidere dell'ammissibilita' come mezzo  di  prova  di  un  tabulato,
 recante  l'indicazione  delle  telefonate  effettuate  dalla  persona
 imputata a quella offesa con specificazione dei giorni  e  delle  ore
 delle  stesse, e avendo constatato che il tabulato medesimo era stato
 acquisito dal pubblico  ministero  durante  le  indagini  preliminari
 senza  le  particolari  cautele  assicurate  dal  codice di rito alle
 intercettazioni telefoniche, ha sollevato questione  di  legittimita'
 costituzionale,  in  riferimento  all'art. 15 della Costituzione, nei
 confronti dell'art. 266 c.p.p., nella parte in cui limita  alle  sole
 operazioni   di   intercettazione   del  contenuto  di  conversazioni
 telefoniche le garanzie stabilite nel libro terzo, titolo terzo, capo
 quarto (artt. 266 - 271) del codice di procedura penale.
    Tale pronunzia additiva, precisa il giudice a  quo,  e'  richiesta
 sul  presupposto  che  l'art.  266  c.p.p., essendo circoscritto, per
 costante  orientamento  giurisprudenziale,  all'intercettazione   del
 contenuto  di  una  conversazione  telefonica intercorrente tra altre
 persone, ometterebbe di tutelare con le stesse  garanzie  applicabili
 alle  intercettazioni  telefoniche  anche  il  diritto al segreto sul
 fatto storico dell'intervenuta comunicazione e  sulla  identita'  dei
 soggetti autori della conversazione telefonica, diritto che, a parere
 del  giudice rimettente, rientra nella protezione accordata dall'art.
 15 della Costituzione alla inviolabilita' e  alla  liberta'  di  ogni
 forma di comunicazione.
    2. - La questione non e' fondata, nei sensi di cui in motivazione.
    Come  questa  Corte  ha  da tempo affermato (v. sentenza n. 34 del
 1973),  nell'art.  15  della  Costituzione  "trovano  protezione  due
 distinti  interessi:  quello inerente alla liberta' e alla segretezza
 delle comunicazioni, riconosciuto come connaturale ai  diritti  della
 personalita'  definiti  inviolabili dall'art. 2 della Costituzione, e
 quello connesso all'esigenza di prevenire e reprimere i reati, vale a
 dire ad un bene anch'esso oggetto di protezione  costituzionale"  (v.
 anche  sentt.  nn.  120  del 1975, 98 del 1976, 223 del 1987, 366 del
 1991).
    L'art. 266 c.p.p. e, piu' in generale, le  disposizioni  contenute
 nel  capo  quarto,  del  titolo  terzo,  libro  terzo,  del codice di
 procedura penale costituiscono un'attuazione per via legislativa  dei
 predetti  principi,  che,  al  pari delle norme similari previste nel
 codice  di  rito  previgente,  stabilisce  una disciplina complessiva
 delle intercettazioni telefoniche in relazione ai poteri d'indagine a
 fini di repressione penale e alla loro utilizzabilita' come mezzi  di
 prova  in  giudizio.  Piu'  precisamente  le  anzidette  disposizioni
 stabiliscono  i  limiti  di  ammissibilita'   delle   intercettazioni
 telefoniche  (art.  266),  i presupposti e le forme dei provvedimenti
 che ne dispongono l'effettuazione (art. 267), lo svolgimento puntuale
 delle conseguenti operazioni  (art.  268),  i  modi  e  i  limiti  di
 conservazione della documentazione delle intercettazioni stesse (art.
 269)   e,   infine,  l'utilizzabilita'  di  queste  ultime  in  altri
 procedimenti e i relativi divieti (artt. 270 e 271).
    Le speciali garanzie  previste  dalle  norme  appena  ricordate  a
 tutela  della segretezza e della liberta' di comunicazione telefonica
 rispondono all'esigenza costituzionale per  la  quale  l'inderogabile
 dovere  di prevenire e di reprimere reati deve essere svolto nel piu'
 assoluto rispetto di particolari cautele dirette a tutelare un  bene,
 l'inviolabilita'    della   segretezza   e   della   liberta'   delle
 comunicazioni,  strettamente  connesso  alla  protezione  del  nucleo
 essenziale   della   dignita'   umana   e  al  pieno  sviluppo  della
 personalita' nelle formazioni sociali (art. 2 della Costituzione).
    In altri termini, il particolare rigore  delle  garanzie  previste
 dalle  disposizioni  prima citate intende far fronte alla formidabile
 capacita' intrusiva posseduta dai mezzi tecnici usualmente  adoperati
 per  l'intercettazione  delle  comunicazioni  telefoniche, al fine di
 salvaguardare l'inviolabile dignita'  dell'uomo  da  irreversibili  e
 irrimediabili lesioni.
    3.  -  Cio'  posto,  non vi puo' esser dubbio che, conformemente a
 quanto afferma la giurisprudenza di merito, la particolare disciplina
 predisposta dagli  artt.  266-271  c.p.p.  sulle  intercettazioni  di
 conversazioni  o  di  comunicazioni telefoniche si applica soltanto a
 quelle tecniche che consentono di apprendere, nel momento  stesso  in
 cui  viene  espresso,  il  contenuto  di  una  conversazione o di una
 comunicazione, contenuto che,  per  le  modalita'  con  le  quali  si
 svolge,  sarebbe  altrimenti  inaccessibile  a quanti non siano parti
 della comunicazione medesima.
    Questa delimitazione del campo di  applicabilita'  degli  articoli
 contenuti  nel  capo quarto, titolo terzo, libro terzo, del codice di
 procedura penale non e', come sembra presupporre il giudice a quo, la
 conseguenza logica di  un  particolare  orientamento  interpretativo,
 vo'lto  a  caratterizzare  in  senso  restrittivo  un concetto, quale
 quello   di   intercettazione,    astrattamente    suscettibile    di
 interpretazioni  piu' estensive. Al contrario, la riferibilita' delle
 disposizioni   indicate   esclusivamente   all'intercettazione    del
 contenuto   di   conversazioni  telefoniche  si  deduce  con  estrema
 chiarezza dal complesso delle norme previste in quegli  articoli,  le
 quali  descrivono  operazioni  e  modalita'  di  azione  in  grado di
 assumere un qualche significato normativo soltanto ove siano poste in
 relazione  con  l'apprensione  e  l'acquisizione  del  contenuto   di
 comunicazioni  (v.  specialmente  gli artt. 268 e 269 c.p.p., nonche'
 anche gli artt. 89 e 90 disp. att. c.p.p.).
   Sotto il profilo indicato, la richiesta del giudice a  quo  di  una
 pronunzia  additiva,  vo'lta  ad estendere le garanzie previste dagli
 artt.  266-271  c.p.p.  per  l'intercettazione   del   contenuto   di
 conversazioni  telefoniche  a  qualsiasi  altra  acquisizione  a fini
 probatori  di  notizie  riguardanti  il  fatto storico della avvenuta
 comunicazione, non puo' essere accolta. A tale conclusione,  come  si
 e'  appena precisato, ostano i contenuti normativi delle disposizioni
 della cui legittimita' costituzionale dubita il giudice  a  quo,  dal
 momento che essi sono conformati esclusivamente a operazioni relative
 all'intercettazione  del  contenuto  di conversazioni (telefoniche) e
 non sono, pertanto, estensibili  a  differenti  forme  di  intervento
 nella  sfera  di riservatezza delle comunicazioni tra privati, ne' ad
 aspetti diversi da quello attinente al contenuto delle  comunicazioni
 medesime (identita' dei soggetti, tempo e luogo della conversazione).
    4.  -  D'altra  parte,  fermi  restando  i  limiti di oggetto e di
 disciplina delle norme processuali sulle intercettazioni telefoniche,
 non puo' non essere condivisa la prospettazione avanzata dal  giudice
 a  quo  in  ordine  alla ampiezza della tutela accordata dall'art. 15
 della  Costituzione   alla   liberta'   e   alla   segretezza   della
 comunicazione,  la  quale  e' sicuramente tale da ricomprendere fra i
 propri oggetti anche  i  dati  esteriori  di  individuazione  di  una
 determinata  conversazione  telefonica.  In altri termini, l'ampiezza
 della  garanzia  apprestata  dall'art.  15  della  Costituzione  alle
 comunicazioni  che  si svolgono tra soggetti predeterminati entro una
 sfera giuridica protetta da riservatezza e' tale da ricomprendere non
 soltanto la segretezza del contenuto della  comunicazione,  ma  anche
 quella  relativa all'identita' dei soggetti e ai riferimenti di tempo
 e di luogo della comunicazione stessa.
    Infatti, a partire dalla sentenza n.  34  del  1973,  e'  costante
 affermazione  di  questa Corte che "la liberta' e la segretezza della
 corrispondenza e di ogni altro mezzo di  comunicazione  costituiscono
 un   diritto   dell'individuo   rientrante   tra   i  valori  supremi
 costituzionali, tanto da essere espressamente  qualificato  dall'art.
 15 della Costituzione come diritto inviolabile" (v., da ultimo, sent.
 n.  366  del  1991).  Come la stessa Corte ha ribadito di recente (v.
 sent. n. 10 del 1993), la stretta attinenza della  liberta'  e  della
 segretezza  della comunicazione al nucleo essenziale dei valori della
 personalita' - attinenza che induce a qualificare  il  corrispondente
 diritto  "come  parte necessaria di quello spazio vitale che circonda
 la persona e senza il quale questa non puo' esistere e svilupparsi in
 armonia con i postulati della dignita' umana" (v. sent.  n.  366  del
 1991)  -  comporta  un  particolare vincolo interpretativo, diretto a
 conferire a quella liberta', per  quanto  possibile,  un  significato
 espansivo.
    Sulla  base  di  tali  premesse,  la Corte ha desunto dall'art. 15
 della Costituzione la protezione di una sfera privata attinente  alla
 comunicazione  tra  due o piu' soggetti, nella misura e nei limiti in
 cui a tale sfera possa  essere  riferibile  un  valore  espressivo  e
 identificativo  della  personalita'  umana  e della vita di relazione
 nella quale questa si svolge (art. 2 della Costituzione),  assegnando
 alla  stessa  una  posizione  privilegiata  al  fine di salvaguardare
 l'intangibilita' degli aspetti piu' significativi della  vita  intima
 della persona (v. specialmente sent. n. 366 del 1991).
    Per le ragioni ora esposte non puo' non concordarsi con il giudice
 a quo allorche' afferma che l'art. 15 della Costituzione, in mancanza
 delle garanzie ivi previste, preclude la divulgazione o, comunque, la
 conoscibilita'  da  parte di terzi delle informazioni e delle notizie
 idonee a identificare i dati esteriori della conversazione telefonica
 (autori della comunicazione, tempo e luogo della stessa), dal momento
 che,  facendone  oggetto di uno specifico diritto costituzionale alla
 tutela della sfera privata attinente alla liberta' e alla  segretezza
 della  comunicazione,  ne  affida la diffusione, in via di principio,
 all'esclusiva disponibilita' dei soggetti interessati.
    Piu' precisamente, il riconoscimento e la garanzia  costituzionale
 della  liberta'  e  della  segretezza  della comunicazione comportano
 l'assicurazione che il soggetto titolare del  corrispondente  diritto
 possa  liberamente  scegliere  il  mezzo  di corrispondenza, anche in
 rapporto ai diversi requisiti di riservatezza che questo assicura sia
 sotto il profilo tecnico, sia sotto  quello  giuridico.  E  non  v'e'
 dubbio che, una volta che una persona abbia prescelto l'uso del mezzo
 telefonico,   vale  a  dire  l'utilizzazione  di  uno  strumento  che
 tecnicamente assicura una segretezza piu' estesa di quella riferibile
 ad altri mezzi di  comunicazione  (postali,  telegrafici,  etc.),  ad
 essa,  in  forza  dell'art. 15 della Costituzione, va riconosciuto il
 diritto di  mantenere  segreti  tanto  i  dati  che  possano  portare
 all'identificazione  dei  soggetti della conversazione, quanto quelli
 relativi al tempo e al  luogo  dell'intercorsa  comunicazione.  Nello
 stesso  tempo,  sempre  in forza dell'art. 15 della Costituzione, non
 puo'  negarsi   che   al   riconoscimento   di   tale   diritto   sia
 coessenzialmente  legata  la garanzia consistente nel dovere, posto a
 carico di tutti  coloro  che  per  ragioni  professionali  vengano  a
 conoscenza del contenuto e dei dati esteriori della comunicazione, di
 mantenere  il  piu'  rigoroso riserbo sugli elementi appena detti. Se
 questa garanzia non ci fosse,  infatti,  risulterebbe  vanificato  il
 contenuto  del  diritto  che  l'art.  15  della  Costituzione intende
 assicurare al patrimonio inviolabile di ogni persona in  relazione  a
 qualsiasi   forma   di  comunicazione,  tanto  piu'  se  quest'ultima
 comporta,   per   la   propria   realizzazione,    una    consistente
 organizzazione di mezzi e di uomini.
     5.  -  Nelle  norme  del  codice  di  procedura  penale  relative
 all'acquisizione delle prove in giudizio i valori costituzionali  ora
 ricordati   sono  rappresentati  in  misura  indubbiamente  ampia  e,
 tuttavia, parziale.
    Oltre agli  articoli,  precedentemente  indicati,  concernenti  le
 intercettazioni del contenuto di conversazioni telefoniche (artt. 266
 -  271  c.p.p.),  assume  sicuramente  rilievo  l'art. 256 c.p.p., il
 quale, nel regolare  in  via  generale  l'acquisizione  di  documenti
 coperti  dal segreto professionale (o dal segreto di Stato), pone una
 disciplina applicabile anche all'ente gestore del  servizio  pubblico
 della  telefonia e, pertanto, costituisce, per l'aspetto considerato,
 l'attuazione per via legislativa della tutela connessa al  dovere  di
 riserbo,  implicitamente  contenuto  nell'art.  15 della Costituzione
 come garanzia istituzionale del diritto della persona alla liberta' e
 alla segretezza delle comunicazioni.  Tuttavia,  proprio  in  ragione
 della  sua  natura  giuridica, tale garanzia, contrariamente a quanto
 suppone l'Avvocatura dello Stato, non puo' essere  scambiata  con  la
 tutela  direttamente  attribuita  ai  soggetti della comunicazione in
 ordine alla segretezza della sfera privata che  circonda  l'esercizio
 della   relativa   liberta',  se  non  altro  perche'  oggetto  della
 protezione  accordata  dall'art.   256   c.p.p.   e'   immediatamente
 l'interesse  sottostante  all'attivita'  professionale,  e  non  gia'
 quello proprio dei soggetti della comunicazione, cioe'  degli  utenti
 del servizio professionalmente erogato.
    Anche  se  la  tutela  relativa  alla  riservatezza  dei  dati  di
 identificazione  dei  soggetti,  del  tempo   e   del   luogo   della
 comunicazione   non   si  e'  finora  tradotta  in  specifiche  norme
 processuali, tuttavia l'acquisizione come mezzi  di  prova  dei  dati
 medesimi  non  puo'  non  avvenire  nel  piu' rigoroso rispetto delle
 regole che  la  stessa  Costituzione  pone  direttamente,  con  norme
 precettive,  a  garanzia  della  liberta'  e della segretezza di ogni
 forma di comunicazione. Infatti, come questa Corte ha  implicitamente
 riconosciuto  (v.  sent.  n.  34  del  1973), non possono validamente
 ammettersi in giudizio mezzi  di  prova  che  siano  stati  acquisiti
 attraverso   attivita'   compiute   in   violazione   delle  garanzie
 costituzionali poste a tutela dei fondamentali  diritti  dell'uomo  o
 del  cittadino.  E,  con  specifico riguardo al problema in esame, la
 stessa Corte ha ripetutamente ribadito  che,  a  norma  dell'art.  15
 della   Costituzione,   le   informazioni   o   i   dati  comportanti
 intromissioni nella sfera privata attinente  al  diritto  inviolabile
 della  liberta' e della segretezza della comunicazione possono essere
 acquisiti soltanto sulla base di un atto dell'autorita'  giudiziaria,
 sorretto   da   "un'adeguata  e  specifica  motivazione",  diretta  a
 dimostrare la sussistenza in concreto di esigenze istruttorie  vo'lte
 al  fine,  costituzionalmente  protetto,  della  prevenzione  e della
 repressione dei reati (v. sentt. nn. 34 del 1973, 98  del  1976,  223
 del 1987, 366 del 1991).
    Ferma  restando  la  liberta'  del  legislatore  di stabilire piu'
 specifiche norme di attuazione dei predetti principi  costituzionali,
 il  livello minimo di garanzie appena ricordato - che esige con norma
 precettiva tanto il rispetto di requisiti soggettivi di validita'  in
 ordine  agli interventi nella sfera privata relativa alla liberta' di
 comunicazione  (atto  dell'autorita'  giudiziaria,  sia   questa   il
 pubblico  ministero,  il  giudice  per  le  indagini preliminari o il
 giudice del dibattimento), quanto il rispetto di requisiti  oggettivi
 (sussistenza  e  adeguatezza  della  motivazione in relazione ai fini
 probatori concretamente perseguiti) - pone un parametro di  validita'
 che spetta al giudice a quo applicare direttamente al caso di specie,
 al  fine  di  valutare  se  l'acquisizione  in giudizio del tabulato,
 contenente l'indicazione  dei  riferimenti  soggettivi,  temporali  e
 spaziali  delle  comunicazioni  telefoniche  intercorse, possa essere
 considerata legittima e, quindi, ammissibile.