Ricorso  della  regione  Lombardia, in persona del presidente della
 giunta regionale Fiorinda Ghilardotti autorizzata con delibera  della
 giunta  regionale  n.  33676 del 2 marzo 1993, rappresentata e difesa
 dagli avv.ti prof. Valerio Onida e Gualtiero Rueca, ed  elettivamente
 domiciliata  presso quest'ultimo in Roma, largo della Gancia, 1, come
 da delega in  calce  al  presente  atto,  contro  il  Presidente  del
 Consiglio   dei   Ministri   pro-tempore   per  la  dichiarazione  di
 illegittimita' costituzionale degli artt. 1  (terzo  comma),  13,  15
 (secondo  comma),  18 (primo comma), 26, 27 (secondo e quarto comma),
 28, 30 (secondo comma), 31, 32, 34, 33, 35, 41 (primo e terzo comma),
 42 (secondo comma), 43, 45, 47, 49 (secondo comma), 50, 51,  52,  54,
 60,  61  (secondo comma), 63 (secondo comma), 64, 65, 67, 70 (secondo
 comma), del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, recante "razionalizzazione
 dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della
 disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'art. 2  della
 legge  23 ottobre 1992, n. 421", pubblicato nel supplemento ordinario
 alla Gazzetta Ufficiale n. 30 del 6 febbraio 1993.
    1. - Il decreto legislativo n. 29/1993, in attuazione della delega
 di cui all'art. 2 della legge 23 ottobre  1992,  n.  421,  detta  una
 nuova  disciplina  dell'"organizzazione degli uffici" e dei "rapporti
 di  lavoro  e  di  impiego  alle  dipendenze  delle   amministrazioni
 pubbliche"  (art.  1,  primo  comma),  con disposizioni espressamente
 dichiarate applicabili a tutte le  "amministrazioni  pubbliche",  ivi
 comprese  le regioni e gli enti publici non economici regionali, e le
 aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale (art. 1,  secondo
 comma).
    Questa   Corte  ha  avuto  modo,  soprattutto  nella  sentenza  n.
 219/1984, e in seguito  nella  sentenza  n.  1001/1988  ed  in  altre
 ancora,  di  chiarire  i  limiti  e  le  condizioni  alle  quali  una
 disciplina legislativa statale o una  disciplina  recata  da  accordi
 sindacali   nazionali   possono   vincolare   le  regioni  in  ordine
 all'organizzazione degli uffici delle regioni medesime e  degli  enti
 strumentali  di  esse,  nonche' al rapporto di impiego dei dipendenti
 delle regioni e degli enti strumentali di esse.
    In particolare la Corte ha ribadito che spetta  alle  regioni  "la
 potesta'  di  emanare, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti
 dalla legge dello Stato, norme legislative relative agli  ordinamenti
 degli  uffici",  e  che,  "nella sua operativita', il principio della
 disciplina in base ad accordi va conciliato col principio ..  secondo
 il quale, nelle regioni, deve essere regolato con legge l'ordinamento
 degli  uffici  e del personale ad essi addetto, quanto agli ambiti di
 disciplina riservati alla legge"; onde "spetta alle  leggi  regionali
 non  la  pura  e semplice riproduzione dell'accordo sindacale in sede
 nazionale,  ma  il  suo  adeguamento,  quando  sia  necessario,  alle
 peculiarita' dell'ordinamento degli uffici ed alle disponibilita' del
 bilancio   regionale"   (sent.   n.  219/1984);  e  ha  ritenuto  non
 illegittimo il sistema delineato nella legge n.  93/1983  (una  volta
 dichiarata,    con    la    sentenza   n.   219/1984,   la   parziale
 incostituzionalita' dell'art. 10, terzo  comma)  in  quanto  ciascuna
 regione  viene "legittimata dalla stessa legge a partecipare in piena
 autonomia, ad ambedue le fasi fondamentali" del procedimento; e cioe'
 "sia la  fase  contrattuale,  mediante  la  presenza  di  un  proprio
 rappresentante  nella delegazione di parte pubblica costituita per la
 stipula   degli   accordi  ..;  sia  alla  fase  normativa,  mediante
 l'approvazione con provvedimento regionale degli  accordi  stipulati,
 approvazione  cui  la  legge  subordina  l'operativita'  degli stessi
 accordi nell'ambito regionale" (sent. n. 1001/1988).
    Ora, il d.lgs. n. 29/1993 contiene numerose disposizioni,  che  si
 pretendono  vincolanti  per  le  regioni  e  per  gli  enti  da  esse
 dipendenti, in ordine all'organizzazione dei  propri  uffici  e  alla
 disciplina  del  relativo  personale, le quali ledono l'ambito minimo
 garantito dell'autonomia regionale in questa materia, come  tracciato
 nella ricordata giurisprudenza di questa Corte.
    In  concreto,  si  tratta  di  disposizioni  che  disciplinano fin
 nell'estremo dettaglio aspetti  dell'organizzazione  degli  uffici  e
 della  disciplina  del personale; che prevedono poteri di direttiva e
 di sostituzione in capo a organi statali nei confronti delle regioni;
 che statuiscono procedimenti di mobilita' governati  dallo  Stato  ma
 coinvolgenti  in  via obbligatoria anche il personale delle regioni e
 degli enti dipendenti; che disciplinano la stipulazione di  contratti
 collettivi  nazionali,  vincolanti anche nei confronti delle regioni,
 con procedimenti che escludono del tutto  le  singole  regioni  dalla
 fase  contrattuale,  e  non  consentono  alcuna  autonomia nella fase
 successiva, in ordine all'applicazione degli accordi, eliminando anzi
 la  fase  "normativa"  di  attuazione  degli  accordi  medesimi;  che
 prevedono  poteri  di vincolo e di controllo dello Stato in ordine al
 controllo della spesa per il personale.
    Infine, e per soprammercato, il decreto detta una nuova disciplina
 delle funzioni del commissario del Governo presso le  regioni  e  dei
 rapporti  tra  Governo  e  regioni,  non  conforme,  ad  avviso della
 ricorrente, ai principi costituzionali.
    Tali  disposizioni  appaiono   pertanto   illegittime   e   lesive
 dell'autonomia  regionale  per  violazione degli artt. 117, 118 e 119
 della Costituzione,  nonche'  dell'art.  76  della  Costituzione,  in
 relazione   all'oggetto  e  ai  criteri  direttivi  della  delega,  e
 dell'art. 39 della Costituzione.
    2.  -  Ai  sensi  dell'art.  1,  terzo  comma,  del   decreto   le
 disposizioni  del  medesimo  "costituiscono  principi fondamentali ai
 sensi dell'art. 117 della  Costituzione"  e  "le  regioni  a  statuto
 ordinario  si  attengono ad esse tenendo conto della peculiarita' dei
 rispettivi ordinamenti".
    A parte l'incertezza  sul  significato  di  quest'ultima,  per  la
 verita' oscura, proposizione, e' chiaro che tutte le disposizioni del
 decreto  sono  dichiarate  espressamente  vincolanti e non derogabili
 dalla regione. Ora, e' ben vero che lo stesso art. 2, secondo  comma,
 della  legge  di  delega  n.  421/1992  prevedeva  - con norma invero
 singolare,  in  quanto  riferita  a  disposizioni  future  -  che  le
 disposizioni  non  solo  dello  stesso  art.  2 ma anche "dei decreti
 legislativi in esso previsti" costituiscono principi fondamentali  ai
 sensi dell'art. 117 della Costituzione.
    Ma e' altrettanto vero che, concretandosi ora il d.lgs. n. 29/1993
 il contenuto della legislazione delegata, e risultando tale contenuto
 per   piu'   parti  eccedente  l'ambito  e  i  limiti  dei  "principi
 fondamentali", la pretesa di vincolare le regioni  all'osservanza  di
 tutte  le  disposizioni del decreto, comprese quelle, in concreto, di
 estremo  dettaglio,   realizza   l'attuale   lesione   dell'autonomia
 regionale. E cio' anche a prescindere dal pur legittimo interrogativo
 se  una  legislazione  delegata,  di  per se' attuativa di principi e
 criteri direttivi e dunque avente carattere di dettaglio (soprattutto
 quando, come nella specie, i criteri della delega sono a  loro  volta
 particolareggiati  e  stringenti),  e  comunque  eccedente i principi
 fondamentali, possa contenere disposizioni che pretendano  invece  di
 valere  inderogabilmente  nei confronti delle regioni alla stregua di
 principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione.
    Pertanto la chiesta dichiarazione di illegittimita' costituzionale
 dovra' investire anzitutto la disposizione dell'art. 1,  terzo  comma
 del  decreto,  quanto  meno  nella  parte  in  cui  tende  a  rendere
 vincolante nei confronti della  regione  tutte  le  disposizioni  del
 decreto  stesso, ivi comprese quelle aventi carattere di normativa di
 dettaglio e non di principio.
    3. - Il capo II del  titolo  II  (dedicato  all'"organizzazione"),
 disciplina la "dirigenza".
    Stando  al  tenore  letterale  dell'art.  13,  ai  cui  sensi  "le
 disposizioni del presente  capo  si  applicano  alle  amministrazioni
 dello  Stato,  anche  ad ordinamento autonomo, agli enti pubblici non
 economici  nazionali,  alle   istituzioni   universitarie   ed   alle
 amministrazioni,  aziende  ed enti del servizio sanitario nazionale",
 mentre "a tali disposizioni si  attengono  le  amministrazioni  degli
 enti   locali,   conformando  a  tale  fine  i  propri  ordinamenti",
 sembrerebbe doversi escludere  che  in  detto  capo  siano  contenute
 disposizioni  destinate  a  valere anche nei riguardi delle regioni e
 della relativa dirigenza.
    Peraltro il decreto sembra contraddirsi, la' dove, in disposizioni
 successive, mostra di estendere invece alcune disposizioni  del  capo
 stesso  alla  dirigenza  di tutte le "amministrazioni pubbliche", con
 l'esclusione  solo  di  alcune  categorie   di   personale   statale,
 stabilendo   che  tale  dirigenza  si  articoli  sulla  qualifica  di
 "dirigente"  (sembra  di  intendere,   unica,   mentre   solo   nelle
 amministrazioni statali o di enti pubblici non economici (espressione
 con  la quale solitamente si designano gli enti funzionali, ma non le
 regioni e gli altri enti territoriali), resterebbe, ove  prevista  in
 base   a   specifiche   disposizioni  legislative,  la  qualifica  di
 "dirigente generale", articolata "nei livelli  di  funzioni  previsti
 dalle  vigenti disposizioni" (art. 25, secondo comma); o, ancora, la'
 dove si riferisce espressamente anche  ai  dirigenti  della  regione,
 stabilendo  che  "per  le  regioni,  il  dirigente cui sono conferite
 funzioni di coordinamento e' sovraordinato, limitatamente alla durata
 dell'incarico, al restante personale dirigenziale" (art. 27,  secondo
 comma,  seconda  parte;  cosi'  confermando  implicitamente, a quanto
 sembra,  l'unicita'  della  qualifica  dirigenziale  nelle   regioni,
 nonche' sancendo il carattere meramente funzionale e temporaneo degli
 incarichi   di   coordinamento,   e  disciplinando  il  rapporto  fra
 coordinatori e altri dirigenti, e in tal modo pregiudicando  fino  al
 dettaglio la disciplina della dirigenza regionale).
    Si  tenga  presente  che  nelle  regioni,  e  cosi'  nella regione
 ricorrente, in base all'attuale disciplina la  carriera  dirigenziale
 e'  articolata  su  due  qualifiche  diverse.  Se le disposizioni ora
 richiamate si intendono nel senso che esse si  applicano  anche  alla
 dirigenza  regionale  (il  che, almeno nel caso dell'art. 27, secondo
 comma, e' addirittura affermato esplicitamete) ne  conseguirebbe  che
 le  regioni  sarebbero  costrette a modificare il proprio ordinamento
 riducendo  da due a una le qualifiche dirigenziali e disciplinando le
 funzioni di coordinamento nel modo specifico stabilito  nella  citata
 norma  del  decreto.  Il che, peraltro, non potrebbe non configurarsi
 come  una  palese  violazione  della  competenza   e   dell'autonomia
 regionale.
    4.  -  L'art.  18,  primo  comma,  stabilisce  che,  ai fini della
 verifica  dei  risultati  conseguiti  dai  dirigenti,  e'  attribuito
 all'organismo  di cui all'art. 2, primo comma, lett. mm), della legge
 n. 421/1992 (organismo interamente statale) il compito  di  definire,
 sulla  base  delle indicazioni del Ministero del tesoro, "i criteri e
 le procedure per l'analisi e la valutazione  dei  costi  dei  singoli
 uffici".
    A  sua  volta  l'art. 28 del decreto (sempre compreso nel capo II)
 disciplina l'accesso alla qualifica di dirigente con disposizioni  di
 estremo  dettaglio,  e  attribuisce  al  Presidente del Consiglio dei
 Ministri il compito di definire con  proprio  decreto  le  specifiche
 modalita'  dei  concorsi  e delle selezioni (percentuale riservata al
 concorso per esame, percentuali di posti da riservare al personale di
 ciascuna amministrazione, criteri per la  composizione  e  la  nomina
 delle   commissioni  esaminatrici,  modalita'  di  svolgimento  delle
 selezioni, ecc.).  Ove  si  ritenesse  che  tali  disposizioni  siano
 applicabili  anche  alla dirigenza delle regioni e degli enti da esse
 dipendenti, esse dovrebbero  essere  ritenute  illegittime  e  lesive
 della competenza e dell'autonomia della regione.
    5.   -  L'art.  13  del  decreto,  come  si  e'  visto,  riferisce
 l'applicabilita' di (tutte) le disposizioni del capo sulla  dirigenza
 del medesimo decreto anche alle "amministrazioni, aziende ed enti del
 servizio  sanitario  nazionale,  fatto  salvo quanto stabilito per il
 ruolo sanitario nel decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502"  (a
 sua   volta   impugnato   dalla   regione  ricorrente  in  varie  sue
 disposizioni, e in ogni caso contenente dettagliate disposizioni  sul
 personale della sanita').
    Ora,   tale  avocazione  integrale  allo  Stato  della  competenza
 legislativa in ordine  al  personale,  in  ispecie  dirigente,  della
 sanita' poteva, entro certi limiti, comprendersi forse nel precedente
 sistema in cui le U.S.L. erano configurate come "strutture operative"
 dei  comuni,  e  dunque  il relativo personale poteva assimilarsi per
 certi versi al personale dei  comuni:  benche'  questa  Corte,  nelle
 sentenze  n.  307/1983  e n. 219/1984, avesse pure affermato che alla
 regione, in quanto titolare delle attribuzioni in materia di sanita',
 spetta uno spazio di autonomia  e  di  competenza  costituzionalmente
 garantito in tema di governo del personale del servizio sanitario.
    In  ogni  caso, una siffatta avocazione integrale allo Stato della
 disciplina  del  personale  della  sanita'  non  e'  compatibile  con
 l'odierna  configurazione  delle  U.S.L.  come enti strumentali dalla
 regione (art. 3, primo comma, d.lgs. n. 502/1992).
    La competenza regionale in materia di "ordinamento ..  degli  enti
 amministrativi    dipendenti   dalla   regione"   (art.   117   della
 Costituzione) non puo' non estendersi dunque oggi agli enti sanitari;
 e dunque la disciplina del relativo personale non puo' che  spettare,
 entro i limiti dell'art. 117 della Costituzione, alla regione.
    L'art.  13  del  d.lgs.  n.  29/1993 e' pertanto illegittimo nella
 parte in cui estende tutte le disposizioni del capo  II,  titolo  II,
 del  decreto  medesimo  alle  amministrazioni,  aziende  ed  enti del
 servizio sanitario nazionale.
    6.   -   Risultano  inoltre  lesive  dell'autonomia  regionale  le
 specifiche disposizioni che il decreto detta in tema di dirigenza del
 servizio sanitario nazionale.
    Tale l'art. 26, che detta norme transitorie  per  tale  dirigenza,
 scendendo fino a stabilire che le posizioni funzionali corrispondenti
 al 10½ e all'11½ livello retributivo dei ruoli professionali, tecnico
 ed  amministrativo  sono conservate ad personam fino all'attribuzione
 della qualifica (unica, sembra  di  intendere)  di  dirigente  (primo
 comma),  e  che  i profili ricompresi nella nona posizione funzionale
 dei predetti ruoli sono soppressi (terzo comma, seconda parte); che i
 concorsi per le posizioni funzionali  corrispondenti  al  9½  livello
 sono  revocati  ove  non  siano  iniziate  le  prove di esame (quarto
 comma); che fino alla ridefinizione delle piante organiche  non  puo'
 essere  disposto  alcun  incremento  delle  dotazioni  organiche  per
 ciascuna delle attuali posizioni funzionali  dirigenziali  dei  ruoli
 sanitario,  professionale,  tecnico  ed amministrativo, cosi' ledendo
 direttamente e gravemente la competenza riconosciuta dalla Corte alla
 regione, pur nel passato ordinamento del servizio sanitario, in  tema
 di  controllo  degli  organici delle U.S.L. (sentt.   n. 307/1983; n.
 219/1984; e cfr. art. 15, undicesimo comma,  n.  4,  della  legge  n.
 833/1978).  Ancora,  l'art.  27,  quarto  comma,  demanda bensi' alla
 regione la individuazione  dell'organo  competente  a  effettuare  la
 verifica  dei  risultati  dell'attivita'  svolta dagli uffici ai fini
 della responsabilita' dei dirigenti, ai sensi dell'art.  20,  secondo
 comma,  ma prevede che, decorso inutilmente il termine di centottanta
 giorni, "provveda il Presidente del Consiglio  dei  Ministri  in  via
 sostitutiva":  configurando  cosi' un potere sostitutivo non ancorato
 alle condizioni, ai parametri e alle modalita'  procedurali  ritenute
 necessarie  dalla  giurisprudenza di questa Corte, in particolare non
 prevedendo alcuna previa diffida (tale norma sembra  riferibile  solo
 alla  individuazione  dell'organo  competente per le amministrazioni,
 aziende ed enti del servizio sanitario nazionale, di cui e' parola in
 precedenti proposizioni dello stesso comma; che'  se  la  si  dovesse
 ritenere,  invece,  riferita  anche  agli  uffici della regione, come
 potrebbe far pensare la sua collocazione alla fine del comma, dopo la
 menzione degli enti locali,  ancora  piu'  grave  e  troppo  evidente
 sarebbe la lesione della competenza e dell'autonomia regionale).
    Infine   l'art.  28,  decimo  comma,  disciplina  dettagliatamente
 l'accesso al livello dirigenziale del ruolo professionale, tecnico ed
 amministrativo del servizio sanitario nazionale, nonche' i  requisiti
 di  ammissione,  e  la  riserva  di  posti  a favore del personale in
 servizio presso l'ente che bandisce il  concorso:  ancora  una  volta
 attraendo   integralmente   nell'ambito  di  una  disciplina  statale
 particolare la dirigenza  di  enti,  come  le  U.S.L.  e  le  aziende
 ospedaliere,  ormai  divenute  per  espressa volonta' del legislatore
 enti dipendenti della regione, e dunque rientranti  pienamente  nella
 competenza  regionale  di  cui  al  primo  alinea dell'art. 117 della
 Costituzione.
    7. - Il capo III del titolo  II  del  decreto  si  riferisce  agli
 "uffici, piante organiche, mobilita' a' accesso", ed e' applicabile a
 tutte le amministrazioni pubbliche, dunque anche alle regioni ed agli
 enti da esse dipendenti.
    L'art.  30,  secondo  comma, imponendo una ridefinizione triennale
 degli uffici e delle piante organiche "secondo il disposto  dell'art.
 6" (che peraltro si riferisce solo alle amministrazioni dello Stato),
 prevede  direttive  del  Dipartimento  della  funzione  pubblica,  di
 concerto col Ministro del tesoro.
    Se tale disposizione si ritenga applicabile anche alle  regioni  e
 agli  enti  dipendenti, la lesione dell'autonomia, insita soprattutto
 nel  potere  di  direttiva  accennato,  attribuito  ad   un   ufficio
 dell'amministrazione centale dello Stato, non potrebbe negarsi.
    A  sua  volta  l'art. 31 disciplina, in sede di prima applicazione
 del decreto, la rilevazione del personale e la formazione di proposte
 di ridefinizione degli uffici e delle piante organiche (primo  comma,
 lettere a) e b)), imponendo altresi' di "conseguire una riduzione per
 accorpamento  degli  uffici  dirigenziali,  e,  in conseguenza, delle
 dotazioni  organiche  del  personale  dirigenziale,  in  misura   non
 inferiore  al  10  per  cento",  nonche' riservando un contingente di
 dirigente per l'esercizio delle funzioni di direzione e coordinamento
 di sistemi informatico-statistici e  del  relativo  personale  (primo
 comma, lett. b)).
    Le  rilevazioni e le proposte sono trasmesse al dipartimento della
 funzione pubblica e al Ministro del tesoro (terzo comma), e cio' vale
 anche per le amministrazioni non statali - cui dunque tale disciplina
 si applica - come risulta dalla previsione di un  potere  sostitutivo
 del  Presidente  del  Consiglio in ordine a tale trasmissione (quinto
 comma).
    All'approvazione delle proposte per le amministrazioni non statali
 si procede con i provvedimenti e nei termini previsti dai  rispettivi
 ordinamenti  (quarto  comma); ma in caso di inerzia e' previsto, come
 si e' detto, un potere  sostitutivo  del  Presidente  del  Consiglio,
 esteso  alla  stessa  formulazione  oltre che alla trasmissione delle
 proposte (quinto comma: per l'approvazione non si dice nulla).
    Infine si vieta l'assunzione di personale fino  a  che  non  siano
 state approvate le proposte in questione (sesto comma).
    Anche  tale  disciplina  risulta  lesiva dell'autonomia regionale,
 specie  la'  dove   pretende   di   imporre   riduzioni   addirittura
 quantitativamente  determinate (in termini percentuali, quale che sia
 la situazione attualeÝ) degli uffici dirigenziali e  delle  dotazioni
 organiche,  dove  prevede  un controllo su tali proposte da parte del
 dipartimento della funzione pubblica, nonche' un  potere  sostitutivo
 che  inciderebbe  su  questioni  di  stretta  pertinenza  e interesse
 dell'ente  decentrato  (e  cosi'  dalla  regione),  e   dove   infine
 stabilisce  un  vero  e  proprio  blocco  temporaneo delle assunzioni
 (sesto comma).
    8. - Gli artt. 32, 33, 34  e  35  disciplinano  la  mobilita'  del
 personale   tra   diversi   enti   anche   di   diversi  comparti  di
 contrattazione.
    Questa Corte ha avuto modo, nelle sentenze nn. 407 e 410 del 1989,
 di precisare i limiti entro i quali la disciplina della mobilita' del
 personale fra diverse amministrazioni puo' trovare  applicazione  nei
 confronti  delle regioni; essa ha ritenuto in particolare illegittime
 norme che escludano "qualsiasi intervento regionale  in  ordine  alle
 decisioni  circa  i  movimenti  di  personale  da o verso le regioni"
 determinano  cosi'  "una   penetrante   interferenza   nell'autonomia
 regionale,  senza  che, d'altra parte, esse "norme" possano ritenersi
 strettamente necessarie al fine di soddisfare  l'interesse  nazionale
 che le sorregge", nonche' violando il principio di leale cooperazione
 (sent.   n.  407/1989);  e  ha  affermato  che  non  possono  trovare
 applicazione nei confronti delle regioni  norme  "che  impongono  una
 serie   di   adempimenti   specifici   e   puntuali  a  carico  delle
 amministrazioni destinatarie" (sent. n. 4109/1989).
    Ora, invece, gli artt. 32, 33,  34  e  35  del  decreto  impugnato
 dettano  una  minuziosa  disciplina  della mobilita', estesa a quanto
 sembra anche alle regioni, e governata  esclusivamente  dagli  organi
 centrali, senza alcun intervento delle regioni medesime.
    Cosi'  si  dispone la comunicazione al dipartimento della funzione
 pubblica della consistenza del personale e delle relative carenze  ed
 esuberanze,  con l'elenco nominativo dei dipendenti appartenenti alle
 qualifiche e ai  profili  che  presentano  esuberi  (art.  32,  primo
 comma),  assoggettando  questi ultimi a mobilita' per trasferimento a
 domanda o d'ufficio (secondo comma); la trasmissione al  dipartimento
 della  funzione  pubblica  dell'elenco  nominativo  delle  domande di
 trasferimento (terzo comma), disponendo il divieto di assumere  nuovo
 personale  per le amministrazioni che non provvedano agli adempimenti
 predetti (quarto comma); e si estendono le disposizioni  dell'art.  5
 della  legge  n.  554/1988  agli  enti  strumentali  e  agli enti non
 economici dipendenti dalle regioni (quinto comma).
    Si attribuiscono poi ai  comitati  provinciali  (statali)  di  cui
 all'art.  17  del d.l. n. 152/1991 il compito di formulare "proposte
 per la razionale redistribuzione del personale delle  amministrazioni
 pubbliche  presenti  nella  provincia"  (art.  33, primo comma), e ai
 comitati metropolitani il compito di predisporre  "progetti  per  una
 razionale   redistribuzione   del  personale  nei  rispettivi  ambiti
 provinciali"  (secondo  comma).  I   provvedimenti   conseguenti   di
 trasferimento  del personale sono adottati con decreto del Presidente
 del Consiglio (terzo comma).
    Il personale che  non  ottemperi  al  trasferimento  d'ufficio  e'
 collocato in disponibilita' (art. 34).
    E'  demandato  infine  ad  un decreto del Presidente del Consiglio
 (qualificato   "regolamento"   all'art.   35,   secondo   comma)   di
 disciplinare  criteri  e  procedure  per l'attuazione della mobilita'
 volontaria  e  d'ufficio,  i   criteri   di   coordinamento   fra   i
 trasferimenti a domanda e d'ufficio e fra le procedure di mobilita' e
 i  nuovi  accessi,  le  fasi dell'informazione e i contenuti generali
 oggetto dell'eventuale esame con le  rappresentanze  sindacali  (art.
 35, primo comma).
    Per  l'attuazione  della  mobilita'  esterna  i trasferimenti sono
 disposti con decreto del Presidente del Consiglio  (art.  35,  quarto
 comma).
    Si  noti, in particolare, che si prevede, ad opera del regolamento
 statale, la disciplina dei criteri e delle modalita' per la mobilita'
 del personale fra le strutture del servizio sanitario nazionale  e  i
 servizi  sanitari  centrali  e periferici del Ministero della sanita'
 (art. 35, terzo comma): confermando cosi' l'"attuazione"  nell'orbita
 statale   del   personale   della  sanita',  addetto  invece  a  enti
 strumentali della regione.
    Tale disciplina della mobilita', che non prevede nessun intervento
 della regione per i procedimenti di mobilita' da e verso  la  regione
 medesima,  e  attribuisce tutti i poteri a livello sia regolamentare,
 sia di amministrazione puntuale, agli organi statali, e'  palesemente
 lesiva  dei  criteri  affermati dalla Corte nelle citate sentenze nn.
 407 e 410 del 1989.
    9. - L'art. 41 demanda ad un regolamento del governo la disciplina
 dei  requisiti  di  accesso  all'impiego   (compresa   la   "relativa
 documentazione"),  dei  contenuti  dei  bandi  di  concorso  e  delle
 modalita' di svolgimento delle  prove  concorsuali,  delle  categorie
 riservate e dei titoli di precedenza e di preferenza, delle procedure
 di  reclutamento  tramite liste di collocamento, della composizione e
 degli adempimenti delle commissioni giudicatrici (primo comma).
    Ove tale disciplina risulti applicabile anche per  l'accesso  agli
 uffici  regionali e degli enti dipendenti dalla regione, nonche' agli
 uffici  degli  enti   sanitari,   essa   appare   gravemente   lesiva
 dell'autonomia,  comportando  fra l'altro l'esercizio di una potesta'
 regolamentare del Governo in materia di competenza  regionale  (senza
 peraltro  sufficienti  criteri  legislativamente  fissati,  e  dunque
 altresi' in violazione del principio di  legalita'  sostanziale),  in
 contrasto  con  la  Costituzione e con il divieto di cui all'art. 17,
 seconda comma, lett. b), della legge n. 400/1988.
    10. - L'art. 42, secondo comma, prevede  direttive  impartite  dal
 dipartimento  della funzione pubblica sui programmi di assunzione per
 portatori di handicap nelle amministrazioni pubbliche: anche  in  tal
 caso  siamo  in  presenza di una potesta' di direttiva statale che si
 estende, illegittimamente, a materie di competenza regionale, come e'
 l'assunzione negli uffici della regione e degli enti dipendenti.
    11. - L'art. 43 stabilisce che agli assunti all'impiego presso  le
 amministrazioni  pubbliche  si applicano le disposizioni dell'art. 7,
 quinto e settimo comma,  della  legge  n.  444/1985  (concernente  la
 presentazione  dei  documenti  e  l'efficacia  dei  provvedimenti  di
 nomina:  la  legge  n.  444/1985  peraltro  si  riferisce  ai   posti
 disponibili  nell'amministrazione  statale e degli enti locali); e al
 secondo comma stabilisce che il personale e' tenuto a permanere nella
 sede di prima destinazione per almeno sette anni.
    Si tratta in entrambi i casi di disposizioni di stretto dettaglio,
 illegittimamente estese al  personale  della  regione  e  degli  enti
 dipendenti.
    12.  -  Il titolo III disciplina la contrattazione collettiva e la
 rappresentanza sindacale.
    Rispetto  alla  preesistente  disciplina  della  legge  quadro  n.
 93/1983,  si  attua una profonda trasformazione. Le materie riservate
 alla legge sono ridotte e per tutte le  altre  "materie  relative  al
 rapporto   di  lavoro"  si  stabilisce  che  vale  la  contrattazione
 collettiva (art. 45, primo comma).
    I contratti collettivi  nazionali,  come  gia'  accadeva  per  gli
 accordi  sindacali  di  cui alla legge n. 93/1983, sono stipulati per
 comparti della pubblica amministrazione  (art.  45,  seconda  comma),
 dalle  organizzazioni  sindacali  di  comparto e dalle confederazioni
 maggiormente rappresentative sul piano nazionale  (art.  45,  settimo
 comma).  Ma  non e' piu' prevista una fase "normativa" di recepimento
 degli   accordi:   le   amministrazioni   pubbliche,   semplicemente,
 "osservano gli obblighi assunti con i contratti collettivi" (art. 45,
 nono   comma).   In  particolare,  sono  vincolanti,  nel  minimo,  i
 trattamenti previsti  dai  contratti  collettivi  (art.  49,  secondo
 comma).
    Cio'  potrebbe  sembrare conforme alla logica della contrattazione
 collettiva.
    Ma, in primo luogo, e' assai dubbio che gli enti  pubblici  dotati
 di autonomia costituzionalmente garantita possano essere assoggettati
 al vincolo di contratti collettivi "di categoria", specie se efficaci
 erga omnes.
    Inoltre  -  a  parte  i  legittimi dubbi sulla conformita' di tale
 sistema, anche in ordine alla legittimazione a contrattare delle sole
 organizzazioni sindacali "maggiormente rappresentative", ai  principi
 dell'art. 39 della Costituzione - in ogni caso il vincolo del singolo
 ente  datore  di  lavoro al contratto collettivo in tanto si potrebbe
 giustificare, in quanto l'ente medesimo sia  rappresentato  o  almeno
 possa essere rappresentato dalle organizzazioni stipulanti.
    Ora, pero', i contratti per il pubblico impiego sono stipulati non
 gia'  da organizzazioni rappresentative degli enti pubblici datori di
 lavoro, e nemmeno da delegazioni di parte pubblica  di  cui  facciano
 parte i rappresentanti di detti enti (come accadeva nel sistema della
 legge  n.  93/1983),  bensi'  dalla  neo-istituita  "Agenzia  per  le
 relazioni  sindacali",  cui  e'  conferito  ex  lege  il  compito  di
 rappresentare  "in  sede  di  contrattazione  collettiva nazionale le
 pubbliche amministrazioni" (art.  50,  secondo  comma),  attenendosi,
 nell'attivita' contrattuale, alle "direttive impartite dal Presidente
 del  Consiglio  dei  Ministri,  sentita  la conferenza dei presidenti
 delle regioni per gli aspetti di interesse regionale" (art. 50, terzo
 comma), e dovendo solo tener conto, "in quanto compatibili" con dette
 direttive,  delle   "ulteriori   indicazioni"   espresse   da   varie
 rappresentanze  fra  cui  la  conferenza dei presidenti delle regioni
 (art. 50, quarto comma).
    L'agenzia e' un organismo strettamente  statale,  posto  sotto  la
 vigilanza  della  Presidenza  del  Consiglio (art. 50, primo comma) e
 disciplinato,  quanto  a  organizzazione  e  funzionamento,   da   un
 regolamento  del  Governo  (art.  50, settimo comma). Il direttore e'
 nominato dal Presidente del Consiglio, previa delibera del  Consiglio
 dei  Ministri  (art. 50, nono comma), ed e' solo "coadiuvato", per le
 questioni relative al personale degli enti autonomi, da un  "comitato
 di coordinamento" i cui membri sono designati dalle rappresentanze di
 tali  enti,  fra cui la conferenza dei presidenti delle regioni (art.
 50, decimo comma).
    Il contratto concordato e' trasmesso dall'agenzia al Governo,  che
 autorizza  o  meno  la  sottoscrizione,  sentita  la  conferenza  dei
 presidenti delle regioni per gli aspetti di interesse regionale (art.
 51, primo comma).
    Inoltre e'  previsto  che  il  Ministero  del  tesoro  quantifichi
 l'onere  derivante dalla contrattazione collettiva, distintamente per
 il bilancio dello Stato e per quello delle altre  amministrazioni,  e
 che  il Presidente del Consiglio impartisca "direttive" per i rinnovi
 contrattuali, "indicando in particolare le  risorse  complessivamente
 disponibili  per  i  comparti, i criteri generali della distribuzione
 delle risorse al personale  ed  ogni  altro  elemento  in  ordine  al
 rispetto  egli  indirizzi  impartiti  (art. 52, secondo comma). E' il
 Ministro del tesoro che, in esito alla sottoscrizione  dei  contratti
 di  comparto,  ripartisce  con  propri decreti le risorse destinate a
 ciascun comparto, ove sia previsto l'apporto finanziario dello  Stato
 a copertura dei relativi oneri (art. 52, quarto comma).
    E'  palese  come  tale  sistema  di  contrattazione,  applicato al
 personale  delle  regioni  e  degli  enti  dipendenti,  sia  tale  da
 spogliare del tutto le regioni medesime della loro autonomia.
    Esse   infatti   non  partecipano  piu'  alla  fase  contrattuale,
 demandata esclusivamente all'agenzia: le semplici  "indicazioni"  che
 la   conferenza  dei  presidenti  delle  regioni  puo'  formulare,  e
 l'apporto dei rappresentanti da  questa  designati  nel  comitato  di
 coordinamento,  non  possono certo sostituire la partecipazione della
 singola regione ad una contrattazione i cui esiti sono  peraltro  per
 essa totalmente vincolanti.
    Per  di  piu'  e'  totalmente  soppressa  quella fase "normativa",
 mediante l'attuazione degli accordi ad opera della  legge  regionale,
 che  consentiva alle regioni, secondo l'insegnamento della senenza n.
 219/1984, la possibilita' di adeguare gli accordi "alle  peculiarita'
 dell'ordinamento  degli  uffici  ed  alle disponibilita' del bilancio
 regionale", e che comunque conduceva a  subordinare  all'approvazione
 del  provvedimento regionale l'operativita' degli accordi nell'ambito
 regionale (sent. n. 1001/1988).
    La regione e' percio'  da  un  lato  privata  della  sua  potesta'
 legislativa  in  ordine  alla  disciplina  del rapporto di lavoro dei
 dipendenti propri  e  degli  enti  strumentali;  dall'altro  lato  e'
 privata  della  propria  autonomia  contrattuale poiche' e' vincolata
 all'osservanza di contratti collettivi alla cui stipulazione essa non
 puo' prendere parte in modo significativo e determinante.
    Sotto  ogni  profilo,  dunque,  la  disciplina  in  esame   appare
 contrastante  con i principi costituzionali sull'autonomia regionale,
 nonche' con l'art. 39 della Costituzione, in quanto e' lesa  altresi'
 l'autonomia sindacale e contrattuale della regione.
    A  cio'  si aggiunge che la contrattazione nazionale, vincolante e
 immediatamente operante nei confronti delle regioni,  e'  soggetta  a
 poteri  di autorizzazione, di direttiva e di controllo finanziario ad
 opera degli organi centrali dello Stato, ed e'  invece  sottratta  ad
 ogni  potere  di  determinazione  di  intervento e di controllo anche
 finanziario   della   regione:   aggravando    cosi'    la    lesione
 dell'autonomia.
    Va  ancora notato che alcune materie specifiche, nonche' la durata
 dei contratti collettivi di comparto, possono essere disciplinate  da
 "contratti  collettivi  quadro"  (che  verrebbero percio' a vincolare
 direttamente tutte le  amministrazioni,  ivi  comprese  le  regioni),
 stipulati  dall'agenzia statale e, per la parte sindacale, solo dalle
 confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale (art.
 45, quinto e sesto comma).
    La contrattazione  decentrata  e'  prevista,  ma  nei  limiti  dei
 contratti  nazionali  (art. 45, quarto comma), ed avviene ad opera di
 una rappresentanza del personale composta secondo modalita'  definite
 dalla contrattazione nazionale (art. 45, secondo comma).
    La   definizione   della  maggiore  rappresentativita'  sul  piano
 nazionale  delle  organizzazioni  sindacali  e'  determinata  ad   un
 apposito  accordo  tra  il Presidente del Consiglio dei Ministri e le
 confederazioni sindacali, da  recepire  con  decreto  del  Presidente
 della  Repubblica,  previa  deliberazione  del Consiglio dei Ministri
 (art. 47, primo comma); in attesa di tale decreto,  si  applicano  le
 disposizioni   di  cui  all'art.  8  del  d.P.R.  n.  395/1988  e  le
 "conseguenti  direttive  emanate"  dal  dipartimento  della  funzione
 pubblica,  che  valgono  anche  in  sede decentrata (art. 47, secondo
 comma).
    Anche qui, a parte i legittimi dubbi  sulla  conformita'  di  tale
 disciplina  all'art.  39  della  Costituzione,  viene  sottratta alle
 regioni ogni autonomia nel determinare le controparti contrattuali le
 quali stipuleranno i contratti nazionali, e anche quelli  decentrati,
 per esse vincolanti.
    Il  decreto,  infine,  disciplinando  le  aspettative e i permessi
 sindacali, prevede che i  limiti  massimi  siano  determinati  in  un
 apposito  accordo  stipulato  fra  il  Presidente  del Consiglio e le
 confederazioni  sindacali  maggiormente  rappresentative  sul   piano
 nazionale, da recepire con decreto del Presidente del Consiglio, pre-
 via  delibera  del  Consiglio dei Ministri; e demanda la ripartizione
 delle aspettative sindacali fra le confederazioni e le organizzazioni
 sindacali aventi titolo al dipartimento della funzione pubblica (art.
 54).
    Anche  tutti  gli  aspetti  ora  sottolineati  comportano  lesione
 dell'autonomia e delle competenze regionali.
    13.  - L'art. 60, nel disciplinare l'orario di servizio e l'orario
 di lavoro, si spinge fino a stabilire che "l'orario  di  servizio  si
 articola  di  norma  su  sei  giorni,  di  cui cinque anche nelle ore
 pomeridiane,   con   un'interruzione   di   almeno   un'ora":   cosi'
 interferendo  in  aspetti  della  disciplina strettamente legati alle
 esigenze e alle condizioni locali.
    Anche tale  determinazione  di  estremo  dettaglio  appare  lesiva
 dell'autonomia.
    14.  -  L'art.  61,  secondo comma, prevede che le amministrazioni
 adottino le misure per attuare le direttive delle  Comunita'  europee
 in  materia di pari opportunita' "sulla base di quanto disposto dalla
 Presidenza del Consiglio dei Ministri,  Dipartimento  della  funzione
 pubblica".
    Tale  potere  di  direttiva,  fra  l'altro  privo di ogni criterio
 legislativo  e  dunque  contrastante  col  principio   di   legalita'
 sostanziale, e' a sua volta lesivo dell'autonomia regionale in quanto
 si indirizzi anche alle regioni.
    15.  -  Gli artt. 63, 64 e 65 stabiliscono disposizioni in materia
 di controllo della spesa per il personale. Anche a tale proposito  si
 assoggetta  la  regione a poteri di direttiva, di determinazione e di
 controllo  di  organi  centrali,  in  contrasto   con   le   esigenze
 dell'autonomia.
    Cosi'   l'art.   63,   secondo  comma,  stabilisce  che  tutte  le
 amministrazioni  pubbliche  impiegano  strumenti  di  rilevazione   e
 sistemi  informatici  e  statistici  definiti  dall'organismo statale
 previsto  dall'art.  2,  primo  comma,  lett.  mm),  della  legge  n.
 421/1992, sulla base delle indicazioni del Ministero del tesoro.
    L'art.  64 prevede che le amministrazioni trasmettano ai Ministeri
 del tesoro e del bilancio  gli  elementi  per  la  rilevazione  e  il
 controllo  dei costi; che il Ministero del tesoro definisca procedure
 interne e tecniche di rilevazione, e provveda  ad  una  articolazione
 dei  bilanci a carattere sperimentale; che con decreto del Presidente
 del  Consiglio  siano   elaborati   i   progetti   di   articolazione
 sperimentale  dei  bilanci  pubblici;  e che per la "omogeneizzazione
 delle  procedure   presso   i   soggetti   pubblici   diversi   dalle
 amministrazioni sottoposti alla vigilanza ministeriale" la Presidenza
 del  Consiglio  adotti  "apposito atto di indirizzo e coordinamento":
 potere,  quest'ultimo,  in  particolare,  esercitato  con   procedura
 anomala  e  non  vincolato  a criteri di legge, e dunque in contrasto
 anche col principio di legalita' sostanziale.
    L'art. 65 attribuisce  al  Ministero  del  tesoro  il  compito  di
 definire  un  modello  di  rilevazione del personale e delle relative
 spese, vincolante per la presentazione a nnuale del conto delle spese
 di personale (secondo comma).
    Infine l'art. 70, secondo comma, prevede  che  l'applicazione  dei
 contratti collettivi sia oggetto di verifica del Ministero del tesoro
 e del dipartimento della funzione pubblica.
    Tutti  i  poteri  e i controlli indicati appaiono ingiustificati e
 lesivi dell'autonomia in quanto si  esplichino  anche  nei  confronti
 delle regioni.
    16.  -  L'art.  67  del decreto stabilisce che "il commissario del
 Governo rappresenta lo Stato nel territorio regionale"; che  egli  e'
 responsabile  nei  confronti  del  Governo del flusso di informazioni
 degli enti pubblici  operanti  nel  territorio  (il  che  sembrerebbe
 suggerire  una  qualche  sua ingerenza presso gli enti stessi); e che
 "ogni comunicazione del  Governo  alla  regione  avviene  tramite  il
 commissario del Governo".
    Questa  configurazione  estensiva  del  ruolo  e  dei  compiti del
 commissario non corrisponde a quanto  disposto  dall'art.  124  della
 Costituzione,  secondo  cui  al  Commissario del Governo - oltre alle
 funzioni specifiche previste dall'art. 127 - spetta solo  il  compito
 di   sopraintendere   alle   funzioni  amministrative  esercitate  in
 periferia  da  organi  dello  Stato  e  di  coordinarle  con   quelle
 esercitate dalla regione.
    Nessun ruolo di rappresentanza generale dello Stato, dunque (in un
 ordinamento regionalistico, lo "Stato" nella sua unita' articolata e'
 "rappresentato"  in  periferia dagli organi degli enti territoriali),
 nessuna responsabilita' per i flussi  informativi  provenienti  dagli
 enti  autonomi,  nessuna  esclusiva  nei rapporti fra il Governo e la
 regione. Al contrario i rapporti fra il Governo e la regione  debbono
 instaurarsi  a  livello degli organi costituzionali, come ha chiarito
 questa Corte quando ad esempio ha escluso la legittimita'  di  poteri
 sostitutivi  statali  nei  confronti  della  regione  esercitati  dal
 Commissario del Governo (sent. n. 177/1988).
    Anche l'art. 67 del decreto appare pertanto illegittimo.